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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Camorra: presi killer e mandanti di Ciro Nocerino, ucciso tra la folla a Secondigliano

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Napoli. Custodia cautelare in carcere nei confronti di quattro indagati, considerati esponenti di primo piano del gruppo camorristico delle Cinque Famiglie di Secondigliano, ritenuti responsabili dell’omicidio di Ciro Nocerino, avvenuto in città il 25 settembre 2011. I carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando provinciale del capoluogo campano hanno eseguito i provvedimenti restrittivi, emessi dal gip del tribunale partenopeo a conclusione di un’indagine coordinata dalla locale Direzione distrettuale antimafia. Le investigazioni, fondate anche su dichiarazioni di collaboratori di giustizia e intercettazioni, hanno consentito di ricostruire mandanti ed esecutori materiali dell’agguato in cui rimase vittima un esponente di spicco del clan Marino, gruppo camorristico all’epoca inserito nella confederazione denominata Le Cinque Famiglie di Secondigliano, imperante nella zona nord di Napoli e sorta dalla scissione degli Amato-Pagano. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, si trattò di un’auto-epurazione poiché Nocerino venne erroneamente indicato come complice nel tentativo di eliminare Roberto Manganiello, nipote dei Marino e principale esponente della famiglia, in una fibrillazione interna al gruppo criminale che opera sulle Case Celesti. La dinamica dell’omicidio fu particolarmente eclatante perché la vittima venne attirata dagli assassini, che egli credeva suoi compagni, in un bar della zona del Monterosa. Accortosi della trappola, tentò di fuggire e venne prima inseguito, poi colpito e quindi finito, di domenica ed in pieno giorno, alla presenza di moltissime persone, nessuna delle quali fu in grado di fornire elementi utili alle indagini.

Cronache della Campania@2018


Stupro in Circum, i magistrati: “Di Maio delegittima le toghe”

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San Giorgio a Cremano. Scontro istituzionale dopo la scarcerazione del secondo indagato per lo stupro nell’ascensore della Circum di San Giorgio a Cremano. Il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, aveva definito vergognosa la decisione del Tribunale del Riesame di Napoli di liberare uno degli indagati e l’Associazione nazionale magistrati in una nota condanna le dichiarazioni del rappresentante del Governo. “La decisione del Tribunale del Riesame di Napoli sulla vicenda accaduta a San Giorgio a Cremano è stata commentata dal Ministro Di Maio con dichiarazioni lesive delle prerogative della magistratura, oltre che non opportune per le modalità e i toni e piuttosto sbrigative perché esprimono una valutazione affrettata su un dispositivo di un provvedimento senza attenderne le motivazioni e perché attribuiscono all’azione dell’Autorità Giudiziaria, in modo inaccettabile oltre che incomprensibile, effetti distorsivi presenti nel nostro Paese. I meccanismi processuali sono fatti di regole e scansioni temporali precise e rigorose che i magistrati applicano in modo altrettanto rigoroso. Ogni valutazione affrettata dei provvedimenti dei magistrati e la scarsa considerazione di quelle regole rende un cattivo servizio ai cittadini, perché disinformano e delegittimano la magistratura, conseguenze che tutti dovrebbero concorrere ad evitare, specialmente chi ricompre importanti incarichi di Governo”. Si legge nella nota della Giunta Esecutiva Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati.

Cronache della Campania@2018

Legge sulla legittima difesa, uccise rapinatore a Caserta ora non pagherà i danni

