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Channel: Cronaca Giudiziaria
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L’assassino di Mariarca chiede un altro sconto di pena: ‘Troppi 20 anni’

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“Ma quale appello, direttamente la pena di morte, ci vorrebbe”. A parlare è Assunta Mennella, sorella Mariarca Mennella, la donna uccisa dall’ex marito, Antonio Ascione il 23 luglio 2017, a Musile di Piave, in provincia di Venezia. La donna commenta il ricorso in appello alla condanna a venti anni presentato dall’avvocato Giorgio Petramelara, legale dell’ex marito di Mariarca, il pizzaiolo di Torre del Greco, Antonio Ascione (anche Mariraca era di origini coralline), condannato lo scorso 4 ottobre dal Tribunale di Venezia per l’omicidio della 38enne. Ad Assunta sono stati affidati i figli di Mariarca e Antonio. L’avvocato di parte civile Alberto Berardi, che assiste i familiari della vittima con Studio 3A é fiducioso per l’appello: “Era prevedibile che il legale di Ascione impugnasse la sentenza di primo grado e d’altra parte e’ un diritto dell’imputato: ne prendo atto – commenta il legale – Premesso questo, confido assolutamente che la pena venga confermata integralmente e con fondate regioni”. Per l’avvocato di Ascione sono troppi 20 anni di carcere: Puntiamo sulle attenuanti generiche e continuiamo a sostenere che fu un raptus. Il giudice già non ha riconosciuto la premeditazione e i futili motivi”, ha spiegato l’avvocato Pietramelara. Domenica sera su Rai 3 la storia di Mariarca Mennella sarà raccontata dalla trasmissione ‘Amore criminale’, condotta da Veronica Pivetti.

Cronache della Campania@2018


Napoli, sequestro beni per 400mila euro a un ras di Secondigliano

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Nell’ambito di complessa attività d’indagine di natura patrimoniale, tesa all’aggressione dei patrimoni di mafia, gli agenti della Polizia di Stato della Sezione Misure di Prevenzione Patrimoniali della Divisione Anticrimine della Questura partenopea hanno dato esecuzione al decreto di sequestro beni emesso dal Tribunale di Napoli—Sezione Misure di Prevenzione- ai sensi della normativa antimafia, nei confronti di: Antonio MAGNETTI nato a Napoli il 13.06.1964.L’uomo, attualmente detenuto in carcere, è persona di elevatissima pericolosità sociale, qualificata dalla strumentalizzazione della forza intimidatrice derivante dal vincolo di appartenenza (con importanti funzioni nel settore della vendita di sostanze stupefacenti) alla sanguinosa organizzazione camorristica denominata “clan DI LAURO” la cui violentissima contrapposizione armata con altri sodalizi per la gestione delle attività criminali ha insanguinato per anni la vasta area territoriale comprendente i quartieri cittadini di Scampia e Secondigliano, e i limitrofi comuni di Arzano, Casavatore, Melito e Mugnano.

L’uomo è destinatario di vari provvedimenti dell’A.G., tra cui un provvedimento di cumulo pene che lo condanna alla pena complessiva di anni16, mesi7, giorni6 di reclusione emesso in data 09.12.2015 dalla Procura Generale della Repubblica di Napoli, per i reati di associazione di tipo mafiosa, spaccio di sostanze stupefacenti, danneggiamento, evasione dalla misura degli arresti domiciliari, resistenza e violenza a P.U.. Il decreto di sequestro del Tribunale di Napoli, emesso in accoglimento di un’articolata proposta del Questore pro tempore, formulata a seguito di complessa e prolungata attività investigativa svolta dalla Sezione Misure di Prevenzione Patrimoniali, ha disposto il sequestro dei seguenti beni mobili e immobili, intestati all’uomo e/o ai di lui congiunti, poiché beni costituenti il reimpiego dei proventi delle rilevanti attività illecite poste in essere dal 54enne.

– Due appartamenti ubicati alla Via Vanella Grassi (quartiere Secondigliano).

– Un appartamento ubicato alla via Dante, Vicoletto Grassi (quartiere Secondigliano).

– Un’autovettura di recentissima costruzione marca FIAT tipo “500X”.

Il valore globale dei beni sottoposti a sequestro ammonta a circa quattrocentomila euro.

