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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Caso di ‘revenge porn’ al Tribunale di Torre Annunziata: a processo un pompeiano

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Si avvia verso la conclusione il processo che vede imputato un uomo di Pompei, V. V., per aver diffuso tramite Facebook plurime immagini pornografiche di una donna salentina quale atto ritorsivo per la fine della loro relazione sentimentale. Immagini che divennero in pochi istanti oggetto di condivisione così da confinare la donna in uno stato di profonda disperazione e da far temere il peggio, al pari di quanto accaduto nel caso di Tiziana Cantone, suicidatasi a causa di un video hard finito in rete.Nell’ottobre del 2014, la donna (fino a quel momento non iscritta a Facebook) fu informata di un falso profilo attivato a suo nome su cui erano state caricate diverse immagini intime, che la ritraevano chiaramente in volto, durante rapporti sessuali avuti con l’uomo, visibili a chiunque e diffuse dal predetto profilo all’indirizzo di altri utenti.

La signora, difesa dall’avvocato Giancarlo Sparascio, presentò immediatamente un atto di denuncia – querela contro l’uomo presso la Procura della Repubblica di Lecce, con richiesta di sequestro dei dispositivi elettronici, nel mentre il profilo veniva oscurato anche con l’intervento della polizia postale di Lecce. Seguì una perquisizione a Pompei ed il sequestro del computer dell’uomo operato dal compartimento di polizia postale di Napoli, su cui veniva eseguita una consulenza tecnico – informatica del consulente della Procura Leccese, ingegnere Claudio Leone.

L’uomo fu così rinviato a giudizio innanzi al Tribunale di Lecce nel novembre del 2016 per rispondere dei reati di sostituzione di persona, diffusione di immagini pornografiche e diffamazione aggravata, uniche ipotesi delittuose (nel caso di specie) che la legislazione attuale ha consentito di utilizzare per contrastare la condotta di cosiddetto revenge porn, ma che hanno comportato il trasferimento del processo per competenza territoriale presso il Tribunale di Torre Annunziata.  

Il dibattimento è stato aggiornato al prossimo 15 Luglio; peraltro, in occasione dell’udienza tenutasi lunedì scorso, è stata acquisita al fascicolo del dibattimento la consulenza del ingegnere Claudio Leone che sarà esaminato nel corso della successiva ed ultima udienza già fissata anche per le discussioni e per la sentenza. 

“I gravissimi fatti sottesi a questo processo, che avrebbero potuto sortire – come, in altre occasioni, hanno comportato – conseguenze fatali, stanno dirigendosi verso il loro definitivo accertamento nel dibattimento”, riferisce l’avvocato Giancarlo Sparascio, “pur con immensi sforzi in ragione della totale inadeguatezza delle classiche fattispecie di reato rispetto all’incriminazione di condotte radicalmente nuove che richiederebbero l’introduzione dell’autonomo delitto di revenge porn, come finalmente pare essersi reso conto il Parlamento Italiano, circostanza che sarà utile a scongiurare trasferimenti dei processi (con connesse trasmigrazioni dei fascicoli), nonché a prevedere un trattamento sanzionatorio maggiormente aderente alla portata lesiva delle condotte, sebbene, nel caso di specie, in ragione dei tre reati contestati e della recidiva reiterata, la pena in caso di condanna rischia di essere considerevole.

Infine, il difensore segnala che presso la Procura di Torre Annunziata vi è un secondo procedimento, in attesa di determinazioni da parte del Pubblico Ministero, “originato da una denuncia – querela estesa anche al Fondatore Mark Zuckerberg a causa della riattivazione a distanza di due anni dai fatti originari dello stesso profilo già segnalato ed oscurato: riattivazione riconducibile all’inadeguatezza del sistema di controllo e di sicurezza predisposto dai vertici aziendali di Facebook che, in Europa, dispone di un solo ufficio, situato in Germania, deputato alle operazioni di verifica e di rimozione di post che vengono utilizzati come strumento di revenge porn o per la commissione di altri reati, mentre l’Italia, con oltre 28 milioni di utenti, è del tutto sprovvista di una struttura operativa del social che possa svolgere tali operazioni, come emerso nell’ambito di un’inchiesta giornalistica nonché come riferito dall’ex presidente della Camera dei Deputati, On. le Laura Boldrini, in una missiva in cui si richiedeva a Zuckerberg di voler procedere all’apertura di un ufficio competente per l’Italia che possa fungere da raccordo con l’autorità giudiziaria e di polizia; nota che Facebook riscontrava precisando che il social sarebbe stato arricchito di funzioni utili ad impedire il fenomeno del revenge porn, anche attraverso strumenti di intelligenza artificiale basati sul riconoscimento facciale per il tramite dei quali sarebbe stata evitata la diffusione in rete di immagini e video pornografici contro il volere della persona ritratta, con conseguente disattivazione permanente dei profili recanti tali contenuti.”

