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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Il killer pentito Renato Cavaliere: “Gino Tommasino fu ucciso per l’affare parcheggi”

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Il pentito del clan D’Alessandro, Renato Cavaliere fa riaprire il caso dell’omicidio del consigliere comunale del PD, Gino Tommasino, ucciso dalle stesso Renato Cavaliere  nel febbraio del 2009. Il collaboratore di giustizia oggi in aula ha parlato per la prima volta alla prima udienza del processo in Corte di Assise d’Appello che lo vede imputato insieme con con Catello Romano, uno dei complici dell’agguato. Il consigliere comunale di Castellammare di Stabia sarebbe stato ucciso dalla camorra “per l’affare parcheggi”. Questa mattina, il procuratore generale ha presentato il verbale di interrogatorio con il quale ha ufficialmente chiesto la riapertura del dibattimento e i nuovi interrogatori anche per gli altri pentiti.Gino Tommasino fu ucciso nel pomeriggio del 3 febbraio 2009 mentre era in auto in compagnia del figlio minorenne. Pochi minuti dopo, secondo il pentito, avrebbe dovuto incontrare due imprenditori per discutere dell’affare parcheggi. Gli ergastoli comminati ai due killer Catello Romano e Renato Cavaliere erano stati annullati in Cassazione per mancanza del movente e rinviati in Appello per la rideterminazione della pena, mentre sono stati già condannati gli altri 2 killer che avevano confessato l’omicidio (i collaboratori di giustizia Salvatore Belviso e Raffaele Polito).


Scafati: il pentito Loreto fece picchiare due volte il consigliere comunale Barchiesi. La tangente sui parcheggi

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“Carlucciello è quella persona di cui vi ho parlato a proposito del primo pestaggio a Roberto Barchiesi consigliere comunale”: sfuggono agli ‘omissis’ particolari riguardo i rapporti e gli episodi che legano il clan Ridosso-Loreto e la politica scafatese. Quell’accenno, emerso nel secondo verbale riassuntivo stilato da Alfonsino Loreto, il 25 febbraio scorso fa capire come il neo pentito abbia illustrato all’antimafia i rapporti tra la camorra locale e i politici. Roberto Barchiesi, ex zio acquisito di Alfonso Loreto che aveva sposato la nipote dalla quale è divorziato, fu eletto nella lista ‘Grande Scafati’, nel 2013 in appoggio al sindaco Angelo Pasqualino Aliberti. Loreto racconta – ma questo è ancora oggetto di indagine – che il consigliere fu picchiato due volte. Episodi che potrebbero essere avvenuti proprio nel periodo in cui, improvvisamente Roberto Barchiesi decise di dimettersi. Il suo fu un vero e proprio ‘giallo’ sostenne che le dimissioni erano state consegnate dalla moglie per problemi di salute. Tanto che fece un ricorso al Tar per ritornare in consiglio e vinse. Un consigliere sempre fedelissimo di Pasquale Aliberti, fino a settembre scorso, quando – probabilmente liberatosi dalla pressione del clan Loreto-Ridosso (gli arresti degli uomini della cosca sono di settembre scorso, ndr) – fece scelte controcorrente facendo in modo che non andasse in porto l’operazione ‘decadenza’ del primo cittadino. Sul politico scafatese si sono appuntate le indagini – spronate dalle dichiarazioni di Loreto che parla di veri e propri pestaggi – sulle ingerenze della criminalità sulla politica locale.

Tutto avvolto dal segreto delle indagini, come altri episodi che il neo pentito narra nei suoi verbali e ‘omissati’ dalla Procura. Alfonso Loreto parla degli appalti ottenuti con le sue imprese ma anche di tangenti chieste da altri gruppi criminali per lavori pubblici in città. Sicuramente dopo l’estorsione fatta dal clan Loreto-Ridosso ai danni dell’Aipa per la gestione della sosta a pagamento e dei parcheggi, anche altri gruppi – dopo gli arresti di Alfonsino e dei suoi fedelissimi – hanno imposto o chiesto il pizzo sui parcheggi. A subentrare nelle estorsioni il clan Sorrentino, secondo il neo pentito, che a suon di ‘danneggiamenti e attentati’ avrebbe imposto tangenti alla società che aveva sostituito l’Aipa nella gestione dei parcheggi e delle strisce blu. Indica il nome del referente che starebbe gestendo l’affare, anch’egli un giovane rampollo dei Sorrentino.

Alfonso Loreto spiega nei dettagli anche della tangente all’Aipa sulla quale ci fu una ‘cresta’. Pasquale Loreto, il padre, e Romolo Ridosso sapevano che la società con sede a Milano – per conto di Aurelio Voccia De Felice – ha pagato 30mila euro. Ma Alfonsino Loreto smentisce tutti e spiega come si arrivò a chiamare l’ingegnere scafatese, figlio dell’ex sindaco Dc di Scafati, Franchino Voccia. “Prendemmo 45mila euro – dice Alfonso Loreto – ma dicemmo a tutti che ce ne aveva dati 30. Gli altri 15mila li dividemmo noi”. Un altro capitolo, in parte ancora segreto, questo della tangente all’Aipa, nei quali i retroscena hanno ancora una volta implicazioni di tipo politico amministrativo. Un pezzo importante delle indagini che l’antimafia sta svolgendo sul Comune di Scafati, sulle infiltrazioni della camorra nell’amministrazione pubblica, sull’organizzazione del clan sul territorio è nelle parole di Alfonsino Loreto. E questa volta, un componente della famiglia Loreto pare sia disposto a tradire anche i ‘fratelli’ pur di uscire dal giro della malavita. Le sue rivelazioni sono dirompenti e fanno già parte di un’indagine, curata dal sostituto procuratore Vincenzo Montemurro, nella quale a settembre scorso sono finiti il sindaco Pasquale Aliberti, il fratello Nello, la moglie la consigliera Regionale Monica Paolino, la segretaria comunale dell’Ente Immacolata Di Saia e il factotum staffista Giovanni Cozzolino. La lista delle persone sottoposte ad indagini da settembre scorso ad oggi pare si sia allungata e le responsabilità circoscritte non solo dalle dichiarazioni di Alfonsino Loreto, ma anche di tanti testimoni che hanno deciso di vuotare il sacco.

