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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Sesso e corruzione al Comune di Castel Volturno, indagata anche la figlia del dirigente ed un altro vigile urbano

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Si allarga l’inchiesta sulla corruzione in municipio a Castel Volturno. I pubblici ministeri Vincenzo Quaranta e Giacomo Urbano della Procura di Santa Maria Capua Vetere hanno emesso l’avviso di conclusione delle indagini preliminari per ben 28 indagati, dodici in più rispetto a quanti sono finiti nel mirino degli inquirenti già lo scorso mese di gennaio.
Sotto inchiesta sono finiti il capo dell’ufficio tecnico Carmine Noviello, Antonio Di Bona, archivista dell’Utc e responsabile della pubblicazione all’Albo Pretorio delle pratiche, il geometra di Aversa Giuseppe Verazzo, Wladimiro Saltelli, il comandante della polizia municipale Luigi Cassandra, il tecnico del Comune Giuseppe Russo, il vigile urbano Francesco Morrone, il dirigente della Imat Rosario Trapanese, Raffaele Papararo, Giuseppe Fiore, Marco Caimano, Giovanni Rotondo, Rocco Fittipaldi, Daniele Papararo, Carmine Brancaccio ed Antonio Cacciapuoti. Risultano, inoltre, indagati Alessandra Puopolo, Mariachiara Noviello (figlia di Carmine), Antonio D’Andrea, Giuseppe Iannone, Mario Iannone e Luigi Baldascino, tutti e tre di San Cipriano, Domenico De Simone, anch’egli agente della polizia municipale, Michele Cerciello, Nicola D’Agostino, Giuseppe Antricetti, Mario Mansueto e Francesco Miraglia.
Gli indagati rispondono a vario titolo di corruzione, concussione, falso ideologico in atto pubblico, omissione di atti d’ufficio ed indebita induzione a dare o promettere utilità.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018


La confessione choc del boss: ‘La uccisi nel cimitero ‘dei colerosi’ e poi la misi in un sacco con delle pietre e buttai il corpo nei Regi Lagni’

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Marcianise. Non è stato facile per gli investigatori trovare questo luogo inimmaginabile, neppure nelle scene di un film horror. Nelle campagne di Marcianise, dopo una lunga strada sterrata di via Airola, in un ex cimitero denominato “dei Colerosi,” perché nel 1838, a seguito della terribile epidemia, furono seppellite le vittime del colera.
Proprio qui, in questo luogo lontano da occhi indiscreti, nel giardino della chiesa di Santa Venera, un luogo sacro frequentato dai contadini, fu uccisa Angela Gentile il 28 ottobre del 1991. Lo ha confessato Domenico Belforte agli investigatori e al magistrato della Dda di Napoli, Luigi Landolfi. Aggiungendo un altro piccolo tassello a questa storia processuale che ha avuto l’ultimo colpo di scena 15 giorni fa quando Mimì Mazzacane ha rivelato di essere stato lui ad uccidere Angela “E’ vero è vero sono stato io ma la uccisi per errore”. Ha ribadito il boss dinanzi al gup Di Palma del tribunale di Napoli, dal carcere di Sassari. Ma nelle confessioni del ex capoclan emergono altri particolari agghiaccianti. “Partì un colpo di pistola per sbaglio dopo una violenta discussione perché avevo saputo che lei si prostituiva” ha aggiunto il boss nelle recenti documentazioni depositate in Procura dal pm. “Poi abbiamo fatto sparire il corpo – aggiunge – in un sacco, legato con delle pietre, che gettammo nei Regi Lagni”. Quella mattina del 28 ottobre di 28 anni fa, quando Angela accompagnò per l’ultima volta sua figlia Gianna Filomena, oggi ha 40 anni e vive a Rimini nata dalla relazione con il boss, “era molto nervosa”.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Scafati, scarcerato il ras Barbato Crocetta: non si era mai pentito

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Scarcerato e mandato agli arre­sti domiciliari Giovanni Barbato Crocetta, 25enne scafatese, ac­cusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso e deten­zione illecita di armi. Il Gip di Salerno ha accolto l’istanza pre­sentata dal suo difensore, l’av­vocato Gennaro De Gennaro, non ravvisando elementi pre­giudizievoli al benefìcio richie­sto sebbene fosse contestato l’art. 7. Lascia il carcere di mas­sima sicurezza di Lanciano uno dei soggetti più pericolosi di Scafati, appartenente alla mala­vita locale. Lo scorso anno si erano diffuse delle false notizie di presunti pentimenti del Bar­bato Crocetta che non si è mai pentito e non ha mai collaborato con la giustizia. Secondo la Dda il giovane pregiudicato, unitamente a Giuseppe Buonocore, genero di Franchino Ma­trone, alias à belva, avrebbe ten­tato di estorcere denaro ad un tabaccaio scafatese, sparando nella saracinesca dell’esercizio commerciale per intimorire l’esercente. Tutto ripreso dalle videocamere di sicurezza.il 25enne scafatese era già finito nei guai in diverse occasioni. L’ultima è l’inchiesta che lo aveva fatto finire nel mirino della Dda di Salerno con l’ac­cusa di riciclaggio in quanto insieme ad un suo conoscente, aveva fornito ai killer – secondo l’accusa dell’antimafia di Salerno- la moto utilizzata per l’agguato a Piazza Falcone Bor­sellino il 26 aprile 2015 nel de­litto di Armando Faucitano