Cronache della Campania@2018


Camorra, il killer di Genny Cesarano trasferito al carcere duro

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E’ stato disposto il regime di carcere duro per il giovane e spietato killer al servizio del boss ora pentito Carlo Lo Russo, ovvero Luigi Cutarelli. Colui che ha ucciso il giovane innocente del rione Sanità, Genny Cesarano, il boss Pierino Esposito, Pasquale Izzi e poi il cugino Francesco Sabatino, figlio del boss Ettore Sabatino (pure lui pentito) e infine Giuseppe Calise uomo del clan Mallo. Per il boss pentito Carlo Lo Russo, il giovane killer era il suo fedelissimo si adoravano a vicenda tanto che il capo clan di via Ianfolla da due anni pentito non esitò a definirlo il suo ‘kamikaze’. Cutarelli a soli 23 anni ha già due ergastoli sulle spalle, una condanna a 27 anni, e altri due processo che sta affrontando sempre per omicidio. Ha provato anche ad ottenere sconti di pena chiedendo scusa ai familiari delle sue vittime, come è accaduto nel caso di Genny Cesarano, Pasquale Izzi e il boss Pierino Esposito. Ma mentre il suo amico fedele Mariano Torre e lo stesso ex capo che lo ‘manovrava’ hanno deciso di pentirsi, lui invece non ha mai ceduto al carcere nonostante la giovane età. E Ora è arrivato anche la decisione di carcerazione dura. Sua mamma aveva attaccato il boss Carlo Lo Russo sostenendo che aveva ‘manovrato’ il figlio.

Cronache della Campania@2018

Stupro nell’hotel di Meta, i 5 imputati ‘incastrati’ dalle testimonianze degli amici

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Sono stati incastrati dai loro stessi amici coi quali si erano vantati di aver fatto sesso con una turista ospite dell’albergo e ai quali avevano anche inviato foto di parti intime della donna. E’ quanto è venuto fuori nel corso dell’udienza di ieri al processo per lo stupro di gruppo all’Hotel Alimuri di Meta. Alla sbarra ci sono i cinque ex dipendenti Fabio De Virgilio, Antonino Miniero, Gennaro Davide Gargiulo, Raffaele Regio e Francesco Ciro D’Antonio, i accusati di violenza sessuale aggravata. “Davide mi raccontò di aver fatto sesso di gruppo con un’ospite dell’albergo e mi inviò anche foto che ritraevano parti intime di una donna. Non mi disse i nomi degli altri due ragazzi che avevano partecipato all’orgia, ma mi chiarì come il rapporto fosse stato pienamente consensuale”, ha raccontato Domenico Valerio Cacace, amico del bar e sentito come teste, come riporta Il Mattino. Giovanni Angelone, un altro amico di Gargiulo, anche lui sentito come teste  ha raccontato: “Gennaro mi disse di aver fatto sesso con una donna adulta e straniera, ma non me ne sono curato più di tanto perché credevo fosse uno scherzo”. Importante ai fini della difesa è stata invece la testimonianza di Gennaro Cannavacciuolo il pianista dell’albergo che si esibì dalle 21 alle 23 del 6 ottobre 2016, giorno in cui si sarebbe consumata la violenza. “C’erano circa cinquanta turisti stranieri ma ho notato l’ospite britannica e la figlia perché più vicine alla mia postazione. Si sono trattenute per un’ora bevendo come tutti gli altri. A un tratto la signora avvicinò a sé la testa di Gargiulo e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, dopodiché il ragazzo le diede da bere”. E a proposito del comportamento dei cinque imputati nei confronti dei turisti ospiti Cannavacciuolo  ha affermato “Impeccabili, non hanno mai fatto avance alle turiste”. Intanto il prossimo 4 aprile Catello Graziuso e Vincenzo Di Napoli gli altri due dipendenti dell’Hotel Alimiuri di Meta dove si sarebbe consumata uno stupro di gruppo ai danni di una turista inglese saranno ascoltati in qualità di testimoni indagati in un procedimento connesso. E’ stato deciso ieri nel corso del processo. I due però potrebbero avvalersi della facoltà di non rispondere. Nel corso dell’udienza di ieri è stata ascoltata anche Donatella Grassi, dirigente del commissariato di Sorrento che svolse le indagini : “Ispezionammo il bar, la spa dell’albergo e l’alloggio del personale ha raccontato il vicequestore durante la su audizione . Perquisimmo pure le abitazioni degli imputati alla ricerca di droga. Di sostanze stupefacenti, però, nessuna traccia”.