Cronache della Campania@2018

Dieci anni di carcere per il genero del boss Salvatore Belforte

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Marcianise. Dieci anni di carcere per il genero di Salvatore Belforte. È stato condannato a 10 anni di reclusione Giuseppe Alberico, genero del boss Salvatore Belforte. La sentenza è stata pronunciata ieri pomeriggio dal giudice Giovanni Caparco del tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Accolte, dunque, le richieste del pm della dda Luigi Landolfi. E’ stato dimostrato che Alberico, nonostante la residenza in località protetta a Voghera, dopo il pentimento di Belforte, si recava a Marcianise per estorcere denaro ai titolari di due ditte di onoranze funebri. La minaccia consisteva nel prospettare ai due imprenditori che il boss pentito avrebbe fatto il loro nome.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

L’ex boss della camorra Antonio Pignataro chiede i domiciliari

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Il camorrista, detenuto per scontare diversi reati accumulati nel corso della sua carriera da criminale, ora invoca la scarcerazione per curare un cancro. Antonio Pignataro, 59 anni, è stato condannato a 30 anni di reclusione nel carcere di Opera, a Milano, dove si trova tutt’ora. Pignataro ha commesso una serie di gravi crimini legati alla camorra, tra cui l’assassinio di Simonetta Lamberti.
Il 29 maggio del 1982, il commando di cui Pignataro faceva parte uccise una bambina di soli 11 anni, Simonetta Lamberti. La bambina si trovava in macchina con il padre, Alfonso Lamberti, all’epoca procuratore di Sala Consilina, impegnato nelle indagini contro la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. In realtà, l’obiettivo dei killers era il magistrato, ormai divenuto scomodo, e non la figlia.
Quel tragico giorno, Alfonso Lamberti era in auto con la sua bambina per rientrare nella loro casa di Cava dei Tirreni dopo una gita al mare a Vietri. I camorristi accerchiarono la macchina del magistrato ed esplosero una serie di proiettili ferendo Alfonso Lamberti alla spalla e solo di striscio alla testa, mentre una pallottola colpì gravemente Simonetta alla tempia, provocandone la morte qualche ora dopo.
Alcuni testimoni riuscirono a vedere in volto l’uomo alla guida dell’auto degli assalitori, e grazie a quella testimonianza i carabinieri riuscirono ad arrestare Salvatore di Maio e Carmine Girolamo, in seguito assolti per insufficienza di prove, e Francesca Apicella, condannato invece all’ergastolo. Nel 2011 Antonio Pignataro, perseguitato dai rimorsi di coscienza decise di confessare l’omicidio. Le rivelazioni del pentito portarono alla riapertura del caso. Nel 2014 prese avvio per Pignataro il processo con rito abbreviato. Il Pubblico Ministero della DDA Montemurro chiese per lui 30 anni di reclusione.
Nei giorni scorsi, l’ex boss camorrista ha rivolto ai giudici del Tribunale di Nocera Inferiore la scarcerazione per essere trasferito a casa, in detenzione domiciliare, e curarsi dal cancro.

Francesca Moretti

Cronache della Campania@2018

Camorra, accusato del delitto di Halloween: il Riesame lo scarcera

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“Insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza”: con questa motivazione il Tribunale del Riesame di Napoli (Sezione 12, Collegio D) ha rimesso in libertà Salvatore Attanasio, 41 anni, arrestato dalla Polizia di Stato lo scorso 12 febbraio con l’accusa di essere stato l’autore del raid omicidiario (conosciuto anche come il delitto di Halloween, ndr) che il 31 ottobre 2011, in un circolo delle cosiddette Case Nuove di Napoli, provoco’ la morte di Salvatore Rispoli e il ferimento di altri due avventori. Secondo le risultanze investigative Rispoli venne ucciso per sbaglio da un killer che indossava una maschera e aveva come obiettivo Vincenzo Maggio, padre del collaboratore di giustizia Salvatore. “Il nostro assistito – sottolineano gli avvocati Alessandro Di Palma e Arturo Serao, legali di Attanasio – non è da considerarsi autore di alcun delitto collegato a quei fatti di cronaca”.

