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‘Schema Ponzi’ la truffa: maxi sequestro da 2,5 milioni: truffata anche la figlia di una vittima della camorra, 50 vittime accertate

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I militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Caserta, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura di Napoli Nord, stanno dando esecuzione ad un provvedimento di sequestro emesso da gip del tribunale normanno di beni mobili e immobili e di rapporti finanziari per oltre 2,5 milioni di euro nei confronti di 5 persone indagate a vario titolo per bancarotta fraudolenta, truffa aggravata, abusivismo finanziario e riciclaggio, reati commessi ad Aversa.
Il principale indagato, unitamente al cognato, entrambi aversani, pur non avendo alcun mandato da società o imprese autorizzate, ha operato dal 2009 al 2014 quale promotore finanziario. Gli stessi, approfittando della fiducia di un elevato numero di persone e prospettando loro lauto guadagni tramite investimenti in titolo sul petrolio e sul rame, inducevano le vittime a farsi consegnare i loro risparmi per una cifra superiore ai 3 milioni di euro.
Secondo l’ipotesi accusatoria avvalorata dal gip, il principale indagato dell’inchiesta ha fatto confluire le somme di denaro ricevute su conti intestati a lui, alla moglie e ai suoi 3 figli, sui quali aveva comunque la delega ad operare, nonché su altri conti correnti intestati ad altri familiari o società riconducibili all’ambito familiare. Così facendo poneva in essere operazioni di riciclaggio per occultarne la provenienza illecita. Il finto promotore ha quindi utilizzato i soldi per fini personali, come l’acquisto di auto di lusso o il rimborso delle rate dei mutui accessi per l’acquisto di immobili.
Lo schema Ponzi
L’esame delle movimentazioni dei conti correnti ha inoltre permesso di appurare come il finto promotore sia riuscito a trarre profitti illeciti applicando un modello economico di vendita fraudolenta noto come “schema Ponzi”, in base al quale i rimborsi degli interessi del capitale versato dalle persone truffate sono avvenuti solo grazie al flusso di denaro in entrata dai nuovi investitori.
All’inizio del 2012 tuttavia questo “sistema” è giunto al collasso in quanto l’indagato non è più riuscito a far fronte alle innumerevoli e pressanti richieste di rimborso del capitale da parte di più clienti, alcuni dei quali hanno provveduto a chiederne il fallimento, successivamente dichiarato dalla sezione fallimentare del tribunale di Napoli Nord nel dicembre 2015. Le indagini hanno consentito di acclarare che il promotore, in pieno stato di insolvenza, prima e durante la procedura concorsuale, non solo ha sottratto i libri e le scritture contabili in moda da rendere possibile la compiuta ricostruzione del suoi patrimonio e dei suoi movimenti di affari, ma ha anche compiuto una serie di operazioni distrattive in pregiudizio dei suoi creditori, integrando così i reati di bancarotta documentale e distrattiva.
Tra le numerose vittime, oltre 50, vi è anche una donna casertana che ha affidato al promotore ben 80mila euro, ricevuti dallo Stato quale rimborso per la morte del padre vittima di camorra, vicenda per la quale ha presentato denuncia.
Tra le operazioni distrattive vi è in particolare la vendita simulata di un immobile di prestigio, adibito ad abitazione di famiglia, sito ad Aversa. Nello specifico l’immobile è stato solo fittiziamente trasferito per il prezzo dichiarato di 900mila euro dal promotore a favore di due dei suoi figli, i quali hanno formalmente accreditato le somme di denaro sul conto del padre che, a sua volta, le ha però riaccreditate a titolo di storno sui loro stessi conti correnti provvedendo anche a non incassare quelle trasferitegli tramite assegni. Il tutto al fine di evitare che il cespite potesse essere oggetto di aggressione da parte dell’autorità giudiziaria una volta venute alla luce le condotte criminali.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018


Caserta, voti comprati per le elezioni: a sorpresa Corvino torna libero

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Voti comprati per le elezioni: A sorpresa Corvino torna libero. Torna libero Pasquale Corvino, l’ex vicesindaco di Caserta ed ex presidente della Casertana, arrestato nell’ambito della maxi inchiesta sui pacchetti di voti acquistati nei rioni popolari del capoluogo da persone collegate alla criminalità organizzata e sullo spaccio di droga all’ombra della Reggia.
Questa la decisione della dodicesima sezione del tribunale del Riesame che ha accolto pienamente le richieste dell’avvocato Roberto Garofalo e disposto la liberazione di Corvino, che era ristretto agli arresti domiciliari dallo scorso 5 febbraio. I giudici del Riesame hanno annullato l’ordinanza anche per Mario De Luca e Salvatore Vecchiarello, quest’ultimo difeso dall’avvocato Giuseppe Foglia.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Bancarotta e sequestro del patrimonio al mediatore-truffatore Fiordiliso