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“Il mio cliente Giovanni Capozzo uccise un rapinatore che trovò nel 2012 nella sua abitazione di Gioia Sannitica. Oggi è attualmente libero dopo essere stato condannato in secondo grado a due anni e sei mesi per eccesso di legittima difesa. Ma rimane il problema del risarcimento del danno che ancora pende a suo carico. Grazie a questa nuova legge, approvata oggi, possiamo andare a discutere in Cassazione per evitare di pagare oltre 50 mila euro più altri danni che stavano per essere quantificati’. Il penalista Ercole Di Baia, difensori Capuozzo, commenta il caso del suo cliente alla luce dell’approvazione della legge sulla legittima difesa e mette l’accento nel suo intervento sulla questione risarcimento. “E’ ancora sotto choc Giovanni per la tragedia. Ma l’applicazione della normativa che in realtà già esisteva tutela le vittime di questi raid, sebbene non bisogna dimenticare che in questa tragedia una vita umana è stata spezzata. Ma non è giusto che chi uccide per difendersi dai ladri poi deve affrontare le spese dei danni”. Capozzo, 49 anni, la notte tra il 5 ed il 6 luglio del 2012 sorprese un ladro albanese, Dashamir Xhepa che era penetrato in casa sua per derubarlo e lo uccise con un colpo di fucile. Successivamente, secondo l’accusa, avvolse il cadavere della vittima in una coperta e lo buttò in un fiume. Dopo alcuni giorni e solo per caso, a seguito della denuncia di scomparsa fatta dalla moglie dell’albanese, i militari della locale compagnia agganciarono l’ultimo segnale del telefonino di Xhepa. La cella fu individuata nell’area dove Capozzo viveva. Appena i carabinieri si presentarono a casa dell’imputato, sempre secondo quanto emerge dalla tesi della difesa, Capozzo esclamò: ‘Finalmente! Ho un peso sullo stomaco da giorni!’. E confessò spontaneamente quanto avvenuto, facendo rinvenire anche il cadavere dell’albanese. Per l’occultamento del cadavere Capozzo è stato condannato ad un anno di carcere.
“Meglio affrontare un processo in tribunale che un funerale. Mio marito è stato ucciso nel corso di una rapina quattro anni fa. Forse oggi sarebbe ancora vivo se si fosse potuto difendere come prevede la nuova legge”. E’ il punto di vista di Lucia Cecoro, la vedova dell’imprenditore Pasquale Guarino, ucciso con due colpi di pistola nel 2015 a Santa Maria Capua Vetere da due ex dipendenti. “Approvo in pieno questa legge e spero che ci sia per tutti anche la certezza della pena senza sconti di pena per i rapinatori killer – aggiunge la signora Cecoro – devono essere tutelati le vittime non i delinquenti. Sono in prima linea su questi temi e, dopo questa esperienza tragica, sono entrata a far parte dell’Osservatorio Nazionale presieduto da Elisabetta Aldovrandi, organismo che si occupa di dare sostegno alle vittime di questi tragici fatti”.  Il pubblico ministero di Santa Maria Capua Vetere, Alessandro Di Vico ha chiesto ed ottenuto il decreto di giudizio immediato per Argit Turshilla, 26 anni albanese, ritenuto responsabile di omicidio e rapina ai danni del marito della vedova Guarino. Lo scorso ottobre è stato estradato dall’Albania. Schiaffeggiò Guarino perché non voleva consegnare l’incasso della sua attività e poi lo uccise con una pistola. Turshilla comparirà davanti alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere tra pochi giorni, per l’inizio del processo. Resta il giallo su chi fossero i suoi complici durante la rapina, al momento non ancora identificati a 3 anni dal delitto.

Cronache della Campania@2018

La mano dei Casalesi sull’ospedale di Caserta: 13 condanne. C’è anche la sorella del boss. Regge l’accusa di associazione

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Tredici condanne ed un’assoluzione. Si è chiuso così il processo in Corte d’Appello per le infiltrazioni camorristiche nell’azienda ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta da parte del clan Zagaria. I giudici napoletani hanno confermato, tra gli altri, seppur riducendole, le pene a carico di Elvira Zagaria (sorella del capoclan Michele), Bartolomeo Festa, dirigente dell’ospedale di Caserta; Remo D’Amico di Caserta; Giuseppe Gasparin, ex sindaco di Caserta; Domenico Ferraiolo, segretario del Pd di Piedimonte Matese; Vincenzo Cangiano; Orlando Cesarini di Piedimonte Matese; Raffaele Donciglio. Unico assolto Antonio Della Mura.
Un’organizzazione che, stando a quanto riscontrato dagli investigatori, sarebbe nata nel 2006 quando Francesco Zagaria, cognato dell’allora latitante Michele riuscì a far nominare un suo uomo di fiducia quale dirigente generale dell’ospedale Luigi Annunziata, poi deceduto. Da quel momento Francesco Zagaria avrebbe assunto (fino al suo decesso) il controllo delle assegnazioni dei lavori pubblici nell’ospedale, dando vita ad un cartello di imprese mafiose, ancora oggi operante. Centro nevralgico, secondo la Dda, delle attività criminali è stato ritenuto essere l’ufficio del dirigente dell’unità operativa complessa di Ingegneria ospedaliera, Bartolomeo Festa, in carica dal 1 gennaio 2006 anch’egli per volere di Francesco Zagaria. Quest’ultimo, coadiuvato da gran parte degli impiegati del suo ufficio, aveva il compito di truccare i bandi di gara e gli atti ad essi equipollenti, per favorire gli imprenditori del clan, i quali, a loro volta, periodicamente dovevano versare parte dei guadagni così ottenuti nelle mani degli Zagaria. Gustavo gentile

Cronache della Campania@2018

Concorso truccato nell’esercito 140 indagati sentiti dal pm

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Sono cominciati gli interrogatori di garanzia nei confronti di 140 persone, tra cui anche una quarantina di vincitori di concorso, coinvolte nella maxi inchiesta della guardia di finanza di Napoli sui concorsi truccati per le forze armate grazie alla tecnica dell’algoritmo. Si tratta del secondo filone d’indagine dopo la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di 15 persone tra cui anche Giuseppe Zarrillo, 54 anni originario di Marcianise e residente a Capodrise.
Secondo quanto accertato dalle indagini delle Fiamme Gialle sarebbe stato l’ingegnere Claudio Testa, titolare della Irp (società incaricata di predisporre i questionari della prova scritta di cultura generale) ad ideare un algoritmo, applicabile alla maggior parte dei quesiti, in grado di decriptare le risposte.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Crescent, non c’era abuso d’ufficio per De Luca: le motivazioni dei giudici