Cronache della Campania@2018

Faida di Ercolano: due condanne all’ergastolo e due a 15 anni

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Napoli. Due condanne all’ergastolo, due condanne a 15 anni e anche l’ assoluzione di colui che era ritenuto il cosiddetto “specchiettista”: e’ quanto ha deciso la terza sezione della Corte di Assise di Napoli (presidente Lucia Laposta, giudice a latere Sassone) chiamata ad esprimersi sui presunti responsabili del duplice omicidio di camorra di Lucio Di Giovanni e Antonio De Grazia, commesso il 6 febbraio 2000, a Ercolano, durante la guerra tra clan. Un assassinio commesso a pochi metri da una tenenza dei carabinieri. L’unico assolto è Andrea Sannino, difeso dagli avvocati Gennaro Pecoraro e Andrea Scardamaglio, per il quale il sostituto procuratore Ferrigno aveva chiesto l’ergastolo. A compiere il raid furono, secondo le risultanze investigative, killer dei clan alleati Lo Russo e Birra. Nello stesso contesto si inquadrano altri due omicidi, con altrettante vittime, sui quali i giudici si sono pronunciati. Si tratta di quello di Giuliano Cioffi (cognato del boss Raffaele Ascione dell’omonimo clan). Per questo omicidio era stato accusato, iniziamente in qualità di esecutore materale Pasquale Genovese (difeso dall’avvocato Gaetano Napolitano), nipote del boss Costantino Iacomino, che invece è stato assolto. In sede di Riesame emerse che Genovese, quando Cioffi veniva ucciso (l’8 settembre del 2001) era detenuto nel carcere di Pescara. Era stato infatti arrestato due giorni prima dopo un periodo di latitanza. Nel corso del dibattimento è emersa l’inattendibilità dei collaboratori di giustizia anche riguardo le ipotesi accusatore che indicavano Genovese come l’armiere e l’organizzatore del raid. Il pm, infatti, ne aveva chiesto l’assoluzione. La Corte di Assise, infine, si è anche pronunciata sull’omicidio di Giuseppe Borrelli (affilato al clan Ascione) assassinato il 30 agosto del 1997, per il quale e’ stato dichiarato colpevole Franco Sannino. Altre persone ritenuti elementi di spicco della camorra di Ercolano e di Miano sono stati già condannati con il rito abbreviato, nel 2016.

Cronache della Campania@2018

Napoli, processo ‘Cella zero’: un teste conferma le accuse

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Napoli. E’ entrato nel vivo il processo ‘cella zero’ sulle presunte violenze avvenute e danno di reclusi nel carcere di Poggioreale. Stamane è stato ascoltato uno dei testi dell’accusa che ha confermato la versione già fornita in fase di indagini parlando delle violenze subite in carcere nella famosa ‘cella zero’ del piano terra del penitenziario di Poggioreale. Il processo è stato aggiornato al 14 marzo. Contemporaneamente familiari dei detenuti ed attivisti hanno attuato un presidio all’esterno do tribunale di Napoli. I promotori, dell’associazione “Parenti e amici dei detenuti a Poggioreale, Pozzuoli e Secondigliano” e ” Ex detenuti organizzati napoletani”, hanno aperto degli striscioni di protesta in piazza Cenni, lo slargo antistante il Palazzo di Giustizia visibile anche dalle celle del carcere di Poggioreale. “Siamo qui – ha spiegato uno degli organizzatori del sit-in – per ricordare ai detenuti che non sono soli e che quello che succede nel carcere, grazie alla forza di molti che si sono uniti e hanno deciso di non abbassare la testa, è venuto fuori”. Tra i manifestanti anche i parenti di Claudio Volpe il detenuto morto lo scorso gennaio a Poggioreale a causa, denunciano, di mancanza di cure adeguate. “In carcere – hanno spiegato gli organizzatori – si muore per malasanita’ e assenza di cure. Per non parlare dei suicidi: solo l’anno scorso 67 detenuti si sono tolti la vita. Poggioreale e’ sinonimo di sovraffollamento dove e’ di norma l’ abuso di psicofarmaci e le violenze da parte dei secondini puntualmente taciuti. Vogliamo dire basta a tutto questo. Uniamo la voce dei detenuti con quella di chi è fuori per portare conoscenza di tutti cio’ che accade tra le mura di Poggioreale”.

Cronache della Campania@2018

Omicidi Cepparulo e Colonna, il boss Ciro Rinaldi e sei complici chiedono lo sconto di pena

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Napoli. Stamane prima apparizione, in videoconferenza, per il boss Ciro Rinaldi, arrestato il 17 febbraio scorso, al processo per il duplice omicidio del ras della Sanità Raffaele Cepparulo e della vittima innocente Ciro Colonna, avvenuto a Ponticelli il 7 giugno del 2016. Rinaldi è alla sbarra insieme a sei complici e stamane il boss e gli altri imputati hanno formalizzato la richiesta di rito abbreviato dinanzi al Gip Romano del Tribunale di Napoli. L’udienza si è aperta con la costituzione delle parti civili, tra le quali i genitori e la sorella di Ciro, il Comune di Napoli, e alcune associazioni. La requisitoria si terrà ad inizio maggio e sarà affidata al pm antimafia Antonella Fratello, che ha coordinato l’inchiesta. Gli imputati hanno partecipato all’udienza in video-conferenza malgrado nessuno sia al 41bis. Secondo gli inquirenti Rinaldi decise di far uccidere Cepparulo dopo avere saputo che era sua intenzione eliminarlo per fare un favore al clan Mazzarella. Il raid scattò in un circolo del Lotto “O” dove, per errore, venne però ammazzato Ciro Colonna, 19 anni, che era in compagnia di alcuni amici.