Rosaria Federico

Nocera, scoperta ditta “fantasma” per intascare la cassa integrazione: perquisizioni a Salerno, Casal di Principe e Villa Literno

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Falsi lavoratori e falsi cassintegrati con consulenti e sindacalisti nel mirino della Procura di Nocera Inferiore. Perquisizioni a tappeto, ieri mattina, ordinate dal sostituto procuratore Giuseppe Cacciapuoti, nell’ambito dell’inchiesta che riguarda un’azienda tessile con sede fittizia in via Fucilari, 39 che ha chiesto la Cassa integrazione guadagni alla Regione Campania per sopraggiunte difficoltà economiche per 33 addetti al settore tessile. L’indagine, partita alcuni mesi fa, ha portato i carabinieri della sezione di polizia giudiziaria del Tribunale di Nocera Inferiore, in collaborazione con i carabinieri e gli ispettori dell’ispettorato del lavoro presso i sei ‘obiettivi’ indicati dal magistrato nel decreto di perquisizione. La sede legale della ditta Omnia, in via Fucilari, è risultata fittizia. Un cartello fittasi indica che il locale, adibito ad ufficio, è da tempo inutilizzato. Contemporaneamente, i militari – coordinati dal luogotenente Massimo Santaniello e dal maresciallo Nicola Montone – hanno acquisito documentazione presso altre sedi dichiarate dell’azienda a Casal di Principle, Villa Literno, presso il consulente che ha curato le pratiche di assunzione e cassa integrazione a Napoli, presso la Regione Campania per l’acquisizione del verbale di accordo sindacale che ha visto protagonista un sindacalista dell’Ugl di Salerno. Secondo quanto emerso nella fase delle indagini, l’impresa che ha come oggetto sociale la lavorazione di indumenti intimi, sarebbe stata creata ad hoc per l’assunzione di 33 persone. Sede legale a Nocera Inferiore e una serie di attività dichiarate prima della crisi aziendale e della richiesta di cassa integrazione guadagni. A insospettire gli inquirenti una serie di verbali, redatti dal responsabile Ugl con il titolare dell’impresa, per avviare l’iter che ha consentito ai dipendenti di aver il contributo. Secondo quanto emerso, il 26 novembre dello scorso anno le parti si incontrano a Nocera Inferiore dove viene stipulato il primo accordo, successivamente viene fatta una nuova verifica sull’azienda da parte del sindacato il 5 gennaio scorso sempre a Nocera Inferiore, in via Fucilari. Peccato che nell’ufficio riportato sulla documentazione non vi era alcuna sede legale. I carabinieri, con gli ispettori dell’ispettorato del lavoro e i carabinieri dell’Ente hanno verificato la parte della documentazione consultabile, sia presso l’Inps che presso gli enti interessati ipotizzando che vi fosse una possibile truffa aggravata ai danni dello Stato. Ieri mattina, il sostituto procuratore ha ordinato le perquisizioni di uffici, abitazioni e presso la Regione Campania per acquisire documenti, supporti informatici e tutto quanto attinente alla Omnia, la società finita nel mirino che potrebbe essere fittizia. Si indaga sul ruolo dell’amministratore della ditta, sindacalista, del consulente aziendale e dei dirigenti regionali che hanno dichiarato lo stato di crisi dell’azienda ed hanno erogato la cassa integrazione ai 33 dipendenti.  

Ercolano, Antonella Madonna in tv: “Io, pentita per amore e per le figlie, ora donna libera”

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Ercolano. L’amore per le figlie e quello per un marittimo conosciuto al lido La Scala di Torre del Greco: Antonella Madonna la donna boss pentita si racconta a Sky Crime Investigation. A capo della cosca degli Ascione-Papale dopo l’arresto dell’allora marito, Natale Dantese rivela che si è sentita ‘libera’ solo quando è stata arrestata. Amore & camorra, i retroscena di una vita vissuta nella faida tra i Birra-Iacomino e gli Ascione-Papale, Antonella Madonna in oltre un’ora racconta il suo amore ‘criminale’ con Dantese, iniziato quando i due erano poco più che adolescenti e cresciuta a suon di colpi di pistola. Il matrimonio e poi l’arresto prima del marito poi dell’ex suocero la portano a capo del clan torrese, ma l’amore per un marittimo le cambia la vita.

Lui si chiama Raffaele Attanasio, uomo di mare, conosciuto al Lido La Scala di torre del Greco, durante un’estate. I due si frequentano, ma entrambi sanno che rischiano la vita. Gli uomini di Dantese scoprono la relazione e i due amanti vengono scoperti in un albergo di Terzigno. La ritorsione e il pestaggio di Antonella Madonna e del suo uomo, però, apre uno scenario diverso per la cosca di Natale Dantese. Attanasio, temendo per la sua vita, svela agli inuirenti i luoghi degli incontri e la relazione con la donna boss. La relazione amorosa tra i due apre un nuovo squarcio nelle fila del clan Ascione-Papale, con il blitz denominato Cupido, ordinato dalla Dda di Napoli, su richiesta del pm antimafia Pierpaolo Filippelli. Lo stesso magistrato, oggi procuratore aggiunto alla Procura di Torre Annunziata, con uno dei suoi uomini più fidati, il maresciallo dei carabinieri Angelo Di Santo, sono stati intervistati nella trasmissione Crime Investigation. Cupido porta in carcere Antonella Madonna che 180 giorni dopo decise di iniziare la collaborazione con lo Stato: “Mi hanno minacciata tante volte e io minacciavo loro – ha detto la collaboratrice ricordando la sua relazione con Attanasio -. Avevo detto di aver scritto una lettera, ma non era vero nulla. Quando mi hanno arrestata mi sentivo libera. Avevo perso tutto, ma ero libera”. Per il pestaggio alla donna boss e al suo uomo, in primo grado, sono stati condannati Salvatore e Giuseppe Suarino, Mario Oliviero, Ciro Esposito e Giuseppe Dantese, fratello del bos . “Le mie figlie sono state le base principale della mia collaborazione. Sapevo che andavo verso una condanna pesante e non potevo lasciarle sole”, ha detto la donna in tv. 

