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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Ospitò latitanti del clan Polverino: condannato l’imprenditore Viglietta

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L’imprenditore Angelo Viglietta è stato condannato a cinque anni e quattro mesi di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. L’uomo è ritenuto responsabile di aver fornito supporto logistico e appartamenti a tre esponenti del clan Polverino durante la loro latitanza. L’insospettabile imprenditore edile coprì la latitanza di Carlo Nappi, Giuseppe Simioli e Giuseppe Ruggiero ritenute figure apicali nel clan egemone tra Marano e Quarto. I tre turno arrestati tra il 2016 e il 2018 dai carabinieri in due operazioni distinte. Ruggiero e Nappi trovarono rifugio in un appartamento dell’imprenditore a Pomezia. Simioli invece fu trovato alle porte di Viterbo e secondo gli investigatori avrebbe anche lui beneficiato dei favori di Viglietta.
Il giudice Luisa Toscano ha condannato a tre anni di reclusione Simioli e Ruggiero per falsificazione e detenzione illegale di documenti. I documenti, risultati falsi, erano stati emessi dal comune di Villaricaa e Marano.

Cronache della Campania@2018


Inchiesta sulla mazzette al Ruggi di Salerno: Fukushima è ‘irreperibile’

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Takanori Fukushima, noto neurochirurgo di fama mondiale è irreperibile e ancora una volta l’udienza del processo che lo vede imputato presso il Tribunale di Salerno è stata rinviata. L’ufficio di cancelleria del gip di Salerno non riesce a notificare al dottor Fukushima la convocazione per discutere la richiesta di opposizione all’archiviazione della propria posizione in merito all’inchiesta che ha travolto il reparto di Neurochirurgia dell’azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona e portato all’arresto – tra gli altri indagati – di uno dei suoi pupilli, il primario Luciano Brigante.
I fatti risalgono al 2016, come ricorda Il Mattino, quando una bufera giudiziaria si abbatte sul reparto di neurochirurgia del Ruggi il cui primario è accusato – tra le altre cose – di intascare mazzette dai propri pazienti per forzare le liste d’attesa. Nell’inchiesta, oltre alla caposala del reparto e ad un altro medico, viene coinvolto anche Takanori Fukushima, spesso a Salerno per eseguire degli interventi. Anche senza autorizzazione e per solo scopo didattico, almeno questa era la motivazione ufficiale. Nella realtà invece, accadeva che il medico venisse ad operare pazienti che il suo braccio destra toscano, Gaetano Liberti, dirottava su Salerno. Al San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, il suo pupillo, Luciano Brigante, era sempre stato molto chiacchierato per quella particolare “modo di fare”: con la sua esperienza e il suo curriculum li convinceva a sborsare anche ventimila euro per essere operati da lui con la supervisione di Fukushima. Ma a Salerno il professore di fama internazionale non ha mai messo piede durante tutto il periodo “incriminato”. Non è neanche stato interrogato perché sempre all’estero. L’indagine parte da una denuncia fatta da una parente di una paziente ricoverata, sottoposta a un intervento alla testa e poi deceduta. Secondo la denuncia, l’operazione chirurgica era stata preceduta dal versamento di una somma in denaro per accelerare i tempi in lista d’attesa. Secondo gli inquirenti, i medici coinvolti effettuavano gli interventi solo apparentemente in regime di intramoenia, con prenotazioni e pianificazioni delle operazioni chirurgiche fittizie, visto che poi i responsabili modificavano le liste d’attesa in cambio di danaro: da mille e cinquecento euro a sessantamila.
Il dottor Fukushima  un personaggio sicuramente singolare e molto discusso, anche al di fuori della propria professione. I carabinieri di Salerno hanno ascoltato una conversazione tra due dipendenti del Ruggi che parlavano di Fukushima come “quello che gira in Ferrari ed ha ucciso un uomo di 35 anni”. Una vita trascorsa in giro per il mondo, e che non esita a raccontare anche sul suo sito: “Ho dedicato me stesso a fare il massimo possibile per assicurarmi di poter salvare il maggior numero di pazienti”, spiegando perché ha scelto di esercitare la professione medica. E proprio mentre i carabinieri di Salerno indagavano su di lui, spunta un presunto consulto medico, poi smentito, a papa Francesco.

Cronache della Campania@2018

‘Vi devo uccidere, vi faccio a pezzi’, minacce a suoceri e cognato: a processo una donna di Salerno

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“Vi devo uccidere, vi faccio a pezzi”,  è una delle minacce che i suoceri, anziani e malati, erano costretti a subire dalla giovane nuora che arrivò perfino al punto di minacciare la suocera il cognato affermando che si sarebbe presentata davanti alla scuola della nipote per ucciderli. La donna di quarantatrè anni del quartiere di Ogliara a Salerno per anni ha tenuto assoggettata la famiglia del marito con la quale viveva all’interno di una palazzina di proprietà dei suoceri. Già condannata ad otto mesi di reclusione con l’accusa di stalking ai danni della suocera e del cognato, la donna si è ripresentata ieri davanti al giudice monocratico della prima sezione del tribunale di Salerno, con l’accusa di lesioni ai danni del fratello del marito, aggredito con un coltello da cucina. L’uomo si è già costituito parte civile nel procedimento tramite l’avvocato Francesco Guerritore.
Nel corso dell’udienza, come riporta Il Mattino, è stato chiamato a deporre proprio il marito della donna che, con grande difficoltà, ha ricostruito in aula i contrasti tra la moglie e la sua famiglia, acuiti da uno stato di depressione vissuto dalla donna che, dopo il parto, ha perso il lavoro e ha cominciato a vivere uno stato di profonda prostrazione. L’uomo ha tentato di giustificare la moglie attribuendo la sua violenza alle sue condizioni psicologiche. L’udienza è stata aggiornata al prossimo aprile quando arriverà la sentenza.