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Centinaia di truffe con lo schema Ponzi. Pagava gli investitori con i soldi che gli consegnavano altre vittime. È andato avanti così per anni Luigi Fiordiliso, il mediatore finanziario che, questa mattina, ha subito un sequestro milionario di beni da parte della Guardia di Finanza. Intervento coordinato dalla Procura di Napoli Nord diretta da Francesco Greco, e delegata al nucleo di polizia tributaria di Caserta, ha colpito un patrimonio di quasi tre milioni di euro. Questo è quello che riporta il Mattino.
Secondo i risparmiatori che sono stati raggirati di Fiordiliso, si tratta solo della minima parte di somme ben più alte che avrebbe messo da parte negli anni. Promettendo investimenti molto vantaggiosi, Fiordiliso è riuscito a truffare centinaia di persone della Aversa bene. Tra le vittime anche magistrati e parlamentari. Ma non solo. Almeno 50 piccoli risparmiatori hanno perso tutto ciò che avevano per averlo affidato a Fiordiliso. Sono tante le denunce raccolte in questi anni, ma molte altre sono le persone che stranamente hanno deciso di non rivolgersi all’autorità giudiziaria per recuperare i propri risparmi. Sullo sfondo, anche la fondazione e poi il crac, della Banca Normanna per la quale lo stesso si è fatto consegnare da centinaia di investitori centinaia di migliaia di euro andati poi persi.
Il meccanismo fraudolento messo in piedi da Fiordiliso si è inceppato quando non è più riuscito a coprire le aspettative almeno di una parte dei risparmiatori, ovvero quando è andato a corto di denaro che recuperava da altre vittime. Insieme a Fiordiliso risultano indagati i figli, Marcello Edoardo e Francesco, la moglie e il cognato, Antonio e Clementina della Volpe. I reati contestati, a vario titolo, sono la bancarotta fraudolenta, la truffa aggravata, l’abusivismo finanziario e il riciclaggio.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Il pentito Nicola Schiavone accusa Malinconico: ‘Lavori per 7,5 milioni di euro nella zona Asi di Marcianise’

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Il pentito Nicola Schiavone accusa Malinconico: “Lavori per 7,5 milioni di euro nella zona Asi di Marcianise’. E’ l’ultimo atto dei nuovi verbali del collaboratore di giustizia che sono stati resi noti dai magistrati e depositati al processo Mastrodominico- Fabozzi.“Avevo una rete di imprenditori e faccendieri di fiducia che facevano affari con me o nel mio interesse contribuendo alla vita del clan Schiavone e alle mie risorse personali”, ha spiegato il figlio di ‘Sandokan’. e Poi ha aggiunto: “Un altro lavoro di grosso importo fu gestito da me e da Antonio Iovine con la complicità dell’appaltatore Giovanni Malinconico a lui legato. Si trattava di lavori dell’ASI di Villa Litern se ricordo bene la stazione appaltante era Caserta o a Marcianise ed era diretta da Enzo Natale che fu da tramite per affidare i lavori a Malinconico a danni di una impresa che era legata a Dante Apicella. Lavoro che fu motivo di dissidio tra Michele Zagaria e Iovine“.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Si inventò gli abusi sessuali sulla figlia da parte dell’ex marito: ora è accusata di calunnia

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Con l’accusa di calunnia fini­sce a giudizio una 37enne sca­fatese per aver denunciato l’ex marito di violenza ses­suale sulla figlia 15enne. Raccontò agli inquirenti di aver visto la figlia toccarsi le parti intime e attribuì tutto all’ex marito con il quale si era lasciata mesi prima. L’uomo fu poi assolto nono­stante che la ragazza fu con­vinta dalla mamma a raccontare il falso, tanto che quando si recò in ospedale a Nocera Inferiore parlò di bru­ciori provocati dal padre du­rante la notte. La storia è del 2017 quando i due coniugi vi­vevano già separati, ognuno in un’abitazione diversa: lei con la figlia e l’ex compagno con genitori. Secondo la rico­struzione degli inquirenti dopo la denuncia della donna la ragazza tornò in casa accu­sando un malore e toccandosi le partì intime aveva riferito di essere stata nell’apparta­mento del padre, in una zona periferica di Scafati. E de­nunciò l’accaduto dopo aver accompagnato la ragazza in ospedale, qui i medici nono­stante fossero dubbiosi refertarono quei bruciori come sintomo di abusi sessuali. Dal nosocomio nocerino si recò dai carabinieri e formulò un dettagliato esposto parlando della visita che la ragazza aveva fatto al padre e che quando la sera rientrò la do­vette soccorrere perché aveva avvertito un malore. Il gip nocerino aveva accolto a suo carico la richiesta di rinvio a giudizio presentata dalla pro­cura nocerina, sulla base del raffronto documentale, con gli accertamenti, svolti, il re­ferto, la prima fase di denun­cia che aveva sollevato il delicato caso giudiziario. Poi la retromarcia che hanno fatto scagionare l’ex marito mai arrestato nonostante le gravi accuse. Per la 37enne si sono aperte le porte di un processo per il reato di calun­nia con giudizio immediato dopo la sua confessione di es­sersi inventata tutta la storia.

