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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Trattamento ‘inumano’ per il fratello del boss Zagaria: sconto di pena per ‘Bin Laden’

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Caserta. Trattamanto ‘inumano e degradante’ uscirà dal carcere 200 giorni prima, nel 2027. Lo sconto di pena è stato riconosciuto a Pasquale Zagaria, detto ‘bin Laden’ fratello del boss Michele, uno dei quattro capi della federazione mafiosa di Casal di Principe. Il magistrato di sorveglianza di Cuneo Stefania Bologna ha ridotto la pena di 210 giorni al detenuto per le condizioni ‘sofferte’ dal recluso nelle carceri italiane. La decisione fa tornare nuovamente d’attualità la condizione di detenzione negli istituti di pena italiani, più volte stigmatizzata dal Consiglio Europeo. Pasquale Zagaria, detto ‘Bin Laden’, è stato considerato dagli inquirenti la “mente economica” del clan dei Casalesi. Nei primi anni 2000, trasferì il cuore economico del clan del cemento a Parma, rilevando la ditta quasi in disgrazia di un noto costruttore parmigiano, Aldo Bazzini, sposandone la figliastra Francesca Linetti. In questo modo riuscì ad accaparrarsi gli appalti del Ministero per le Infrastrutture che furono affidati a ditte indicate dai Casalesi.
Attualmente Pasquale Zagaria è detenuto nel carcere di Sassari. L’istanza presentata dai suoi legali riguarda i periodi di detenzione trascorsi negli istituti penitenziari di Torino, L’Aquila (dove ora si trova il fratello Michele), Spoleto, Santa Maria Capua Vetere, Tolmezzo, Napoli Poggioreale, Napoli Secondigliano, Lecce, Nuoro e Cuneo. Pasquale Zagaria è in carcere dal 28 giugno del 2007 e la sua scarcerazione è prevista, al momento, per il 2027. Il magistrato di sorveglianza ha calcolato lo sconto di pena in relazione ai periodi di detenzione trascorsi a Poggioreale (17 giorni), Lecce (10 giorni), Nuoro (5 giorni), la parte più consistente, 178 giorni, di riduzione della pena, è stata calcolata per l’insufficiente riscaldamento della cella subito quand’era a Cuneo, dal 4 agosto 2010 al 23 giugno 2015, giorno in cui è stato trasferito a Sassari, dove si trova attualmente.

Cronache della Campania@2018


Spaccio hi tech 2.0. Cinque arresti e 8 minori indagati: c’è anche nipote del ras ucciso

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Santa Maria Capua Vetere. Un sistema di spaccio di droga 2.0, in cui le comunicazioni tra pusher avvengono tramite un sistema di messaggeria criptato e il pagamento del carico avviene in bitcoin. A scoprirlo sono stati i carabinieri della stazione di San Prisco, che hanno arrestato su ordine del Gip del Tribunale di Napoli cinque giovani di età compresa tra i 22 e i 28 anni – tre finiti in carcere, due ai domiciliari – indagando anche sei ragazzi minorenni all’epoca dei fatti (2015-2016), cui è stato notificato l’avviso di conclusione indagini emesso dalla Procura presso il Tribunale per i minorenni di Napoli.
Secondo la ricostruzione della Dda di Napoli che ha coordinato l’inchiesta, tutti i giovani facevano parte di un’organizzazione ben strutturata che vendeva hashish e marijuana a Santa Maria Capua Vetere, in cui gli assuntori erano giovani coetanei dei pusher. Lo spaccio avveniva fuori alle scuole e dove si incontravano le comitive di studenti. Ma soprattutto il gruppo sfruttava la tecnologia per rendere efficiente e sicuro il sistema di vendita.

I RUOLI E LA TRACCIA INVISIBILE AL NORD
Il promotore della banda, il 22enne Vladislav Stoica, hanno accertato i carabinieri di San Prisco e della Compagnia di Santa Maria Capua Vetere, comunicava con gli altri associati anche mediante un sistema informatico di messaggeria criptato noto come “Surespot”, e provvedeva in parte all’approvvigionamento dello stupefacente del gruppo attraverso il servizio postale, dopo aver preso accordo con i fornitori che venivano pagati con moneta virtuale, in bitcoin; un metodo che Stoica usava soprattutto per acquistare la marijuana, che spesso arrivava dal Nord Italia da fornitori non ancora individuati. I reati contestati a vario titolo sono l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti del tipo marijuana e hashish e la detenzione e spaccio di stupefacenti in concorso.

C’È ANCHE IL NIPOTE DEL RAS UCCISO
Cinque sono finiti in manette: destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere Vladislav Stoica, 22 anni; Davide Signore, 22 anni e Giuseppe Cortese, 29 anni. Ai domiciliari Francesco Triassi, 22 anni e Kevin Gravagno, 23 anni. Tra le figure chiave dell’inchiesta c’è Giuseppe Cortese, classe 1990, originario di Cervino ma da tempo residente a Santa Maria Capua Vetere: è il nipote del ras Angelo Cortese, detto “Marlon Brando”, ucciso nel 2006 dai sicari del clan Belforte. A Cortese junior la misura è stata eseguita in carcere in quanto è già detenuto per tentato omicidio e porto abusivo di armi: sparò contro il figlio dell’agricoltore nel cui terreno aveva appena fatto irruzione.

Gustavo Gentile

Queste le persone sottoposte a custodia cautelare:

Indagati destinatari della misura cautelare della custodia in carcere

1. STOICA Vladislav, cl’ 97;
2. SIGNORE Davide, cl’ 97;
3. CORTESE Giuseppe, cl’ 90.

Indagati destinatari della misura degli arresti domiciliari

4. TRIASSI Francesco, cl’ 97;
5. GRAVAGNO Kevin, cl’ 96.

Cronache della Campania@2018

Soldi per passare i concorsi. Chiesti 3 anni per il dipendente del Ministero: ma il Giudice lo scarcera

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Millantava conoscenze nelle forze dell’ordine al punto da poter influenzare sull’esito dei concorsi. Per questo motivo è finito sotto processo Giuseppe Zarrillo, il dipendente del Ministero originario di Marcianise e residente a Capodrise, coinvolto nell’inchiesta sui concorsi truccati nelle forze armate.
Tre gli episodi di millantato credito contestati a Zarrillo dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere per i quali il pm Urbano ha invocato la condanna a 3 anni di reclusione. Si tratta di due episodi per un concorso in polizia ed uno nella polizia penitenziaria.
All’esito dell’udienza il gup Minio ha rinviato la sua decisione all’inizio di marzo. Contestualmente il giudice ha disposto la scarcerazione di Zarrillo che è stato ristretto agli arresti domiciliari.