Cronache della Campania@2018


Manca il ‘traduttore’ per il dialetto casertano, processo a Belluno fermo da tre mesi

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Caserta. Una storia che ha dell’incredibile quella che sta andando avanti da troppe settimane al Tribunale collegiale di Belluno dove si sta celebrando il processo per maltrattamenti e violenza sessuale alla compagna a carico di A.C., 37 di Caserta. Il processo è bloccato perché non si trova nessuno capace di tradurre il dialetto casertano. Il precedente interprete, un salernitano, si è arreso davanti a 26 ore di registrazioni da trascrivere. Buona parte di esse condite da insulti, frasi idiomatiche e parolacce.
Dopo l’alzata di bandiera bianca del corregionale, il processo è stato fermo tre mesi, ma pare che ci sia una nuova speranza. Al comando dei carabinieri di Belluno è arrivato un appuntato di Caserta. L’uomo, appena arrivato nella città veneta, è stato prelevato e immediatamente portato davanti ai giudici, davanti ai quali ha giurato e entro 90 giorni avrà l’arduo compito di ‘tradurre’ le registrazioni.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Condanna in primo grado a ex presidente Cpl per la metanizzazione di Ischia

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La sentenza di primo grado é arrivata dopo 39 udienze ed é stata pronunciata questo pomeriggio in tribunale a Modena per il processo sulla corruzione nell’ambito della metanizzazione dell’isola di Ischia, che ha visto coinvolti gli ex vertici del colosso cooperativo modenese Cpl Concordia. Le indagini, coordinate dai pm Marco Niccolini e Pasquale Mazzei, avevano ipotizzato un’associazione a delinquere, ipotesi caduta, e anche altri reati di natura fiscale. Quattro anni e due mesi all’ex presidente Roberto Casari, un anno e quattro mesi a Massimo Ferrandino, un anno e due mesi all’ex dirigente Nicola Verrini, due anni all’ex consulente Francesco Simone, un anno e due mesi a Maurizio Rinaldi, altro ex dirigente.

Cronache della Campania@2018

La ‘ndrangheta, Casalesi e Mafia all’ombra dei lavori per Expo

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Rapporti con i Casalesi nel cui nome operava nel Veneto imponendo il pizzo, truffe ed usura ma anche rapporti con la mafia siciliana e la ndrangheta. Luciano Donadio, il 43enne ritenuto a capo della costola lagunare del clan di Casal di Principe, riusciva a mettere d’accordo tutti per il suo essere disponibile o, come lui stesso ammette in una conversazione con una donna, essere “amico degli amici”.
Proprio quella conversazione, intercettata dagli inquirenti, assume un rilievo investigativo molto importante per delineare il profilo criminale trasversale di Donadio che racconta prima la presa del potere in Veneto a scapito dei gruppi locali.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Il ciclone Cirio si abbatte su politici e imprenditori: 17 indagati. TUTTI I NOMI

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Il gip Mariaconcetta Criscuolo ha firmato la proroga delle indagini per 17 persone tra parlamentari, politici regionali e locali, imprenditori e professionisti per il mega affare della riconversione dell’ex area Cirio di Castellammare. Sono tutti accusati di corruzione, abuso d’ufficio e traffico di influenze illecite. Si tratta di uno stralcio dell’inchiesta madre “Olimpo” che tiene in carcere da tre mesi l’imprenditore Adolfo Greco “il padre -padrone” di politica e imprenditoria di Castellammare e dintorni e una ventina di camorristi dei 4 clan della zona. L’inchiesta coordinata dai sostituti procuratori Andreana Ambrosino e Rosa Annunziata, vede iscritti nel registro degli indagati oltre ad Adolfo Greco anche i due parlamentari di Forza Italia Luigi Cesaro e Antonio Pentangelo, il consigliere regionale e capogruppo del Pd, Mario Casillo; il suo referente su Castellammare, Gennaro Iovino, dirigente cittadino del Pd e padre del consigliere Francesco; e poi Luigi Greco, figlio di Adolfo ed ex consigliere comunale stabiese; Angelina Annita Rega, moglie di Greco e mamma di Luigi; l’architetto Mario Biondi, commissario ad acta nominato dalla Provincia per esaminare l’istanza della PolGre e accelerare l’iter; Antonio Elefante, ingegnere di origini stabiesi che ha curato il progetto da anni impegnato in penisola sorrentina; l’imprenditore edile Giuseppe Passarelli, che avrebbe curato i lavori per la realizzazione del complesso; il commercialista originario dell’Avellinese, Pierpaolo Limone, che figurava come amministratore della PolGre; l’imprenditore Giovanni Lombardi, socio in affari con Greco in numerosi business anche fuori dalla Campania di recente al centro dell’attenzione per la chiusura del quotidiano salernitano La Città, che è stato per due anni socio di riferimento del quotidiano Metropolis, il giornale che ha la sede presso una proprietà di Greco; Sabato Polese, fratello di Tobia Antonio, il defunto “boss delle cerimonie” del ‘Castello’ La Sonrisa di Sant’Antonio Abate; Vincenzo Campitiello, Francesco Cesaro, Marcello Ciofalo e Vincenzo Colavecchia.