 

 

Cronache della Campania@2018

Anche due parenti acquisiti della moglie di Insigne nel blitz antidroga nella zona Frattese

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Ci sono anche due parenti acquisiti della moglie del capitano del Napoli, Lorenzo Insigne (completamente estranei alle accuse) tra gli gli 11 destinatari delle misure cautelari che ieri hanno colpito un gruppo che gestiva il traffico di zona nei comune della della zona Frattese. La notizia è riportata in anteprima oggi dal quotidiano Cronache di Napoli. Agli arresti domiciliari è finito infatti Raffaele Imperatore Abate detto ‘Fedayn’, 31 anni compagno della sorella della moglie di Insigne mentre il 29enne Maurizio Darone cugino della signora Insigne , ha avuto il provvedimento di obbligo di firma alla polizia giudiziaria. I due sono accusati insieme agli altri 9 di fare parte del gruppo che da oltre tre anni a colpi di stese, agguati, bombe, minacce e pestaggi aveva spodestato i ‘vecchi’ del clan Moccia nella gestione del traffico di droga tra i giovani nei comuni dell’area Frattese. In carcere sono finiti il presunto capo Michele Giordano, 31 anni, Salvatore Di Silvestre, 28 anni (il cugino), Luigi Ciocia, 46 anni, (cognato di Giordano), Rosetta Benedetto 60 anni (madre di Giordano e che era già detenuta a Pozzuoli perché ad agosto del 2016 fu trovata con cocaina nascosta nella macchinetta del caffè e la contabilità del gruppo)) e Giuseppe Cristiano, 33enne, tutti di Frattamaggiore. Ai domiciliari Giulia Giordano, 35 anni, (sorella del capo) e Raffele Pezzella 36 anni, entrambi di Frattamaggiore, Raffaele Abate Imperatore, 30 anni, e Anonio Puro, 32 anni, di Frattaminore. Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per Gaetano Anatriello, 32 anni, di Frattamaggiore e Maurizio Darone, 28 anni, di Frattaminore. Indagati a piede libero P.P, 53enne di Frattaminore, e P.P, 25enne di Frattamaggiore.

(nella foto da sinistra i tre capi: Michele Giordano, il cognato Luigi Ciocia e la mamma Rosetta Benedetto. E poi Raffaele Imperatore Abate detto ‘fedayn’ e Maurizio Darone)

Cronache della Campania@2018

Pagani, spaccio di droga nel quartiere Lamia: undici a processo

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Aveva trasformato il quartiere Lamia in una vera e propria centrale dello spaccio: a processo il boss Di Maio e i suoi “soldati”. Il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Salerno, Gennaro Mastrangelo, ha accolto le richieste del pubblico ministero della Direzione distrettuale Antimafia, Vincenzo Senatore. I pusher il prossimo 21 maggio compariranno dinanzi ai giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno. Ieri il Gip Mastrangelo, infatti, ha rinviato a giudizio Salvatore Di Maio, nel ruolo di capo promotore dell’organizzazione, già contiguo al clan Fezza-Petrosino D’Auria, Vincenzo Pepe, suo braccio destro, già coinvolto nell’operazione antidroga denominata Taurania Revenge, Alfonso Belluno, noto alle forze dell’ordine e parente del più noto Renato, Ciro Califano, Ivan Pepe, con precedenti specifici, e Salvatore Olivieri, figlio del boss Peppe Saccone, Francesco Cacace, 23 anni, Giuliano Cacace, 49, Roberto Califano, 25, Francesco Martigiano, 61, e Carmine Ursolino, 22.
Gli arresti
Gli arresti scattarono nello scorso mese di ottobre, nel quartiere Lamia, storica roccaforte dei vecchi clan paganesi. L’indagine è durata più di un anno e si è concentrata nella zona di via Matteotti. A capo dell’associazione criminale c’era Salvatore De Maio, c. Nella zona c’erano vedette e una fascia oraria dedicata allo spaccio, dalle 16 ininterrottamente fino alle 3-4 di notte. Prima avveniva la consegna del denaro in un luogo distante dalla piazza di spaccio; poi all’acquirente veniva chiesto di attendere ed entro pochi minuti gli veniva consegnata la merce. L’indagine si è basata non solo su intercettazioni ma su filmati registrati da telecamere presenti nel quartiere. I carabinieri sono stati costretti a montarle due volte, perché nel primo caso gli spacciatori le avevano individuate e smontate.

Cronache della Campania@2018

Camorra: 18 anni all’autista di Setola per l’omicidio dell’imprenditore

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La Corte d’Assise di Appello diNapoli ha condannato a 18 anni e 8 mesi di reclusione Loran John Perham per concorso nell’omicidio di Raffaele Granata, l’imprenditore ucciso dalla camorra l’11 luglio 2008 a Varcaturo, per essersi opposto al racket. Perham è ritenuto l’autista e vivandiere del boss dei Casalesi Giuseppe Setola, già condannato per il delitto Granata con sentenza definitiva insieme al suo gruppo di killer. La posizione di Perham era stata invece stralciata. Soddisfatto Giuseppe Granata, figlio della vittima e componente del Comitato Scientifico della Fondazione Polis della Regione Campania: “Nulla potrà restituire a me e alla mia famiglia mio padre – dice Granata – ma la sentenza emessa oggi rappresenta un passo importante che dà senso al nostro impegno e al nostro desiderio di giustizia”. L’imprenditore fa parte delle diciotto vittime della “cosiddetta stagione” del terrore dei Casalesi, datata 2008, che porta la firma di Setola e della sua ala stragista; tra le vittime anche i sei ghanesi della strage di San Gennaro (18 settembre 2008). Per tali delitti Setola è stato condannato a numerosi ergastoli, mentre ai suoi fedelissimi sono state inflitte pene detentiva a vita o a 30 anni.