Cronache della Campania@2018

Turbativa d’asta e peculato, a giudizio l’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere e altre 18 persone

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Nella giornata di ieri, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, accogliendo la richiesta avanzata da quest’Ufficio di Procura, ha emesso decreto che dispone il giudizio nei confronti di 19 persone, ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di abuso d’ufficio, turbata libertà degli incanti, peculato, falso in atto pubblico, in materia elettorale e truffa in danno di ente pubblico. Il provvedimento trae origine da un’articolata attività investigativa “Social Service”, diretta da questa Procura e condotta, dal settembre 2014 al maggio 2016, dai Carabinieri della Sezione di PG — Aliquota Procura Sede e della Compagnia di Santa Maria Capua Vetere che portò all’esecuzione, in data 24 novembre 2017, di un’ordinanza di custodia cautelare, nei confronti di numero 7 persone. Tra i destinatari della misura restrittiva, ora rinviati a giudizio, figurano l’ex Sindaco del Comune di Santa Maria Capua Vetere, l’ex responsabile dei Servizi Sociali del medesimo Comune ed il Coordinatore dell’Ufficio di Piano dell’Ambito Territoriale nonché titolari e gestori di cooperative operanti nell’ambito dei servizi sociali che avevano messo in piedi un’organizzazione che aveva lo scopo di controllare la gestione dei servizi sociali per esigenze di ritorno elettorale.

Cronache della Campania@2018

Camorra, il boss Di Lauro ai suoi avvocati: ‘Perchè tanto clamore attorno a me? Sono sempre stato a Napoli’

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Anche oggi nel carcere di Secondigliano Marco Di Lauro, ritenuto a capo dell’omonimo clan e arrestato sabato a Napoli dopo 14 anni di latitanza, si è avvalso della facoltà di non rispondere, come aveva fatto ieri nel primo interrogatorio davanti al gip. Agli avvocati Carlo e Gennaro Pecoraro, è sembrato quasi spaesato e stupito delle accuse che gli vengono mosse dalle autorità giudiziaria.Oggi il gip Marco Carbone gli ha contestato il reato di associazione mafiosa finalizzata al traffico di stupefacenti in relazione a un periodo più ampio rispetto a quello a cavallo tra 2007-2008 che gli è stato contestato ieri dal gip Carola. Ai suoi legali Di Lauro ha confermato che in questi 14 anni non si è mai mosso da Napoli insieme con la sua compagna, Cira Marino, che è indagata dalla dda per favoreggiamento e per associazione mafiosa. Ha anche confessato ai suoi legali che aveva intenzione di costituirsi ma i suoi parenti si sono opposti.

Cronache della Campania@2018

Infiltrazioni mafiose a Grazzanise, il Ministero dovrà consegnare gli atti al Tar Lazio

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Grazzanise. Il ministero dell’Interno dovrà consegnare al Tar del Lazio tutti gli atti che hanno portato nel marzo 2013 allo scioglimento del Comune di Grazzanise per infiltrazioni della criminalità organizzata. Con due identiche ordinanze, i giudici amministrativi – nell’ambito di due distinti ricorsi proposti da esponenti dell’ex amministrazione, con in testa l’ex sindaco Vito Gravante – hanno disposto che l’istruttoria debba essere completata entro tre mesi; fissata il 16 ottobre l’udienza della discussione dei ricorsi in sede di giudizio di merito. Il Tar, rilevato che “ai fini del decidere, è necessario acquisire agli atti del giudizio, in forma integrale, gli atti istruttori, sulla base dei quali è stato emanato il provvedimento impugnato”, ha ritenuto di ordinare all’amministrazione “il deposito di tutti gli atti e documenti in base ai quali è stato emanato il decreto impugnato”.

Cronache della Campania@2018

Fondi alla onlus di famiglia, davanti al giudice moglie e figlie di De Mita e 7 imputati: l’Asl e l’Aias parte civile

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Avellino. Truffe con la Onlus per la gestione dei centri di riabilitazione: al via l’udienza preliminare che vede imputate la moglie e le figlie di Ciriaco De Mita e altre 7 persone. Truffa aggravata ai danni dello Stato, peculato, evasione delle imposte negli anni 2013-2015 e riciclaggio dei proventi, con queste accuse il pm Vincenzo D’Onofrio ha chiesto il rinvio a giudizio per Anna Maria Scarinzi, Floriana e Simona De Mita e altre 7 persone coinvolte nell’indagine che lo scorso anno svelò la gestione opaca dei centri di riabilitazione Aias di Avellino, Calitri e Nusco. Per questa vicenda furono emesse anche misure cautelari nei confronti della moglie dell’ex presidente del Consiglio Ciriaco De Mita. Prestazioni fornite in regime di accreditamento ma senza che la procedura fosse regolare presso la Regione Campania e le casse dell’Aias usate come un bancomat della famiglia De Mita; di questo sono accusate moglie e figlie del leader democristiano, che è stato interrogato due volte come testimone. Stamane ha preso il via il processo dinanzi al Gup di Avellino Marcello Rotondi. L’Aias e l’ASL di Avellino si sono costituite parte civile, ma non la Regione Campania. Nell’udienza di oggi si sono costituite le parti e sono state sollevate alcune eccezioni preliminari, il 29 maggio prossimo l’udienza dovrebbe concludersi con la decisione del Gup sulla richiesta di rinvio a giudizio anche per gli altri imputati: l’ex rappresentante legale dell’Aias di Avellino Gerardo Bilotta, Luca Catallo, Anna Maria Preziuso, Marco Preziuso, Massimo Preziuso e Antonio Nigrelli.