Castellammare: rischiano il processo per truffa 20 operai Fincantieri e due imprenditori

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Lavoravano alla Fincantieri di Piombino pur essendo in cassa integrazione e ora rischiano il processo per truffa ai danni dello stato venti dipendenti della Fincantieri e due imprenditori tutti di Castellammare e dei comuni limitrofi. La procura di Torre Annunziata, infatti, ha firmato un avviso di conclusione delle indagini nei loro confronti ipotizzando il reato di truffa aggravata in concorso finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche. Sono stati gli uomini della Guardia di Finanza del comando stabiese ha condurre le indagini e a scoprire il raggiro in cui guadagnavano tutti. Gli operai che pur essendo in cassa integrazione  e quindi percepivano l’indennità mensile e lo stipendio e i titolari delle due ditte che li avevano assunti attraverso la falsificazione di documenti che naturalmente erogavano loro uno stipendio ridotto.

 

Scafati, Il pentito Loreto racconta le estorsioni fatte in nome della “famiglia”

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LORETO-ALFONSO

Non solo clan Ridosso-Loreto ma anche avversari, conoscenti, fatti recentissimi che sono un pezzo di storia criminale e non, di una città in cui la quiescenza criminale è solo semplice apparenza. Alfonso Loreto parla molto, conosce fatti e personaggi e in tre verbali getta le basi per inguaiare tutti. Verbali ricchi di omissis nei quali sono sfuggiti alle cancellature della Procura anche episodi sui quali le indagini sono incessanti. Si apre con le dichiarazioni di Alfonso Loreto uno squarcio sul capitolo bombe e attentati. L’estorsione al Bar Dodo? «Fu fatta da Marcello Adini e Carmine Alfano nel nome di Franchino Matrone – dice Alfonsino Loreto raccontando fatti noti alle cronache giudiziarie –. L’ho saputo perché gli operai della nostra ditta lavorano presso il Centro Plaza, coordinati da Cenatiempo (Roberto, ndr) che ha ricevuto delle confidenze da un ragazzo che lavora lì». Ma Alfonso Loreto descrive anche il panorama criminale venutosi a creare nella zona di San Pietro dove, sostengono gli inquirenti, vige ancora la legge di Franchino Matrone. In quella zona, comandano loro i Matrone con i quali sono alleati gli Alfano, in particolare Carmine, bim- bum-bam, recentemente arrestato per la detenzione di una pistola e proprio per l’estorsione al bar Dodo. «Posso aggiungere che Carmine Alfano e Marcello Adini volevano imporre il traffico dell’erba (marijuana, ndr) e di cocaina agendo in nome di Franchino Matrone e del figlio Michele». Rivelazioni che vanno provate, naturalmente, ma che vengono date per certe dal neo pentito che nel verbale del 25 febbraio scorso racconta, oltre agli episodi che lo riguardano, anche quelli dei gruppo criminali a Scafati. Alfonso parla di imposizioni e di minacce per imporre il monopolio dello spaccio della droga. In questo ambito si iscriverebbero anche una serie di attentati avvenuti in città ai danni di pregiudicati. Imposizioni che se non rispettate finivano a suon di “botte e di bombe”. A essere minacciato dal gruppo di Matrone-Alfano sarebbe stato anche una persona vicina ai Ridosso-Loreto, parente di Luigi Ridosso di Salvatore, che opera nell’ambito dello spaccio di stupefacenti. Alfonso spiega anche il movente di alcuni attentati come quello ai danni di Raffaele Sangermano, ’o ragno rosso, al quale spararono due anni fa fuori alla sua abitazione. «A sparare fu Dario Spinelli nostro affiliato, perché Vincenzo Nappo ’o nonno aveva avuto dei litigi con lui». E inoltre, facendo un salto nel passato ai rancori che il gruppo aveva nei confronti di Ferdinando Muollo, ’o dentista, per l’omicidio di Salvatore Ridosso, “piscitiello”, Alfonsino svela che l’imprenditore – cugino di Luigi e Vincenzo Muollo – doveva morire. Il gruppo aveva programmato un attentato per far saltare la barca di Muollo, ormeggiata nel porto a Castellammare. «Abbiamo saputo, nel 2011, che Ferdinando Muollo aveva una barca ormeggiata al porto Marina di Stabia. L’è andata a vedere Luigi Ridosso. Ma poi non se n’è fatto più nulla». Alfonso racconta anche quella delle barche era una passione che l’accomunava a Muollo: «Avevamo una barca uno Squalo 35 di proprietà mia, di Gennaro Ridosso e Luigi di Salvatore. Poi l’abbiamo venduta quando io sono entrato in carcere a un tale Remigio di Lettere che ci fece degli assegni che non andarono in porto e fu minacciato pure da Gennaro». Anche la barca dei Loreto-Ridosso era ormeggiata a Marina di Stabia e utilizzata dal gruppo. Bella vita fatta con i soldi di usura e estorsioni, o con il lavoro imposto attraverso le imprese di pulizia e manutenzione intestate a Loreto o a prestanome che tra il 2008 e il 2015 hanno ottenuto appalti in industrie private o in aziende pubbliche. (r. f.) 

Scafati, Il pentito Loreto racconta le estorsioni fatte in nome della “famiglia”
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Usura a Ercolano: condannati i porticesi Di Buono e Lucarella, i complici di Fiengo