Cronache della Campania@2018

Accusato di aver fatto morire la sua compagna di anoressia: una lettera lo scagiona

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Secondo l’accusa non si sarebbe preso cura della convivente che, a causa di quell’abbandono morì per anoressia. Ha preso il via dinanzi ai giudici della Corte d’Assise di Salerno il processo a carico di Giorgio Nigro, 38anni, originario di Bellizzi e, all’epoca dei fatti, residente a Magliano Vetere. In aula la testimonianza della sorella della vittima Audenzia Mulè. La donna ha raccontato al pubblico ministero che nelle cose personali della congiunta avrebbe ritrovato, successivamente alla morte, un biglietto sul quale la stessa avrebbe scritto che “il digiuno era la preghiera che offriva a Dio”. Un particolare questo che fino ad oggi non era mai venuto fuori e che probabilmente in qualche modo alleggerisce la posizione di Nigro. Audenzia Mulè faceva parte di un gruppo religioso e da qualche tempo seguiva un percorso di fede molto personale. Il rifiutare il cibo fino a divenire anoressica. L’imputato si è sempre difeso affermando di aver fatto di tutto per aiutare la donna a nutrirsi: le aveva comprato anche degli omogeneizzati. A presentare denuncia alla magistratura furono i genitori della ragazza che soffriva di diverse patologie. Fin da subito la madre ed il padre di Audenzia Mulè sospettarono che il 38enne non si fosse preso cura a sufficienza della figlia deceduta nel 2016. In ogni caso la ragazza aveva un vissuto che l’aveva traumatizzata, fin da adolescente aveva fatto i conti con delle esperienze che aveva dovuto a malincuore metabolizzare. Poi, un matrimonio finito male e quindi l’incontro con Nigro.

Cronache della Campania@2018

Camorra, lupara bianca: si cerca il corpo di D’Andò dopo la confessione dei boss

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Napoli. Gli investigatori stanno cercando di individuare la zona esatta dove sarebbe stato seppellito il cadavere di Antonio D’Andò detto o’ russo uomo degli Amato Pagano ucciso il 22 febbraio del 2011 per una epurazione interna alla cosca e per volontà dell’allora reggente Mario Ricco detto Mariano genero del superboss Cesarino Pagano. la svolta nell’inchiesta come anticipato nella serata di ieri da Il Mattino e riportata oggi dai quotidiani napoletani è arrivata nel corso del processo che si sta svolgendo con rito abbreviato davanti al gup del Tribunale di Napoli e che vede imputati lo stesso Riccio,  il cognato Emanuele Baiano, Giosuè Belgiorno (di 29 anni, detto il rosso), Mario Ferraiuolo, detto ‘Marittiello quattro soldi’ e Ciro Scognamiglio, detto ‘bambulella’. In pratica il gruppo di vertice della fazione dei cosiddetti ‘maranesi’ del clan Amato Pagano che guidava la cosca in quegli anni e che provocò una scissione interna alla famiglia con alcuni morti eccellenti tra cui lo stesso D’Andò e che avrebbe partecipato alla sua eliminazione. Tutti hanno ammesso i loro addebiti e hanno confermato la loro volontà di far ritrovare il corpo della vittima. In particolare l’ex baby boss Mariano Riccio che oggi ha 28 anni ha consegnato anche un memoriale ai magistrati in cui spiega la sua decisione. I cinque era stati raggiunti da un’ordinanza di custodi a cautelare in carcere firmata dal gip Egle Pilla il 2 ottobre scorso insieme con Giuseppe Parisi e Giosuè Belgiorno o’ piccirillo, cugino omonimo cugino omonimo di uno dei cinque che ieri in aula ha ammesso i suoi addebiti. Oltre ai sette raggiunti dall’ordinanza cautelare ci sono altri sei indagati che sono il pentito Carmine Cerrato detto Takendò”, Giacomo Migliaccio, di 59 anni detto “Giacumin a’ femmenella”, Vincenzo Nappi di 53 anni detto “Vicienzo o’ pittore”, Salvatore Romano, Francesco Paolo Russo, di 28 anni detto “Cicciariello” e Andrea Severino di 43 anni detto o’ Chiattone.