Cronache della Campania@2018

Scafati, l’avvocato annuncia di voler rinunciare alla difesa e l’ex sindaco Aliberti minaccia il suicidio via social

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Ha annunciato il suicidio su Facebook postando la foto delle medicine che avrebbe preso ed è stato trasportato in ospedale dai familiari. Non è in pericolo di vita, Pasquale Aliberti, l’ex sindaco di Scafati sotto processo per scambio di voto politico-mafioso che oggi pomeriggio, poco dopo la fine dell’udienza del processo che si sta celebrando a suo carico al Tribunale di Nocera, ha pubblicato un post ‘plateale’ nel quale ha annunciato: ‘L’unica soluzione è farla finita’. Secondo quanto accertato dai carabinieri del Reparto Territoriale di Nocera Inferiore, Aliberti è stato trasportato all’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore dai familiari per aver ingerito una dose non terapeutica di farmaci, le sue condizioni non sono preoccupanti, i medici lo hanno tenuto in osservazione e hanno avviato l’iter per fornirgli un supporto psicologico attraverso l’Asl. Lo scorso anno vi era stato un analogo episodio quando era detenuto agli arresti domiciliari a Roccaraso, allora – secondo quanto riscontrato dagli inquirenti – Aliberti avrebbe usato quel ‘malessere’ per cercare una via d’uscita al regime degli arresti domiciliari. Oggi pomeriggio, a ‘scatenare’ il plateale post che in poco tempo è stato visto da amici e familiari, è stata l’udienza che si è celebrata in mattinata al Tribunale di Nocera Inferiore. Tant’è che nel suo post Aliberti accenna proprio ad un episodio accaduto durante il processo: protagonista il suo avvocato, Silverio Sica.
In aula c’erano altri due testi dell’accusa: Domenico Gramazio di cui è stata acquisita la deposizione e Filippo Sansone, ex amministratore delegato di Scafati Sviluppo, la società che avrebbe dovuto reindustrializzare l’area ex Copmes, sentito in merito ad una deposizione resa dinanzi al pm della Dda Vincenzo Montemurro nel maggio del 2017. Nel corso del controesame di Sansone l’avvocato difensore di Pasquale Aliberti, Silverio Sica, ha espressamente paventato l’eventualità che il testimone fu sottoposto, durante quell’interrogatorio, a pressioni da parte del pm. Secondo la difesa ci fu cambio di atteggiamento tra la prima parte dell’interrogatorio e la seconda, iniziata dopo 10 minuti di pausa. Il difensore di Aliberti ha espressamente sostenuto che la procura fece pressioni sul testimone. Sansone fu interrogato dal sostituto procuratore Vincenzo Montemurro, lo stesso che ha condotto oggi l’interrogatorio del teste. Il dubbio, paventato dall’avvocato Sica, sulla regolarità della condotta del magistrato ha spinto il pm, alla fine dell’udienza a chiedere la trasmissione degli atti al suo ufficio per valutare ipotesi di reato nei confronti del legale.
Nel corso delle precedenti udienze, la pubblica accusa aveva chiesto altre trasmissioni di atti al suo ufficio, sempre per valutare la condotta dello stesso avvocato che aveva fatto pesanti affermazioni e messo in dubbio la veridicità delle dichiarazioni di alcuni dei testimoni dell’accusa rese in udienza dinanzi ai giudici del Tribunale di Nocera Inferiore.
E oggi la situazione si è ripetuta. A fine udienza, l’avvocato Sica ha messo a verbale una sua dichiarazione sostenendo che le richieste di trasmissione degli atti della Procura ledono l’esercizio di difesa e dunque ha paventato l’ipotesi di voler lasciare la difesa dell’imputato Aliberti.
Questo episodio ha dato il ‘la’ al post pubblicato da Aliberti qualche ora dopo nel quale, esprimendo solidarietà al suo avvocato, ha ribadito la sua innocenza e lanciando messaggi neanche troppo velati ha chiesto che i suoi familiari lo aiutino a far emergere la verità. Aliberti fa intendere di essere un perseguitato. Sostiene di essere ‘crollato’ e affida il compito di far emergere la verità ai suoi familiari. Insomma un vero e proprio post di ‘addio’ accompagnato dalla foto di tre flaconcini di due tipi di medicinali per curare l’insonnia. Il messaggio sui social ha allarmato i familiari che lo hanno accompagnato in ospedale dove i medici non hanno ritenuto che il paziente fosse in pericolo di vita e lo hanno tenuto per qualche ora sotto osservazione.
Aliberti, fino a qualche mese fa ai domiciliari a Praia a Mare, nella sua casa di vacanza è libero con restrizioni: divieto di dimora a Scafati e nei comuni limitrofi. Attualmente domiciliato a Nocera Superiore, nonostante il processo in corso e il provvedimento di incandidabilità, Aliberti continua a fare esternazioni e commenti politici sui social, uno dei suoi mezzi di comunicazione preferito. Scafati è a pochi mesi dalle elezioni dopo il commissariamento per lo scioglimento decretato dal ministero per infiltrazioni malavitose, partiti e movimenti cercano di trovare un aspirante sindaco che possa riportare questa città alla normalità dopo l’amministrazione Aliberti finita nel mirino dell’antimafia per i suoi legami ‘pericolosi’ e malavitosi e dopo un periodo di commissariamento straordinario che certamente non è riuscito a riportare ordine e serenità in una città già martoriata.
A scandire la campagna elettorale che si apprestano ad affrontare i politici locali sarà anche il processo all’ex sindaco Aliberti, imputato per scambio di voto politico mafioso, insieme alla moglie e consigliere regionale Monica Paolino, al fratello Nello Maurizio, all’ex consigliere comunale Roberto Barchiesi, all’ex vice presidente dell’Acse Ciro Petrucci, allo staffista dell’ex primo cittadino, Giovanni Cozzolino e ad Andrea Ridosso, fratello di Luigi ritenuto uno dei capi dell’omonimo clan. L’episodio di oggi pomeriggio, ha fatto passare in secondo piano il processo e la testimonianza di Filippo Sansone, uno dei testi più insidiosi per il ruolo avuto nell’amministrazione Aliberti e per le sue conoscenze con Ciro Petrucci e gli esponenti del clan Ridosso, in particolare Luigi Ridosso, che si rivolsero a lui per chiedergli una consulenza per la creazione di una società di comodo con la quale avrebbero dovuto partecipare ad appalti pubblici. Sansone, indagato in un procedimento connesso, era assistito in aula dal suo avvocato di fiducia Paride Annunziata.
La prossima udienza è fissata per il 20 marzo saranno sentiti l’ex presidente del Consiglio Pasquale Coppola, già convocato per oggi ma giustificato per ragioni di salute, e i due collaboratori di giustizia Pasquale e Alfonso Loreto, padre e figlio.