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Giro di usura a Ercolano in cui è coinvolto anche il fratello del vice sindaco Luigi Fiengo: arrivano le prime condanne. Ieri infatti il gup Livia De Gennaro del Tribunale di Napoli ha emesso la sentenza nell’ambito del processo con il rito abbreviato scelto da due tre tre indagati. Antonio Lucarella è stato condannato a 4 anni e 8 mesi di reclusione mentre Ciro Di Buono a 3 anni e 3 mesi.Nicola Fiengo invece è attualmente costretto all’obbligo di dimora in attesa di che si decida sulla sua posizione. I tre furono colpiti nel luglio dello scorso anno da un’ ordinanza di custodia cautelare con ‘accusa di usura. Prestavano soldi a commercianti e imprenditori della zona che si trovavano in difficoltà economiche praticando tassi del 6 % mensile.  Il giro di usura fu scoperto grazie alle denunce del titolare di una concessionaria di auto e un commerciante di abbigliamento. Antonio Lucarella, pensionato, residente a Portici era rimasto già coivolto in altre inchieste di usura. Ciro Di Buono, anche egli di Portici, ma incensurato è titolare di un salone di barbiere in via Diaz. Nicola Fiengo è uno dei quattro fratelli dell’impero di “F.lli Fiengo” leader di settore nella produzione, lavorazione e trasformazione di prodotti in ceramica, in pietra anche lavica, in granito e in marmo e similari. Per Lucarella e Di Buono l’accusa è di avere prestato 5.500 euro nel 2008 e di avere poi preteso un corrispettivo di 12.500 euro comprensivi di due orologi dal valore di 3mila euro per soli 16 mesi di interessi. Successivamente per un prestito di 2.700 euro si sarebbero fatti ridare, nell’ arco di un mese, interessi di natura usuraria per 3mila euro. Nel 2012 su di un ulteriore prestito di 7.500 euro avevano estorto al commerciante nel corso di soli due anni una cifra di circa 14mila euro. Più articolata la vicenda che vede coinvolto Nicola Fiengo, fratello maggiore dell’attuale, vicesindaco della città di Ercolano, Luigi. Ai danni del titolare della concessionaria, in corrispettivo di un prestito di denaro di 40mila euro nel 2013 si faceva promettere 10mila euro di interessi entro i quattro mesi successivi. Un nuovo prestito di 50mila euro costringeva il richiedente a intestare un terreno del valore del bene stimato intorno ai 270mila euro, conseguendo vantaggi usurai per 220mila euro, ed ancora si faceva dare un suv e una utilitaria Fiat, quest’ultima intestata alla figlia di un suo dipendente. La vittima fu successivamente pressata con altre richieste fino a quando decise di denunciare.    Il gup ha anche condannato Lucarella e Di Buono a risarcire per 25.000 euro alle parti civili costituitesi nel processo.

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Usura a Ercolano: condannati i porticesi Di Buono e Lucarella, i complici di Fiengo
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Cava de Tirreni, violentò due ragazzine: condannato e arrestato dopo 13 anni

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Violentò due ragazzine quando aveva poco più di diciotto anni. È stato arrestato per scontare la pena definitiva, Raffaello Baldi, 31enne cavese, già pregiudicato per reati contro il patrimonio. Mercoledì sera, i poliziotti del commissariato di Cava de’ Tirreni hanno scovato Baldi ad Altavilla Silentina, dando esecuzione a un ordine di carcerazione emesso il 20 di maggio scorso, dalla Procura della Repubblica del tribunale di Salerno. Raffaello Baldi deve scontare quattro anni, nove mesi e cinque giorni di reclusione per violenza sessuale e violenza privata. L’uomo è stato riconosciuto colpevole per un episodio risalente al mese di giugno del 2004 quando due ragazzine, all’epoca minorenni, denunciarono di essere state stuprate da un giovane conterraneo. Le indagini dei poliziotti permisero di identificare il presunto responsabile condannato poi per i reati contestati dalla Procura della Repubblica di Salerno. Raffaello Baldi, arrestato, è stato trasferito nel carcere di Salerno a disposizione dell’autorità giudiziaria. Deve scontare la pena di quattro anni e nove mesi di reclusione. Negli anni successivi al 2004, Baldi è incappato altre volte nelle maglie della giustizia per reati contro il patrimonio. Dodici anni fa, invece approfittò delle due ragazzine le violentò e poi le intimidì per impedire loro di raccontare tutto ai genitori e alle forze dell’ordine. Il coraggio di denunciare e di testimoniare, dinanzi ai giudici, per quell’episodio ha condotto Raffaello Baldi in carcere per violenza sessuale e violenza privata. A pochi giorni dall’emissione dell’ordine di esecuzione, il 31enne è stato trovato ad Altavilla Silentina, dove è stato ammanettato e condotto in carcere. In mancanza di un provvedimento di affidamento o di scarcerazione anticipata dovrà rimanere in cella per oltre quattro anni. Per le vittime un sospiro di sollievo dodici anni dopo la violenza subita. Una storia che, all’epoca, fece particolarmente scalpore per la ferocia dell’atto. Uno di quei che sconvolge una comunità di solito molto tranquilla e serena come quella della valle metelliana.(r.f.)

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Guerra delle tombe al cimitero di Castellammare: i due Esposito condannati per il tentato omicidio di Ingenito

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Guerra per le tombe al cimitero stabiese:condannati i fratelli Alfonso e Catello Esposito di Castellammare responsabili del tentato omicidio nei confronti di Umberto Ingenito avvenuto nel luglio del 2015 in via Napoli nei pressi del cimitero. I due Esposito  hanno patteggiato la pena rispettivamente a sei anni e quattro mesi e cinque anni per concorso in tentato omicidio. L’agguato si inserisce nella lotta tra le due famiglie per l’accaparramento degli appalti delle tombe al cimitero stabiese. I protagonisti della vicenda infatti appartengono a storiche famiglie stabiesi che lavorano il marmo e che hanno le proprie attività in via Napoli vicino al cimitero. Anche la vittima dell’agguato Umberto Ingenito e il cugino Mario Sicignano sono stati condannati a 5 mesi per favoreggiamento. I due non vollero dire agli investigatori i nomi dei due aggressori. La sentenza è stata emessa ieri dal gup Luca Della Ragione del Tribunale di Torre Annunziata. Ad incastrare gli Esposito sono state le intercettazioni telefoniche da cui si evince lo scontro con Ingenito per il business delle tombe.

Guerra delle tombe al cimitero di Castellammare: i due Esposito condannati per il tentato omicidio di Ingenito
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Clan Mariano: ecco l’elenco dei 44 rinviati a giudizio

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Clan Mariano: in  44 rinviati a giudizio. E’ il gruppo più folto di quelli arresati nel maxi blitz dello scorso anno che hanno chiesto di essere giudicato con rito ordinario. Tutti i componenti della famiglia mariano invece “I picuozzi”dei Quartieri Spagnoli e i loro fedelissimi hanno scelto il rito abbreviato. Per questi ultimi il processo inizierà il 20 giugno. Per quelli che hanno deciso di affrontare il processo invece se ne parlerà il 16 luglio davanti al Collegio C della Terza sezione penale del Tribunale di Napoli. L’accusa per tutti è di estorsioni, traffico di droga, associazione mafiosa e altro. Tra questi ci sono Enrico Ricci e il figlio Gennaro condannati in primo grado a 27 anni di carcere per l’omicidio di Vincenzo Masiello avvenuto nel settembre del 2011. poi c’è il celebre Mario Savio ‘ o bellillo famoso per le apparizioni in tv in cui diceva di essersi redento e invitava il figlio Pietro a non seguire le sue orme: E ancora lo spietato killer Arcangelo Trongone entrato lo scorso anno in contrasto con il gruppo dei Sibillo della “Paranza dei Bimbi” che avevano organizzato un agguato nei suoi confronti. E infine l’imprenditore Mario Iuliucci accusato di essere una testa di legno del clan. Nel filone rito abbreviato ci sono i fratelli Ciro e Marco Mariano con tutti i figli, mogli e parenti vari.