Cronache della Campania@2018


Spaccio sul Lungomare di Salerno: arrivano le condanne per tre gambiani

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Spaccio sul Lungomare di Salerno. Arrivano le condanne per tre dei 17 gambiani finiti nel mirino della Squadra Mobile sullo spaccio di droga.
Spaccio di droga sul Lungomare di Salerno. Un fenomeno sempre più diffuso negli ultimi anni. Quasi 5 anni di carcere per tre dei 17 gambiani finiti sotto inchiesta della Squadra Mobile sullo spaccio di droga sul Lungomare di Salerno. I tre pusher avevano fatto richiesta di rito abbreviato. Soltanto due di loro sono in carcere. Il terzo, invece, è ricercato: dopo essere stato scarcerato dal Riesame, il quale gli aveva concesso l’obbligo di dimora a Salerno, è sparito. Per lui la pena è più lieve, un anno e quattro mesi di reclusione. Il giudice aveva inflitto agli altri due, un anno e otto mesi di reclusione e sconteranno la loro pena al carcere di Fuorni.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Aiutò il boss stragista nell’omicidio, condannato figlio ufficiale Nato

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Caserta. Aiutò il boss stragista dei Casalesi. E’ stato confermata dalla Corte di Assise Appello di Napoli la condanna per concorso in omicidio inflitta in primo grado dai giudici del tribunale di Santa Maria Capua Vetere a 18 anni e 8 mesi di carcere per Loran John Perham. Figlio di un ufficiale Nato, autista del boss Giuseppe Setola, fornì la base logistica per l’omicidio dell’imprenditore Raffaele Granata, ucciso l’11 luglio del 2008 a Varcaturo per essersi opposto al racket. Perham agevolò la rocambolesca fuga di Setola in un cunicolo a Trentola Ducenta in provincia di Caserta, trainando uno skateboard con il boss sopra per oltre un chilometro. Setola, detenuto al 41 bis a Tolmezzo, è già stato condannato per il delitto Granata con sentenza definitiva.  La posizione di Perham era stata stralciata.

Cronache della Campania@2018

Estorceva danaro e picchiava la sorella, arrestato a San Giuseppe Vesuviano

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San Giuseppe Vesuviano. Estorceva danaro e minacciava la sorella: arrestato 41enne.  La donna lo aveva denunciato più volte per episodi di maltrattamenti. I carabinieri di San Giuseppe Vesuviano hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Nola per maltrattamenti in famiglia, estorsione e rapina ai danni della propria sorella, una donna di 52 anni. L’ uomo è stato trasferito nel carcere di Poggioreale.

Cronache della Campania@2018

San Giorgio, sgomento e perplessità sulla scarcerazione di uno dei tre presunti stupratori della Circum

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Sgomento nella città di San Giorgio a Cremano per la scarcerazione del diciottenne Alessandro Sbrescia, detenuto due settimane presso la casa circondariale di Secondigliano con l’accusa di stupro di gruppo ai danni di una venticinquenne, tuttavia iniziano a trapelare le prime indiscrezioni. Da quando si apprende ci sono contraddizioni tra il racconto della ragazza presunta vittima di violenza e gli elementi probatori raccolti, in particolare la ragazza aveva dichiarato di essere stata spinta in ascensore ma dal filmato non appare veritiera questa dichiarazione, non sarebbe stata spinta da nessuno ma anzi spontaneamente si sarebbe recata presso il vano ascensore. Questo particolare ha fatto venire meno i gravi indizi di colpevolezza e gettato ombre sull’attendibilità del narrato della denunciante. Su questo punto gli avvocati hanno intrapreso una forte battaglia tanto da mettere in dubbio l’attendibilità della ragazza. La procura ha infatti disposto anche una perizia psichiatrica per valutare l’attendibilità della giovane in vista dell’incidente probatorio. Emerge infatti che già prima dei tragici fatti la ragazza fosse in cura presso l’igiene mentale, motivo che l’aveva spinta a rifiutare l’assistenza psicologica post trauma per le vittime di stupro offertale come prassi in questi casi dall’ospedale Loreto Mare dove fu poi trasferita successivamente al suo ricovero presso la Betania per effettuare un tampone.
Soddisfazione tra i familiari e i conoscenti del ragazzo scarcerato ma anche tra i familiari e parenti e conoscenti degli altri due ragazzi ancora in carcere che a questo punto guardano come imminente una loro prossima scarcerazione. Sgomento tra i familiari della presunta vittima “lo dico da uomo, da cittadino, da padre. Sono profondamente amareggiato per quello che sta accadendo, a questo punto noi siamo gli unici prigionieri, qui tappati in casa mentre gli altri usciranno a poco a poco. Un incubo infinito il nostro, oltre alla violenza subita anche la beffa di questa decisione”. Cosi si è espresso il padre della ragazza. La città di San Giorgio si è stretta solidale a fianco alla presunta vittima ma dopo la scarcerazione del Brescia si iniziano a sollevarsi anche isolate voci dissonanti che prendono le difese dei tre imputati.