Cronache della Campania@2018

Processo per il crollo di Rampa Nunziante a Torre Annunziata: ammesse tutte le parti civili

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Si è conclusa nel pomeriggio una lunga udienza relativa al crollo della palazzina di via Rampa Nunziante a Torre Annunziata nel quale il 7 luglio 2017 persero la vita otto persone. Alla fine, nonostante diverse eccezioni mosse dagli avvocati della difesa, il giudice Francesco Todisco ha deciso di ammettere al processo (i cui tre fascicoli iniziali sono stati accorpati) tutte le parti civili: oltre ai familiari delle vittime e al condominio dell’immobile che si trova attaccato a quello crollato, c’è anche il Comune di Torre Annunziata, il cui sindaco Vincenzo Ascione è stato per lunghi tratti presente in aula. Prima della fase dibattimentale, il pubblico ministero Andreana Ambrosino ha mostrato un video nel quale si vedevano all’opera le squadre di soccorso negli istanti immediatamente successivi al cedimento strutturale. Presenti diversi parenti e amici delle vittime, alcuni dei quali visibilmente emozionati hanno lasciato l’aula in preda a crisi di pianto. Ascoltato anche il primo testimone: si tratta del maresciallo maggiore dei carabinieri Antonio Russo, comandante del nucleo Radiomobile della compagnia di Torre Annunziata, che si èoccupato della relazione finale relativa all’inchiesta condotta dai militari dell’Arma e dagli agenti di polizia.

Cronache della Campania@2018


Cancellato l’ergastolo a ‘Gianni il Bello’, l’ex pentito che accusò falsamente Enzo Tortora

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Palermo. era stato condannato al carcere a vita per l’omicidio di Sabine Maccarrone, una giovane donna svizzera assassinata in provincia di Trapani nel 2007. Ma 12 anni dopo quel delitto la corte d’assise d’appello di Palermo ha scagionato l’ex pentito siciliano Giovanni Melluso dall’accusa di aver ordinato l’omicidio. Una sentenza che ribalta quella di primo grado, che aveva visto l’imputato condannato all’ergastolo. I giudici hanno disposto la scarcerazione dell’ex collaboratore di giustizia che era detenuto al Pagliarelli di Palermo. Il nome di Melluso venne fuori durante una puntata di Chi l’ha visto? poco dopo il delitto e fu indicato anche dal proprietario del terreno dove fu occultato il cadavere della donna, Giuseppe D’Assaro. ‘Gianni il bello’ o ‘cha cha cha’, il siciliano trapuntato negli anni ’80 a Milano dove fece parte dell’associazione criminale del boss Francis Turatello, grande accusatore di Enzo Tortora, venne indicato come il mandante dell’omicidio di Sabine Maccarrone, trovata morta il 16 aprile del 2007 in un pozzo, nelle campagne di Mazara del Vallo. Una testimone raccontò in tv che Melluso, che aveva una relazione con la donna, andava dicendo che era tornata dai suoi genitori nelle Marche, e che era stato lui stesso a pagarle il biglietto. Bugie che avrebbero nascosto una drammatica verità. Quindi, gli inquirenti sospettarono che fosse stato lui a volere la morte della donna. Poi arrivarono le dichiarazioni di Giuseppe D’Assaro. Lui e Melluso si erano conosciuti anni prima in carcere. “Mi disse di ammazzarla. Melluso non mi spiegò però le ragioni ed io non feci domande. In questi casi è meglio non farle. In quel periodo volevano ammazzarmi. Avevo bisogno di un appartamento in cui andare a stare. Melluso mi disse che mi avrebbe regalato un’abitazione di proprietà del fratello”, affermò D’Assaro al processo di primo grado, ammettendo i fatti. Parole che gli fecero avere una condanna a 30 anni, mentre Melluso, processato separatamente, ebbe l’ergastolo. Sposato con una zia di Jessica Pulizzi, la sorellastra di Denise Pipitone, la bimba scomparsa da Mazara del Vallo nel 2004, venne ritenuto attendibile dai giudici della corte d’assise. Il movente, mai chiarito del tutto, sarebbe stato da ricercare nella gelosia: probabilmente Sabine Maccarrone aveva avuto legami con altri uomini. Il cadavere di Sabine venne trovato in fondo a un pozzo, coperto con tegole e massi, in contrada San Nicola, a Mazara del Vallo (Trapani). Per concorso in occultamento di cadavere, venne chiesto il rinvio a giudizio di Yamina Reguiai Bent Hedi, 49 anni, tunisina, accusata di aver aiutato l’assassino a nascondere il corpo. Il gup, però, dispose il non luogo a procedere per prescrizione del reato. D’Assaro aveva precedenti gravi:nel 1985, aveva ucciso a bastonate un uomo di 75 anni, Antonio Signorelli, in un tentativo di rapina. D’Assaro, esecutore dell’omicidio, secondo i giudici della Corte d’Assise d’Appello non sarebbe attendibile sul coinvolgimento di Gianni Melluso e dunque, l’ex pentito è stato assolto e scarcerato. D’Assaro aveva anche fatto delle dichiarazioni su Denise Pipitone, ritenute non attendibili dai giudici.