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Salerno. Non ci sono prove che De Luca abbia commesso il reato di abuso d’ufficio: le motivazioni dei giudici che hanno assolto l’ex sindaco Vincenzo De Luca, ora presidente della Regione, per il Crescent sono nette. Per i giudici della seconda sezione penale del tribunale di Salerno, “l’istruttoria svolta non ha consentito di acquisire elementi certi ed univoci dimostrativi” dell’ex sindaco di Salerno Vincenzo De Luca per profili di abuso d’ufficio, nonostante sia “emerso in modo chiaro il forte interesse dell’esponente politico apicale del Comune all’approvazione del progetto di intervento edilizio in questione al quale egli assegnava un valore pregnante sotto il profilo politico tra gli obiettivi della sua stagione amministrativa”. Ma non c’è “alcuna traccia dell’intervento del De Luca nell’istigare gli esponenti di vertice del Comune, ed ancor meno nell’incidere sull’operato della Soprintendenza, al fine di spingerli ad adottare gli atti in questione e ad operare secondo le modalità violative di legge”. De Luca è stato assolto nel processo nel quale erano imputate 22 persone tra imprenditori, esponenti della Giunta, Soprintendenza e funzionari del Comune accusati di una serie di reati che spaziano dal falso ideologico in atto pubblico all’abuso d’ufficio continuato, all’edificazione abusiva in assenza di autorizzazione paesaggistica e di permesso di costruire, fino alla lottizzazione edilizia abusiva. La corte il 28 settembre dello scorso anno ha assolto tutti. Oggi, la sentenza di oltre 300 pagine, firmata dal collegio giudicante formato da Vincenzo Siani, Ennio Trivelli e Antonio Cantillo, è stata depositata. Il processo era legato alla realizzazione del Crescent e alla sdemanializzazione, dell’area a nord del lungomare di Salerno, in favore del Comune per la costruzione della mezzaluna firmata dall’archistar Riccardo Bofill.
A De Luca veniva contestato dai pm il ruolo di istigatore degli autori materiali degli atti illegittimi. Anzi, i giudici aggiungono che per gli esponenti della Soprintendenza, “non risulta nessun contatto con l’allora sindaco di Salerno” e che “rispetto all’operato della Soprintendenza vi sono plurimi segnali di una relazione tutt’altro che armonica e sintonica” tra Palazzo di Città e Soprintendenza; mentre, nei confronti dei funzionari comunali, “si coglie in modo agevole un’unitarietà di obiettivi riferibile all’intero plesso comunale”. Inoltre, l’attuale ‘governatore’ avrebbe avuto tutto l’interesse affinche’ “il provvedimento di autorizzazione paesaggistica emesso dal competente funzionario amministrativo del Comune” non fosse carente sotto il profilo motivazionale. Per quanto riguarda l’ipotesi di violazione urbanistica, i giudici assolvono gli imputati, tra cui De Luca e altri sei imputati, per “insussistenza del fatto”; per il prospettato abuso d’ufficio continuato e i reati edilizi, realizzati secondo l’accusa durante la fase dei permessi a costruire, il collegio, analizzando l’articolato percorso procedimentale, rileva “la carenza di prova certa al di là di ogni ragionevole dubbio degli elementi costitutivi del reato di abuso d’ufficio” e, perciò, assolve perchè il fatto non sussiste. Per le contestate violazioni edilizie, era stata prospettata come l’attività edilizia consentita alla societa’ ‘Crescent srl’ e alla ‘Sviluppo Immobiliare Santa Teresa srl’ fosse illecita perchè derivante da permessi di costruire “da considerare assenti e inefficaci”. Invece, nella sentenza viene escluso che “il rilascio dei permessi di costruire abbia costituito il frutto del reato, segnatamente del contestato abuso d’ufficio, e comunque delle violazioni di norme e di regolamento aventi valenza sostanziale, tali da incidere sulla validita’ dei permessi stessi”. Anzi, evidenziano i giudici che “nemmeno può individuarsi l’illiceità dei permessi di costruire” cosi’ come era stato prospettato dai consulenti tecnici dei pm.


Cronache della Campania@2018

Napoli, la ‘pasionaria criminale in erba’ e l’aspirante boss di Volla dietro la stesa di Piazza Trieste e Trento. I NOMI