QUESTO L’ELENCO DEI 44 RINVIATI A GIUDIZIO

CACACE EUGENIO

CALDARELLI UMBERTO

CAMMAROTA ANTONIO

CAPANO VALENTINA

CINQUE MARIANNA

CORCIONE ANNA

COSTABILE CIRO

DANIELE SALVATORE

FLORIO GENNARO

FRACASSO ALFREDO

FURGIERO CARMINE

GALLO CIRO

GALLO MASSIMO

GAUDINO LUIGI

GRUOSSO ALFONSO

IULIUCCI MARIO

LECCIA CIRO

MARIANO CLOTILDE

MASIELLO PASQUALE

MINGARELLI DANIELE

MOCCARDI ROBERTO

MORMILE FRANCESCO

PALMIERI GIANLUCA

PASTORE RAFFAELE

PERRELLA FRANCESCA

PULENTE GIOVANNI

PULEO CORRADO

RAPILLO GENNARO

RAPILLO PASQUALE

RAPILLO SALVATORE

RICCI BENEDETTO

RICCI ENRICO

RICCI GENNARO

RODRIGUEZ MENDES

SAHAI VIJAY

SARTORE ALFREDO

SAVIO GIOVANNA

SAVIO MARIO

SELILLO GENNARO

TRONGONE ARCANGELO

TRONGONE RAFFAELE

USSANO LUIGI

VOLPE GIUSEPPE

ZITO ENRICO

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Nocera, omicidio di Dario “Millebolle”: chiesti 21 anni di carcere per Ferraro

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dario ferraro

Chiesti 21 anni di carcere per l’omicidio di Dario Ferrara “Millebolle” il 18enne tifoso della Nocerina ucciso dal suo amico Francesco Paolo Ferraro, che lo colpì con un casco alla testa al culmine di un litigio. La richiesta è stata avanzata ieri mattina dal pubblico ministero Giuseppe Cacciapuoti della Procura di Nocera al processo che si sta celebrando in Corte d’assise a Salerno. L’assassino è accusato di omicidio volontario, escludendo l’aggravante della premeditazione. La sentenza arriverà ad inizi di giugno. Non è ancora venuto fuori il vero movente della lite. I fatti avvennero il 25 aprile del 2015. In quel pomeriggio Dario e Francesco si trovavano, insieme ad altri amici, davanti al parco “Canzolino” di località Villanova. Lì avvenne il litigio e lì, secondo l’accusa, il diciottenne sarebbe stato colpito a morte. Dario “Millebolle”, come lo avevano soprannominato gli amici, andò subito in coma e morì dopo due giorni di agonia per le lesioni cerebrali. La madre ha raccontato di essere stata chiamata da un amico del figlio, che l’avvisava di un incidente in moto. Solo dopo avrebbe saputo della lite e di “due colpi di casco alla testa”. In questi mesi ha formulato più volte appelli accorati per la verità: “Chiediamo giustizia – ha ribadito alla vigilia della fiaccolata con cui un mese fa è stata ricordata la morte di Dario – se non verrà quella umana, ci affideremo a quella divina. Chiediamo a chi abbia visto qualcosa di non nascondersi e di raccontarla questa verità. Non è possibile che nessuno si faccia avanti. Sappiamo, dalla perizia, come sono andate le cose. Il problema è che manca il coraggio, manca un forte senso civico”.

Nocera, omicidio di Dario “Millebolle”: chiesti 21 anni di carcere per Ferraro
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Il Riesame lascia in carcere il giovane boss “idealista” Walter Mallo e i suoi fedelissimi

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walter mallo primo piano

Resta in carcere il giovane boss “idealista” Walter Mallo. Lo ha deciso ieri la decima sezione penale del tribunale del Riesame di Napoli e che ha respinto l’istanza di scarcerazione presentata dai suoi avvocati Giovanni Lo Russo e Antonio Iavarone. Con lui restano in cella anche i suoi fedelissimi Paolo Russo e Vincenzo Danise arrestati il 5 maggio. L’inchiesta della Dda di Napoli, portata avanti dalla pm Enrica Parascandolo ha retto quindi alla difesa che aveva provato a dichiarare inutilizzabili le intercettazioni telefoniche che hanno inchiodato Mallo e i suoi. Il giovane si stava rendendo protagonista di una scalata nel mondo criminale napoletano partendo da Miano e dalla Don Guanella dichiarando guerra ai Lo Russo gli storici “capitoni” di Miano e ai Vastarella della Sanità. Il giovane boss utilizzava la sua bacheca facebook, poi chiusa dopo il suo arresto, per lanciare messaggi di morte ai nemici ma anche fare adepti con frasi ad effetto citando personaggi famosi della storia. Mallo si era reso protagonista di un cruento scontro armato che ha rischiato di lasciare sul selciato parecchi morti. Egli stesso era rimasto ferito nel corso di un agguato a Miano nella notte del 26 aprile scorso in cui rimase ferito di striscio all’avambraccio.