Cronache della Campania@2018

La Dda non crede al ‘basso profilo’ del boss Marco Di Lauro

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La Dda non crede alla versione di ‘smarrito’ e quasi persona normale di Marco Di Lauro. Per i magistrati dell’antimafia la sua ‘strategia di basso profilo’ è la stessa che ha tenuto in questi anni per evitare di essere catturato. E quindi anche ora che è in carcere (dovrà starci di certo una decina di anni circa contando su eventuale buona condotta e sconti) vuole mantenere il suo profilo per evitare pesanti condanne. I racconti dei pentiti nel corso di questi anni di ricerche e di indagini lo hanno indicato della persone al vertice del clan di quelli di ‘miez all’arco’. Decine di pagine di verbali con il suo nome , i suoi movimenti, le sue decisioni. E’ stato latitante per 14 anni ed è stato rintracciato e arrestato in una casa modesta nel quartiere di Chiaiano. Il clamore mediatico per quella casa non sfarzosa, non vigilata lo ha indotto a continuare nella recita tanto che ha detto ai suoi, legali Gennaro e Carlo Pecoraro, di non essersi mai allontanato troppo da quel quartiere, anche se la Dda non é convinta. Basterebbe leggere i commenti sui social dei vari siti di informazione e dei quotidiani che in questi giorni stanno trattando della sua cattura per capire il carisma da capo che ha avuto e che continua avere tra gli affiliati di Secondigliano e non solo. Gli investigatori che per anni sono stati sulle sue tracce avevano indizi e informazioni convergenti su viaggi all’estero del boss, tanto che anche l’Interpol aveva diramato le note per la sua cattura. E così mentre gli investigatori continuano a spulciare nel suo telefonino e in quello della sua compagna Cira Marino e a cercare tutte le tracce utili a scoprire fiancheggiatori e finanziatori della sua latitanza, l’ex boss fantasma è nel reparto alta sorveglianza in carcere. Anche nel suo secondo interrogatorio di oggi ancora una volta è rimasto senza dire una parola e ancora una volta con gli occhi sgranati come se le accuse contestate non lo riguardassero. Marco Di Lauro questa mattina era davanti al gip Marco Carbone, del tribunale di Napoli, per l’interrogatorio di garanzia per la misura cautelare che lo vede indagato come capo e promotore del clan che porta il suo cognome, che era diretto dal padre Paolo detto Ciruzzo ‘o milionario, e che aveva, secondo la procura, come primo scopo l’importazione di chili e chili di cocaina dal Sudamerica. Il quarto figlio del boss, per i pm, ha diretto la cosca tra il 2007 e il 2008 e ha gestito gli imponenti traffici di sostanze stupefacenti che arrivavano a Scampia e Secondigliano, quartieri della periferia Nord di Napoli in cui dal 2002 si è consumata una faida all’interno del gruppo Di Lauro, con il distacco degli Amato-Pagano, per il controllo proprio dell’approvvigionamento e della gestione delle piazze di spaccio.

Cronache della Campania@2018

Processo Rampa Nunziante, il teste: ‘I lavori nel palazzo crollato erano abusivi’

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Torre Annunziata. Al via il processo per il crollo della palazzina di Rampa Nunziante avvenuto la mattina del 7 luglio di due anni fa. Nel tragico incidente morirono sei persone e due bambini. A processo ci sono finite sedici persone. I proprietari dell’appartamento Gerardo Velotto e Massimo Lafranco, l’amministratore di condominio Roberto Cuomo, l’operaio Pasquale Cosenza, gli architetti Aniello Manzo e Massimiliano Bonzani. Sono accusati tutti di crollo e omicidio colposo. I restanti dieci invece sono accusati di vari falsi in atto pubblico. Nella prima udienza che è durata poco più di cinque ore è stato ascoltato il primo testimone, il maresciallo Antonio Russo, comandante del Nucleo Operativo di Torre Annunziata che ha condotto le indagini. “Nel corso delle indagini – ha detto Russo – abbiamo scoperto che i lavori nella casa di Gerardo Velotto non erano autorizzati, erano del tutto abusivi. Il committente era Velotto, l’esecutore Cosenza. Esistevano due contratti preliminari di vendita dell’appartamento tra la moglie di Lafranco e Velotto: il primo da 370mila euro, il secondo da 210mila”. Inoltre a Velotto era stato negato un mutuo da 60mila euro perché mancavano l’agibilità e i servizi igienici”. L’edificio secondo quanto emerso dai rilievi non sarebbe mai crollato se non fossero stati fatti lavori in quell’appartamento. I primi segnali di pericolo si avvertirono già giorni prima. Qualcuno infatti lamentava che gli infissi non erano più allineati e le porte non si chiudevano bene.