Cronache della Campania@2018

Faida interna agli Amato-Pagano: presi in sei. Sono gli autori di due omicidi e di un tentato omicidio

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La Squadra Mobile presso la Questura di Napoli ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare che ha disposto la custodia in carcere nei confronti di sei indagati, emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli, ad esito di indagini della Direzione distrettuale antimafia, nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili di due distinti episodi omicidiari commessi nell’area nord di Napoli e riconducibili alla guerra per il controllo del territorio di Mugnano e delle relative attività criminali sul territorio.Le attività di indagine – fondate su dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni ed un’ampia messe di riscontri – hanno consentito di individuare gli esecutori dell’omicidio ai danni di SANTORO EUGENIO, in cui è rimasto ferito PAROLISI ANDREA, commesso in Mugnano il 19.12.2006, nonché dell’omicidio di CIPOLLETTA SALVATORE, consumato il 14.4.2008, sempre in Mugnano.L’agguato a PAROLISI e SANTORO venne compiuto da un gruppo di fuoco composto da affiliati del clan LO RUSSO, ed operante per conto dei vertici del clan AMATO PAGANO. Le due consorterie all’epoca, come dimostrato da numerosi provvedimenti giurisdizionali, tra cui sentenze passate in giudicato, erano infatti alleate, in un intreccio di affari criminali e di favori reciproci, tra cui omicidi commessi da gruppi di fuoco composti da affiliati ad entrambi i clan.Questi due episodi omicidiari hanno quale filo conduttore l’affermazione del predominio del clan AMATO PAGANO su Mugnano, territorio su cui hanno sempre operato referenti ribelli alle direttive dei capi. Ed invero, come dimostra la sentenza definitiva intervenuta per l’omicidio di AMORUSO Carmine commesso il 6.3.2006, gli AMATO PAGANO dapprima deliberarono la morte dell ‘AMORUSO, per insediarvi il CIPOLLETTA SALVATORE, quale loro longa manus su Mugnano; poi CIPOLLETTA fu incaricato di eliminare due affiliati riottosi quali SANTORO e PAROLISI.L’agguato riuscì a metà, poiché PAROLISI sfuggì al commando omicida e, dopo essersi rifugiato nel Commissariato di Giugliano, divenne collaboratore di giustizia. Lo stesso CIPOLLETTA successivamente si rese inviso ai capi degli AMATO PAGANO per la sua tendenza a rendersi autonomo nella gestione dei vari affari criminali su Mugnano, per cui ne venne decretato l’omicidio, poi perpetrato ad opera di fedelissimi del clan AMATO PAGANO.Il territorio di Mugnano, la cui turbolenza è dimostrata anche da eventi recentissimi, ha sovente assistito all’eliminazione fisica dei soggetti che ne gestiscono il controllo criminale. Nel 2008 infatti il potere camorristico su Mugnano venne affidato dagli AMATO PAGANO a D’ANDO’ ANTONINO, che finirà a sua volta nel 2011 vittima della guerra interna alla consorteria, come dimostrano gli atti del processo che si sta celebrando m abbreviato innanzi al GIP Ufficio 26.

Cronache della Campania@2018

Camorra, ergastolo per Walter Schiavone per l’omicidio Cecora

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Cassazione: ergastolo a Schiavone che ha ordinato l’omicidio di Gilberto Cecora. Avrebbe fatto da portavoce del fratello ordinando di ammazzare Gilberto Cecora. Per questo motivo Walter Schiavone, germano del capoclan Francesco Schiavone Sandokan, è stato condannato all’ergastolo in qualità di mandante del delitto, avvenuto a Casal di Principe nel 1994, nell’ambito della faida tra gli Schiavone e il gruppo scissionista di Giuseppe Quadrano. La Corte di Cassazione, infatti, ha rigettato il ricorso presentato dall’imputato confermando la sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise d’Appello di Napoli.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Armi per i Casalesi: un agente infiltrato nel mondo dei trafficanti slavi

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Dall’Europa dell’Est a Casal di Principe passando per il Veneto. Era questo il tragitto delle armi da guerra che dalla Russia e dai paesi della ex Jugoslavia giungevano nel casertano. Un vero e proprio arsenale fatto di pistole, esplosivo, bombe a mano, kalshnikov e mitragliatori modello Skorpion. E’ quanto emerge nell’inchiesta che ha portato in carcere ben 50 persone per gli affari della camorra di Casal di Principe in Veneto, con l’articolazione guidata da Luciano Donadio. A confermare tali circostanze sono stati diversi collaboratori di giustizia, in particolare Vincenzo Vaccaro, Salvatore Laiso e Roberto Vargas.Circostanze che sono state confermate anche da un ufficiale della guardia di finanza che ha operato sotto copertura entrando in contatto con il trafficante Camil Ikic che gli ha riferito di avere nella sua disponibilità “3 pistole calibro 7.65; 10 pistole calibro 6.35; mitragliatori kalashnikov e Uzi, 1 kg di espolsivo al plastico, 4 bombe a mano e 3 kg di dinamite”. Ikic ha confermato di aver procurato armi anche al gruppo di Donadio.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018