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Napoli. Compirà 18 anni il prossimo settembre ma A. C. per il pm Nicola Ciccarelli della Procura presso il Tribunale dei Minori di Napoli é già una “pasionaria criminale in erba”. Nei suoi confronti è stato disposto un decreto di fermo perchè accusata di porto e detenzione illegale di arma da fuoco e concorso in una “scorribanda armata”. In pratica è lei l’ispiratrice della stesa avvenuta la notte tra il 18 e il 19 marzo scorso con la quale si seminò il panico in piazza Trieste e Trento, nel salotto di napoli a pochi passi dalla Prefettura. Con lei sono stati fermati il suo fidanzato Alessio Bossis da Volla, aspirante boss per conto del clan Minichini de Luca Bossa di Ponticelli nel comune di Volla dove appunta abita. E ancora Carmine Pecoraro, Angelucci Fabio e Ciro Postiglione, tutti legati al clan di Ponticelli e abitanti alla periferia Orientale di Napoli tranne Postiglione che è originario dei Quartieri Spagnoli. La stesa o meglio la sparatoria, che aveva suscitato l’indignazione popolare per come si era sviluppata e per i danni che aveva causato, era nata per un futile motivo. La solita lite tra baby criminali avvenuta la sera prima sempre in piazza Trieste e Trento e nella quale aveva avuto la peggio proprio Alessio Bossis. A fare fuoco con una pistola a salve contro di lui era stato V. D. A. cugino della ragazza e tra l’altro anche lui, secondo quanto lei stessa racconta nelle conversazioni intercettate, un altro baby boss “che comanda ai Quartieri Spagnoli”. Il gruppo organizza la vendetta immediata e pensano di andare a sparare sotto casa di colui che aveva fatto fuoco con una pistola a salve contro Alessio Bossis. La pianificazione dell’intimidazione è a carico della ragazza che essendo della zona va con Ciro Postiglione ai Quartieri e indica allo stesso il “balcone al secondo piano” dove devono sparare. La notte dell’attentato il gruppo parte da Volla e dal Conocal e si dirige al centro di Napoli. Il gruppo verso le 20,30 viene anche fermato dalla polizia proprio in piazza durante un controllo ma poi dopo le identificazioni vengono lasciati andare. L’aspirante boss Alessio Bossi nel frattempo ha deciso che all’una di notte si deve compiere l’attentato contro colui che gli aveva sparato contro e che il segnale in codice doveva essere “mamma sta a casa” oppure ” mamma non sta a casa”. E così quando passate le 1,30 di notte l’obiettivo indicato non è ancora tornato a casa il gruppo decidere di attuare il “piano b” e di andare in piazza Trieste e Trento dove presumibilmente si trova il loro obiettivo. Quello che accadde pochi minuti dopo è stato nei giorni scorsi all’attenzione di tutti a Napoli. Ma le indagini lampo dei carabinieri hanno consentito di individuare tutti i componenti del commando sebbene abbiano utilizzato comunque un linguaggio in codice nel corso delle telefonate e dei dialoghi intercettati anche nell’auto di Postiglione. Tanto che l’aspirante boss Alessio Bossis si è vantato durante delle telefonate intercettate di aver fatto “dieci volte peggio” rispetto a quello che gli era capitato, e che era andato fino a casa di quel soggetto che abitava al secondo piano ed era anche andato a bussarlo quella notte e non lo aveva trovato per “portargli i confetti”.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Castellammare, sindacalista morto in ospedale: indagati i medici

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Castellammare. Imperizia, imprudenza, negligenza sono i primi dati che emergono dalla relazione autoptica predisposta dal Tribunale di Torre Annunziata a seguito della morte di Vincenzo Schiavone.  Una morte che si poteva evitare è l’interrogativo che dal quel tragico 28 agosto agita il sonno dei figli e dei familiari di Vincenzo. Giustizia e verità su una morte assurda e quanto chiede la famiglia, assistita dai legali Roberto Ucci e Daniele Rossetti. Un uomo ben voluto da tutti il sindacalista stabiese da sempre in prima linea nella difesa degli ultimi. Tutti in città ricordano l’ultima battaglia, condotta da Vincenzo in prima persona, quella che vide, solo qualche anno fa , protagonista la sorella Angela morta dopo un intervento finito male per un bypass gastrico. A distanza di qualche anno, purtroppo la famiglia Schiavone, ritorna a fare i conti con un caso di malasanità. “ Il decesso di  Vincenzo – ricordano i familiari- è avvenuto nelle prime ore del 28 agosto presso il pronto soccorso dell’ospedale San Leonardo di Castellammare” . Un ‘odissea , finita male . Vincenzo fu prima visitato e poi rimandato a casa. Oggi, a distanza di mesi ,emerge che “la causa del decesso è da ritenersi relazionabile ad arresto cardiocircolatorio secondario ad infarto miocardico acuto “.  Da qui il ravvisare elementi di responsabilità per imperizia , imprudenza e negligenza a carico dei sanitari del Ps di Castellammare che non avrebbero osservato il protocollo diagnostico previsto in caso di dolore toracico . Ma non c’è solo questo emergerebbero anche incongruenze nella tempistica di trasporto del 118 e la presa in carico del pronto soccorso. “Noi chiediamogiustizia “ è il grido di dolore dei figli , Antonietta, Ferdinando, Cristina e Maria Rosariache vogliono vederci chiaro sull’intera vicenda . Pronti a combattere come fece il padre per la sorella Angela. In attesa del processo la famiglia Schiavone punta a tenere i riflettori accesi su una morte che fa ancora una volta riflettere.