Cronache della Campania@2018

Stalking, raid incendiari e minacce di morte su Facebook ai vicini di casa: chieste 10 condanne

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Minacce di morte, insulti ma anche raid incendiari, auto ribaltate e sassaiole. Tutto nei confronti di un nucleo familiare che abitava nel loro stesso parco a Caserta. Per questo motivo il pm del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha invocato 10 condanne per la gang che ha messo in atto gli atti persecutori. Nel corso della sua requisitoria, pronunciata nel corso dell’udienza celebrata dinanzi al giudice monocratico Antonio Riccio, il pubblico ministero ha chiesto 4 anni di reclusione a testa per Francesco Alberto Spaziante, Virgilio Spaziante e Rocco Belardo; 4 anni e 2 mesi per Maria Grazia Di Giacomo; 1 anno di reclusione a testa per Francesco Farina ed Agostino Vergone; 10 mesi per Domenica Spaziante; 9 mesi a testa per Nicola Paolella e Vincenzo Carnevale; 9 mesi per Francesco Amato.
Tutti sono accusati a vario titolo di stalking. Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere le vittime si sarebbero viste bruciare una motocicletta e devastare un’auto che venne ribaltata ma anche distruggere i vetri delle finestre di casa in seguito ad una vera e propria sassaiola. A ciò si aggiungevano le minacce di morte sia fatte di persona ma anche con post intimidatori attraverso Facebook, con i protagonisti che in una circostanza hanno postato una foto di loro armati di pistola con un post che lasciava poco spazio all’immaginazione: “la guerra è appena cominciata gli infami devono morire”.
Condotte che avrebbero provocato uno stato di ansia nei componenti del nucleo familiare preso di mira al punto che all’apice della tensione condominiale, tra luglio ed ottobre del 2010, si trasferirono a casa di un parente pur di evitare di incontrare il branco.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Spaccio di droga in Costiera Amalfitana, chiesto il processo per 39 pusher e ‘capi piazza’

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Fiumi di droga in Costriera Amalfitana: in 39 rischiano il processo. Gli indagati, nel prossimo mese di giugno, compariranno dinanzi al giu­dice per le udienze prelimi­nari del Tribunale di Salerno, Mariella Zambrano, chiamata a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio presentata dal sostituto procuratore Elena Guarino, titolare delle indagini. Il blitz denominato “Rewind” scattò il 4 giugno dello scorso anno e portò al­l’emissione di 22 misure cau­telari  (residenti tra Maiori, Minori, Ravello, Atrani, ma anche di Vico Equense e Castellamare di Stabia). L’attività investigativa era il prosieguo di “Isola fe­lice”, condotta nell’aprile del 2016 dalla stessa compagnia e che portò all’arresto di 19 persone e alla denuncia a piede libero di altri quindici indagati. Gli approfondi­menti investigativi hanno consentito di identificare gli spacciatori ed evidenziare un preoccupante, diffuso con­sumo di sostanze stupefa­centi da parte di giovani e mi­norenni. All’attenzione degli investigatori anche un episo­dio particolarmente violento, accaduto l’11 febbraio 2016 a Maiori, quando B.S., inda­gato anche per estorsione, minacciò un altro indagato puntandogli una pistola al volto, intimandogli di non fargli concorrenza nello spac­cio sulla piazza di Maiori. Nel corso delle indagini sono stati contestati circa 500 episodi di cessione di sostanze stupefa­centi, quali marijuana, ha­shish e cocaina. E’ stato sequestrato, in più occasioni, quasi 1 chilo di marijuana, 40 grammi di hashish e 8 grammi di cocaina.

Cronache della Campania@2018

Morti per amianto alla Firema, a giudizio gli ex amministratori

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Sono stati rinviati a giudizio per le morti e le malattie di dipendenti causate dall’esposizione all’amianto otto ex dirigenti della Firema, azienda casertana che produce carrozze ferroviarie, dal luglio 2015 denominata “Tfa” e di proprietà indiana. Lo ha deciso il Gup del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che ha accolto l’impostazione del pm Giacomo Urbano, che sulla vicenda aveva aperto un’inchiesta bis dopo che la prima indagine, in cui la Procura aveva contestato il reato piu’ lieve di rimozione e omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, aveva dato vita ad un processo conclusosi con una serie di assoluzioni e prescrizioni. Una strategia che ricorda quella seguita dalla Procura della Repubblica di Torino in relazione alla vicenda dell’Eternit, dove il proprietario dell’azienda, l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, era stato salvato in Cassazione dalla prescrizione dopo essere stato condannato in primo e secondo grado a 16 e 18 anni per disastro colposo in relazione a decine di decessi per amianto; l’ufficio inquirente aveva cosi’ deciso di aprire un nuovo fascicolo a carico di Schmidheiny per omicidio doloso (poi derubricato in delitto colposo), sfruttando anche la sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2016, che aveva dichiarato l’imprenditore processabile nuovamente nonostante la condotta fosse la stessa, e ciò senza che venisse violato il principio giuridico del “ne bis in idem”. Nel caso della Firema, la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha invece deciso di contestare l’omicidio colposo in relazione ai 19 operai morti e altri 82 ammalatisi per patologie legate all’esposizione all’amianto, tutti casi già oggetto del primo processo; al dibattimento – prima udienza il 9 gennaio 2020 – dovranno comparire gli ex amministratori delegati dell’azienda Mario Fiore e Giovanni Fiore, l’ex direttore generale Mario Pasquali, e gli altri alti ex dirigenti Enzo Ianuario, Maurizio Russo, Giovanni Iardino, Giuseppe Ricci e Carlo Regazzoni; tutti erano usciti indenni, per prescrizione o assoluzione, dal primo processo.