Cronache della Campania@2018

Napoli, rischio prescrizione per i ‘furbetti del cartellino’ del Loreto mare

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Napoli. I reati contestati a medici ed infermieri nell’ambito del processo dei furbetti del cartellino iniziato a febbraio del 2017 potrebbero cadere in prescrizione a seguito dei tempi lunghissimi del dibattimento. Il processo che vede coinvolte numerose persone dovrà infatti valutare le posizioni degli oltre 80 imputati a giudizio e valutare oltre 100 episodi. Nonostante l’impegno della Procura tutta la fare del dibattimento non lascia sperare tempi celeri così nella scorsa udienza il pm Frongillo ha chiesto di dividere il processo in due stralciando quindi le posizioni dei medici e degli infermieri. Così facendo si procederà su due binari diversi ma paralleli in modo tale da risolvere la questione nei tempi previsti ed evitare che tutto cada in prescrizione. La decisione ora spetta al giudice monocratico della Prima Sezione Penale del tribunale di Napoli. La scorsa settimana si è celebrata l’udienza interamente dedicata alla testimonianza di un investigatore che ha ricostruito in aula i dettagli sulle attività investigative nei confronti di un camice bianco accusato di assentarsi dal posto di lavoro. L’inchiesta partì a seguito di un esposto anonimo e si scoprì che la pratica di assenteismo al Loreto Mare era molto diffusa attraverso un sistema molto articolato. I carabinieri riuscirono ad accertare oltre 100 episodi di truffa e assenteismo iscrivendo 89 persone nel registro degli indagati. Furono numero le misure cautelari molte delle quali agli arresti domiciliari che dopo un po’ furono revocate. Resta in piedi ora solo il processo che si prospetta lungo per gli atti da valutare.

Cronache della Campania@2018

Camorra, domani l’interrogatorio in carcere del boss Marco Di Lauro

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E’ stato fissato per domani mattina, davanti al gip di Napoli, Pietro Carola, l’interrogatorio di Marco Di Lauro, ritenuto a capo dell’omonimo clan, arrestato sabato scorso poco dopo l’ora di pranzo in un anonimo appartamento di via Emilio Scaglione alla periferia Nord di Napoli e poco lontano dalla ‘sua’ Secondigliano dopo 14 anni di latitanza. Ad assisterlo saranno gli avvocati Carlo e Gennaro Pecoraro che in giornata lo incontrano nel penitenziario dove è rinchiuso. Al boss sono stati notificati, in questura, a Napoli, subito dopo l’arresto, l’ordine di carcerazione per associazione di stampo mafioso e droga, accuse che gli sono valse una condanna definitiva a 11 anni e 2 mesi di reclusione, e altre due ordinanze di custodia cautelare in carcere, entrambe per associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata traffico di sostanze stupefacenti. Marco Di Lauro venne assolto dall’accusa di essere il mandante dell’agguato al parco acquatico di Licola, il Magic World, risalente al 10 agosto del 2007, durante il quale Nunzio Cangiano fu brutalmente ucciso sotto gli occhi della moglie e del figlioletto. Un omicidio, secondo il racconto dei collaboratori di giustizia, ordinato per punire il gruppo camorristi dei cosiddetti “girati” (ribelli, ndr). Nel giugno 2015, infine, la Cassazione ha disposto il rinvio degli atti a Napoli, ad un collegio della Corte di Appello diverso da quello che aveva decretato l’ergastolo per Di Lauro, in relazione all’accusa di essere stato il mandante dell’agguato in cui venne ucciso Attilio Romanò, un imprenditore di 29 anni, attivo nel settore della telefonia e informatica al dettaglio. La Cassazione, infatti, ha rilevato delle discordanze nei racconti dei pentiti che accusavano il rampollo della famiglia Di Lauro di avere ordinato l’agguato che, in realtà, aveva come obiettivo Salvatore Luise, nipote del boss degli scissionisti Rosario Pariante.

Cronache della Campania@2018

Caso Consip, il Csm censura Woodcock assolta la Carrano. Il suo legale: ‘Ricorreremo in Cassazione’

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La sezione disciplinare del Csm ha condannato il pm di Napoli Henry John Woodcock alla sanzione della censura, mentre ha assolto la collega Celestina Carrano nell’ambito del procedimento sul caso Consip. Il collegio della sezione disciplinare del Csm, presieduto dal laico M5S Fulvio Gigliotti, chiamato a dare sentenza nel processo a carico dei pm napoletani John Woodcock e Celestina Carrano, titolari dell’inchiesta Consip, accusati di violazione dei diritti di difesa nei confronti dell’ex consigliere di Palazzo Chigi Filippo Vannoni, non iscritto nel registro degli indagati e interrogato come teste il 21 dicembre del 2016, senza l’assistenza di un avvocato e con metodi ritenuti lesivi della sua dignità. A Woodcock è anche contestata un’intervista rilasciata a Repubblica contravvenendo al dovere di riserbo. “Leggeremo le motivazioni, ma ricorreremo sicuramente in Cassazione”. Lo ha detto l’ex procuratore generale di Torino Marcello Maddalena, difensore di Henry John Woodcock, dopo il verdetto della sezione disciplinare del Csm che ha sanzionato con la censura il pm di Napoli. Le sentenze del ‘tribunale delle toghe’ possono infatti essere impugnate davanti alle sezioni unite della Cassazione. Woodcock invece ha lasciato Palazzo dei Marescialli senza rilasciare dichiarazioni.
Il verdetto della disciplinare del Csm, presieduta dal laico M5s Fulvio Gigliotti, che ha sanzionato con la censura il pm di Napoli Henry John Woodcock, condannandolo per uno solo dei tre capi di incolpazione per cui e’ finito sotto procedimento, potrebbe essere impugnato davanti alle sezioni unite civili della Cassazione anche dalla procura generale della Suprema Corte. “Non sono soddisfatto, mi riservo di valutare il ricorso in Cassazione”, ha detto il pg Mario Fresa dopo la sentenza della disciplinare, arrivata dopo 3 ore di camera di consiglio.