Cronache della Campania@2018

Il clan Sequino aveva anche un suo sito di scommesse on line. Il pizzo e gli spari contro il Punto Snai

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“Pasquale Amodio membro del clan Sequino, addetto alla gestione delle scommesse on-line. Faccio presente che Pasquale Amodio realizzò un sito clandestino di scommesse sulle partite di calcio e su altri eventi sportivi che veniva imposto alle varie agenzie di scommesse esistenti nella Sanità. Se ricordo bene, il Commissariato San Carlo Arena ha svolto degli accertamenti su tale sito clandestino”. E’ l’11 giugno dello scorso anno quando il neo pentito Pasquale Pandolfi elemento di spicco del clan Vastarella, scampato due volte alla morte spiega ai magistrati della Dda  parte dei segreti dei clan del rione Sanità. E spiega come il clan Sequino, ai quali i Vastarella erano stati alleati fino all’agosto del 2016, imponevano il pizzo alle agenzie di scommesse  del quartiere. In molti casi gli affiliati effettuavano delle giocate a debito fino a 700 euro e se perdevano naturalmente non pagavano, se vincevano invece non solo incassavano la vincita ma non lasciavano in cassa neanche la parte della cifra giocata. Anche Gianni Gianni Sequino per un certo periodo aveva gestito una agenzia di scommesse poi era stata chiusa dai carabinieri. Nell’inchiesta sul clan che l’altro giorno ha portato in carcere 24 tra capi e affiliati dei clan Sequino, Vastarella e Savarese figura anche un troncone dedicato appunto al pizzo sulle agenzie di scommesse e che ha determinato una seconda ordinanza cautelare che ha colpito Pasquale Amodio, Gennaro Passaretti detto “Genny ’o cecato”, Giovanni Sequino “Gianni Gianni”, Alexander Babalyan, detto “’o polacco” per le sue origini; Pasquale Cunzi, “Lino”; Ciro Esposito “’o macall”; Nunzio Giuliano; Enrico La Salvia detto “Zepechegno”; Salvatore Pellecchia, “Dudù”. Il gruppo oltre ad imporre le giocate a debito e l’utilizzo del sito on line realizzato da Amodio chiedeva il pizzo di 500 euro ogni mese a tutti. Fino a quando qualcuno non si è ribellato. E c’è stato anche chi ha ricevuto la ‘sgradita visita’ dei pistoleri del clan che ha fatto fuoco contro le saracinesche come dimostra il video allegato e che è stato consegnato ai carabinieri che hanno effettuato le indagini.

Rosaria Federico
3.continua

Cronache della Campania@2018

Camorra a Napoli, nella relazione della Dia le preoccupazioni sull’area Orientalie sul centro città

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A Napoli, in particolare nei quartieri orientali e del centro, si sono registrate tensioni e derive scissionistiche interne ai gruppi, scaturiti dall’arresto di esponenti di vertice ed dal conseguente deficit di leadership che hanno alimentato la conflittualità tra i capi emergenti, in competizione per il controllo delle piazze di spaccio e del racket estorsivo.

Area Centrale – quartieri Avvocata, San Lorenzo/Vicaria, Vasto Arenaccia, San Carlo Arena/Stella, Mercato/Pendino, Poggioreale, Montecalvario, Chiaia/San Ferdinando/ Posillipo

Una situazione di fermento è in atto, da tempo, nei quartieri Forcella – Maddalena – Duchesca, di notevole inte- resse criminale per i traffici di droga, le estorsioni, la contraffazione commerciale ed il contrabbando. Nell’area, storicamente sotto l’egemonia del clan MAZZARELLA, originario del quartiere San Giovanni a Teduccio, è in atto, dal marzo 2013, una vera e propria guerra di camorra tra il suddetto gruppo e formazioni in continua evolu- zione. Gli scontri hanno provocato numerosi omicidi, pericolosissimi conflitti a fuoco tra i vicoli di Forcella e scorribande di giovani armati, autori di numerose “stese”. Ai MAZZARELLA si è opposto, infatti, il cartello for- mato dalle famiglie GIULIANO-SIBILLO-AMIRANTE-BRUNETTI, appoggiato dal clan RINALDI, originario dello stesso quartiere dei MAZZARELLA ed interessato a scalzare quest’ultimo gruppo dalla zona. Il cartello, noto come la c.d. “paranza dei bambini”, è attualmente in difficoltà operativa367, con conseguente vantaggio per il clanMAZZARELLA368. Le difficoltà sono dovute all’esecuzione di misure cautelari, ad omicidi di affiliati, ma anche a contrasti tra gli stessi gruppi che lo compongono (i SIBILLO avrebbero stretto accordi con il clan CONTINI, mentre i GIULIANO sarebbero appoggiati dai RINALDI) e a divisioni che hanno interessato la stessa famigliaGIULIANO, egemone a Forcella fino all’adesione al programma di collaborazione con la giustizia intrapreso da alcuni elementi di vertice369. I GIULIANO si sarebbero ulteriormente spaccati. Da tale divisione avrebbe tratto vantaggio il sodalizio VICORITO-DE MARTINO, dedito alla gestione dello spaccio di stupefacenti nella zona del Borgo Sant’Antonio370. Quest’ultimo gruppo sarebbe composto da ex affiliati agli stessi GIULIANO, collegato ope- rativamente ad una delle due fazioni dei GIULIANO, al gruppo CONTINI ed al sodalizio RICCI-SALTALAMAC- CHIA e contrapposto al clan MAZZARELLA.

Si è registrato un tentativo di ripresa del sodalizio FERRAIUOLO, legato da vincoli di parentela con gli AMI- RANTE: i FERRAIUOLO, in declino dopo il pentimento di uno degli elementi di vertice, potrebbero attualmente contare sulla guida del fratello, scarcerato a marzo 2018, che si sarebbe avvicinato alla famiglia MAZZARELLA, guadagnandosi il controllo della zona della Maddalena. Alle tensioni tra i FERRAIUOLO ed il gruppo VICO- RITO-DE MARTINO371 sarebbe da ricondurre il ferimento, del 6 giugno, di un affiliato al clan FERRAIUOLO.