Cronache della Campania@2018

Accoltella l’amante della moglie e poi lo investe, giudizio immediato per un 41enne

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Disposto il giudizio immediato presso il Tribunale di Napoli Nord per Giovanni N., imputato per il tentato omicidio dell’amante della moglie. Il 41enne originario di Aversa ma residente a Villa Literno, attualmente detenuto presso la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere, nell’ottobre del 2018 investì con la sua auto P.S. nei pressi di un noto locale del centro di Villa Literno, e mentre il malcapitato riversava a terra, lo colpì allo stomaco con un coltello di circa 25 cm che rimase conficcato nello stomaco della vittima perché si ruppe nell’infliggere il fendente. Ora davanti al gip dovrà rispondere di tentato omicidio, lesioni personali, detenzione abusiva d’arma, nonché condotte reiterate di molestie, pedinamenti, appostamenti, aggressioni ai danni di P.S.

Cronache della Campania@2018

Boscoreale, accusato di aver estorto per anni i soldi ai suoi familiari: assolto e scarcerato

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Boscoreale – Colpo di scena al processo che vedeva imputato Aquino Pasquale, cinquantenne boschese, arrestato a Maggio 2018 dai carabinieri di Torre Annunziata perché, ubriaco, aveva aggredito violentemente e fisicamente i suoi familiari, estorcendogli i soldi della pensione di invalidità. Secondo la Procura, il padre, la compagna di quest’ultimo ed il fratello, soggetti con gravi deficit motori e cognitivi avevano subito, per anni, molestie e vessazioni. All’Aquino veniva contestata estorsione aggravata e continuata, consumata nel triennio 2015-2018. Un’accusa infamante ovvero quella di estorcere €20/50 al giorno per soddisfare la sua dipendenza dall’alcool. Secondo la Procura, il 20 maggio l’Aquino Pasquale si era recato presso l’abitazione del padre, distante a pochi metri, col chiaro intento di estorcere la pensione all’anziano padre e soprattutto chiedendo che gli fosse data tutta la pensione del fratello invalido. Al rifiuto della anziana vittima, l’Aquino avrebbe colpito con schiaffi e pugni prima il padre e poi si sarebbe scaraventato contro la compagna di quest’ultimo e del fratello. La procura aveva chiesto il giudizio immediato perché la prova della colpevolezza risultava evidente. La difesa dell’imputato rappresentata dagli avvocati Gennaro De Gennaro e Roberto Concilio, sfidando quelle prove che risultavano evidenti ovvero la querela di tre persone offese, dei referti medici che attestavano trenta giorni di prognosi per ciascuna delle vittime oltre all’osservazione dei carabinieri aveva optato per il giudizio ordinario. Nel dibattimento gli avvocati dell’imputato hanno neutralizzato gran parte delle accuse e prodotto un CD con delle registrazioni intervenute tra una delle persone offese ed i figli dell’imputato che confermava che non corrispondeva a verità che l’imputato aveva estorto soldi al padre. Né che lo stesso aveva maltrattato i suoi familiari. Le persone offese sotto l’incalzare della difesa sono cadute in evidenti contraddizioni fino a rimangiarsi quanto dichiarato ai carabinieri. L’Aquino era detenuto dal Maggio 2018 mandato in carcere dal Gip in quanto ritenuto un soggetto pericolosissimo che aveva una biografia penale macchiata da un omicidio che lo aveva visto scontare una condanna di 10 anni. Mandato in carcere per nove mesi per un reato dal quale è stato assolto.Nel processo svoltosi dinanzi al tribunale collegiale di Torre Annunziata, venivano contestate accuse gravissime ed il pubblico ministero,nella giornata di ieri, ha chiesto una condanna “pesante” di 6 anni e 6 mesi. Severità proporzionata alla gravità dei fatti.
I giudici, accogliendo le prospettazioni difensive hanno assolto l’Aquino Pasquale dai reati di estorsione, stalking, maltrattamenti in famiglia e lesioni nei confronti di una delle vittime, condannando l’imputato soltanto ad un anno e sei mesi per le lesioni gravi procurate ai danni del padre e della compagna di quest’ultimo.
Cadute le gravissime accuse per l’intervenuta assoluzione dalle estorsione e dalla persecuzione e residuando solo la condanna per le minime lesioni, l’Aquino è stato immediatamente scarcerato.