Cronache della Campania@2018

Tangente da un milione sui lavori al cimitero: finiscono in carcere un consigliere e 4 camorristi

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Frosinone. Tangente da un milione per i lavori al cimitero di Ferentino: finiscono in manette quattro camorristi e il consigliere comunale Pio Riggi con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso. L’amministratore del Comune di Ferentino, secondo il Gip “è il vero artefice e ideatore della condotta estorsiva, sebbene incensurato, il suo ruolo appare fondamentale: grazie a lui l’organizzazione camorristica fagocita un’impresa sana e la asserve ai suoi desiderata; il suo inserimento oramai pluriennale all’interno dell’amministrazione di Ferentino ne garantisce il concreto ed attuale pericolo di reiterazione di condotte anche per reati di pubblica amministrazione”.
All’alba il blitz dei carabinieri di Tivoli e i colleghi del Comando provinciale di Frosinone, agli ordini del colonnello Fabio Cagnazzo, sono scattati gli arresti nell’ambito dell’indagine su tangenti ed estorsioni per l’appalto del cimitero al Comune di Ferentino.
E’ bastato appena un mese di indagini per riscontrare quanto denunciato dall’imprenditore 28enne Lorenzo Scarsella, con delega al project-financing per la costruzione e la gestione di loculi presso il cimitero, ed accertare, sulla base di una intensa attività di intercettazione, la ‘liaison’ tra Pio Riggi, 54 anni, consigliere comunale con delega al cimitero, e il gruppo criminoso di Napoli centro dedito al ‘recupero crediti’, guidato da Ugo Di Giovanni, 42 anni, l’elemento ritenuto da chi indaga più carismatico, e Gennaro Rizzo, 47 anni entrambi di Napoli ma residenti a Roma con la partecipazione di Emiliano Sollazzo, 31 anni, (romano della Magliana) e Luciano Rosa, commerciante di 64 anni, fermentiate e parente di Riggi, cioè colui che faceva da tramite tra il pubblico amministratore e i camorristi.
Di Giovanni e Rizzo, tra l’altro, sono anche tra quelli che vennero processati per la gambizzazione nel 2012 a Tor Pagnotta di un ex fantino, colpevole di non aver saldato un debito: il primo fu assolto, l’altro condannato. In manette anche la sorella di Rosa sorpresa con la droga nell’ambito di una perquisizione domiciliare svoltasi oggi da parte dei carabinieri di Tivoli.  Gli indagati pretendevano una tangente di un milione di euro, più un pizzo del 10% sul fatturato per i futuri lavori della ditta che aveva vinto l’appalto al Comune di Ferentino, in provincia di Frosinone. L’ordinanza cautelare in carcere firmata dal gip Flavia Costantini su richiesta del pm della Dda Corrado Fasanelli, che ha messo in luce l’ennesimo esempio di contaminazione tra esponenti criminali che agivano con le modalità del metodo mafioso e ‘colletti bianchi’, racconta gli ultimi mesi da incubo vissuti dall’imprenditore costretto a fare i conti con questo gruppo di estortori, quando i lavori stavano per decollare una volta ottenute autorizzazioni e licenze, al punto da costringere la vittima a presentare una denuncia il 4 febbraio scorso ai carabinieri della Compagnia di Tivoli. “Tutta questa situazione mi stava distruggendo la vita. Per mesi mi sono state fatte pressioni fino a farmi diventare vittima di una estorsione gravissima. Ringrazio pubblicamente i carabinieri di Tivoli per il lavoro svolto e sono soddisfatto che finalmente la giustizia abbia fatto il suo corso”, ha commentato l’imprenditore, assistito dall’avvocato Enrico Gallinaro. La ditta di Scarsella aveva in delega il project financing dal 2013 per la gestione del cimitero di Ferentino e nel febbraio 2018 si è aggiudicata l’appalto. Da quel momento è partita la richiesta del consigliere comunale che pretendeva il 5% del valore totale dei lavori, circa 300mila euro. L’imprenditore, dopo aver pagato una prima tranche di 44mila euro ha smesso di pagare e per questo il politico locale aveva deciso di rivolgersi a un gruppo di camorristi napoletani dediti alle estorsioni. Da lì per il giovane imprenditore iniziano le minacce e le intimidazioni, che gli esponenti del clan compiono con veri e propri raid nella sua azienda, armi in pugno, per convincerlo a pagare il ‘pizzo’. Oltre alla tangente da un milione, infatti, poi si è aggiunta anche la richiesta del clan camorristico che pretendeva l’esborso del 10% del fatturato dei futuri lavori della ditta in cambio della protezione del clan, che nel frattempo stava indirizzando le sue mire anche sul nuovo stadio di Ferentino. L’imprenditore, terrorizzato dalle minacce, ha però deciso lo scorso febbraio di denunciare tutto ai Carabinieri di Tivoli che sotto il coordinamento della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, hanno chiuso l’indagine in un mese, mettendo fine all’incubo vissuto dall’imprenditore. Gli arrestati si trovano ora in carcere a Regina Coeli.