Nella zona Mercato e nelle “Case Nuove” è operativo il gruppo CALDARELLI (che per anni ha rappresentato nell’area anche gli interessi criminali della famiglia MAZZARELLA), risultato attivo, tra l’altro, nel settore della contraffazione e distribuzione di capi di abbigliamento attraverso le “bancarelle” della Maddalena. Determinato a spodestare anche da questa zona i MAZZARELLA, il clan RINALDI ha cercato l’appoggio del gruppo CALDA- RELLI ed il clima di scontro che si registra tanto in quest’area, quanto a Forcella, è reso evidente da una serie di sparatorie ed attentati che hanno coinvolto affiliati ai gruppi RINALDI, MAZZARELLA e CARDARELLI. L’e- voluzione dei fatti più recenti fa ritenere che il clan CALDARELLI stia rivedendo la sua posizione, riavvicinandosi al vecchio alleato373.

Nell’area che comprende i quartieri Vasto, Arenaccia, Ferrovia, il rione Amicizia, il rione Luzzatti, borgo Sant’An- tonio Abate ed il rione Sant’Alfonso, la gestione delle attività illecite è sotto il controllo del clan CONTINI, da sempre legato alle famiglie LICCIARDI e MALLARDO ed in contrasto con il gruppo MAZZARELLA. Il sodalizio, grazie alla presenza sul territorio di esponenti di rango e di un gran numero di affiliati, è riuscito a mantenere il predominio criminale sull’area di influenza, nonostante il lungo stato di detenzione del capo clan.

Numerose indagini hanno attestato gli stretti legami tra il sodalizio ed alcuni imprenditori, che si sono prestati ad intestarsi beni e attività economiche, in realtà riconducibili al sodalizio CONTINI. Al riguardo, l’operazione “Black  Bet”, condotta dalla DIA di Napoli, ha coinvolto 3 fratelli imprenditori (attivi nella commercializzazione di giocattoli, nel settore delle scommesse e nell’attività di ristorazione), le mogli di due di loro ed un prestanome, accusati di intestazione fittizia di beni, aggravata dall’agevolazione dei clan CONTINI e SARNO377. Contestual- mente, è stato eseguito il sequestro di magazzini, negozi e ristoranti a Napoli e nel casertano.

Non si sottraggono a dinamiche di tensione i Quartieri Spagnoli, dove si sono verificati alcuni episodi di esplo- sione di colpi d’arma da fuoco contro le saracinesche di attività commerciali. Nell’area sono presenti numerosiclan, alcuni dei quali in difficoltà operative a causa dello stato di detenzione di affiliati di spicco, come nel caso del gruppo TERRACCIANO.

Nella zona, altri sodalizi avrebbero invece avuto nuova linfa, come lo storico clan MARIANO, che a seguito delle recenti scarcerazioni (da ultimo quella del capo clan, tornato in libertà il 17 aprile 2018) potrebbe mirare a propositi di riorganizzazione del gruppo.

Anche il cartello RICCI-SALTALAMACCHIA-ESPOSITO, in conflitto con i MARIANO per il controllo dello spac- cio di droga e delle estorsioni378, avrebbe arruolato nuove leve, tra cui i componenti della famiglia FARELLI, inde- bolita dagli arresti effettuati il 30 gennaio 2018379. Dall’indagine è emerso che quest’ultimo gruppo, gestito dadonne di mafia, controllava un vasto sistema di usura, che avrebbe prodotto un giro di affari di circa 20.000 euro al mese. I FARELLI, giovandosi del vuoto di potere creatosi nel corso degli anni nei Quartieri Spagnoli e in ac- cordo con il sodalizio ELIA, aveva assunto il controllo di quattro piazze di spaccio (ai Quartieri Spagnoli e al Pal- lonetto di Santa Lucia), utilizzate giorno e notte per la vendita di cocaina.

Nell’ambito del citato cartello, il gruppo SALTALAMACCHIA, al quale si sono affiliati esuli del clan GIULIANO in disaccordo con la gestione del loro capo, ha stretto accordi con i SIBILLO della zona dei Decumani ed i BRU- NETTI della zona del Vasto, rivelando mire espansionistiche nelle limitrofe aree del Cavone, della Pignaseccca, del rione Montesanto e della zona Porto380, controllate da gruppi locali.

Nella c.d. “zona delle Chianche” risultano operativi i gruppi MASIELLO (famiglia storicamente intranea al clan MARIANO) – MAZZANTI.
Nel territorio del Cavone, la presenza dei vertici del gruppo LEPRE381 rappresenta un ostacolo ai tentativi di insediamento da parte del clan SALTALAMACCHIA.

Nell’area compresa tra Piazza Mazzini, via Salvator Rosa ed in parte di Corso Vittorio Emanuele, la gestione delle attività illecite, prevalentemente spaccio di stupefacenti ed estorsioni, è appannaggio della famiglia FER- RIGNO383, collegata all’asse SALTALAMACCHIA-SIBILLO-BRUNETTI.

Gli scenari criminali nel quartiere Sanità appaiono significativamente trasformati anche a seguito dalla faida, av- viata nel 2017, tra i gruppi, in passato alleati, VASTARELLA (egemone nella zona delle Fontanelle) e SEQUINO (stanziato in via Santa Maria Antesaecula). Gli arresti del 3 marzo 2018, di esponenti del sodalizio VASTARELLA, tra cui il capo clan384, hanno ulteriormente destabilizzato gli equilibri, facendo registrare l’attuale supremazia dei SEQUINO, legati all’altra storica famiglia della zona dei SAVARESE. Gli arresti hanno indebolito anche il clanGENIDONI-SPINA-ESPOSITO, in passato scontratosi con i VASTARELLA.

Nella zona c.d. dei Miracoli è operativo anche il gruppo MAURO, collegato ai VASTARELLA. Per quanto attiene alla citata famiglia SAVARESE, insediata nella zona dei Cristallini e legata anche ai GENIDONI-SPINA-ESPOSITO, seppur non si registrino particolari episodi che ne documentino l’operatività, non può ritenersi esclusa dalle di- namiche criminali, potendo contare sulla presenza di elementi apicali sul territorio.