Il ‘Cold case’ della ragazza suicida a 18 anni: il gip indaga su tre amiche

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Dopo sette lunghi anni ancora non si è arrivati alla conclusione del caso della morte di Roberta Scarsella, la diciottenne precipitata il 15 settembre del 2012 dal sesto piano del palazzo dove abitava, a Portici, in provincia di NAPOLI. Alla morte di Roberta hanno assistito tre sue amiche, oggi indagate per quello che inizialmente era stato considerato un suicidio. Venerdì scorso i consulenti nominati dal gip di NAPOLI – un ingegnere e un medico – hanno depositato ciascuno la propria perizia, acquisite oggi dai legali che hanno chiesto e ottenuto un rinvio per analizzarle. Quella sera pare che Roberta avesse alzato un po’ il gomito, forse perché particolarmente triste: era venuta a conoscenza di una nuova relazione sentimentale del suo ex. Le amiche la accompagnano a casa. La portano fino al sesto piano del palazzo dove Roberta decide di sedersi, sul davanzale di una finestra. Lei cade nel vuoto mentre le amiche cercano di afferrarla. Le indagini puntano subito sul suicidio ma con il passare del tempo, e con l’acquisizione di altre testimonianze, emergono delle discrepanze. Discrasie che hanno spinto i gip (tre se ne sono avvicendati da allora, l’ultimo nominato da poco, ndr) a ritenere plausibili anche altre piste, come quella che porta all’omicidio preterintenzionale contestato alle tre amiche le quali avrebbero anche reso ricostruzioni contrastanti riguardo l’accaduto. Il legale di una delle tre giovani, l’avvocato Maurizio Capozzi, si e’ avvalso di un perito “eccellente”, l’ex generale del Ris Luciano Garofano, per chiarire l’accaduto. Secondo Garofano, Roberta sarebbe stata vittima di un tragico incidente. Avrebbe perso l’equilibrio, forse per un capogiro, e sarebbe caduta malgrado i tentativi delle sue tre amiche di afferrarla. La scorsa estate, nel palazzo di via Cellini dove Roberta e’ morta, i periti nominati dal gip Valerio Natale, gli avvocati e i periti della difesa hanno effettuato tre distinti sopralluoghi, tra giugno e settembre, per ricostruire l’accaduto, anche con l’ausilio di un manichino (fatto precipitare dalla stessa finestra) e di alcuni droni che riprendevano dall’alto le simulazioni. In questi anni gli inquirenti per ben due volte hanno chiesto l’archiviazione. E per altrettante volte il gip ha rigettato l’istanza, convinto che la verità non fosse venuta ancora a galla. Un procedimento tribolato anche per vari intoppi: uno dei periti del giudice, per esempio, e’ stato costretto a rinunciare all’incarico per motivi di salute mentre i familiari della ragazza hanno cambiato l’avvocato per tre volte (due in occasione delle richieste di archiviazione dei pm). Lunedì prossimo, davanti alla 42esima sezione del Gip riprenderà l’analisi delle consulenze che, secondo quanto si apprende, sarebbero giunte a due diverse conclusioni.

Cronache della Campania@2018

Napoli, 60 anni di carcere per i 10 della’ banda del buco’ della batteria di Poggioreale

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Il gup del tribunale di Napoli, Antonino Santoro ha condannato a 59 anni di carcere complessivi i dieci componenti della banda del buco , tutti provenienti dalla zona di Poggioreale, che aveva fatto razzie in negozi e abitazioni delle province di Napoli e Salerno. Tutti  accusati di furto, tentata rapina e associazione a delinquere. Quattro i colpi andati a segno e almeno altri 10 tentati tra il 2015 e il 2016. Le condanne sono arrivate per Vincenzo e Carlo Di Maio (9 anni di carcere ciascuno), 7 anni per Luca Giordano, a 6 anni di reclusione  sono stati invece condannati Giuseppe Giuliani e Ciro Liguori, 5 anni per Assunta Giuliani, Ciro Alfano,  Ciro Giordano e Bruno Torre. Infine, 2 anni di reclusione per Rosetta Conte. Per i dieci imputati, è stata disposta anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Cronache della Campania@2018

I Vastarella volevano uccidere Sequino all’uscita del carcere e il boss chiamò un ‘amico’ poliziotto per farsi proteggere. LE INTERCETTAZIONI

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Napoli. C’è stato un momento nella violenta guerra di camorra tra il clan Vastarella da una parte e i Sequino dall’altra per il controllo degli affari illeciti nel rione Sanità ma anche nelle altre zone del centro storico di napoli confinante in cui si è rischiato davvero grosso. Il clan Vastarella, non pago del ‘tradimento’ dell’agosto 2016 in cui furono uccisi il boss emergente del Cavone, Salvatore Esposito detto sandokan e Ciro marfè e ferito gravemente Pasquale Amodio (tutti legati ai Sequino) aveva deciso di compiere un plateale attentato nei confronti del boss Salvatore Sequino. Nell’ottobre del 2016 infatti si era sparsa la voce che il capo del clan che era detenuto a Vibo Valentia sarebbe stato scarcerato di li a poco in conseguenza di una sentenza favorevole al processo contro il clan Buonerba che si stava concludendo. La cosa non si è avverata perché Salvatore Sequino è stato condannato a 15 anni e sette mesi di reclusione. Ma la sera del 13 ottobre del 2016 a Lagonegro era stato arrestato dalla polizia Fabio Vastarella, figlio di Raffaele capa auciello e nipote di Patrizio Vastarella. Il giovane , che la sera prima a Napoli aveva rapinato l’auto di un magistrato della Dda (non sapendo chi fosse) era ricercato e sulle sue tracce vi erano numerosi esponenti delle forze dell’ordine per il gesto eclatante che aveva commesso. Fabio Vastarella dopo la rapina si era messo in viaggio alla volta della Calabria ed era accompagnato da una seconda auto, una fiat Panda con all’interno Raffaele Topo e Alessandro Pisanelli, entrambi del clan Vastarella. Nell’auto rubato Fabio Vastarella aveva dei guanti in lattice e una ricetrasmittente. L’arma per compiere l’agguato gli sarebbe stata portata a destinazione. Il boss Salvatore Sequino venuto a conoscenza del tentativo di agguato nei suoi confronti organizza il suo ritorno a Napoli (sperando sempre in una sentenza favorevole e  quindi nella scarcerazione) chiedendo alla moglie di far arrivare un loro ‘amico’ ovvero un sovrintendente di polizia (originario della Sanità) ma in servizio al Nord e che insieme con il figlio di quest’ultimo e suo cognato Silvestro Pellecchia avrebbero dovuto scortarlo fino a casa. Il boss organizza tutto durante i colloqui in carcere con la moglie Sonia Esposito non sapendo di essere intercettato. Tutta la vicenda è raccontata nelle 516 pagine dell’ordinanza cautelare firmata dal gip Emilia Di Palma e che due settimane fa ha portato in carcere una trentina di esponenti dei due clan in lotta.