Cronache della Campania@2018


Nocera, abusi sessuali sulla nipotina: processo per il nonno-orco

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Rinvio a giudizio per un uomo di circa settant’anni che avrebbe tentato di farsi toccare nelle parti intime dalla propria nipotina ,chiedendoglielo in maniera esplicita. L’anziano è accusato di violenza sessuale mai consumata verso la nipotina, che sarebbe stata indotta a compiere atti sessuali nei suoi riguardi con l’aggravante di aver agito nei riguardi di un soggetto che si trovava in condizioni di inferiorità rispetto all’imputato oltre che minorenne. L’inchiesta risale ad almeno un paio d’anni fa, con i carabinieri che stanno ricostruendo gli aspetti di quell’unico episodio. Nel parlare con la piccola, che all’epoca dei fatti aveva circa cinque anni, le avrebbe chiesto di toccarlo nelle parti intime. Una richiesta che la piccola non avrebbe però raccolto. Anzi, sempre stando al contenuto delle indagini, la stessa si sarebbe recata dalla madre per raccontare tutto. Con l’apertura del fascicolo d’indagine, come riporta Il Mattino, la procura di Nocera Inferiore durante la fase preliminare decise di chiedere anche un incidente probatorio: mettere quindi in condizione la piccola di ripercorrere l’episodio, in presenza di una psicologa, in modo da cristallizzare le accuse nei confronti del nonno. La bambina alle domande del gip filtrate dalle parole della psicologa, confermò i dettagli del fatto.

Cronache della Campania@2018

Castellammare, noleggia l’auto in vacanza in Francia e poi se ne torna in Italia denunciandone il furto: assolto

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Castellammare. I due cognati V. D. A. e S. C. avevano deciso di trascorrere qualche giorno tra la Francia e la Spagna. Così i due avevano noleggiato a nome di S.C. una bellissima mini cooper Cabrio in Francia, ma essendosi innamorati della vettura e non avendo la possibilità di acquistarla, avevano deciso di tenersela comunque. Il giorno dopo il noleggio S.C. denunciava il furto dell’autovettura, in realtà mai avvenuto, e se ne tornavano in Italia a bordo della nuovissima auto sportiva, dopo averne cambiato la targa e i numeri di telaio. Giunti in Italia, a turno, godevano dell’uso della fiammante mini Cooper, fino a quando, circa 3 mesi dopo venivano traditi dall’antifurto gps, montato sulla vettura. A giudizio per il reato di riciclaggio finiva V.D.A. perché trovato in possesso della vettura. Il processo si è svolto davanti al Tribunale di Torre Annunziata in composizione collegiale, con presidente il dott. Todisco, che a seguito di una vivace e serrata istruttoria dibattimentale, a fronte di una richiesta di condanna ad anni 5 di reclusione ed 13mila euro di multa avanzata dal pubblico ministero, accoglieva, di contro le convincenti argomentazioni difensive dell’avvocato Olga Coda, assolvendo l’imputato.

Cronache della Campania@2018

Camorra, i pentiti svelano un delitto ‘Cold Case’ di Vincenzo De Rosa a’ vicchiarella

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Due collaboratori di giustizia sono stati ascoltati nel corso del processo in Corte di Assise di Appello del tribunale di Napoli per il delitto di Vincenzo De Rosa, detto ‘a vecchiarella  avvenuto il 27 dicembre del ’98 a Maddaloni.  Sotto accusa ci sono Clemente D’Albenzio, 55 anni di Maddaloni, Angelo De Matteo, 51 anni di Cervino e Alessandro De Matteo, 47 anni, anch’egli di Cervino. Il primo pentito ad essere stato ascoltato, è stato Michele Lombardi, che ha riferito: “Il delitto De Rosa fu commesso da Angelo De Matteo dal fratello Alessandro detto Maradona da Clemente D’albenzio  detto minduccio e da Giuseppe Mastropietro che si è autoaccusato del delitto. De Rosa fu ucciso per contrasti  tra il gruppo D’Albenzio e di Angelo Loffreda. Quest’ultimo ha un colpo di pistola sparato nella mano da Giuseppe Mastropietro. Lo stesso Loffreda poi ha fatto attentanti  nei confronti di D’Albenzio”.  Il secondo pentito Nicola Martino invece ha riferito che il delitto fu commesso perchè: “De Rosa era vicino al clan dei Casalesi mentre i Belforte e D’Albenzio non volevano”.  L’autore materiale del crimine é Giuseppe Mastropietro, già condannato per il delitto. Gli altri imputati in primo grado sono stati assolti.