A San Ferdinando operano i sodalizi PICCIRILLO/FRIZZIERO e CIRELLA (zona di Mergellina-Torretta), STRAZ- ZULLO (vicoli della Riviera di Chiaia), INNOCENTI (salita Vetriera). Nel mese di maggio 2018, uno dei capi delclan FRIZZIERO è stato scarcerato; il successivo mese di aprile un altro esponente di spicco della famiglia, latitante, è stato, invece, localizzato e tratto in arresto. I gruppi in questione, legati al clan CALONE di Posillipo, sono dediti prevalentemente ad attività di spaccio di stupefacenti, in particolare cocaina, ed alle estorsioni.

L’area di Chiaia è stata teatro di numerosi episodi riferibili a scontri tra gruppi di giovani, alcuni dei quali pro- venienti dalle periferie del capoluogo, che si consumano a ridosso dei luoghi del divertimento notturno, indicativi di una violenza metropolitana diffusa.

Nella zona del Pallonetto a Santa Lucia, dopo gli arresti che, nel 2017, hanno decapitato lo storico gruppo ELIA, ha acquisito nuovi spazi il clan MAZZARELLA, che vi opera tramite la famiglia DI MEGLIO.

Cronache della Campania@2018

Bimba abusata dai suoi familiari: sarà sentita dal magistrato

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Il sostituto procuratore Cosentino ha richiesto l’incidente probatorio a gip dopo che il Riesame ha confermato l’impianto accusatorio nell’ambito di un’inchiesta che vede una famiglia accusata di violenza sessuale nei confronti di una minore che all’età di cinque anni fu costretta a subire abusi. Gli episodi sono avvenuti in un piccolo comune del Salernitano. In totale le persone indagate nell’ambito del procedimento sono quattro. Il padre, la madre della piccola, il fratellastro con la moglie. Tutti sono accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti della bambina che oggi ha 10 anni. L’inchiesta ha portato all’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del padre, un 60enne netturbino e gli altri tre indagati ai domiciliari. La minore sarebbe stata costretta a vivere in condizioni pessime, ad accudire la sorella minore e a subire abusi sessuali. A far scattare l’inchiesta la confidenza della bambina ad una vicina di casa. Ora, in caso di accoglimento della richiesta del sostituto procuratore, la bambina dovrà ripercorrere quei momenti bui. Le dichiarazioni saranno allegate agli atti del processo.

Cronache della Campania@2018

Barista ubriaco travolse e uccise anziano: definitiva la condanna a 6 anni di carcere

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La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dai legali di Biagio Annunziata, il barista 33enne di San Marzano sul Sarno colpevole di omicidio stradale. Gli ermellini rendono esecutiva e definitiva la condanna a sei anni e quattro mesi di reclusione per aver investito numerose persone provocando la morte di una. I fatti si verificarono la notte del 12 novembre del 2016 in via Napoli. Il 33enne stava facendo rientro a casa dopo aver lavorato in un bar a Nocera Inferiore. Con la sua auto travolse cinque persone tra cui due carabinieri sul posto per un intervento. Poco prima infatti due ragazzi avevano urtato una macchina in sosta e avevano chiamato i militari dell’arma per risalire al proprietario che era Giuseppe De Prisco, il 74enne scese in strada e mentre veniva identificato e verbalizzata la circostanza dai militari l’auto di Annunziata travolse tutti. Il 74enne morì sul colpo, il figlio Giovanni riportò danni permanenti, la moglie del 74enne alcune ferite, per uno dei due carabinieri, invece, fu necessario intervento chirurgico. Le indagini accertarono che il 33enne prima di mettersi alla guida aveva bevuto. Annunziata dichiarò agli inquirenti di non ricordare nulla e di non aver visto i militari che intimavano di rallentare. Dagli accertamenti è emerso che il 33ennne aveva un tasso alcolico di 2,33 g/l. Secondo i giudici Biagio Annunziata avrebbe dovuto prevedere che guidare in stato di ebrezza gli avrebbe comportato “l’esposizione a rischio di persone e beni”.

Cronache della Campania@2018


Operaio di Pompei morto in fabbrica: per la Doria ‘vale’ solo 350 euro. La famiglia: ‘Offerta vile’

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Morì in fabbrica schiacciato da una macchina da lavoro. Lo scorso 15 feb­braio ha preso il via dinanzi ai giudici del Tribunale di Nocera Inferiore (G.U. Caporale Gabriella) il procedi­mento penale che vede coinvolti, da un lato, gli eredi del giovane operaio Fabiano Mazzetti , dece­duto il 17 ottobre 2016 dopo essere stato schiacciato all’interno del “pallettizzatore” presente negli stabilimenti della società La Doria di Fi­sciano; dall’altro, i dirigenti della predetta società coinvolti a vario titolo per omissioni nell’esercizio delle loro mansioni. L’udienza è stata rinviata al fine di trovare un bonario accordo. La convenuta società e il suo amministratore Andrea Ferraioli, seppur dichiara­tisi non responsabili dell’evento, hanno espresso la volontà di tran­sigere la vertenza offrendo una somma a titolo di risarcimento pari a  350.000,00 euro; offerta non ritenuta congrua, anzi addirittura “vile” dai legali degli eredi del Mazzetti, in considerazione della gio­vane età della vittima, appena ventenne. Gli stessi legali hanno in­fatti quantificato in circa tre milioni di euro il risarcimento del danno parentale, tanatologico e catastrofale.

Cronache della Campania@2018

Omicidio Materazzo, l’imputato cambia di nuovo avvocato. Solo uno dei testi della difesa presente in aula

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Omicidio Materazzo: non si presentano i testi della difesa convocati per testimoniare al processo che si sta celebrando nei confronti di Luca Materazzo, il presidente della Corte d’Assise chiede ai difensori di stilare una lista di testimoni da ascoltare durante la prossima udienza. Battuta di arresto, oggi, nel processo per l’omicidio dell’ingegnere Vittorio Materazzo, ucciso davanti la sua abitazione, a Napoli, il 28 novembre del 2016. Dei tre testimoni convocati dalla difesa dell’unico imputato, Luca Materazzo, fratello della vittima, se ne è presentato solo uno. A rispondere alle domande del pm e degli avvocati, nell’aula 115 della Corte di Assise di Napoli, è stato un assistente capo della Polizia di Stato, in servizio nel commissariato San Ferdinando, che la sera del 28 febbraio 2016, insieme con un collega, si recò a casa di Vittorio Materazzo su richiesta di quest’ultimo, dopo una lite con Luca. Il presidente della Corte di Assise Giuseppe Provitera, dopo l’escussione del testimone, ha chiesto a due nuovi avvocati dell’imputato, Alessandro Motta e Concetta Chiricone (fino ad ora sono 15 gli avvocati che si sono avvicendati nella difesa dell’imputato) di presentare una lista di testimoni da ascoltare nella prossima udienza. La lista è composta da otto testi, redatta dagli avvocati e dall’imputato durante una sospensione di 10 minuti concessa dal Giudice. Nel corso della prossima udienza, fissata per il 7 marzo, i legali di Luca Materazzo, dovranno sciogliere la riserva anche riguardo i due testimoni oggi assenti.