Racconta Sonia Esposito: “…Hanno arrestato a Fabio Vastarellaqua a Lagonegro … Il 13 Ottobre! La giornata del 14! … Una macchina rubata, i guanti in lattice, una ricetrasmittente, comunque l’hanno rubata a Salvator Rosa questa macchina…”. Sequino incalzava la moglie chiedendole di specificare quale fosse la data dell’arresto ma soprattutto si chiedeva come i Vastarella avessero saputo che il 14 era programmata la sentenza che lo riguardava, arrivando ad ipotizzare che per tali motivi la sentenza era stata rinviata “…Che ne sapevano che e il 14 ci stava …..? Ma quando lo hanno arrestato Sonia? Il 13? … Perciò non è uscita la sentenza!…”. A quel punto Sonia Esposito, riferendosi ai Vastarella, affermava che questi ultimi erano convinti della sua scarcerazione  invitava il marito, a titolo precauzionale, ad utilizzare un autobus per tornare a casa nel caso in cui fosse stato scarcerato “…quelli erano convinti che tu uscivi! … Sai che devi fare? Ti devi mettere dentro un pullman!…”. Il boss invece, dettava un’altra strategia per sfuggire ad un eventuale agguato nei suoi confronti ed infatti chiedeva alla moglie di rivolgersi a Silvio, ossia il cognato Silvestro Pellecchia, affinché questi verificasse un percorso alternativo, attraverso le montagne “…No! Chiama Silvio! Digli : Silvio vieni a trovare. Uscendo da Vibo Valentia ci sta una strada che non deve fare la strada per Lagonegro cose sopra alle montagne? Se è positivo questo fatto, se è positivo non venite nessuno … (incomprensibile, ndr) e mi faccio le zone delle montagne. Non venite proprio capito? A parte che se dovesse succed…”. Sonia Esposito in maniera preoccupata chiedeva al marito se potessero tendergli un agguato fuori al carcere “…E se vengono qua fuori?…”, ma questi scartava una tale ipotesi ed aggiungeva che a suo parere gli sarebbe stato teso l’agguato a Tortora “…Eh! Qua fuori! E come se ne vanno poi? Lo fanno qua fuori! Come se ne vanno da qua fuori! Io sono convinto a Tortora! A Tortora!…”.
Il boss aveva dunque anche la disponibilità di un abitazione a Tortora, ove aveva domiciliato durante il periodo in cui era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Per dare più forza all’ipotesi che l’agguato ai suoi danni poteva essere perpetrato nella zona di Tortora, Salvatore Sequino faceva notare alla moglie il fatto che per raggiungere Tortora da Napoli i Vastarella sarebbero dovuti transitare da Lagonegro, come poi effettivamente accadeva in occasione dell’arresto di Fabio Vastarella “…A Tortora a Tortora, sicuro! Prima si fermano là e poi da la partono! La strada che devono fare è Lagonegro…”.
A quel punto Salvatore Sequino chiede alla moglie di rivolgersi al nipote Giovanni affinché questi contattasse un suo conoscente che si occupava di sicurezza, affinché organizzasse una scorta da Vibo Valentia a Napoli, nel caso di una sua scarcerazione.
E così gli affiliati il 28 ottobre del 2016 organizzarono un servizio di scorta per prelevare il boss, nell’ipotesi in cui fosse scarcerato, cosa poi non verificatasi. La finalità di tale scorta, ovviamente, era quella di proteggere il capo clan da eventuali agguati ai suoi danni. Proprio il giorno 28 ottobre 2016, infatti, era prevista la sentenza nei confronti di Salvatore Sequino e gli affiliati speravano che lo stesso fosse assolto, ovvero condannato ad una pena lieve che ne consentisse la scarcerazione. cosa che poi non avvenne. In particolare, era stato predisposto un servizio di scorta, verosimilmente armato, cui partecipava sicuramente  Salvatore La Marca; nel servizio di scorta, inoltre, emergeva il coinvolgimento di  omissis e del padre omissis , quest’ultimo Assistente Capo della Polizia di Stato…omissis…
Per la Marca era importante la presenza del poliziotto insieme con loro perché alla luce del suo status poteva stare armato senza in correre in problemi con le forze dell’ordine in caso di controlli. L’unica preoccupazione dei Sequino era quella di proteggere il capo Clan da un eventuale agguato.