Giorgio Kontovas

Cronache della Campania@2018

Si è costituito il boss latitante Raffaele Afeltra ‘burraccione’

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Si è costituito nel carcere di San Gimignano a Siena dopo tre mesi di latitanza il boss dei Monti Lattari, Raffaele Afeltra detto burraccione. Il pericoloso e sanguinario capo camorra era sfuggito alla cattura il 6 dicembre scorso durante il blitz Olimpo che ha portato in carcere il noto imprenditore di Castellammare, Adolfo Greco e i vertici dei 4 clan della zona stabiese che si rivolgevano tutti all’imprenditore caseario e vero ‘burattinaio’ dell’imprenditoria e della politica nella zona. Afeltra storico camorrista di Pimonte ed ex alleato al defunto boss Umberto Mario Imparato nella faida di camorra tra fine anni Ottanta e inizio anni Novata tra Castellammare e dintorni contro il clan D’Alessandro che lasciò sul selciato oltre cento morti, era libero da un paio di anni dopo aver trascorso una dozzina di anni in cella. Afeltra è accusato di estorsione insieme con Greco ai danni di un imprenditore lattiero caseario di Agerola. Ma nelle migliaia di pagine dell’inchiesta Olimpo il suo nome compare come referente della ditta che stava realizzando il nuovo cimitero a Santa Maria la Carità e che si rivolge a Greco per ottenere un ‘finanziamento’ che consentirebbe di concludere i lavori. Ma anche in una vicenda per l’approvazione di una pratica edilizia sempre ad Agerola che interessava l’imprenditore Umberto Cuomo, legato allo stesso Afeltra e agli arresti domiciliari nell’ambito della stessa inchiesta Olimpo. Resta latitante solo Antonio Di Martino, il 38enne figlio del boss Leonardo Di Martino o’ lione, anche lui coinvolto nell’estorsione ai danni dell’imprenditore di Agerola.

Cronache della Campania@2018

‘Qui comandiamo noi napoletani’, chiedevano il pizzo ai ‘porteur’ del casinò di Sanremo: 7 condanne

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“Qua comandiamo noi napoletani e tu non puoi venire a mangiare nel nostro territorio”. Erano queste le minacce che i componenti della banda regata al ras Giovanni Tagliamento detto o’ ragnulillo ex fedelissimo ddi Michele Zaza nella Costa Azzurra, rivolgevano ai famosi porteur (i procacciatori di clienti ) del Casinò di Sanremo costretti a versare parte dei loro compensi, per continuare a lavorare. La Corte di Appello di Genova ha condannato a 28 anni di carcere sette dei dieci imputati nel processo mentre per altri tre è scattala prescrizione e sono stati scarcerati. Il gruppo pretendeva il pizzo del 2 per cento dai porteur perché “dovete stare a quello che diciamo noi”. Questa un’altra minaccia rivolta ai procacciatori di clienti del Casinò. Ma l’inchiesta aveva portato alla luce anche un giro di droga con alcuni trafficanti albanesi e di prostitute dell’Est gestite da un altro napoletano Nicola Bruno Rossi.
L’inchiesta, coordinata dall’allora sostituto procuratore Roberto Cavallone, è stata condotta dalla polizia attraverso una lunga serie di intercettazioni e pedinamenti e si è avvalsa delle confessioni di un pentito di origini campane, Alessandro Sarnataro. I reati contestati vanno dalla tentata estorsione allo sfruttamento della prostituzione; dal danneggiamento allo spaccio di cocaina; e poi: furto, ricettazione e detenzione di armi.

ECCO LE CONDANNE
– Stefano Amanzio, 50 anni, di Ospedaletti condannato a 8 anni e 8 mesi, 54mila euro di multa e interdizione dai pubblici uffici
– Mario Capello, 56 anni, di Sanremo condannato a 4 anni e due mesi, 1000 euro di multa
– Giovanni Tagliamento, 61 anni, di Napoli condannato a 4 anni e due mesi
– Francesco Lino Lantero, 46 anni, di Genova condannato a tre anni e tre mesi, 17.000 euro di multa
– Alessandro Caricchio, 64 anni, di Caserta condannato a tre anni e 5 mesi, 1600 euro di multa
– Pasquale Falcone, 46 anni, di Pinerolo (To), prescritto
– Alessio Scuzzi, 39 anni, di Sanremo, prescritto
– Nicola Bruno Rossi, 65 anni, di Napoli condannato a due anni e sei mesi
– Mario Mistretta, 39 anni, di Sanremo condannato a due anni e un mese, 600 euro di multa
– Giuseppe Pappalardo, 46 anni, di Pollena Trocchia (Na), prescritto

Cronache della Campania@2018

Estorsioni tra Scafati, Pompei e Castellammare: oltre 80 anni di carcere per i clan Loreto-Ridosso e Cesarano