Cronache della Campania@2018

Concussione: definitiva la condanna per Marta Santoro, l’ex comandante della Forestale di Foce Sele. Sconterà sei anni e 6 mesi

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Salerno. Chiedeva soldi a commercianti e imprenditori per ‘chiudere un occhio sugli abusi’: è definitiva la sentenza per Marta Santoro, l’ex comandante della Forestale di Foce Sale, finita nel mirino della magistratura per concussione e condannata in appello. I giudici della Corte di Cassazione hanno confermato la sentenza di condanna a sei anni e sei mesi per 13 episodi di concussione. In primo grado, al termine del rito abbreviato celebrato davanti al gup Donatella Mancini, per quattro capi d’imputazione fu assolta e condannata ad otto anni e quattro mesi per gli altri tredici, condanna che venne ridotta lo scorso anno in appello e ora resa definitiva dalla sentenza della Suprema Corte nella tarda serata di mercoledì.
Coinvolto, nell’inchiesta del 2012, anche il marito Antonio Petillo, sovrintendente anch’egli della Forestale il cui processo ordinario è ancora in corso al tribunale di Salerno. Per lui un unico capo d’imputazione.
Secondo le accuse formulate dal pm Maurizio Cardea, i coniugi erano a capo di un sistema che avrebbe fruttato almeno centomila euro, ricostruito dalle denunce di alcuni imprenditori stanchi di sottostare alle richieste di denaro che andavano dai tremila e i diecimila euro per poter continuare nella loro attività e far sì che l’ex sottufficiale condannata chiudesse un occhio durante i controlli presso le aziende. In alcuni casi, sempre secondo le accuse, sarebbero avvenuti prima i sequestri e poi la trattativa con gli imprenditori consentendo loro di continuare l’attività solo dietro pagamento di una somma di denaro. Laa sovrintendente Santoro si era fatta fama da ‘dura’ nell’ambito del contrasto all’abusivismo edilizio negli stabilimenti balneari, alberghi, campeggi e palestre aveva effettuato numerosi i sequestri anche a complessi residenziali, aziende bufaline e alimentari. Un vero e proprio terrore per gli imprenditori della zona ma le iniziative, secondo la procura, erano pilotate. Circa tre anni è durata l’attività illecita dell’ex comandante che in cambio di danaro o benefici era disposta a non procedere ai sequestri, omettendo i controlli, o dare la possibilità di riottenere i beni sottoposti a sequestro.

Cronache della Campania@2018


Sesso soldi in cambio di permessi a costruire: sei indagati nel casertano

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Chiuse le indagini nell’ambito dell’inchiesta che vede coinvolto personale del comune di Castel Volturno, nel casertano. Sono stati notificati quest’oggi gli avvisi di conclusione indagine per i dipendenti del Comune di Castel Volturno tra cui il dirigente dell’Ufficio tecnico Carmine Noviello, 59 anni, e Luigi Cassandra, 58enne comandante della polizia municipale, accusati di far parte di un diffuso sistema di corruzione andato avanti per anni con al centro proprio l’ufficio tecnico del comune casertano. Tra gli indagati destinatari dell’avviso per i quali la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere si appresta a chiedere il rinvio a giudizio, figurano anche Rosario Trapanese, napoletano di 50 anni, dirigente dell’Italian Maritime Academy Technologies di Castel Volturno, il dipendente dell’Ufficio tecnico comunale Antonio Di Bona, 53 anni, il 62enne tecnico comunale Giuseppe Russo, Francesco Morrone, 62enne maresciallo della locale polizia municipale, e Giuseppe Verazzo , 50enne geometra privato. Per l’accusa, l’ufficio comunale sarebbe stato usato come alcova per prestazioni sessuali, costituenti “contropartite” per il rilascio di autorizzazioni amministrative e permessi a costruire; in particolare Noviello e Di Bona, finiti in carcere l’11 gennaio scorso, avrebbero ottenuto negli anni, in modo sistematico, soldi e favori per rilasciare atti e permessi. I carabinieri del Reparto Territoriale di Mondragone hanno intercettato i due in ufficio, scoprendo che in qualche circostanza, Di Bona in particolare, si e’ fatto pagare “in natura”, anche in Comune, da persone che chiedevano il suo intervento per vicende edilizie. Per alimentare il sistema, Noviello e Di Bona si sarebbero serviti del professionista privato, in passato consulente dell’Utc, Giuseppe Verazzo, anch’egli finito in cella. Complici di Noviello anche i vigili urbani Luigi Cassandra e Francesco Morrone, condotti ai domiciliari a gennaio con il tecnico comunale Giuseppe Russo. I due caschi bianchi avrebbero omesso di procedere ai sequestri quando emergevano illegittimità edilizie, inviando false comunicazioni all’autorità giudiziaria; non rispondono però di corruzione, ma solo di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico.