Cronache della Campania@2018

Lascia il compagno e scappa all’estero con il figlio di due anni: condannata

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Il giudice monocratico del Tribunale di Nola ha condannato a un anno e sei mesi di reclusione, in contumacia, una donna ucraina di 29 anni accusata di sottrazione internazionale di minore. Il giudice le ha anche sospeso la potestà genitoriale. La donna il 29 gennaio 2017 è fuggita da Volla  insieme con il figlio che allora aveva due anni, nel suo paese di origine, senza dire nulla al convivente, 35 anni, padre del bambino, che da allora non ha più visto il figlio. Dopo la denuncia presentata alle forze dell’ordine sono iniziate le indagini e grazie all’Interpol si è riusciti a sapere che il piccolo sta bene. In questi due anni e mezzo i contatti tra padre e figlio sono stati rarissimi. L’ultimo contatto telefonico tra padre e figlio, che ora ha quattro anni e non parla più italiano, risale allo scorso mese di giugno. “C’e’ bisogno di in un’intervento legislativo mirato sia in campo nazionale che internazionale”, sostiene l’avvocato Sergio Pisani, che insieme con Angelo Pisani difende il padre. “La convenzione dell’Aja va del tutto rivista. I tempi delle procedure di rientro non tengono conto del fatto che un minore se sottratto in tenera età non rientrando in tempi ragionevoli rischia di dimenticare del tutto l’altro genitore”, sottolinea il legale. “Bisogna inasprire le pene e prevedere idonee misure cautelari – aggiunge – altrimenti casi come questi continueranno a essere all’ordine del giorno. Lo Stato d’origine deve ottenere l’immediato rientro in tempi brevi”.

Cronache della Campania@2018

Ricatti via web a una ragazza, condannati in due

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Maddaloni. La Cassazione ha respinto il ricorso presentato dagli avvocati difensori di Pasquale Crisci (28 anni) e Domenico Tedesco (46 anni), di Maddaloni. I due furono condannati in primo grado con l’accusa di concorso in estorsione e tentata estorsione sul web ai danni di una donna. Sentenza confermata anche in Appello dalla corte di Ancona, legittimata dal fatto che il caso avvenne nelle Marche. Gli avvocati dei due maddalonesi, hanno presentato ricorso in ultima istanza, poiché, questa era la tesi, le schede telefoniche e le carte ricaricabili potevano essere state utilizzate da altri, nonostante la titolarità di Crisci e Tedesco.
Per i giudici della Cassazione, però, il ricorso è stato definito inammissibile. Nel motivare la decisione, si spiega che “una volta accertata la titolarità di alcuni strumenti di pagamento o di comunicazione, non sussiste un onere a carico della pubblica accusa di verificare che gli stessi siano nella effettiva disponibilità di chi ne è titolare“. Inoltre, viene sottolineato il fatto che Crisci e Tedesco domiciliano in immobili contigui della medesima via.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018


Lo stalker che perseguitava Quagliarella per i giudici ‘era animato da un accentuato complesso di inferiorità e gelosia ‘

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Confermata anche dalla IV Sezione Penale della Corte d’Appello di Napoli la condanna all’agente di Polizia Postale, Raffaele Piccolo quale autore di una serie di atti persecutori nei confronti del bomber Fabio Quagliarella ed alcuni suoi amici “probabilmente perché animato da un evidente delirio di onnipotenza o da un accentuato complesso di inferiorità e gelosia tale da indurlo ad inviare anche due lettere anonime alla DIA di Napoli ed al Commissariato di Castellammare di Stabia”.  “Fabio Quagliarella che sniffa cocaina e poi fa gol”. E’ una frase contenuta in una lettera inviata al padre di Quagliarella, Vittorio, che ha conosciuto l’agente di polizia in un negozio di telefonia mobile a Castellammare di Stabia. “Caro Signor Vittorio, dite a vostro figlio che a Castellammare lo stiamo aspettando per una bella festa. E’ inutile che va facendo il pettiniere di nascosto con il suo amico della Vodafone, perché quando sto qui sappiamo tutti i suoi movimenti e poi ditegli che deve fare attenzione perché nel negozio del suo amico ci sta sempre il nipote di D’Alessandro e qualche volta succede un lutto grosso perché ci sta gente di un altro clan che lo tiene puntato, perciò se ci sta vostro figlio finte pure lui male”. Non solo Quagliarella, il finto “amico dei Vip” ha usato atteggiamenti persecutori anche nei confronti di Guido Lembo anch’egli vittima di lettere ed sms anonimi dal contenuto offensivo, buste contenenti schermate riconducibili ad apparenti siti internet dal contenuto pedopornografico nonché messaggi contenenti parole quali “bello il servizio di Dino Piacenti ma quando saprà la verità sulle perversioni senza età cambierà idea”. “Pedofilo hai rovinato pure Quagliarella, gli hai fatto chiavare le minorenni”. Sono i dettagli che emergono nelle oltre 20 pagine delle motivazioni della sentenza emessa il 25 ottobre scorso dal collegio dei giudici composto dai magistrati Giacobini, Apicella e Rotondi nella quale viene ripercorsa tutta la storia che ha visto coinvolto in prima persona Fabio Quagliarella all’epoca dei fatti in quota Calcio Napoli. Alcune missive furono fatte arrivare anche alla società azzurra tanto che il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, consigliò al calciatore stabiese di trasferirsi a Castel Volturno ed evitare di frequentare la città di Castellammare di Stabia “perchè doveva rimanere tranquillo”. Nelle dichiarazioni durante la fase processuale il calciatore ha inoltre sottolineato come “il suo trasferimento alla Juventus poteva essere dipeso proprio da tale circostanza nonostante il suo rendimento in campo fosse stato soddisfacente”. Solo nel 2010 le persone, vittime di atti persecutori, iniziarono a nutrire seri dubbi nei confronti di Raffaele Piccolo. “Ci confrontammo un po’ sulle lettere che ci arrivavano e che per contenuto, per modalità erano identiche, identiche alle mie – racconta una delle vittime – io non mai visto le lettere degli altri però così come me le descrivevano e così come io descrivevo queste lettere erano identiche (…) così mi sono fatto un’ idea che era Raffaele Piccolo”. Con una serie di stratagemmi il gruppo riuscì ad identificare il mittente delle lettere anonime facilitando l’indagine degli investigatori tanto che l’imputato cercò invano di mostrarsi come vittima di lettere anonime per stornare i sospetti. “Raffaele mi fai vedere quel messaggio per piacere?” dice il padre del calciatore. Il poliziotto prende lo smartphone… “Uh io l’ho cancellato”. “Ma come tu fai il poliziotto, siamo nel fuoco da quattro-cinque anni, ci stiamo uccidendo la salute, qua non dormiamo la notte, tu pigli fai il poliziotto, ti abbiamo incaricato a te, abbiamo fatto cento denunce”. Tra le varie dichiarazioni espresse dalle parti civili costituitesi in processo viene riportata anche l’episodio che vede un noto avvocato stabiese che viene avvisato da Piccolo circa un’email inviata al comune di Castellammare di Stabia per il pagamento di una fattura per attività pedopornografica che non lo riguardavano poiché la missiva era stata indirizzata al sindaco.  L’agente di polizia nell’intera vicenda coinvolse anche l’ex moglie, commissionando la scritta “E’ una zo…” sulla facciata del palazzo dello studio legale presso il quale la donna lavorava. Gli atti persecutori finirono dopo che il calciatore ed altre vittime decisero di agire autonomamente e sporgere denuncia alla Procura di Torre Annunziata che predispose le indagini necessarie che riuscirono a smantellare l’articolato e folle sistema, fatto di mail, account falsi e altro, messo in piedi dall’agente di polizia postale condannato a 4 anni e 8 mesi di carcere, al pagamento di tutte le spese processuali e l’interdizione di cinque anni dai pubblici uffici.