Rosaria Federico

5.continua

(nella foto il carcere di Vibo Valentia, il boss Salvatore Sequino e Fabio Vastarella)

Cronache della Campania@2018

Insulti e botte all’ex moglie, avvocato di Torre Annunziata arrestato a Torino

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Torre Annunziata. Nonostante il divieto di avvicinarsi alla moglie continuava a perseguitarla con telefonate, messaggi ed e-mail: è stato arrestato a Torino un avvocato civilista. L’uomo, 45 anni, originario di Torre Annunziata è imputato in un processo per maltrattamenti in famiglia nei confronti della moglie e della figlia minorenne. Nonostante gli fosse stato vietato di avvicinarsi alle due donne, il legale, difeso dagli avvocati Stefania Grazini del foro di Torino e Massimo Lanfranco del foro di Napoli, ha continuato secondo l’accusa a cercare di contattare la coniuge, inviandole centinaia di messaggi ed e-mail e chiamandola ripetutamente al telefono. Il magistrato ha quindi chiesto l’aggravamento della misura cautelare e, su disposizione del giudice, l’uomo è stato rinchiuso nel carcere di Torino. Gli episodi contestati risalgono al 2018. A quanto si apprende, il civilista avrebbe ripetutamente picchiato e insultato la moglie davanti alla figlia, fumava molto e non le permetteva di aprire le finestre, non la lasciava uscire di casa. Il 45enne è stato arrestato dalla polizia municipale che ha eseguito il provvedimento del giudice.

Cronache della Campania@2018

Napoli, ragazzo morto nella Galleria, il consulente: ‘Il fregio caduto è di proprietà del comune’

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Napoli. Si è staccato dal frontone della Galleria Umberto I il pesante pezzo di stucco che, nel pomeriggio del 5 luglio 2014, a Napoli, uccise il 14enne Salvatore Giordano, morto 4 giorni dopo nell’Ospedale Loreto Mare della città. A sostenerlo ieri, davanti al giudice monocratico Barbara Mendia, è stato il consulente della Procura Nicola Augenti secondo il quale, quindi, la parte dalla quale il fregio è caduto è di proprietà del Comune di Napoli. Rispondendo alle domande del Pm e degli avvocati, il consulente, che tempo fa ha eseguito una perizia irripetibile, ha sostenuto di essere giunto a questa conclusione dopo una attenta ricerca, anche di carattere storico, sul monumento. “Le posizioni di coloro che sarebbero i veri responsabili della tragedia – ha dichiarato l’avvocato Sergio Pisani, che insieme ad Angelo Pisani difende i genitori e i fratelli di Salvatore – sono state archiviate, pertanto si rischia che il processo si concluda con un nulla di fatto per la famiglia”.

Cronache della Campania@2018

Nocera, si spararono a vicenda: chiesta la condanna per Iannone e De Napoli

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Il pm Vincenzo Senatore della Dda di Salerno ha chiesto le condanne per i due giovani ras dello spaccio di Nocera Inferiore che nel 2016 si affrontarono due volte a colpi di pistola. per Antonio De Napoli la richiesta è di 4 anni e 6 mesi di carcere , per Marco Iannone invece e è di 4 anni. Il processo si sta svolgendo con rito abbreviato e la sentenza  arriverà il prossimo 8 marzo. Secondo le accuse e la ricostruzione degli investigatori la sera del 4 settembre 2016  Antonio de Napoli in sella a uno scooter si sarebbe addentrato nella piazza di spaccio di Iannone, nel quartiere Piedimonte e avrebbe fatto fuoco colpendo alla gamba il rivale. Il giorno dopo Iannone decise di vendicarsi, dopo essere stato dimesso dall’ospedale. Con una persona mai identificata, si sarebbe recato in via Filangieri, sparando sulla porta di casa di De Napoli. E minacciando la madre di quest’ultimo, che chiuse in tempo l’uscio. Le due sparatorie furono poi ricostruite grazie a una serie di intercettazioni telefoniche che anno dato vita all’inchiesta a e al blitz “Un’altra storia” che nel 2016 aveva colpito la camorra nocerina e in particolare il gruppo di Michele Cuomo, a cui faceva riferimento De Napoli mentre Marco Iannone in quello capeggiato dai fratelli Francesco e Mario D’Elia.

Cronache della Campania@2018

Giovane rapinatore ucciso e bruciato in auto nel Beneventano: due arresti

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Due persone sono state arrestate per l’omicidio di Valentino Importa, il 26enne di Montesarchio in provincia di Benevento, avvenuto il 4 maggio del 2018. I provvedimenti restrittivi sono stati firmati dal gip del tribunale di Benevento, dopo un’indagine dei dei carabinieri della compagnia di Montesarchio e del nucleo investigativo di Benevento. Il cadavere del giovane fu trovato all’interno di un auto bruciata sul monte Taburno, in località Ceppino di Tocco Claudio. Imporota era indagato per la rapina messa a segno lo scorso 10 aprile nel centro caudino, in seguito alla quale aveva perso la vita un anziano di 83 anni. A maggio scorso era stato arrestato il presunto complice di Improta ovvero Paolo Spitaletta, pregiudicato 49enne di Tocco Caudio accusato di rapina e omicidio preterintenzionale