Cronache della Campania@2018

Vigilante morto dopo l’aggressione: il 18enne di Pianura condannato a due anni, pena sospesa

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E’ stato condannato a 2 anni per aggressione dolosa (pena sospesa), il 18 enne di Pianura, Giorgio Landolfi che lo scorso 8 maggio, al culmine di una lite, aggredì un vigilante che stava tornando a casa dopo il servizio su un treno della Circumflegrea, a Napoli. La vittima, Gennaro Schiano, 64 anni, originario di Quarto, dopo l’aggressione, fu medicato in ospedale e dimesso con una prognosi di pochi giorni ma successivamente ebbe gravi complicazioni che, secondo la famiglia, ne causarono la morte, sopraggiunta dopo quattro mesi. La lite, determinata da una banalità, scoppiò sul treno ma proseguì anche quando i due scesero e fu ripresa dalle telecamere di sorveglianza della stazione “La Trencia”. Schiano avrebbe rimproverato il ragazzo che teneva i piedi sui sediolini. La figlia dell’uomo, Lina, dopo avere appresa la sentenza, ha giudicato inaccettabile la decisione del giudice, basatasi anche sulla relazione di un consulente secondo la quale la causa del decesso non era riconducibile a quell’evento. Tesi mai accettata dai famigliari di Schiano secondo i quali al ragazzo si sarebbe dovuto contestare l’omicidio preterintenzionale (chiesto dal pm). Il giovane praticava il kick boxing e proprio grazie alla disciplina sportiva i suoi colpi erano più violenti. Ora si attendono le motivazioni della sentenza per presentare appello.

Cronache della Campania@2018

Fidanzati uccisi, confermato l’ergastolo per il militare napoletano Giosuè Ruotolo

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La Corte d’Assise di Appello di Trieste ha confermato la condanna di primo grado all’ergastolo per Giosue’ Ruotolo, l’ex militare di Somma Vesuviana accusato del duplice omicidio della coppia di fidanzati, Teresa Costanza e Trifone Ragone, uccisi a colpi di pistola sparati da distanza ravvicinata la sera del 17 marzo 2015 nel parcheggio del palazzetto dello sport di Pordenone. La sentenza di primo grado era stata emessa dalla Corte d’assise di Udine l’8 novembre 2017. Subito dopo la lettura del verdetto la madre dell’imputato ha urlato piu’ volte lasciando l’aula e poi anche nel corridoio del Tribunale, “Questa non e’ giustizia, questa non e’ giustizia”. Giosue’ Ruotolo, invece, ha seguito la lettura della condanna facendo cenno di no con la testa, mantenendo uno sguardo basso. Provata anche la difesa di Ruotolo: l’avvocato Roberto Rigoni Stern ha annunciato ricorso in Cassazione, ma forte e’ la delusione: “Noi ci avevamo creduto, convinti che fossero molto importanti gli argomenti che abbiamo portato: nessuna prova scientifica, nessuna certezza sulla presenza sulla scena del delitto dell’imputato, l’assenza di un movente: elementi fondamentali”, ha concluso. Addolorati, per ragioni diverse, anche i genitori di una delle vittime, Teresa Costanza: “Siamo contenti perche’ l’assassino va dietro le sbarre ma non abbiamo piu’ Teresa e questa e’ la cosa piu’ brutta che c’e'”, ha detto il padre, Rosario Costanza. Gli ha fatto eco la moglie: “Credo si appelleranno e siamo pronti a combattere anche la’. I ragazzi hanno avuto giustizia “rimanga in carcere senza sconti di pena”. La sentenza e’ stata emessa dopo circa otto ore di Camera di Consiglio. La giuria, presieduta da Igor Maria Rifiorati, ritiratasi alle 12:30, aveva in precedenza ascoltato le repliche della difesa, affidate a uno dei legali di Ruotolo, Giuseppe Esposito, e le dichiarazioni spontanee dell’imputato, che aveva ribadito ancora una volta la sua estraneita’ agli omicidi. “Tra me e Trifone c’era un rapporto cordiale. Sono stato condannato all’ergastolo, ma di mio in questo processo non c’e’ nulla, come confermato anche dai Ris di Parma. Non ho mai litigato ne’ verbalmente ne’ fisicamente con Trifone e in questo senso sono le testimonianze dei commilitoni”, ha detto. Trifone Ragone, militare, originario di Adelfia (Bari), 28 anni, e Teresa Costanza, 30 anni, assicuratrice milanese di origini siciliane, furono uccisi nel parcheggio del Palazzetto dello Sport di Pordenone. In primo grado il pm Pier Umberto Vallerin aveva sottolineato che Ruotolo, unico imputato, aveva “commesso gli omicidi per salvare la sua carriera” e che “l’odio verso Trifone e la gelosia verso Teresa lo avevano assalito gia’ da tempo. Togliendoli di mezzo sparivano due rivali, due minacce viventi, due persone verso cui covava odio gia’ da tempo”. Il processo d’appello era cominciato con la richiesta della difesa della rinnovazione dell’istruttoria, per superare “le contraddizioni” del primo grado, chiedendo “una perizia tecnica” che verificasse la presenza di Ruotolo sul luogo del delitto. Richiesta rigettata dalla Corte.