Emilio D’Averio

Cronache della Campania@2018

Uccise il boss sulla sedia a rotelle a Benevento: arrestato il killer

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Svolta nelle indagini per l’omicidio di Cosimo Nizza, il boss in sedia a rotelle e a capo dell’omonimo ucciso a Benevento  il 27 aprile del 2009. La Polizia di Stato di Benevento ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per omicidio aggravato in concorso e porto abusivo di armi nei confronti di un 34enne beneventano. L’uomo é già detenuto presso la casa circondariale di Napoli Secondigliano, perché ritenuto essere il promotore di un’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Attraverso un laborioso lavoro ricostruttivo dei poliziotti della Squadra Mobile, con il supporto del Servizio Centrale Operativo nonché del Servizio Polizia Scientifica, coordinati dalla Procura della Repubblica di Benevento, sono stati raccolti determinanti elementi ai fini dell’emissione del provvedimento. Il fatto di sangue, risalente all’aprile 2009, vide come vittima il boss, costretto sulla sedia a rotelle a causa di un incidente stradale, che venne ucciso, in pieno giorno, con tre colpi di pistola alla testa, nel popoloso Rione Libertà del capoluogo sannita. I particolari dell’indagine verranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terrà presso la Procura della Repubblica di Benevento alle ore 11.30.

Cronache della Campania@2018

Il boss sulla sedia a rotelle ucciso per vendetta dopo gli spari nel negozio del killer

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Il boss in sedia a rotelle Cosimo Nizza è stato ucciso per vendetta. E’ quanto emerso dalle indagini della Squadra Mobile che questa mattina hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Benevento nei confronti di Nicola Fallarino trentaquattrenne accusato di omicidio aggravato in concorso e porto abusivo di armi. L’uomo, già detenuto nella casa circondariale di Napoli Secondigliano è – secondo le accuse – il promotore di un’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti. I fatti risalgono all’aprile 2009 quando Cosimo Nizza, pregiudicato costretto sulla sedia a rotelle dopo un incidente stradale, venne freddato con tre colpi d’arma da fuoco alla testa esplosi da due sicari in sella a uno scooterone mentre si trovava nei pressi della sua abitazione di via Bonazzi, nel Rione Libertà. A scatenare l’agguato fu, secondo gli inquirenti, l’esplosione di alcuni colpi di pistola e fucile contro la saracinesca di un esercizio commerciale gestito dal 34enne oggi in carcere avvenuto tre giorni prima dell’omicidio e riconducibile all’azione della vittima.  Nel 2017, grazie a nuovi elementi, la ripresa delle indagini e l’identificazione di uno degli autori materiali del delitto, consumato in pieno giorno. Fondamentali la testimonianza di un importante collaboratore di giustizia e le intercettazioni ambientali. Tra queste, in particolare una: uno dei componenti del sodalizio criminale dedito allo spaccio di stupefacenti – lo stesso di cui il 34enne era a capo – ricostruiva dettagliatamente la dinamica dell’agguato, già descritte dal collaboratore di giustizia. L’uomo indagato ostentava con sicurezza di potersi sottrarre alle indagini perché l’arma del delitto non poteva essere trovata, ormai distrutta, e un alibi lo avrebbe protetto. A smontarlo anche il racconto di un testimone in merito alle esternazioni fatte dall’uomo sulla sua responsabilità nell’omicidio alla base del quale vi era una lotta per accaparrarsi la piazza di spaccio e garantirsi l’esclusiva nella vendita di una determinata tipologia di droga. Le indagini proseguono a caccia del secondo autore materiale dell’omicidio e di altri eventuali complici interessati al commercio di stupefacenti.