Cronache della Campania@2018


Violenza Circum, il Gip decide sull’arresto dei tre giovani violentatori: un amico li difende

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San Giorgio a Cremano. “Solo poi si renderanno conto di cosa hanno combinato questi solo quando vedranno chiudersi la cella”. Sono le parole che accenna un poliziotto del commissariato di San Giorgio a Cremano mentre accompagna in carcere i ragazzi che hanno stuprato la 24enne nella stazione della circumvesuviana di San Giorgio a Cremano martedì sera. Ad attenderli fuori il commissariato i genitori, una nottata intera fuori la struttura di via Rosa Salvatore. Parenti e genitori li acclamano, una donna alla vista dei ragazzi accompagnati dagli agenti in divisa ha iniziato a piangere a dirotto. Un padre, addirittura, inizia ad applaudire. I tre con la testa alta accennano ad un sorriso. Raffaele Borrelli, Alessandro Sbrescia e Antonio Cozzolino, tre amici per lunghi sette minuti sono stati i protagonisti di atti di violenza nei confronti di una ragazza di Portici all’interno del vano ascensore. Questo episodio ha diviso l’opinione pubblica. C’è chi esprime massima condanna per l’accaduto e chi cerca di minimizzare ma c’è anche chi, coperto da un velo di omertà tipico dei nostri territori, preferisce tacere e non fermarsi davanti alle telecamere. Un amico li difende a spada tratta ‘incolpando’ la vittima dell’abuso che con il suo atteggiamento ha provocato i tre ragazzi. “Sono tre bravi ragazzi, non meritano tutto questo”. Dice, in un’intervista rilasciata ai colleghi dell’agenzia Vista, un amico dei tre ragazzi accusati di aver violentato, per circa sette minuti, la 24enne di Portici. “Sono tre amici miei – dice – siamo cresciuti insieme fin da piccoli. Sono ragazzi che non si meritano questo. Quella ragazza provoca ragazzi dalla mattina alla sera, lei viene spesso a San Giorgio a Cremano e – tende a sottolineare il giovane che si è fatto intervistare di spalle – anche lei fa uso di hashish e marijuana. Venti giorni fa lei andò a casa loro e… non so cosa fecero. Poi venne qua e… provocò questa reazione e, logicamente, loro sono maschi e logicamente… Mi dispiace sono tre buoni ragazzi. Andate a vederli. Di mattina Alessandro va a lavoro… ma stiamo scherzando? Lei provoca tutti, andate a vedere come gira e come si veste…”. Domani i tre arrestati saranno davanti al Gip per essere interrogati. Sarà poi il giudice a decidere la loro sorte. Sono stati ascoltati nelle scorse ore dal pm Salvatore Prisco che, insieme alla collega Cristina Curatoli e sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Raffaello Falcone, segue le indagini. La violenza si é verificata martedì pomeriggio. Secondo quanto ricostruito dalla Polizia di Stato, i tre fermati avevano già tentato tre settimane prima di abusare della 24enne, che era riuscita a fuggire e non aveva denunciato l’accaduto. Martedì i tre l’hanno avvicinata nuovamente, con il pretesto di scusarsi per l’accaduto, e stavolta sono riusciti a bloccarla nell’ascensore. Dopo la violenza, la ragazza si è fermata piangente su una panchina della stazione ed è stata soccorsa da alcuni passanti che hanno chiamato il 118 e la Polizia.

 Emilio D’Averio

Cronache della Campania@2018

Rifiuti della Lea, indagato il sindaco Antonello Velardi

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Marcianise. Il pubblico ministero della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, Gerardina Cozzolino ha chiuso le indagini sulla vicenda della Lea, la struttura di stoccaggio di rifiuti.
Dunque ai sensi dell’articolo 415 bis del codice di procedura penale, ha notificato il decreto che vale anche come informazione di garanzia, alle persone sottoposte ad indagini.
Tra gli indagati c’è anche il sindaco di Marcianise, Antonello Velardi. Nulla si può ancora dire con precisione sull’addebito sull’ipotesi di reato che resterà tale fino ad una eventuale, e a questo punto probabile, richiesta di rinvio a giudizio che potrebbe arrivare da qui ad un mese . A quel punto gli indagati diventerebbero imputati a tutti gli effetti, dovendo affrontare la cosiddetta udienza preliminare o udienza filtro che dir si voglia. Gli indagati dal momento della notifica del decreto, hanno 20 giorni di tempo per chiedere di essere ascoltati e per presentare, eventualmente, memorie difensive.

Cronache della Campania@2018

Crac Deiulemar: la curatela punta a recuperare gli oltre 300 milioni di euro dalla Bank of Valletta

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Torre Annunziata. Nel tribunale oplontino nella giornata di ieri sono andati in scena due processi. L’attenzione era tutta concentrata alla causa della curatela fallimentare nei confronti della Bank of Valletta, l’istituto di credito con sede a Malta a cui viene contestato il fatto che sui propri conti siano transitati alcuni milioni di euro appartenenti agli armatori, poi falliti, del gruppo Deiulemar. La curatela fallimentare si sta battendo per vedersi riconoscere il diritto di ottenere i beni, oltre 300 milioni di euro, che sono sotto sequestro. La cifra consentirebbe di rimborsare, seppur in parte, gli oltre 10mila creditori. La difesa dell’istituto di credito ha costretto il giudice a riservarsi. La questione non si risolverà a breve, non sono da escludere tempi lunghi. A breve finirà nel fallimento anche una società estera appartenente alla famiglia Lembo. Il valore di questo trust è di circa 10milioni di euro ma anche in questo caso bisognerà attendere per la liquidità.