Cronache della Campania@2018

Accusato di stalking nei confronti della ex: assolto giovane di Nola

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Era stato rinviato a giudizio perché ritenuto colpevole di stalking ai danni della sua ex moglie. Lui, D.R.M., originario di Nola, ma residente a Frosinone, nel gennaio 2018 era stato denunciato dalla sua ex compagna. Da qui le indagini preliminari della Procura della Repubblica di Frosinone, che avevano portato al rinvio a giudizio.
Il suo Legale, l’avvocato Massimo Viscusi è riuscito, nella discussione del rito abbreviato a dimostrare la non colpevolezza dell’imputato, attestato dagli elementi probatori a discolpa dell’imputato, che hanno ampiamente dimostrato che la parte offesa non ha subito il carico psicologico previsto dalla norma incriminatrice e che non è stata costretta a modificare le proprie abitudini di vita per sottrarsi ai presunti pedinamenti dell’imputato. Il pm aveva chiesto una condanna a un anno e tre mesi di carcere. Ma è arrivata l’assoluzione perché il fatto non sussiste.

Cronache della Campania@2018

False fatture a Napoli: un pentito raccontò le tangenti, una microcamera negli uffici di Asso Costiera fece il resto

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False fatture per i lavori di via Mariana a Napoli: l’inchiesta che ha portato stamane all’arresto di sette persone partì dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che svelò il meccanismo delle tangenti e degli appalti pubblici nella zona Mercato di Napoli. L’inchiesta dell’antimafia ha permesso di scoprire, attraverso un imprenditore intercettato, il giro di false fatturazioni e il metodo usato per creare fondi neri. Ad inchiodare gli indagati anche una microcamera installata dai militari della Guardia di Finanza in piazza Garibaldi preso gli uffici del consorzio Asse Costiero aggiudicatario degli appalti pubblici a Napoli. Era il 24 febbraio del 2017, Achille Prospero contratta con il titolare della Excange l’importo di una fattura di comodo: “Allora veniamo a noi, noi dovevamo chiudere questa qui di centoventuno per un totale di centoquarantotto, l’altra volta noi facemmo quarantaquattro e qualcosa. Io adesso vi devo dare settantacinque” dice Achille Prospero. Di fronte a lui c’è Umberto Iannello: “Voi mi avete portato i settantacinquemila?”. Prospero: “Vediamo, così abbiamo chiuso e poi le prossime possiamo girare i famosi venti che sono a compensazione”. Prospero in quella occasione elargì 75 mila euro in mazzette da 5 mila ognuno. Poi una volta che Prospero si allontanò Umbero Ianniello divise la somma in parti uguali in mazzette da 5 mila euro e poi in quote dispari e divise anche le monete per un totale di 18.965 euro. Prospero, poi, una volta consegnata la fattura insieme alla somma di denaro chiese il pagamento a mezzo bonifico bancario della fattura per un importo di 90 mila euro.
Dunque, a dare il via all’indagine sfociata nel blitz di stamane fu il pentito Alfonso Mazzarella, cugino di Franco, personaggio malavitoso di spicco della zona del Mercato. Mazzarella raccontò degli interessi del clan nella zona del centro città, ma soprattutto del porto, delle tangenti che pagano gli operatori, gli imprenditori e anche di una fitta trama di prestanome del clan che fanno interessi della camorra. Intercettando un imprenditore si scoprirono strani giri di denaro in contanti al consorzio Asse costiero, dove confluiscono numerose imprese operanti nel campo dell’edilizia e dell’impiantistica, in gran parte gestite da Pasquale Ferrara e dal fratello Mariano, entrambi finiti oggi ai domiciliari. La microcamera negli uffici di Asse Costiero fece il resto. Si scoprì il sistema escogitato per gestire considerevoli somme di denaro in contanti, consegnate, insieme a fatture inesistente da Achille Prospero. I soldi venivano divisi tra i fratelli Umberto e Vincenzo Ianniello e Pasquale e Mariano Ferrara, referenti delle società capogruppo del consorzio che beneficiavano degli illeciti profitti. Tra gli indagati c’è anche Gaetano Milano, che si è occupato in passato di commercio di animali, e ha anche riportato condanne per maltrattamenti, e senza alcuna competenza specifica, rilevò una azienda inattiva, piegandola al perseguimento di illeciti fiscali. Prospero era gestore di fatto della ‘Exchange’ e provvedeva a far rientrare il denaro in contati riguardo alle fatture false pagate dal consorzio in favore dei fratelli Ferrara e Ianniello. “Una sistematicità nelle illecite fatturazioni false e nell’evasione costante delle imposte, attraverso un sistema collaudato, quello di far figurare nelle fatture operazioni mai avvenute. Non solo. Il quadro indiziario emerso rivela che i fatti sono gravi e allarmanti, specie per i ruoli ricoperti, ossia delle fitta rete di commistioni illecite e il sopravvento che ha l’utile privato personale sull’interesse dell’ente pubblico, ovvero il comune di Napoli”. Scrive il gip di Napoli, Anna Laura Alfano, nell’ordinanza. Inoltre, il gip suppone che l’inchiesta sia tutt’altro che chiusa. “Esiste una regia occulta non riferibile solo ai Ferrara e a Ianniello – scrive nel provvedimento – ma sembra che la vicenda si collochi in un contesto più ampio sul quale il pm conduce ancora indagini. In particolare sulla regolarità e correttezza degli appalti, della sua esecuzione, al controllo delle forniture e sulle movimentazioni bancarie che hanno consentito di evidenziare una serie di operazioni finanziarie con società estere, alcuni recanti come causale: acconto e/o saldo fattura”.
I sette destinatari delle misure cautelari sono Pasquale Ferrara, Mariano Ferrara, Umberto Iannello, Vincenzo Iannello, Vincenzo Boccanfuso, Gaetano Milano e Achille Prospero. La presunta frode fiscale, secondo i sostituti procuratori Valter Brunetti e Mariasofia Cozza, sarebbe stata realizzata con false fatturazioni che hanno visto interessate le società destinatarie dei fondi e quelle che hanno contribuito alla realizzazione del tratto stradale con annesse opere accessorie (pista ciclabile, marciapiedi, illuminazione, verde ecc.), allo stato attuale ancora incompiute. Gli investigatori hanno individuato un procedimento contabile, definito “di ribaltamento”: in sostanza alcune società fornitrici esterne al consorzio emettevano fatture inesistenti per la vendita, mai avvenuta, di materiale edile alle imprese consorziate le quali, a loro volta, fatturavano, attraverso il consorzio, all’ente appaltante, il Comune di Napoli, che poi liquidava la società capogruppo CESVED (Consorzio Europeo per lo Sviluppo dell’Edilizia S.r.l.).