Il Riesame lascia in carcere il giovane boss “idealista” Walter Mallo e i suoi fedelissimi
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Strage della Sanità: carcere confermato per le donne dei “Barbudos”

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addolorata spina due

Niente libertà per addolorata “Dora” Spina e Vincenza Esposito rispettivamente mamma e moglie di Antonio Genidoni, capo dei “Barbudos” della Sanità arrestati insieme con Emanuele Ealvatore Esposito la notte del 9 maggio scorso con l’accusa di essere mandanti, istigatori ed esecutore materiale della strage delle Fontanelle al rione sanità in cui trovarono la morte Giuseppe Vastarella, nipote del boss Patrizio, e il cognato Salvatore Vigna mentre altri tre del clan Vastarella rimasero feriti. La stessa decima sezione penale del Riesame che ha respinta l’istanza di scarcerazione di Waletr Mallo, (loro alleato) ha deciso che le due donne che avevano presentato istanza di scarcerazione devono invece restare in cella. Le intercettazioni telefoniche che portarono al blitz del 9 maggio fatte nei giorni precedenti hanno retto al vagli dei giudici. Il quadro accusatorio contro Dora Spina, moglie del defunto boss Pierino Esposito e madre di Ciro, entrambi uccisi alla Sanità e i cui omicidi hanno dato vita alla faida, è schiacciante. Si legge infatti nelle intercettazioni che la donna nonostante la strage con due morti e tre feriti non è affatto contenta del risultato ottenuto: “…O il padre o il figlio… non ve lo voglio dire più”. alludendo al fatto che dovevano morire patrizio Vastarella e il figlio perché “…adda avè lo stesso dolore che aggia avut io la mamma, tale e quale a me lo deve avere”. E’ bastato questo per farle restare in carcere. Il figlio Antonio Genidoni e il parente Emanuele Salvatore Esposito invece, essendo stati arrestati a Milano dove si trovavano, devono aspettare l’arrivo a Napoli degli atti di convalida del fermo per poter procedere eventualmente alla richiesta di Riesame e di scarcerazione.

 

Strage della Sanità: carcere confermato per le donne dei “Barbudos”
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Castellammare, il pentito Cavaliere fa i nomi dei politici: c’è anche un candidato

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combo tommasino e cavaliere

Ecco i nomi di politici e imprenditori coinvolti con il clan D’Alessandro. E’ una bomba che scoppia in piena campagna elettorale per il comune di Castellammare. Li ha fatti il pentito di camorra del clan di Scanzano, Renato Cavaliere, colui che materialmente fece fuoco contro Gino Tommasino, il consigliere comunale del Pd ucciso il pomeriggio del 3 febbraio 2009. Il collaboratore di giustizia,  il cui primo verbale di dichiarazioni è agli atti del processo in Corte d’Assise di Appello contro lo stesso Cavaliere e l’altro killer Catello Romano, ha spiegato che la cosca di Scanzano aveva stretto legami in modo particolare con un esponente politico che compare anche  attualmente in una lista come aspirante consigliere.  “…Ce n’era uno che più degli altri era interessato come Tommasino all’affare dei parcheggi e aveva rapporti preferenziali con Liberato Paturzo, un imprenditore vicino al clan. e che sarebbe stato «scavalcato» nell’idea di gestione del parcheggio di Vico Equense, vero interesse dei D’Alessandro. «Lì si facevano un sacco di soldi puliti, ci interessava la gestione. E Gino Tommasino stava per fare soldi senza averci interpellato» . dichiarazioni che avranno da questo momento in poi un effetto deflagrante sul prosieguo della campagna elettorale stabiese ma che aprono scenari nuovi e inquietanti su cui si dovrà presto a fare chiarezza. Dalle dichiarazioni di cavaliere emerge chiaro il quadro del coinvolgimento  e del legame di Gino Tommasino ma anche di altre personaggi dell’imprenditoria e della politica stabiese con la famiglia D’Alessandro. Cavaliere ha anche raccontato: “…Stava per far assumere una mia parente laureata alla Terme, per questo inizialmente non avevo intenzione di ucciderlo…Un primo tentativo era andato a vuoto la mattina poi di pomeriggio ci riuscimmo. Non doveva arrivare a quell’appuntamento alle 17”. L’appuntamaneto di cui parla il pentito era quello con il costruttore Giuseppe Passarelli (di origini casalesi ma da anni trapiantato  tra Gragnano, dove ha realizzato opere pubbliche e centinai di appartamenti, penisola sorrentina e negli ultimi anni anche parcheggi nella stessa Castellammare) e Claudio Russo  originario di Secondigliano (dove il clan D’Alessandro, ha da anni rapporti con la cosca di Paolo Di Lauro il famigerato “Ciruzzo ‘o milionario. L’ultimo arresto del defunto boss Michele D’Alessandro avvenne proprio in quella zona in un appartamento messo a disposizione da amici dei Di Lauro) titolare della “Sintesi” e gestore delle strisce blu a Castellammare di Stabia, per discutere tutti insieme della realizzazione del mega parcheggio di piazza Kennedy a Vico Equense.

(fonte il mattino)

Castellammare, il pentito Cavaliere fa i nomi dei politici: c’è anche un candidato
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Boscoreale, gli Aquino-Annunziata avevano reclutato i minori per gestire la piazza di spaccio del Piano Napoli

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pianonapoli boscorealejpg

Ci sono anche sei minorenni tra i destinatari dei 25 provvedimenti restrittivi emessi dal gip della procura di Torre Annunziata dopo indagini dei carabinieri sullo spaccio di droga a Bosco Reale, nel Napoletano, nella zona del cosiddetto Piano Napoli. Le misure cautelari sono state notificate tra Boscoreale, Roma, Napoli, Airola e Carinola. Dei minorenni indagati, due sono finiti in un istituto di pena minorile, tre sono stati collocati in comunità e un altro ha l’obbligo di permanenza in casa. Per quanto riguarda gli altri indagati, tre sono in carcere, 15 hanno un divieto di dimora in Campania e uno ha l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.L’indagine, condotta dai militari della Stazione di Boscoreale dal settembre 2014 al febbraio 2016, ha consentito di documentare oltre 400 episodi di spaccio di droga nel “Piano Napoli” di via Passanti Scafati, area d’influenza del clan camorristico Aquino-Annunziata. Nel corso delle attività investigative sono state arrestate in flagranza 11 persone e segnalati 86 assuntori di stupefacenti, provenienti nei comuni limitrofi e dell’agro nocerino-sarnese, sequestrando 250 dosi di cocaina, 140 di marijuana e ritirando 37 patenti di guida.