Cronache della Campania@2018

Processo Materazzo, Luca per la prima volta assente in aula e in carcere è un detenuto modello

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E’ un detenuto modello ora Luca, “Luchino”, Materazzo nel padiglione Firenze del carcere di Poggioreale. Accusato di aver ammazzato il fratello Vittorio, cinquantuno anni, con quaranta coltellate, Luca non si risparmia all’interno della casa circondariale: offre la propria umanità e la propria esperienza giuridica per supportare gli altri detenuti. Un comportamente impeccabile quindi e a testimoniarlo sono i volontari dell’associazione “La mansarda”, il cui punto di riferimento è Samuele Ciambriello che ricorda la dedizione di Materazzo nei confronti dei più deboli e insicuri nel carcere napoletano. Parla di un detenuto sempre presente e partecipe alle iniziative sociali, punto di riferimento per gli altri detenuti che supporta sia da un punto di vista fisico che culturale.
Il giorno della sentenza è prevista tra aprile e maggio e ieri mattina, nell’aula 115, Luca Materazzo non si è presentato. Non era mai accaduto che l’imputato fosse assente; presenti i suoi legali, gli avvocati Concetta Chiricone e Alessandro Motta che fanno richiesta da un lato di rinunciare a tutti i testi della difesa, dall’altro – ai sensi dell’articolo 507 del codice di procedura penale – di ascoltare il consulente della difesa al quale era stato formalmente rinunciato. A questa seconda richiesta, come riporta Il Mattino, si sono opposti il pm Francesca De Renzis e gli avvocati di parte civile Arturo ed Enrico Frojo (che assistono la moglie dell’ingegnere ucciso). La richiesta è stata rigettata dal giudice Provitera in quanto sarebbe impossibile ripescare la testimonianza del consulente. Il prossimo 21 marzo è previsto l’esame dell’imputato che sarà tenuto a rispondere alle domande delle parti e del giudice.
ll processo è oramai alle ultime battute e punta a ricostruire un dramma tutto interno alla famiglia di viale Maria Cristina di Savoia. Luca avrebbe ucciso Vittorio con oltre quaranta coltellate, dopo aver messo a punto un piano delittuoso studiato per anni. Cinismo e premeditazione da parte del più piccolo di famiglia: violenza brutale, fredda, contro il fratello maggiore che aveva assunto su di sé la responsabilità dell’azienda e dei beni di famiglia.

Cronache della Campania@2018

Salerno, la Dia sequestra beni per 3 milioni di euro a imprenditore legato al clan Marandino

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Nella mattinata odierna, la Sezione Operativa della DIA di Salerno ha eseguito un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione Patrimoniali della Corte di Appello di Salerno nei confronti di S.R., imprenditore pregiudicato già operante nel settore delle onoranze funebri, elemento affiliato allo storico clan camorristico “MARANDINO”, tuttora attivo a Capaccio-Paestum e in altri Comuni della Piana del Sele.

Il provvedimento odierno scaturisce dal decreto di sequestro, per la confisca, dei beni riconducibili al predetto (due società, un vasto complesso immobiliare, auto di lusso, rapporti bancari, per un valore di circa 3 milioni di euro), emesso dal Tribunale di Salerno-Sezione Misure di Prevenzione ed eseguito sempre dalla DIA il 20 marzo dello scorso anno, nei confronti di S.R. e di alcuni terzi interessati. Al riguardo, particolare significato era stato attribuito all’analisi del contenuto dalle investigazioni condotte, nel 2014, dalla Squadra Mobile della Questura di Salerno, al termine delle quali S.R. era stato tratto in arresto, unitamente ai vertici del locale clan camorristico “MARANDINO”, perché ritenuti organici a un’associazione di tipo mafioso dedita alle estorsioni, mediante condotte poste in essere con l’aggravante del metodo mafioso. In tale ambito, il Tribunale di Salerno aveva evidenziato significativi elementi di responsabilità a carico di S.R. sia nella partecipazione alla citata consorteria di camorra, sia nel tentativo di estorsione perpetrato dal medesimo nei confronti di un imprenditore locale, anch’egli titolare di una ditta di onoranze funebri, settore particolarmente delicato in cui il clan “MARANDINO” aveva deciso di investire, al fine di creare una sorta di monopolio nei territori di Agropoli (Sa) e Capaccio-Paestum (Sa). Per la vicenda in argomento, S.R. è stato condannato in primo grado, con pena ridotta in Appello e confermata di recente in Cassazione, per il reato di associazione di tipo mafioso e tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Avverso il decreto di sequestro in argomento era stato proposto ricorso in Appello; in particolare, anche sulla scorta di mirati approfondimenti condotti dalla DIA, l’Autorità giudiziaria locale aveva evidenziato l’effettiva sussistenza, nella disponibilità del proposto e con riferimento al periodo in cui poteva essere qualificata la pericolosità sociale dello stesso, di ulteriori e significativi beni. Al termine dell’udienza camerale, la Sezione delle Misure di Prevenzione della Corte di Appello di Salerno ha emesso il provvedimento patrimoniale odierno, con cui ha disposto il sequestro della villa appartenente a S.R. e ubicata nel Comune di Capaccio-Paestum (Sa), per un valore di circa 800.000 euro. Con lo stesso provvedimento è stata anche disposta la restituzione alla coniuge delle partecipazioni societarie nella ditta di onoranze funebri con sede a Capaccio-Paestum (Sa), nonché a S.R. del capitale sociale della O.n.l.u.s. a lui riferibile, operante nel settore dei servizi di trasporto mediante ambulanza con sede legale ad Agropoli (Sa). Al termine delle operazioni, tutti i beni sottoposti a confisca sono stati messi nella disponibilità dell’amministratore giudiziario, nominato dall’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata.

Cronache della Campania@2018

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