Quando Tallarino salì in sella a uno scooter potente aveva 25 anni non ancora compiuti e tutta la spavalderia di chi vuole fare strada nella criminalità. Qualche precedente per spaccio di droga, ma Nicola Fallarino non era segnalato come un soggetto particolarmente pericoloso. Ci sono voluti dieci anni per arrivare a raccogliere tutti i gravi indizi necessari per accusarlo dell’omicidio di Cosimo Nizza, all’epoca 48enne, inchiodato su una sedia a rotelle per un incidente stradale avvenuto nel 2004. Nizza nel 2009 aveva ormai saldato i suoi conti con la giustizia. Da due anni non era neppure sottoposto alla sorveglianza speciale. I nuovi gruppi criminali della periferia beneventana lo ritenevano ancora un elemento ingombrante per conquistare la piazza di spaccio di Rione Libertà. E così Fallarino, insieme con un complice, la mattina del 27 aprile 2009, sale su uno scooter e indossa un casco integrale, si dirige verso la zona di via Bonazzi, nel Rione Libertà, dove Nizza vive in un appartamento di una palazzina popolare, attrezzato con inferriate e videocitofono, e si apposta nella zona. Il 48enne disabile esce con la sua sedia a rotelle elettrica per controllare di persona alcuni lavori edili in corso sul retro della palazzina in cui vive. All’improvviso lo scooter con Fallarino gli arriva alle spalle e da pochi metri partono tre colpi di una pistola calibro 7,65 che raggiungono Nizza alle spalle. Muore all’istante, ma nessuno sa dire chi siano quelle due persone in sella allo scooter che si allontanano rapidamente. E’ successo tutto in pochi minuti. Per ricostruire il delitto occorreranno dieci anni. Soltanto alcuni mesi fa Nicola Fallarino riceve il primo avviso di garanzia. Sul luogo del delitto vengono compiuti alcuni rilievi scientifici per comparare una pistola sequestrata la scorsa estate al pregiudicato oggi 35enne e il luogo in cui avvenne il delitto. Una perizia balistica a distanza di 9 anni, dalla quale sarebbero emersi elementi importanti che, assieme a una serie di altri indizi raccolti in passato, avrebbero fornito riscontro alle tesi del sostituto procuratore di Benevento Flavia Felaco, che ha coordinato le indagini. La svolta é avvenuta infatti grazie a un’altra indagine. Nel giugno scorso Nicola Fallarino è stato arrestato per ordine della Dda di Napoli nell’ambito di un’inchiesta sullo spaccio di hashish, crack, eroina, cocaina e marijuana a Benevento. Fallarino è risultato tra i promotori di quella organizzazione che aveva contatti con la criminalità di Villa Literno, Giugliano, Castelvolturno e Napoli. In quella occasione fu sequestrata una pistola calibro 7,65 che secondo gli inquirenti poteva essere l’arma che uccise Cosimo Nizza. Di qui la richiesta di custodia cautelare in carcere che il gip del tribunale di Benevento ha emesso nei confronti del 35enne di Benevento, ancora detenuto nel penitenziario di Secondigliano e in attesa del rito abbreviato per l’indagine che lo ha portato in carcere l’estate scorsa.

Cronache della Campania@2018

E’ accusato anche di aver favorito la latitanza del boss Marco Di Lauro il camorrista che ha ucciso la moglie a Melito

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La Dda di Napoli ha contestato a Salvatore Tamburrino, l’affiliato al clan Di Lauro che sabato scorso a Melito ha ucciso la moglie 33enne, Norina Matuozzo, a colpi di pistola nell’abitazione dei genitori sabato mattina, i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e favoreggiamento nella latitanza di Marco Di Lauro, il boss latitante per 14 anni preso poco dopo che Tamburrino si era consegnato alla polizia. L’uxoricida ha quindi avuto un ruolo nella fuga del capoclan, ma, come ha ribadito nel corso dell’interrogatorio di convalida del fermo davanti al gip disposto dal pm Antonio Vergara, non ha fatto nessuna confidenza che potesse permettere la cattura. Tamburrino era certamente molto vicino al boss e questo lo dimostra la nuova incriminazione decisa dalla Procura. Probabilmente era lui che portava le notizie del boss all’esterno e conosceva dunque i canali necessari per arrivare a comunicare con il reggente della cosca. Assistito dal suo avvocato Domenico Smarrazzo, Tamburrino ha ammesso di aver ucciso la moglie esplodendo colpi a occhi chiusi, anche se sostiene che la sua intenzione originaria era di suicidarsi, tanto che aveva chiesto alla moglie di scrivere un testamento che lui stesso le dettava. “Le indicavo dove dover riscuotere soldi e cosi’ poter vivere e far vivere anche i miei due figli”, ha detto agli inquirenti.

Cronache della Campania@2018

Omesso versamento dell’Iva: sequestro per 350mila euro ad un consorzio di logistica di Marcianise

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Caserta. La Guardia di Finanza di Caserta ha ultimato l’esecuzione di un decreto di sequestro preventivo, per un valore complessivo di circa 350mila euro, nelle disponibilità finanziarie della società C.L.I. – Consorzio Logistica e Intermodalità, con sede a Marcianise e attiva nel settore del trasporto merci, nonché il patrimonio del suo formale rappresentante legale Fiondante Bizzarro e dell’amministratore di fatto Salvatore Bizzarro. La misura cautelare – si legge in una nota – è stata disposta dal gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, su richiesta della locale procura, a seguito degli approfondimenti investigativi avviati dopo la denuncia dell’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Caserta, che aveva constatato l’omesso versamento dell’Iva dovuta per l’anno d’imposta 2012. Il sequestro fa seguito all’altro eseguito il 28 gennaio scorso, per il valore di 200mila euro, nei confronti di Fiondante Bizzarro, nella qualità di amministratore e rappresentante del Consorzio Logistica ed Intermodalità srl. Il precedente sequestro venne disposto per il reato di omesso versamento delle ritenute fiscali relative ai propri dipendenti per l’anno di imposta 2012.