Boscoreale, gli Aquino-Annunziata avevano reclutato i minori per gestire la piazza di spaccio del Piano Napoli
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Ecco come Antonio Iovine ‘o ninno condizionò la lottizzazione dell’area Pip di Aversa

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antonio iovine

Un imprenditore al carcere, un altro ai domiciliari e un sequestro beni di circa 2 milioni e 500mila euro. È il bilancio di un’operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli nei confronti di due indagati ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, turbata libertà degli incanti aggravati dalla finalità di agevolare il clan dei Casalesi, in merito alla realizzazione dell’area Pip del Comune di Aversa, in provincia di Caserta. Il blitz è stato condotto dai carabinieri del nucleo investigativo di Caserta e dai finanzieri del Gico di Napoli. L’indagine è scaturita dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonio Iovine, detto “‘o ninno”, ex primula rossa e boss dei Casalesi, rilasciate sin dal maggio 2014. E poi confermate dalle intercettazioni telefoniche e ambientali ma anche grazie all’acquisizione di documenti presso alcuni enti pubblici come il Comune di Aversa. È stato così possibile documentare, si legge in una nota del procuratore aggiunto di Napoli Giuseppe Borrelli, l’appartenenza ai Casalesi dell’imprenditore Ferdinando Di Lauro che, tra il 2007 e il 2011, “grazie ad aderenze presso il Comune di Aversa attraverso prestanomi e imprese a lui riconducibili, riuscì ad aggiudicarsi l’appalto per la realizzazione dell’area Pip di Aversa, da edificare su un terreno di sua proprietà, per un valore di circa 21 milioni di euro, in realtà mai realizzato”. Le indagini, inoltre, hanno documentato come l’altro imprenditore, Andrea Grieco, in qualità di socio di Di Lauro con il quale aveva acquistato il terreno “in concorso con altri imprenditori con i quali erano state costituite società di comodo per la partecipazione alla gara d’appalto relativa all’area Pip di Aversa (località San Lorenzo) e l’esecuzione dei successivi lavori partecipò all’incanto e risultò aggiudicatario ben sapendo che la gara era stata turbata da Di Lauro per conto di Iovine”.  In particolare il gip ha esaminato le dichiarazioni di “‘o ninno” sul conto di Di Lauro, definito uno dei suoi uomini di fiducia che, con il socio napoletano Grieco, aveva acquistato un lotto di terreno di 50mila metri quadri, inserito nell’area Pip di Aversa con l’obiettivo successivo di modificare il piano regolatore del Comune, facendo transitare il lotto di terreno da zona Pip a zona edificabile. Non riuscendo in tale intento “poiché la cosa avrebbe determinato conseguenze penali”, gli indagati avrebbero spostato l’interesse sul bando di gara indetto dal Comune di Aversa per la realizzazione in quella stessa area della zona Pip. La gara fu inizialmente aggiudicata da un altro imprenditore che fu, però, avvicinato dall’allora latitante Antonio Iovine e indotto a rinunciare all’appalto e all’esecuzione dei lavori. Di Lauro, su disposizione del boss dei Casalesi, “costituì una società per partecipare a una nuova gara con l’intento di aggiudicarsi l’intera opera per la realizzazione degli immobili nella zona Pip per un ammmontare complessivo di oltre 25 milioni di euro”. La gara fu aggiudicata da un’altra società. Nella ricostruzione di quanto avvenuto il gip ha riconosciuto il ruolo nevralgico di Di Lauro “quale emissario di Iovine, di cui era diretta espressione, che con le sue capacità imprenditoriali interagiva scientemente con quei funzionari disponibili dell’ente comunale che gli consentivano di intervenire nelle varie fasi della lunga procedura d’appalto.

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Castellammare, omicidio Tommasino, il pentito Cavaliere racconta: “Il boss Vincenzo D’Alessandro ci disse che avevamo fatto un casino”

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vincenzo-d-alessandro

Renato Cavaliere, il killer pentito del clan D’Alessandro di Castellammare, colui che materialmente uccise il consigliere comunale del Pd stabiese, Gino Tommasino, il pomeriggio del 3 febbraio 2009, ha raccontato agli inquirenti cosa accadde quel giorno e soprattutto che il boss Vincenzo D’Alessandro, il reggente della cosca , disse loro:”…Avete fatto un bel casino con l’omicidio Tommasino”. Ma in un primo interrogatorio datato primo aprile 2015 aveva detto: “…gli ho detto che era stato suo cugino Salvatore Belviso a decidere l’omicidio e lui ha obiettato che certamente non doveva fare tutto quello che decideva il cugino…voleva uccidere me e Raffaele Polito”. Poi Renato Cavaliere ci ha ripensato e ha spiegato nei successivi interrogatori: “…Sono stato io ad andare a Rimini per giustificare l’omicidio di Luigi Tommasino con Enzo D’Alessandro. Lui mi ha chiesto se ero stato io e , dopo aver aver avuto la conferma, ha detto che avevamo fatto un bel casino riferendosi al fatto che avevamo commesso l’omicidio di pomeriggio in una zona molto trafficata di Castellammare di Stabia esponendoci al rischio di essere scoperti o uccisi… gli ho detto che doveva parlare con il suo cugino. Ho iniziato a giustificare l’omicidio Tommasino, ma Enzo D’Alessandro mi ha fermato dicvendo che era tutto  a posto. In considerazione dell’atteggiamento di Enzo D’Alessandro ho pensato che lui già fosse informato delle decisione di uccidere Tommasino Luigi. Non saprei dire se Belviso Salvatore prima della sua esecuzione abbia parlato con Vincenzo D’Alessandro o con Sergio Mosca come Belviso ha dichiarato nel corso del processo”. Appunto dovrà essere il processo che è iniziato in Corte di Assise d’appello a stabilirlo non caso il procuratore generale ha chiesto il confronto tra i pentiti.