Cronache della Campania@2018

Maxi evasione fiscale: Scavone fa scena muta davanti al gip

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Si è avvalso della facoltà di non rispondere, davanti al gip di Napoli Valentina Gallo, l’imprenditore Luigi Scavone, arrestato qualche giorno fa nell’ambito dell’inchiesta del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di  Napoli, (diretto dal colonnello Domenico Napolitano) e della sezione reati economici della Procura partenopea, su una presunta maxi evasione fiscale da 70 milioni di euro che ha conivolto il gruppo Alma spa e numerose altre società. Scavone è accusato di associazione a delinquere finalizzata all’illecita compensazione. “Il dottore Scavone – ha spiegato l’avvocato Maurizio Noviello, che assiste l’ imprenditore – ha preferito riservarsi di chiarire la sua posizione tra qualche giorno, quando sarà presentata tutta l’attività di esecuzione da parte della Procura. E’ nostra intenzione rendere un interrogatorio direttamente ai pm”. Ha invece deciso di rispondere al gip, ai pm e all’avvocato l’ingegnere Francesco Marconi, nei confronti del quale il Tribunale di Napoli ha accordato la misura cautelare del carcere come per Scavone e Francesco Barbarino. “Ha chiarito quella che era la sua posizione nell’ambito della vicenda”, ha detto ancora l’avvocato Noviello che ha voluto anche sottolineare “l’attenzione che l’autorità giudiziaria sta riservando ai dipendenti delle società che costituiscono il gruppo Alma spa e che devono essere tutelati”. Il manager Francesco Marconi, che nell’Alma spa ricopre la carica di amministratore, ha spiegato al giudice e al pm che si è sempre occupato dell’aspetto commerciale e generale della società, come ha spiegato l’avvocato Arturo Frojo, che con Novelli lo assiste: “Marconi teneva sotto controllo il settore del reclutamento, del conservazione e della gestione dei clienti e non degli aspetti fiscali e tributari”. “In sostanza – ha sottolineato l’avvocato Frojo – non faceva parte delle sue competenze poter verificare la veridicità degli aspetti tributari e fiscali dell’Alma spa”. Come Scavone, anche Francesco Barbarino (difeso dall’avvocato Pasquale Coppola) si è avvalso della facoltà di non rispondere. Barbarino è colui che viene definito dal giudice il “deus ex machina” della presunta maxi frode fiscale, insieme con Scavone.

Cronache della Campania@2018

Si vendica con le molotov contro la casa dei vicini: ‘Mi hanno ucciso i cani’

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Molotov contro l’abitazione del dirimpettaio perché secondo lui gli aveva avvelenato i cani. Per questo motivo Roberto D’A., 39 anni residente a Casal di Principe, è stato condannato a 4 anni di reclusione. Con lui è stato condannato a 3 anni e mezzo Giuseppe C., 39 anni di Aversa, accusato di aver detenuto e portato in luogo pubblico un kalashnikov da guerra, con tanto di foto con l’arma in mano.
La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza pronunciata nei loro confronti dalla Corte d’Appello di Napoli che aveva, di fatto, vidimato il verdetto dei giudici di Napoli Nord revocando, essenzialmente, l’interdizione dai pubblici uffici per Roberto D’A.
Secondo il racconto del “pentito” l’uomo voleva vendicarsi del continuo disturbo proveniente dalla scuola di danza aperta dalla vittima del raid in un garage della sua abitazione. Inoltre l’uomo riteneva il vicino quale responsabile della morte per avvelenamento dei suoi due cani ragione per cui aveva deciso di dare fuoco all’abitazione del vicino.
L’altro imputato, Giuseppe C., invece, avrebbe custodito un’arma da guerra, un kalashnikov Ak47. L’arma venne portata in campagna e utilizzata per sparare. All’interno di un telefono cellulare vennero rinvenute decine di fotografie in cui alcune persone, tra cui il 39enne aversano condannato, venivano ritratte, simili a terroristi islamici, con l’arma in braccio. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati e confermato la sentenza impugnata dai due, condannandoli anche al pagamento di 3mila euro in favore della Cassa delle Ammende.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Evasione fiscale, l’avvocato: “Alma risolverà il debito con l’erario”. Barbarino parlerà con i pm

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Napoli. “In attesa del pieno chiarimento del piano processuale, attraverso una nostra iniziativa, la proprietà e il management della Alma spa, sta avviando una soluzione della ristrutturazione del debito con l’Erario contestato”. Lo ha annunciato l’avvocato Pasquale Coppola, legale di Francesco Barbarino, una delle dieci persone finite al centro dell’inchiesta della Guardia di Finanza e della Procura di Napoli su una maxi frode da 70 milioni di euro che ha coinvolto il gruppo imprenditoriale Alma spa. “L’obiettivo – spiega l’avvocato Coppola – è garantire la prosecuzione delle commesse e del mantenimento dei livelli occupazionali, parliamo di diverse migliaia di posti di lavoro. Il tutto – aggiunge – attraverso consulenti di grande caratura”. Coppola fa anche sapere che Barbarino (che oggi si è avvalso della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio davanti al gip), “nell’ottica di una piena collaborazione con gli inquirenti renderà dichiarazioni ai pm titolari dell’indagine. L’avvocato, infine, si augura che “anche Scavone si associ a questa linea”.