Cronache della Campania@2018

Omicidio del boss in sedia a rotelle, il killer si vantava col nipote: ‘Gli diedi tre botte e poi andai al bar a mangiare il gelato’

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Dieci anni dopo è arrivata la svolta nelle indagini per l’omicidio di Cosimo Nizza, il pregiudicato beneventano costretto su una sedia a rotelle, ucciso nell’ aprile 2009 con tre colpi di pistola alla testa. E’ stato lo stesso killer Nicola Fallarino, 34 anni, di Benevento, già detenuto nella Casa circondariale di Napoli-Secondigliano per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga Fallarino che inconsapevolmente ha fornito agli investigatori tutti gli elementi per ricostruire l’accaduto. Infatti fu lo stesso Nicola Fallarino a confidare a un esponente di spicco del clan Di Silvio di aver ucciso Cosimo Nizza. E’ quanto emerge dall’ordinanza di applicazione di misura cautelare emessa dal gip nei confronti del 34enne beneventano accusato di omicidio aggravato in concorso e porto abusivo di armi. Un’ordinanza da cui emergono particolari agghiaccianti, come il racconto fatto da Giuseppe Fallarino a tale Antonio. Il nipote di Nicola Fallarino racconta la confessione che lo zio gli aveva fatto: “Lo uccisi all’una meno venti, all’una e mezza stavo davanti al bar ‘Margherita’ a mangiarmi il gelato”. Voleva accreditarsi agli occhi dell’esponente del clan e oggi collaboratore di giustizia, per questo gli raccontò di aver sparato “a un ragazzo” mentre si trovava agli arresti domiciliari: “Io so’ quello che ha sparato a Cosimo Nizza”, riferì a verbale il collaboratore. “Una mania di presentazione… l’accreditarsi… – spiega ancora l’uomo agli inquirenti – Comunque io già sapevo… non lo avevo mai visto… però comunque sapevo che non era l’ultimo arrivato perchè… ci dobbiamo arrivare… aveva sparato agli arresti domiciliari su un ragazzo su una macchina”. A distanza di quasi nove anni dall’omicidio di Cosimo Nizza, avvenuto il 27 aprile del 2009 nel Rione Libertà, gli agenti della Squadra Mobile di Benevento hanno riconosciuto in Fallarino uno dei due responsabili dell’agguato. L’uomo, già detenuto nella casa circondariale di Secondigliano e promotore, secondo gli inquirenti, di un’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti, facendo riferimento alla pistola, disse ai familiari: “comunque io non mi preoccupo… – si legge nell’ordinanza – lo sai perché?… Pure se l’hanno buttata.. e gli altri l’hanno buttata… loro stavano carcerati…”. A inchiodare Fallarino fu inizialmente una donna legata ad ambienti malavitosi di Benevento e poi sottoposta a programma provvisorio di protezione come collaboratore di giustizia. Alle 12,30 di quel giorno era appena uscita di casa per andare a prendere i figli a scuola, sentì il primo colpo di pistola e vide lo scooterone fuggire : “Voglio riferire che nel vedere la moto che passava davanti a meno di dieci metri dal mio portone – raccontò la donna ai pm il 16 luglio 2012 – ho riconosciuto dagli occhi Masone Antonio che stava dietro alla moto mentre Nicola Fallarino guidava (…) Preciso che ho riconosciuto Fallarino Nicola dalle spalle, l’ho visto di profilo, non si è girato, ma Masone Antonio si è girato verso di me ed io l’ho riconosciuto; avevano un casco non integrale, davanti agli occhi non avevano la mascherina, ma solo il laccio intorno al mento”. Non solo: in una intercettazione ambientale Giuseppe Fallarino, nipote di Nicola, confida a un certo Antonio quanto gli aveva detto lo zio: “disse (Nicola Fallarino ndr) ‘Peppe lo sai che sono stato tre giorni senza parlare con quello… perché lo dovevo uccidere… io tre giorni sono stato ad aspettare con la pistola, adda scì (deve uscire)… una mattina io stavo vestito (…) andai… presi il mezzo… il 125 (scooterone ndr) … vidi a Cosimo (Nizza ndr) andaì là… stava parlando lui (Nizza ndr)… e Antonio (Masone ndr)… io davanti e lui dietro (…). Ci detti la prima botta (il primo colpo) … e lui fece bum (si accasciò), la seconda botta dietro qua e la terza bota dietro al collo”. “Il giorno dopo ce ne scappammo, tutta a gente (…) si chiuse nelle case… lo uccisi all’una meno venti – racconta Giuseppe Fallarino a tale Antonio riportando le parole dello zio -, all’una e mezza stavo davanti al bar ‘Margherita’ a mangiarmi il gelato”.

Cronache della Campania@2018

Cava de Tirreni, Zullo costituì un clan: nuovo arresto per il boss Dantuccio e 7 sodali