Cronache della Campania@2018


Ricattano un minorenne chiedendogli dei soldi in cambio: arrestati

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Nella mattinata odierna, i Carabinieri della Stazione Carabinieri di Teano, hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nei confronti di LOFFREDO Umberto ci. 82 e CARDEROPOLI Luigi ci. 78, ritenuti responsabili di concorso in estorsione continuata, delitto aggravato dall’aver cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità. Il provvedimento segue ad una complessa indagine avviata nel mese di novembre del 2017 e diretta dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, originata dalla denuncia sporta da un minore, il quale riferiva’in ordine alle minacce a lui rivolte dagli indagati: emergeva che gli stessi avevano inizialmente preteso il versamento di una somma di denaro per non accusarlo della cessione — in realtà mai avvenuta — di un modesto quantitativo di hashish. Il minore, spaventato delle possibili conseguenze penali e sapendo che i genitori custodivano in soffitta una somma di denaro contante destinata all’acquisto di un locale commerciale, si determinava a consegnare agli indagati denaro contante per e 1.900,00, in due tranche, per poi versare ulteriori “rate”, per l’importo complessivo di C 60.000,00, somme riscosse nei pressi dell’istituto scolastico frequentato dal minore. La dinamica criminale veniva acclarata anche attraverso i riscontri tratti dalle intercettazioni esperite a seguito della denuncia, attività tecnica che permetteva di corroborare le dichiarazioni della vittima ed attribuire le responsabilità agli indagati, oggi tratti in arresto. Dette richieste di denaro — secondo quanto emerso dall’intera attività d’indagine — venivano avanzate ai danni della vittima, approfittando della sua inesperienza e giovane età, mediante una serie di continue intimidazioni, consistite nel minacciare di riferire al padre che facesse uso di sostanze stupefacenti, nel minacciarlo di morte, nel manifestare l’intenzione di rivolgersi — per la riscossione dell’inesistente debito — a criminali di maggiore spessore dediti ad azioni violente, nel prospettare l’attivazione dell’intervento degli assistenti sociali allo scopo di allontanare il ragazzo dal nucleo familiare e, in particolare, separarlo della sorella minore e, infine, nell’intimazione di nuocere all’incolumità fisica alla, madre.

Cronache della Campania@2018

Truffa all’Inps da 400mila euro, 45 rischiano il processo. TUTTI I NOMI

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Il pm Santosuosso ha disposto la chiusura delle indagini per l’inchiesta sulle false assunzioni. ben 45 gli avvisi di conclusione indagine notificati dal pm Santosuosso alle persone coinvolte nell’inchiesta della Procura di Napoli Nord che ha portato a scoprire un enorme giro di assunzioni fittizie per truffare l’Inps. Al centro della vicenda c’è la società ‘Bn Costruzioni’, che avrebbe “simulato la sussistenza di inesistenti rapporti di lavoro” per presentare così all’Inps le domande di riconoscimento di indennità per i finti operai. Una truffa che avrebbe permesso agli indagati di intascare complessivamente 400mila euro.
Queste le persone coinvolte nell’inchiesta che hanno ricevuto l’avviso di conclusione indagine: Raffaele Napoletano, 42enne di Casapesenna, Amedeo Corvino, 64enne di Casal di Principe, Daniele Caputo, 38enne di Afragola, Ferdinando Di Maso, 67enne di Afragola, Giuseppe Secce, 40enne di Casoria, Francesco Simeone, di Zevio, Luigi Torremaco, 63enne di Casapesenna, Maria Napoletano, 40enne di Casapesenna, Giovanna Cassese, 41enne di Villa di Briano, Francesco Castaldo, 65enne di Casal di Principe, Pietro Catena, 51enne di Villa Literno, Paolo Cavaliere, 41enne di Grosseto, Ferdinando Celardo, 31enne di Afragola, Giovanni Battista Colella, 38enne di Capodrise, Agnese Corvino, 33enne di Casal di Principe, Stanislao Corvino, 30enne di Casal di Principe, Alessandro Cirillo, 55enne di Casal di Principe, Raffaele Arrichiello, 38enne di Casal di Principe, Camilla Puocci, 41enne di Casal di Principe, Antonio Letizia, 30enne di Casal di Principe, Umberto D’Angelo, 36enne di Aversa, Antonietta Diana, 66enne di Gaeta, Gennaro Diana, 52enne di Bologna, Giuseppe Esposito, 55enne di Cardito, Michele Giustino, 36enne di Milano, Alessio Salvatore Iannone, 35enne di Orta di Atella, Gabriele Maietta, 38enne di Marcianise, Angelina Marinova, 29enne di Capodrise, Giuseppe Martinelli, 42enne di San Cipriano d’Aversa, Mauro Mariello, 66enne di Casoria, Carmela Mottola, 63enne di Villa Literno, Giovanna Perfetto, 60enne di Villa Literno, Angelina Napoletano, 36enne di Casapesenna, Giovanni Sagliano, 65enne di Casapesenna, Rosa Pagano, 65enne di Casapesenna, Francesco Pacia, 38enne di Caserta, Antimo Rossi, 42enne di Marcianise, Giovanni Caputo, 39enne di Trentola Ducenta, Maurizio Iavarazzo, 40enne di Gaeta.
Per tutti le accuse sono di truffa e falso, i giudici dovranno ora valutare se disporre il rinvio a giudizio. Gli indagati chiave dell’inchiesta sono Maria e Raffaele Napoletano,in qualità di gestori della ‘Bn Costruzioni’, oltre ad Amedeo Corvino e Luigi Torromacco, lavoratori della società. Ai quattro infatti viene contestato anche l’evasione delle impose sui redditi.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Papà si oppone all’amore gay della figlia, la fidanzata per vendetta lo denuncia per violenza sessuale