Cronache della Campania@2018

Rapine e finti furti: condanna per 6. Inflitti oltre 23 anni di carcere

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Rapine e finti furti: condanna “soft” per 6 condanne e sei assoluzioni. Questa la decisione del collegio presieduto dal giudice Giampaolo Guglielmo del tribunale di Santa Maria Capua Vetere che ha pronunciato la propria sentenza su un gruppo di persone che erano ritenute responsabili di rapina, furti e simulazione di furti di furgoni noleggiati e poi rivenduti in paesi dell’Est Europa.
La Corte sammaritana ha inflitto 8 anni e 2 mesi per Antonio Negro di Recale; 6 anni e 8 mesi per Mauro Ramaglia; 2 anni e 6 mesi per Stjepan Baricevic; 2 anni a testa per Ivan Baricevic, Carlo Storace ed Elisabetta Bordogna. Assolti Nicolina Sticco, originaria di Santa Maria Capua Vetere e moglie di Negro, difesa dall’avvocato Nello Sgambato; Antonio Di Laora, difeso dall’avvocato Davide Orefice; Pedrag Djordjevic; Mario Gravante di Recale; Antonio Nacca di Caserta; Pasquale Merola di Marcianise.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Il boss Iovine condannato dopo le accuse di Zagaria

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Estorsione al Polo Calzaturiero, 7 anni e mezzo a ‘o Ninno. Stangata anche per De Luca, Lanza e Diana. Quattro condanne per l’estorsione al Polo Calzaturiero di Carinaro. Questa la sentenza pronunciata dal gup Perrella del tribunale di Napoli al termine del giudizio con abbreviato.
Il giudice ha inflitto 7 anni e 6 mesi all’ex boss, oggi collaboratore di giustizia, Antonio Iovine; 5 anni e 4 mesi a Bruno Lanza, anch’egli collaboratore di giustizia, di Villa di Briano; 8 anni e 4 mesi per Augusto De Luca, 57 anni di San Cipriano d’Aversa; 8 anni e 4 mesi per Biagio Diana, 55 anni di Casal di Principe. Nel processo sono stati impegnati gli avvocati Pasquale Diana, Carlo De Stavola, Maffei e De Cesare.
Il processo è partito in seguito alle dichiarazioni di Michele Zagaria (condannato insieme a Salvatore Verde per gli stessi fatti) che, nel corso di alcune propalazioni rese ad un ispettore della polizia penitenziaria del carcere di Opera, aveva accusato Iovine di “non essere coerente” e di essere anch’egli mandante della maxi estorsione al Polo Calzaturiero di Carinaro. Di qui la nuova accusa della Dda ed il processo.
Secondo la tesi della Dda che ha retto in entrambi i procedimenti Antonio Iovine, all’epoca latitante ed oggi collaboratore di giustizia, e Zagaria sarebbero i mandanti della richiesta estorsiva mentre De Luca, Diana, Verde e Lanza i materiali esecutori. Gli imprenditori sarebbero stati costretti a versare prima 250mila euro e poi 160mila euro.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Clan Moccia: chiesti 3 secoli di carcere per senatori e gregari. TUTTE LE RICHIESTE

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Chiesti tre secoli di carcere per 25 tra boss e gregari del clan Moccia finiti in carcere nel maxi blitz del gennaio scorso che decapitò la cosca attiva retta dal ‘papa’ Luigi Moccia dal suo esilio forzato e dorato in quel di Roma.  Le accuse contestate vanno dall’associazione mafiosa, alla detenzione di armi comuni e da guerra, estorsioni e riciclaggio di ingenti somme di denaro. L’organizzazione attiva da anni nei territori dei comuni di Afragola, Casoria, Arzano, Frattamaggiore, Frattaminore, Cardito, Crispano, Caivano e Acerra e in alcune città del Lazio. Le indagini, che si sono avvalse del contributo di collaboratori di giustizia, ma anche su intercettazioni di colloqui in carcere che hanno portato al sequestro di manoscritti con cui i detenuti del clan comunicavano con l’esterno. Gli inquirenti hanno ricostruito, oltre al gruppo di vertice, anche quello dei cosiddetti ‘senatori’ indicati come ‘affidatari delle direttive’: Salvatore Caputo (deceduto), Domenico Liberti, Maria Luongo, Pasquale Puzio e Antonio Senese. Le indagini hanno portato alla luce i profondi contrasti esistenti tra alcuni dei cosiddetti senatori, ed hanno evidenziato il ruolo di primo piano assunto da Modestino Pellino, sorvegliato speciale domiciliato a Nettuno (Roma) e ucciso il 24 luglio 2012, subordinato solo a quello del capo indiscusso dell’associazione Luigi Moccia, già sottoposto a libertà vigilata a Roma, dove aveva da tempo trasferito i propri interessi. E’ state ricostruita anche la recente conformazione del clan Moccia, le responsabilità  del suo vertice assoluto, dei dirigenti e dei relativi referenti sul territorio, le modalità di comunicazione tra gli affiliati, anche detenuti, la capillare attività estorsiva, l’imposizione delle forniture per commesse pubbliche e private, la ripartizione tra i sodali, liberi e detenuti, dei profitti illeciti, e le infiltrazioni del sodalizio negli apparati investigativi. Non a caso al servizio del clan vi erano anche due poliziotti corrotti. pm della Dda Ivana Fulco, Ida Teresi e Gianfranco Scarfò hanno chiesto per gli imputati condanne che oscillano tra i 25 e i 4 anni di reclusione.