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Svolta nell’omicidio Zito: fu ucciso da un 16enne per gelosia. E’ parente del boss Giannelli

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Pasquale Zito, 21 anni

Non fu un omicidio di camorra come aveva sempre sostenuto la famiglia della vittima. E oggi la polizia ha arrestato l’assassino di Pasquale Zito il giovane di 22 anni ucciso il 4 febbraio scorso in via Maiuri a Bagnoli. Si tratta del 16enne D.I che uccise il ragazzo per gelosia. Geloso di un ragazzo più grande che corteggiava la sua fidanzatina. Questo il risultato delle indagini sull’omicidio di punire Pasquale Zito, 22 anni, ferito mortalmente il 4 febbraio scorso a Napoli mentre era a bordo della sua auto Audi A1. Era ‘colpevole’ di aver tentato avance con la fidanzatina di D.I., 16 anni, adesso arrestato dalla polizia su mandato del gip del tribunale dei minori di Napoli che gli contesta i reati di omicidio, detenzione e porto in luogo pubblico di armi da sparo. Contro Zito, D.I. ha sparato almeno dieci colpi con pistola automatica calibro 9×21.Il minorenne arrestato oggi dalla Squadra Mobile di Napoli (coordinata dal primo dirigente Fausto Lamparelli) è figlio di una cugina di Alessandro Giannelli, boss emergente della zona di via Cavalleggeri a Fuorigrotta, preso mentre stava tentando di allontanarsi dalla Campania. Proprio questi vincoli di parentela spinsero gli inquirenti, in un primo momento, a ipotizzare che l’omicidio potesse essere maturato nell’ambito di una guerra tra clan. Invece, ora, in base agli elementi raccolti, l’assassinio di Zito sarebbe riconducibile a motivi di gelosia scattati dopo il tentativo di approccio da parte della vittima nei confronti della fidanzatina del minorenne. Il sedicenne venne sottoposto dalla Polizia all’esame del guanto di paraffina, che diede esito positivo, la sera stessa dell’omicidio. Poi, durante il prosieguo delle indagini, malgrado il contesto omertoso, sono stati raccolti altri indizi – frutto di intercettazioni e dell’esame dei tabulati telefonici – che hanno rafforzato l’ipotesi del movente legato a ritorsioni per gelosia.  La Polizia ha anche reso nota la dinamica dell’accaduto: il minorenne,in sella di un scooter guidato da un complice, ha affiancato l’Audi A1 di Zito, parcheggiata in via Maiuri, e poi ha sparato numerose volte ferendolo mortalmente. Sul posto vennero trovati dieci bossoli calibro 9X21.

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Castellammare: alla vigilia del voto tremano gli “omissis” del pentito Cavaliere

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Renato-Cavaliere

Castellammare trema, trema la politica, tremano i commercianti, tremano gli imprenditori,tremano i professionisti colletti bianchi, tremano quelli insospettabili che hanno fatto da “money laundry” ovvero da lavanderia dei soldi sporchi del clan.  Tutti sapevano che le dichiarazioni di Renato Cavaliere sarebbero state esplosive. Il killer pentito che fece fuoco contro il consigliere del pd, Gino Tommasino, è depositario di molti segreti del clan. O meglio “dei segreti” della cosca di Scanzano perché ha vissuto per oltre un decennio a stretto contatto a Partoria con la famiglia D’Alessandro. Lui che era originario di Gragnano, si è trasferito nella roccaforte del clan e si è spostato con una parente. E’ diventato l’ombra di Vincenzo D’Alessandro, che nel frattempo era diventato il reggente del clan, dopo gli arresti dei suoi fratelli e  degli altri vertici negli anni passati. E in questa veste ha ricevuto la fiducia della famiglia, lui e la moglie e sono diventati i depositari di tutto quello che di illecito ha ruotato negli ultimi dieci anni attorno alla potente famiglia camorristica stabiese. Lui conosce quanti tra politici, commercianti, imprenditori e professionisti sono andati ad “elemosinare” clemenza alla cosca per pagare di meno, per cortesie fatte e ricevute. Qualcuno poco attento evidentemente ha dimenticato il suo passato anche recente e si è fatto prendere dall’agone politico candidandosi direttamente o mettendo in lista parenti prossimi o acquisiti. Tutto è sotto la lente della Dda di Napoli perché i tanti omissis contenuto al momenti nei verbali depositati al processo Tommasino, del pentito Renato cavaliere contengono nel dettaglio fatti, indicano luoghi, circostanze, nomi e cognomi. Le sue dichiarazioni rischiano di diventare uno tsunami che travolgerà la città. La parte pulita della città, che è la maggioranza, chiede alle forze dell’ordine e alla magistratura sia di vigilare con estrema attenzione sul voto sia di fare finalmente luce su tutti gli affari illeciti della cosca che da oltre 30 anni tiene la città sotto scacco e di smascherare tutte le complicità per fare finalmente piazza pulita.

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San Giovanni a Teduccio: gli spari dovevano colpire la casa del boss Ciro Rinaldi ma il commando ha sbagliato bersaglio

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ciro rinaldi

E’ stata una vera e propria dichiarazione di guerra la sparatoria dell’altra notte in via Sorrento a San Giovanni a Teduccio. Gli autori del raid infatti hanno commesso un clamoroso errore ma il segnale è arrivato lo stesso. Gli spari hanno colpito per sbaglio l’abitazione di una donna incensurata ma il vero obiettivo erano il balcone e le finestre della casa del boss Ciro Rinaldi detto “May way” che abita nell’appartamento sopra a quello colpito dal commando. Per gli investigatori si tratterebbe della risposta degli uomini del Mazzarella-D’Amico alla sparatoria della mercoledì notte contro i balconi di due abitazioni contigue sul corso San Giovanni a Teduccio in cui abitano Giuseppe Di Carluccio e Pasquale Troise, due pusher legati al boss Salvatore D’Amico ‘o pirata. E quel raid sarebbe opera dei Reale-Rinaldi-Formicola.La sparatoria è avvenuta quindici minuti dopo la mezzanotte. sarebbero arrivati in due in sella ad uno scooter e hanno fuoco all’impazzata contro la parete esterna e sulla porta dell’abitazione della donna (ma l’obiettivo era Rinaldi). La polizia ha trovato a terra nove bossoli, otto calibro 9×21 e uno luger. Che ci fossero venti di guerra a san Giovanni  a Teduccio e che i clan si stessero riarmando gli investigatori lo avevano già capito qualche giorno prima quando hanno ritrovato delle armi in via Pazzigno (un fucile automatico ak- 47 con caricatore inserito e una pistola semiautomatica calibro 9 con il colpo in canna e 5 cartucce nel caricatore avvolte in una coperta e nascoste sotto un cumulo di rifiuti). Dovrebbe trattarsi delle stesse armi utilizzate per fare fuoco contro le abitazioni di Di Carluccio e Troise. Ora con risposta arrivata subito da parte del “pirata” la dichiarazione di guerra è stata consegnata.

 

San Giovanni a Teduccio: gli spari dovevano colpire la casa del boss Ciro Rinaldi ma il commando ha sbagliato bersaglio
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