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Si era messo in mezzo per porre fine alla relazione omosessuale che la figlia intratteneva con una ragazzina di appena 14 anni. Ed era riuscito nel suo intento: quel rapporto tanto contrastato in famiglia si era concluso. Ma la ragazza non si era data per vinta, anzi si è vendicata. Lo contattò e gli diede appuntamento nel parcheggio di un centro commerciale. Cercava una riconciliazione con la sua amata e di comprendere il motivo di quel rifiuto da parte del padre di lei. L’uomo restò sulle proprie posizioni e per questo la ragazza lo denunciò per violenza sessuale.
Questa la vicenda che si è conclusa stamattina dinanzi al collegio presieduto dal giudice Miele del Tribunale di Napoli Nord. Protagonista di questa storia un papà di Casal di Principe che è stato trascinato in tribunale. Due anni di udienze, perizie, testimonianze. Per l’uomo l’incubo si è concluso nella giornata di oggi. I giudici lo hanno assolto. +

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Bonafede: ‘Risponderemo alle esigenze del Tribunale di Napoli nord’

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“Le misure contenute nella legge di bilancio, relative all’assunzione di 3 mila unita’ di personale amministrativo nell’arco del triennio 2019-2021, cosi’ come l’aumento della pianta organica della magistratura per 600 unita’ in tre anni rappresenteranno l’occasione per rispondere in maniera decisa alle esigenze degli uffici giudiziari di Napoli nord”. Lo ha affermato in question time alla Camera il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. “Si tratta – ha detto Bonafede – di esigenze assolutamente peculiari sia per la tipologia di contenzioso trattato sia per la realtà criminale che ne interessa il territorio: parliamo di una realtà giudiziaria molto giovane, su cui probabilmente inizialmente non era ben state calibrate le risorse necessarie”. “Sono soddisfatto delle parole del ministro della Giustizia e mi auguro che alla disponibilità dimostrata anche ieri con i rappresentanti della magistratura e dell’avvocatura facciano seguito misure urgenti perché il tribunale di Napoli Nord ricopre un ruolo centrale per la tutela della legalità in un circondario giudiziario che abbraccia territori ben conosciuti, come la Terra dei fuochi. Rinnovo inoltre l’invito a venire al tribunale di Napoli nord per constatare da vicino quali sono le difficoltà quotidiane che affrontano tutti i rappresentanti dell’avvocatura e della magistratura”. Cosi’ Catello Vitiello, deputato del gruppo Misto-Sogno Italia, durante il question time alla Camera con il ministro Bonafede. “Nella mia interrogazione chiedevo al ministro della Giustizia quali misure intendesse adottare al fine di risolvere le criticità relative agli spazi e al personale del tribunale di Napoli nord, in modo da scongiurare uno stallo della produttività e dell’efficienza, ricordando che questo e’ il secondo ufficio giudiziario della Campania e si impone tra i primi cinque in Italia per numero di affari giudiziari civili e penali”, conclude Vitiello.

Cronache della Campania@2018

Camorra e slot machine, condannati i vertici del clan Russo

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Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha condannato i fratelli Francesco e Massimo Russo, fratelli del capoclan Peppe Russo, detto “il padrino”, (ritenuto fedelissimo del boss Francesco Schiavone “Sandokan”) rispettivamente a 16 anni e mezzo e 17 anni di reclusione nell’ambito del processo sulla gestione illegale delle slot machine che il 15 settembre del 2015 porto’ la Dia, coordinata dalla Dda di Napoli, ad eseguire 44 misure cautelari. L’indagine evidenzio’ gli interessi del clan anche nei settori delle sale bingo, nella distribuzione del caffè, e nella gestione dei cavalli da corsa. In quell’occasione, infatti, fu arrestato anche un fantino di fama, Mario Minopoli (difeso dagli avvocati Paolo Trofino e Alfredo Marrandino), che aveva condotto un cavallo, Madison Om, di proprietà, secondo la procura antimafia, di Massimo Russo. Al fantino veniva contestata l’intestazione e l’interposizione fittizia con l’aggravante di avere agevolato un clan mafioso. Il pm aveva chiesto per lui quattro anni e mezzo di carcere. Il giudice pero’ ha escluso l’aggravante e dichiarato prescritto il reato. Condannato il collaboratore di giustizia Roberto Vargas, a due anni e otto mesi. Poi, pene tra 8 e 10 anni sono state inflitte ad alcuni imprenditori. Dodici anni e mezzo sono stati comminati, invece, a Giugliano Martino (detenuto al 41 bis), cognato di Massimo Russo, esponente di spicco del gruppo Russo e della fazione Schiavone del clan dei Casalesi. Queste nel dettaglio le codanne emesse dalla terza sezione penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta dal giudice Giuseppe Meccariell,: Domenico Abatiello a 4 anni e 6 mesi; Augusto Discepolo a 8 anni e 6 mesi; Alfredo Giuliano a 9 anni; Raffaele Maiello a 5 anni; Giuseppe Manco a 3 anni; Giuliano Martino a 12 anni e 6 mesi; Giovanni Maria Rotondo a 8 anni e 6 mesi; Francesco Russo a 16 anni e 6 mesi, riconosciuta la continuazione con un’altra sentenza passata in giudicato; Massimo Russo a 17 anni; Roberto Vargas a 2 anni e 8 mesi, con l’attenuante legata alla sua collaborazione con la giustizia.

 Gustavo Gentile

 

Cronache della Campania@2018

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