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Scafati. Estorsioni, usura, riciclaggio, intestazione fittizia di beni: la Corte di Appello di Salerno ha confermato in larga parte le condanne inflitte in primo grado per gli esponenti del clan Loreto-Ridosso e Cesarano di Pompei-Castellammare che avevano messo sotto torchio commercianti e imprenditori della zona tra cui anche i fratelli Moxedano gestori della Sala Bingo di Pompei e i gestori di quella di Scafati. Nelle rete degli investigatori due anni fa erano finiti in 16 tra cui alcuni prestanome dei Loreto-Ridosso nelle attività apparentemente ‘pulite’. Numerose le accuse, valutate dal giudice per le udienze preliminari Maria Zambrano: associazione per delinquere, usura, estorsione, intestazione fittizia di beni furono scoperte grazie alle indagini dei carabinieri e della Dia, coordinate dal pm della Dda Giancarlo Russo. L’indagine si è arricchita delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia tra i quali Alfonso Loreto, Romolo Ridosso e successivamente anche quelle di Andrea Spinelli detto Dario. Tra gli episodi emersi nel corso delle indagini le estorsioni a numerosi industriali conservieri imposte dai nuovi rampolli del clan Loreto-Ridosso con la supervisione di Pasquale Loreto, il pentito che dalla località protetta gestiva gli affari insieme al figlio Alfonso nella sua terra di origine. Pasquale Loreto, protagonista della camorra degli anni ’90, anche da pentito riusciva ad incutere timore alle sue vittime, tanto che in alcune occasioni aveva fatto prelevare e minacciare dai suoi accoliti alcuni industriali per imporre loro di pagare il pizzo.

Nel dettaglio la sentenza della Corte d’appello di Salerno (presidente Sicuranza, consiglieri De Luca e Ianniciello) che conferma le condanne per i reggenti del clan Loreto Ridosso, per Antonio Matrone, figlio del boss Franchino a belva(assolto in primo grado) e per il boss Luigi Di Martino detto o’ profeta, boss del clan Cesarano che è stato condannato a otto anni e sei mesi di reclusione più 7.000 euro di multa invece di nove anni e sei mesi del primo grado. L’ex giovane boss ora pentito Alfonso Loreto, figlio di Pasquale pure lui pentito da anni, è stato condannato a nove anni, quattro mesi e venti giorni quale pena complessiva per i reati già posti in continuazione; Antonio Matrone invece a tre anni di reclusione e 460 euro di multa a fronte dei quattro anni e sei mesi decisi in primo grado. Gennaro Ridosso di Romolo a cinque anni, undici mesi e dieci giorni di reclusione più 1.533 euro di multa invece di sette anni e quattro mesi, Luigi Ridosso a cinque anni, undici mesi e dieci giorni di reclusione più 5.600 euro di multa invece di sette anni e dieci mesi, Salvatore Ridosso a cinque anni e sei mesi di reclusione più 2.200 euro di multa a fronte dei sei anni e dieci mesi inflitti in primo grado. Invece il pentito Andrea Spinelli detto Dario è stato condannato a un anno di reclusione e 200 euro di multa invece di un anno e dieci mesi. Gli altri due pentiti storici ovvero Pasquale Loreto e Romolo Ridosso sono stati condannati il primo a sei anni ed otto mesi e il secondo a otto mesi e dieci giorni. Giovanni Cesarano a cinque anni di reclusione e 1.800 euro di multa a fronte dei cinque anni e dieci mesi inflitti in primo grado, Fiorentino Di Maio a cinque anni e 1.800 euro di multa invece di sei anni e quattro mesi, Vincenzo Pisacane a tre anni di reclusione e 600 euro di multa invece di tre anni. E ancora Giuseppina Casciello a un anno, due mesi e venti giorni di reclusione, Roberto Cenatiempo a quattro anni e quattro mesi, Francesco Paolo D’Aniello a due anni e sei mesi, Giovanni Immediato a un anno, due mesi e venti giorni. Infine assoluzione perché il fatto non costituisce reato per Mario Sabatino, che in primo grado aveva incassato un anno, due mesi e venti giorni. In primo grado c’erano state altre otto le assoluzioni alcune delle quali eccellenti come quella di Francesco Matrone, alias Franchino a belva, Giuseppe Di Iorio, Mario Di Fiore, Pasquale Di Fiore (il boss di Acerra), Giovan­ni Messina, Giuseppe Morel­lo di Torre Annunziata, Francesco Nocera e Vin­cenzo Pisacane.

Cronache della Campania@2018


Camorra, delitto Villano: attesa per le dichiarazioni del pentito Lanza su Michele Zagaria

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Prima udienza  in Corte di Assise per il processo che vede sotto accusa  come mandanti  del delitto di Nicola Villano e del tentato omicidio Raffaele Della Volpe: Antonio Iovine e Michele Zagaria come mandanti; come presunti esecutori materiali Cristofaro Dell’Aversano e Vincenzo Conte, mentre Claudio Giuseppe Virgilio avrebbe  avuto il compito di agevolare negli spostamenti i componenti del gruppo di fuoco. Il presidente  della seconda sezione del tribunale napoletano ha chiesto di ascoltare per la prossima udienza Bruno Lanza.  L’indagine, avviata nel 2016, anche a seguito di alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia quali Antonio Iovine, Bruno Lanza, Giuseppe Misso e Salvatore Orabona, ha consentito di far luce su i due fatti di sangue avvenuti il 20 luglio 2001 nell’agro aversano, a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro.