Cronache della Campania@2018

Violenza Circum, Camera penale di Napoli contro Di Maio: “E’ a caccia di voti”

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“La Giunta della Camera Penale di NAPOLI denuncia ancora una volta l’inaccettabile comportamento di autorevoli esponenti del governo che, attraverso il ricorso a messaggi avulsi da ogni considerazione articolata e destinati a raggiungere il più vasto numero di cittadini, in un clima di perenne campagna elettorale e di facile caccia al voto, denota un irresponsabile uso della giustizia quale strumento di creazione del consenso”. Lo sottolinea, in una nota, la giunta della Camera penale di Napoli, che commenta il post pubblicato ieri dal ministro Luigi Di Maio, sulla sua pagina Facebook, con il quale, aggiunge la Camera penale partenopea, “ha duramente attaccato la decisione del Tribunale del Riesame di Napoli di scarcerare un altro dei sospettati di aver perpetrato una violenza sessuale in un ascensore della Circumvesuviana – le cui motivazioni, peraltro, non sono ancora note – ‘colpevole’ unicamente di non aver assecondato l’ansia colpevolista di parte dell’opinione pubblica, formulando sconcertanti affermazioni con le quali definisce delinquenti cittadini italiani che la nostra Costituzione impone di considerare non colpevoli e nei cui confronti non esiste neanche una provvisoria affermazione di responsabilità, invocando addirittura il carcere quale unico luogo dal quale poter esercitare il diritto di difesa per chi sia accusato di reati sessuali”. “La Camera penale di Napoli, – è scritto ancora nel comunicato – nell’esprimere piena solidarietà ai magistrati del Tribunale del Riesame di Napoli ed ai colleghi, stigmatizza ancora una volta comportamenti che paiono dimentichi dei più elementari principi di civiltà giuridica posti a presidio dei diritti di libertà dei cittadini, del diritto di difesa e del doveroso rispetto da osservarsi nei confronti della giurisdizione; e che, inoltre, contribuiscono a creare un clima sociale di forte tensione nel Paese, e ad ingenerare un diffuso sentimento di sfiducia nella Giustizia e nelle decisioni della Magistratura, oltre ad una generale insofferenza nei confronti dell’esercizio delle prerogative difensive”.

Cronache della Campania@2018


False residenze ai brasiliani: 21 anni di carcere complessivi e 12 milioni di euro di multa al dirigente del Comune di Maddaloni

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Maddaloni. False residenze ai brasiliani: 12 milioni a dirigente del Comune e soci e 21 anni di carcere. Inflitti 21 anni di carcere complessivi e 15mila euro per ogni carta d’identità irregolare. Oltre venti anni di carcere e 12 milioni di multa complessivi. Questa la sentenza pronunciata dal giudice Orazio Rossi sulla cricca delle false residenze ai brasiliani ottenute al comune di Maddaloni.
Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha condannato a 6 anni ciascuno il brasiliano Silas Silva De Araujo ed il dirigente del comune di Maddaloni Giuseppe Cembrola; 4 anni e mezzo a testa per Michele Maravita e Gaetano Mele. Tutti gli imputati sono stati condannati, inoltre, al pagamento di una multa da 3 milioni di euro ciascuno, 15mila euro per ognuna delle 200 carte d’identità rilasciate dall’Ente senza che i brasiliani ne avessero i titoli. Il Comune di Maddaloni, che si è costituito parte civile con l’avvocato Mario Corsiero, ha già ricevuto un acconto sul risarcimento danni di 6mila euro.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Ospedale di Caserta controllato dai Casalesi: oltre 70 anni di carcere per 14

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Oltre 70 anni di carcere complessivi per le infiltrazioni della camorra nell’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta. Questo il verdetto della Corte d’Appello di Napoli che ha rideterminato la maggior parte delle pene, in tutto 14, ed assolto un solo imputato.
I giudici della corte partenopea hanno condannato Elvira Zagaria, sorella del capoclan dei Casalesi Michele Zagaria, a 7 anni; Bartolomeo Festa a 8 anni e 2 mesi; Remo D’Amico a 7 anni e 6 mesi; Vincenzo Cangiano ad 8 anni; Rocco Ranfone a 2 anni e 3 mesi; Vincenzo Cangiano ad 8 anni; Orlando Cesarini ad 8 anni; Domenico Ferraiuolo ad 8 anni ed un mese; Luigi Iannone a 7 anni e 3 mesi; Raffaele Donciglio a 7 anni; Giuseppe Porpora ad un anno e 200 euro di multa; Silvano Domenico Ricciuto a 2 mesi; Ida De Palma a 2 mesi. Confermata la sentenza di primo grado per l’ex sindaco di Caserta Giuseppe Gasparin. Assolto invece Antonio Della Mura.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Napoli, estorsioni ai medici-ristoratori: condannati i parenti dei Lo Russo e il pentito Torre