Cronache della Campania@2018

Omicidio a Rozzano, il fratello del boss Spavone resta in carcere: premeditato il delitto del suocero

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Milano. E’ stato un omicidio premeditato per uccidere l’ex suocero, indagato per avere violentato la figlia di otto anni. Il Gip Elisabetta Meyer convalida il fermo di Emanuele Spavone, il 35enne, che lunedì scorso ha ucciso l’ex suocere Antonio Crisanti, originario di Secondigliano e attirato in una trappola a Rozzano nel milanese. Il Gip ha convalidato il fermo di Emanuele Spavone, fratello del boss Ciro, e killer reo confesso, padre della piccola e ex genero della vittima, e del complice Achille Mauriello che era alla guida dello scooter. Il gip ha emesso l’ordinanza di custodia in carcere per omicidio aggravato dalla premeditazione, come chiesto dal pm Monia Di Marco e dall’aggiunto Letizia Mannella.
Il padre della bambina, 35 anni e con precedenti penali, sia nell’interrogatorio davanti al pm e ai carabinieri che ha portato al fermo tre giorni fa, sia in quello di ieri davanti allo stesso gip, aveva cercato di negare che si trattasse di un delitto programmato e anche di liberare dalle responsabilità il suo amico di 27 anni, Achille Mauriello, sostenendo che non fosse a conoscenza di quello che lui, poi, avrebbe fatto in quel parchetto vicino ad un supermercato. Spavone, pur confessando l’omicidio, difeso dal legale Lucio Antonio Abbondanza, aveva parlato, infatti, di una reazione “istintiva”, d’impeto e di “vendetta”, causata da un “blackout mentale” e non di un’azione gia’ decisa e preordinata. Il giudice, invece, così come richiesto dalla Procura, ha confermato l’aggravante della premeditazione per entrambi i fermati, un aggravante che nel futuro processo potrebbe costare agli imputati l’ergastolo. Soltanto due ore prima del delitto, tra l’altro, nel Palazzo di Giustizia di Milano si era concluso un incidente probatorio nel quale la bimba di 8 anni aveva parlato degli abusi che avrebbe subito dal nonno.

Cronache della Campania@2018

Vendevano droga a credito davanti alle scuole di Salerno: chieste sei condanne

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Spacciavano hashish e mari­juana dinanzi ad alcuni isti­tuti scolastici del centro cittadino a Salerno. Chieste sei con­danne. Il pubblico ministero Giancarlo Russo, al termine della requisitoria ha chiesto un anno e sei mesi per Mas­simo Coletta, 2 anni per Giu­seppe Picariello, 2 anni e sei mesi per Bruno Benincasa, un anno e sei mesi per Giuseppe Cosimo De Caro (alias Chicco Maresca), 1 anno per Ciro Petrosino e per Luigi Rubino. Gli imputati facevano parte di un gruppo  sgominato nel gennaio 2014 con l’esecuzione di 18 misure cautelari che, dalle palazzine popolari di via Iannicelli, spacciava droghe leggere davanti al liceo classico Tasso e agli scientifici Da Procida e Da Vinci, con una frequenza che in alcuni periodi aveva assunto cadenza giornaliera. L’operazione consentì di met­tere la parola fine ad un giro di cessione di hashish o mari­juana che aveva al Carmine il suo quartier generale. Ruolo apicale nell’ambito del gruppo spettava a Ciro Picariello che, già noto alle cronache giudiziarie per la rissa all’interno del bar Velia, fu indicato dagli inquirenti come il fornitore principale e promotore di tutta una rete di spacciatori minorenni. ai quali smistava la droga con la vendita a credito.La prossima udienza è previ­sta per il 29 marzo.
In quella data è prevista anche la sentenza. Insieme a questi sei, nei guai finirono anche altre persone che in sede di udienza preliminare decisero di scegliere il rito al­ternativo.
Infatti, furono giudicati con il rito dell’abbreviato.

Cronache della Campania@2018

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