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Cava de Tirreni. Dantuccio Zullo aveva costituito un clan: l’accusa di associazione per delinquere di tipo mafioso è stata confermata dai giudici del Tribunale del Riesame di Salerno. Oggi pomeriggio il personale della sezione operativa Dia di Salerno – diretta dal colonnello Giulio Pini – ha dato esecuzione ad una nuova ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 8 indagati per i quali era caduta l’accusa più grave dinanzi ai giudici del Riesame di Salerno, dopo l’arresto del 13 settembre scorso nell’operazione ‘Hyppocampus”.   Nel tardo pomeriggio di oggi, il personale della Dia ha notificato a Dante Zullo, detto Dantuccio, alla figlia Geraldine Zullo, a Vincenzo Porpora, Domenico Caputano, Carlo Lamberti, Carmela Lamberti e Antonio Santoriello, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere; Mario Caputano, invece, è stato posto agli arresti domiciliari. Il reato contestato è associazione per delinquere di tipo mafioso. Gli indagati erano finiti nell’operazione “Hyppocampus” che il 13 settembre 2018 portò all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal GIP presso il Tribunale di Salerno nei confronti di 14 indagati (11 in carcere e 3 agli arresti domiciliari), ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso, estorsione e usura commessi con l’aggravante del metodo mafioso, nonché associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di stupefacenti.
Gli otto indagati raggiunti oggi dalla nuova ordinanza presentarono ricorso al Riesame, avverso a quell’ordinanza e i giudici avevano parzialmente accolto, riqualificando, in particolare, il reato di associazione di tipo mafioso, ricompreso nella commissione delle diverse fattispecie di reato cui il sodalizio criminale – diretto, promosso e organizzato da Zullo Dante – era dedito.
Il provvedimento è stato impugnato dalla Procura della Repubblica-DDA di Salerno presso la Corte di Cassazione che il 14 gennaio scorso, ha annullato con rinvio la decisione dei colleghi salernitani. Oggi la sezione del Tribunale del Riesame di Salerno ha recepito le eccezioni sollevate dalla corte di Cassazione ed ha emesso una nuova ordinanza di custodia cautelare, eseguita dalla Sezione Operativa della DIA di Salerno, a carico di Dantuccio Zullo e i suoi sodali.

Cronache della Campania@2018


Corruzione nei servizi sociali, l’ex sindaco ed altri 18 a processo

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Il gup Sergio Enea del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha disposto il processo per i 19 indagati coinvolti nello scandalo degli appalti truccati dell’ambito socio sanitario C8, che vede come comune capofila Santa Maria Capua Vetere. Il processo inizierà all’inizio di giugno dinanzi alla prima sezione penale (collegio B) del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il giudice per l’udienza preliminare ha rinviato a processo l’ex sindaco Biagio Maria Di Muro, 51 anni, per inquirenti promotore dell’associazione a delinquere, la sorella Annunziata Di Muro, 47 anni, Anna Pepe, 30 anni, la casertana 32enne Carmela Fusco, l’ex dirigente del Comune sammaritano Roberto Pirro, 58 anni, Giovanni Laurenza, 58 anni, tutti sammaritani, Nicola Santoro, 57enne di Casapulla, Nicola D’Auria, 63enne di Nola, Biagio Napolano, 48enne di Caserta, Salvatore Coppola, 46enne di Aversa, accusati dei reati di associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro la pubblica amministrazione. A giudizio anche il 58enne di Curti Luigi Merola, Antonio Pirro, 63 anni, Ornella Pirro, 25 anni, Maria Rosaria Piccolo, 54 anni, Anna Romano, 44 anni, tutti sammaritani, indagati per truffa. Peculato e falso ideologico sono le accuse per il 45enne di Salerno Giuseppe Cavaliere, mentre per turbativa d’asta sono imputati il 48enne beneventano Domenico D’Agostino e il 50enne di Calvi Risorta Enzo Giangregorio. Accusata di abuso d’ufficio Gina De Simone, 40enne di Caserta, anche lei a processo.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Imprenditore ucciso dopo aver denunciato il clan: rito abbreviato per Di Tella ordinario per Quadrano

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Alberto Di Tella chiede il processo con rito abbreviato mentre Giuseppe Quadrano, il killer di don Peppe Diana, procederà con il rito ordinario. Questo quanto accaduto oggi durante l’udienza preliminare per l’omicidio dell’imprenditore Antonio Belardo, ucciso dal clan dei Casalesi in corso Atella a Succivo nel 1991. Il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Napoli deciderà sulle sorti dei due, entrambi collaboratori di giustizia, nell’udienza fissata a metà maggio. Il delitto era stato in un primo momento archiviato dalla Procura e riaperto su istanza del difensore della famiglia Belardo, l’avvocato Gianni Zara, che aveva fornito agli organi inquirenti nuovi spunti investigativi.
Spunti da cui sono ripartite le indagini che hanno portato, ad un anno di distanza dalla richiesta, a stringere il cerchio dei presunti colpevoli del delitto su Quadrano e Di Tella per i quali il pm Luigi Landolfi ha chiesto il giudizio. Belardo era un imprenditore. Poche settimane prima del suo omicidio, insieme ad altri imprenditori, aveva denunciato alcuni episodi estorsivi e per questo motivo venne ammazzato.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

I Casalesi dal volto “etico”. Il pentito: ‘Il clan formalmente era contro usura, droga e prostituzione’

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Ci sono reati che erano disdicevoli anche per il clan dei Casalesi e tra questi c’è l’usura, lo spaccio di droga e la prostituzione. E’ questo in sintesi il pensiero di Nicola Schiavone sentito stamattina nel corso del processo che vede alla sbarra Ferdinando Graziano, Gabriele e Luigi Brusciano, Nicola Pezone, Gennaro Sfoco ed Onesto Iommelli, tutti accusati a vario titolo di usura.
Schiavone ha raccontato ai giudici come gli usurai erano particolarmente radicati ad Aversa dove formavano “una combriccola”. “Si conoscevano e si facevano favori tra di loro”, ha detto il figlio di Sandokan. Un’attività “disdicevole” ma comunque tollerata in quanto “ad Aversa è un’attività vecchia non potevamo farli estinguere”.
Il clan dei Casalesi in qualche circostanza è intervenuto con “i soldi prestati agli usurai ma ad Aversa e Santa Maria Capua Vetere, non nei nostri Comuni” ma anche per fare mediazione tra gli usurai e le vittime. “Prendevamo le parti delle vittime – ha proseguito Schiavone – Intervenivamo per far estinguere i debiti facendo da mediatori con gli usurai. Gli usurai ci temevano ed noi ne traevamo giovamento in quanto acquisivamo consenso sociale che poi ci tornava utile per il controllo del voto”.
A volte, però, capitava che “le vittime preferivano tenersi buoni gli usurai anche per ricevere altri soldi. Se ci facevano intervenire poi nessuno glieli avrebbe più prestati. Era una cosa simile alla black list della Banca d’Italia”, ha commentato Schiavone.
Tra le persone che prestavano soldi a strozzo c’erano i Brusciano, in particolare “un loro cugino Giulio che era titolare di un negozio di autoricambi ad Aversa vicino alla Villa Comunale”. Oltre a lui c’era Gennaro Sfoco “che abita vicino al mercato ortofrutticolo di Aversa. Prestava soldi con interessi e qualche volta sono intervenuto per fare da mediatore con qualche vittima” ed anche Onesto Iommelli “che aveva una vetreria”.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