Cronache della Campania@2018

Camorra: condannato all’ergastolo, arrestato a Roma ras di Torre del Greco

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Da pochi giorni a suo carico era stata emessa dalla prima sezione della Corte d’Assise di Napoli un’ordinanza di custodia cautelare in carcere: condannato in primo grado all’ergastolo per un omicidio maturato negli ambienti della camorra napoletana, l’uomo era in attesa dell’udienza in Corte d’appello ma sussistendo il pericolo di fuga, dalla Corte d’assise di Napoli é arrivato il provvedimento restrittivo. E gli agenti della Polizia di Stato in servizio presso la prima Sezione della Squadra Mobile hanno arrestato S.F., 55enne originario di Torre del Greco e che vive a Roma, dove gestisce un negozio di panificazione. L’uomo e’ stato pedinato e, dopo una serie di appostamenti, gli investigatori, avuta la certezza circa la sua identità, dopo la notifica dell’ordinanza, lo hanno fermato e quindi trasferito in carcere.

Cronache della Campania@2018

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Sangue infetto: Poggiolini e gli altri 9 imputati assolti 23 anni dopo

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Il fatto non sussiste: sono stati tutti assolti, dal Tribunale di Napoli, i 10 imputati nel processo sullo scandalo dei decessi che sarebbero stati causati dalle trasfusioni di sangue infetto. Tra le persone sotto processo figuravano anche Duilio Poggiolini (difeso dall’avvocato Luigi Ferrante), all’epoca dei fatti (gli anni ’90) dg del servizio farmaceutico del ministero, e gli ex manager e tecnici del Gruppo Marcucci (difesi dagli avvocati Alfonso Stile, Carla Manduchi e Massimo Di Noia).A fronte della richiesta di assoluzione avanzata nelle scorse udienze dalla Procura della Repubblica di Napoli (pm Lucio Giuliano), il Ministero della Salute ha rinunciato alle conclusioni, decadendo cosi’ dalla costituzione di parte civile. “Nonostante fosse chiarissima la normativa in questione, che riferiva la responsabilità dei controlli sugli emoderivati ad organi ed istituzioni diverse dalla Direzione generale del Servizio Farmaceutico, sono stati necessari ben 23 anni per liberare il mio assistito da una cosi’ pesante contestazione”. Così l’avvocato Luigi Ferrante, difensore di Duilio Poggiolini, commenta la sentenza di assoluzione per il suo assistito e per gli altri 9 imputati del cosiddetto processo sul presunto “sangue infetto”. “Questo – aggiunge – al netto di ogni considerazione, sull’assenza totale di qualsiasi elemento probatorio concreto per ritenere sussistente un rapporto di causalità tra le infezioni ed i decessi, nonchè sulla prova di condotte omissive in relazione ai protocolli amministrativi che venivano aggiornati tempestivamente e parallelamente ai progressi del mondo scientifico sulle procedure di inattivazione virale ed individuazione dei vari virus in esame”. Le motivazioni della sentenza saranno rese note tra 90 giorni.

Cronache della Campania@2018

Ragazza di Quarto violentata a Napoli, l’amico del presunto stupratore chiarisce al pm le sue ‘amnesie’

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Si è tenuto stamattina l’interrogatorio di G.C., indagato per false informazioni al P.M. nell’ambito della vicenda di violenza sessuale avvenuta a Quarto, l’8 dicembre scorso, ai danni di una ragazza del posto, e per il quale risulta essere indagato un 25enne incensurato di Villaricca, recluso presso il carcere di Poggioreale, in attesa di riesame, che si terrà il prossimo 2 di aprile.
Il ragazzo, difeso dall’avvocato Massimo Viscusi, ha risposto a tutte le domande del sostituto procuratore della Repubblica di Napoli, Tittaferrante, chiarendo il perché aveva omesso di dire una circostanza quando fu chiamato a deporre come persona informata sui fatti, lo scorso 21 febbraio, in merito alla spinosa vicenda che coinvolge il suo amico. Adesso si attende l’esito di quest’ulteriore indagine, se ci sarà l’archiviazione o la richiesta di rinvio a giudizio. L’inchiesta riguarda un caso di abuso sessuale denunciato dalla ragazza che la sera dell’otto dicembre scorso dopo aver trascorso una serata in una discoteca di Napoli e aver fumato hashish e bevuto alcolici aveva chiesto un passaggio a un ragazzo conosciuto durante la serata. Nel tragitto il ragazzo approfittando dello stato confusionale della giovane l’avrebbe violentata. Dopo la denuncia della ragazza a lui si sarebbe risaliti grazie alle testimonianze e alla visione dei filmati delle telecamere della discoteca.

Cronache della Campania@2018

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