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Napoli. Ventitrè anni di carcere complessivi sono stati inflitti ai sei imputati legati al clan Lo Russo accusati di estorsione nei confronti dei due fratelli medici e ristoratori Antonio e Luigi D’Ari, ma anche di ricettazione e riciclaggio. Pene pesanti se si considera che il processo si è svolto con il rito abbreviato sono state inflitte dal gup del tribunale di Napoli, Marcello De Chiara, in modo particolare a Domenico Mollica, cognato ‘tuttofare’ dei fratelli Lo Russo e Vincenzo De Gaetano: 6 anni a testa. I due fratelli D’Ari, che sono tornati in libertà il mese scorso, sono invece a processo con rito ordinario. I fratelli Luigi e Antonio D’Ari erano stati arrestati il 9 maggio 2017 (erano ai domiciliari dal 9 ottobre, dopo aver trascorso cinque mesi nel carcere di Poggioreale) perché accusati di aver favorito i fratelli Carmine, Marco e Massimiliano Iorio  nei loro ristorante nel lungomare di Napoli (la catena Pizza margherita e Donna Margherita) a loro volta indagati per riciclaggio e per aver impiegato in attività illecite i soldi dei Lo Russo e dei Potenza, la nota famiglia di usurai del pallonetto di Santa Lucia. le altre condanne riguardano il commercialista Osvaldo Innocenti, commercialista, (4 anni e 10 mesi); il collaboratore di giustizia ed ex killer del clan Lo Russo, Mariano Torre (3 anni e 4 mesi),invece a sua moglie Raffaella Capuozzo è stato inflitto 1 anno e 4 mesi così come ad Adriana Lo Russo, moglie di Mollica e sorella dei “Capitoni” di Miano. Le due donne, anche se la prima in località protetta con il marito, beneficiano della sospensione della pena.

Cronache della Campania@2018

‘Non è più pericoloso’, torna libero il rampollo dei Padovani, gestori dello spaccio a Piano Napoli

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Boscoreale. Revocati i domiciliari al rampollo della famiglia Padovani. La Corte di appello di Napoli ha accolto l’istanza difensiva presentata dall’avvocato Gennaro De Gennaro. Padovani Giovanni,  soggetto molto attivo nel vesuviano per spaccio di droga  nonché gestore, per l’accusa, di una fiorente piazza di spaccio con base operativa al Piano Napoli di Via Passanti Scafati, tristemente famosa come la Scampia del vesuviano. Secondo la Corte di appello non è più pericoloso. Niente domiciliari, ritorna libero nonostante fosse stato beccato per ben 3 volte nell’arco di un anno con quantitativi tutt’altro che modici ed appartenga alla “famosa” famiglia Padovani. Era stato fermato dai carabinieri di Boscoreale nel suo isolato mentre stava per commettere nuovamente sempre lo stesso reato: quello di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Il Padovani,  primogenito di Salvatore Padovani, fratello di Carlo, il Signore della droga del vesuviano. L’ultimo arresto era avvenuto circa un anno fa quando i carabinieri di Boscoreale sotto la direzione operativa del Maresciallo Serra avevano dato luogo ad una perquisizione capillare e porta a porta dei vari isolati.In quella circostanza all’isolato 25 avevano rinvenuto sulla persona del pregiudicato sostanza stupefacente del tipo crack, suddivisa in 20 dosi e pronta ad essere ceduta. Secondo i carabinieri, durante il fermo del Padovani erano sopraggiunti diversi acquirenti per acquistare droga ma avendo riconosciuto le forze dell’ordine si erano velocemente dileguati.La Procura aveva chiesto il carcere per il pericoloso pregiudicato che nell’ arco di un anno era stato arrestato altre due volte ed era stabilmente inserito in un grosso contesto di spaccio. Nell’ultimo giudizio che il Padovani aveva affrontato il PM aveva chiesto una condanna di 5 anni per la sua recidiva ma era stato graziato con una condanna di 2 anni e sei mesi. Nel giudizio di appello la pena si è ridotta ulteriormente, avendo riportato il Padovani una condanna di un anno e sei mesi con riqualificazione nella minima offensività della condotta.

Cronache della Campania@2018

Il pentito Schiavone: ‘Mio cugino gestiva l’illuminazione e le lampade votive nei cimiteri’

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Il clan dei Casalesi, ed in particolare Paolo Schiavone, volevano mettere le mani su questo tipo di attività. “Mi propose di costituire una società ad hoc – prosegue il racconto di Nicola Schiavone ai magistrati della Dda – cosa che non ho mai appoggiato poichè non intendevo lucrare sulla stessa. Nella circostanza in cui Paoletto, ovvero mio cugino Paolo Schiavone, mi propose di avviare un’attività di questo tipo mi riferì di averne già avviata una di questo tipo nel comune di Villa di Briano”. In realtà, nello stesso periodo cui fa riferimento Schiavone, a Casal di Principe “era in programma l’ampliamento e l’ammodernamento del cimitero, attività che avrebbero dovuto gestire i fratelli Mastrominico i quali con il sistema del project financing avevano già avviato a Villa Literno lavori dello stesso tipo”, con una maxi tangente da 350mila euro versata nelle casse del clan di cui una parte sarebbe stata data da Nicola Ferraro all’ex sindaco liternese Enrico Fabozzi (non indagato).

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

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