E’ ufficialmente indagata per favoreggiamento la compagna del boss Marco Di Lauro

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Si faceva chiamare Annamaria e si mostrava gentile e affabile con le vicine e i commercianti del quartiere. Ma il suo compagno era Marco Di Lauro, il boss ricercato da 14 anni e arrestato sabato in una casa di via Emilio Scaglione tra Chiaiano e Marianella alla periferia a Nord Napoli. Cira Marino, 26 anni, come anticipato due giorni fa dal nostro sito, ora è ufficialmente indagata per favoreggiamento personale aggravato dall’articolo 7 per aver favorito la latitanza del suo compagno e boss Marco Di Lauro. Tra i due non c’è alcun legame scritto e quindi per la legge sono due estranei. Prima di uscire dall’appartamento dove era stata immortalata in una vestaglia rosa accanto a Marco Di Lauro, sabato pomeriggio ha voluto chiedere scusa per aver mentito, a dimostrazione del fatto che era in quella casa da molto tempo, forse un anno. Per non destare sospetti, la giovane donna, faceva anche la domestica a ore e la badante nelle case della zona. Ha legami con la famiglia Tamarisco, i famosi “Nardiello” di Torre Annunziata grandi narcotrafficanti internazionali. L’attività investigativa, intanto, prosegue: si sta cercando Distringere il cerchio intorno ai fiancheggiatori, tra i quali figura anche Salvatore Tamburrino, arrestato, anche lui, sabato scorso, poco prima di Di Lauro, per avere ucciso la moglie. Si sta cercando di appurare la disponibilità finanziaria del boss e anche Di scoprire di più sui covi. L’abitazione di Chiaiano, che dista pochi chilometri dalla “sua” Secondigliano, apparterrebbe a una coppia della cosiddetta “Napoli Bene”.  L’arresto di colui che le forze dell’ordine identificano con il nome in codice F4 (così chiamato dalle forze dell’ordine in quanto quarto figlio del capoclan Paolo, “Ciruzzo ‘o milionario”, ndr) è stato frutto di un lavoro delicato e sinergico di inquirenti antimafia e forze dell’ordine e della complessa tracciatura di una rete di relazioni e connivenze. Mesi fa l’alacre lavoro degli investigatori sul famigerato clan che ha trasformato Secondigliano nella piazza di spaccio più grande di Europa e poi nel teatro Di feroci scontri armati contro gli scissionisti, si è tradotto in una richiesta al gip di decine e decine di arresti sulla quale è pero’ calato il veto. I giudici sollevarono delle perplessità sulle tesi degli inquirenti e quel lavoro rimase lettera morta. Con il senno di poi, però, se quegli arresti finalizzati anche a isolare il boss latitante fossero andati in porto, molto probabilmente la rete che sosteneva la latitanza Di Di Lauro si sarebbe sfilacciata e, verosimilmente, sabato scorso, le forze dell’ordine non avrebbero potuto mettere fine a una latitanza durata 14 anni. In poco meno di un mese la Procura di Napoli ha assicurato alla giustizia il numero due della lista dei latitanti più ricercati in Campania, e cioé Ciro Rinaldi, e il numero uno di quella stessa lista, Marco Di Lauro.

Cronache della Campania@2018

ESCLUSIVA. Si è pentito Genny a’ carogna

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Sì è pentito Gennaro De Tommaso detto a’ Carogna. È stato portato nel carcere romano di Rebibbia nel reparto Alta sicurezza mentre la compagna è già stata portata in località protetta. La notizia è di quelle destinate a creare un enorme clamore per il carisma del personaggio conosciuto in tutto il mondo per il famoso dialogo con l’ex capitano del napoli, Marek Hamsik durante la finale a Roma di Coppa Italia del 3 maggio 2014, quando poco prima del match tra Napoli e Fiorentina morì il tifoso partenopeo Ciro Esposito. La notizia del suo pentimento si è diffusa in giornata a Napoli e ora sono in molti a tremare visto i rapporti che ha avuto fino a quando è stato libero nel luglio del 2017. Insieme con suo zio gaetano e al suo braccio destro Giovanni Orabona ha gestito per anni un colossale traffico di droga che arriva in Campania attraverso l’Olanda. Nell’estate scorsa durante un servizio ispettivo nella sua cella nel carcere di Poggioreale furono ritrovati ben sei telefonini tra cui un Iphone di nuova generazione. Genny a’ carogna fu posto in isolamento ed è probabile che il regione di isolamento lo abbia indotto alla decisione di passare dalla parte dello Stato. E’ stato condannato a 18 anni di carcere nel novembre nel processo per traffico internazionale di droga che si è svolto con rito abbreviato. Intercettato durante la fase dell’indagine che portò al suo arresto nel luglio del 2017 insieme con altre 16 persone, diceva ai suoi collaboratori di voler coltivare la marijuana direttamente per tagliare i costi dei passaggi di mano, dei viaggi e dell’importazione. Ora con il suo pentimento Genny a’ carogna dovrà svelare ai magistrati della Dda molti dei segreti del traffico di droga a Napoli.

Rosaria Federico

@riproduzione riservata

 

(nella foto Genny ‘a carogna)

Cronache della Campania@2018

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