Queste le richieste: Angelo Pezzullo, 25 anni, Giovanni Castiello, 23 anni, 21 per Alfredo Barile e Giuseppe D’Ambrosio; 18 anni per Corrado Polizzi, 16 per Giovanni Del Prete, 15 per Giorgio Tranchino, 14 anni per Giuseppe Angelino, 13 anni per Luigi Ferraiuolo, 11per Sabato Felli, 10 anni per Vincenzo Barra, Mauro Bencivenga, Antonio Esposito, Giuseppe Falco, Antonio Laurenza, Giuseppe Nobile e per Luigi Rocco, 9 anni per Luigi Belardo, Carmine Bello, Gioacchino Cennamo, Maria Favella e per Salvatore Zimbardi, uno dei due poliziotti corrotti . E ancora 5 anni per Anna Capone, 4 anni per Vincenzo Del Prete e per Bruno Tuccillo.

Cronache della Campania@2018


Napoli, appalti Romeo: in 56 rischiano il processo

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Napoli. Sono cinquantasei gli indagati che rischiano il processo nell’ambito di un’inchiesta che va dalla gestione all’appalto per la pulizia dell’ospedale Cardarelli di Napoli, vinto da una ditta del gruppo di Alfredo Romeo, ad altri episodi che potrebbero rientrare nel reato di corruzione. Sono 56 gli avvisi di conclusione indagini notificati agli indagati. Tra i vari nomi spicca quello di Ciro Verdoliva, manager della sanità campana e neo commissario per l’ASL Napoli 1. L’avviso di conclusione indagine è stato firmato dai pm Francesco Raffaele, John Woodcock e Celeste Carrano dopo una fase investigativa importante che ha anche coinvolto il sistema politico. L’appalto delle pulizie al Cardarelli, seguito da Woodcock tra il 2015 e 2016 alla ricerca di presunte infiltrazioni della criminalità organizzata nella sanità campana portò ad Alfredo Romeo per poi finire nel Caso Consip. Nelle intercettazioni telefoniche tra Romeo e Italo Bocchino si è arrivati poi all’inchiesta romana che ha coinvolto i genitori di Matteo Renzi e altri soggetti su presunti accordi sospetti all’ombra della Consip, centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana. Dopo oltre quattro anni, come anticipa Il Mattino,  la Procura tira le somme e notifica la conclusione delle indagini a 56 persone. Oltre al superconsulente Italo Bocchio e Romeo rischiano il processo la sovrintendente romana Rossela Pesoli e Ciro Verdoliva. Anche l’ex governatore della Regione Campania, Stefano Caldoro in quota centrodestra, rischia il processo. Caldoro si è visto cadere l’accusa di corruzione mentre dovrà difendersi dall’ipotesi di traffico di influenze. Per gli inquirenti Caldoro avrebbe chiesto a Natale Lo Castro, direttore amministrativo dell’azienda ospedaliera Federico II, “un finanziamento di dieci borse di studio destinato a un centro studi che lo stesso Caldoro aveva intenzione di fondare” e “l’instaurazione di un rapporto di collaborazione tra la Romeo gestioni spa e la Lavin lavanderie industriali, amministrata dal cognato, altra società operante in ambito ospedaliero”. Rischia il processo per corruzione anche un ex dirigente del Ministero della Giustizia ed alcuni pubblici ufficiali.

Cronache della Campania@2018

Turista inglese stuprata, il Dna sotto le sue unghie ‘incastra’ due imputati

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Secondo la polizia scientifica il dna di due dei cinque presunti stupratori della turistica britannica nell’ottobre del 2016 possono essere considerate tracce lasciate solo attraverso un contatto deciso e diritto. L’ennesimo dibattimento alla Procura di Torre Annunziata che raccolto nella giornata di ieri la testimonianza della biologa della polizia scientifica che ha effettuato le analisi su materasso, lenzuola, asciugamani, magliette, uno slip da uomo e tutto quanto poteva essere importante ai fini dell’inchiesta nella camera dell’hotel Alimuri. Secondo l’accusa i cinque dipendenti dell’albergo a Meta avrebbero drogato e violentato una turista britannica. Per la difesa non si tratta di una prova della presunta violenza, il ritrovamento del dna del barman dimostrerebbe uno scambio di effusioni ma non violenza sessuale. Inoltre “non c’è, nelle conversazioni telefoniche e nell’albergo” tracce di sostanze stupefacenti somministrata, secondo la vittima, dai presunti stupratori.

Cronache della Campania@2018

Omicidio dell’innocente neomelodico di Ercolano: chiesta la conferma degli ergastoli per il boss Dantese e i suoi complici

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La Corte di Assise di appello di Napoli ha chiesto la conferma dell’ ergastolo per mandanti e fiancheggiatori del killer per l’omicidio della vittima innocente della faida di Ercolano, il cantante neomelodico Salvatore Barbaro in arte Savio. Il procuratore generale ha chiesto il fine pena mai per il boss Natale Dantese (il mandante) e per Antonio Sannino e Pasquale Spronello, che aiutarono il killer Vincenzo Spagnuolo già condannato a 30 anni di carcere in un processo svoltosi con il rito abbreviato e la cui pena è diventata definitiva grazie alla cassazione nei mesi scorsi.
Salvatore Barbaro fu ucciso il 13 novembre del 2009, perché scambiato per un affiliato del clan Birra-Iacomino, con cui il giovane aveva in comune solo l’automobile: una Suzuki Swift di colore grigio.I killer, giunti in via Mare in sella a un motociclo, spararono contro il giovane almeno 11 colpi di pistola di calibro nove. Il ragazzo, colpito alle spalle, terminò la sua corsa contro il muro di contenimento del cantiere di scavo di Villa dei Papiri.
Nel corso del processo il boss Dantese ha proclamato più volte  la sua innocenza:”Conosco Spagnuolo perché imparentato con Antonella Madonna (la sua ex moglie , ora pentita e grande accusatrice del clan). Sì, è vero che lo chiamavo spesso, in quanto ero preoccupato per lui che mi aveva detto che aveva una relazione con la fidanzata di un detenuto, anche se non era vero. Io non sono mai andato a Scafati quel 13 novembre. Mia moglie a casa mia faceva le pulizie, lavava i piatti e non lo dico per discriminare le donne. A casa mia non stavo spesso, io stavo con qualche donna e trovavo qualche scusa, con il vizietto che avevo. Avevo delle amiche e Madonna, che Madonna non è, aveva scoperto una mia relazione con una ragazza che lavorava a Ercolano e le lanciò un centrotavola in faccia e poi pretendeva che venisse licenziata. Io tengo a precisare che le telefonate non erano per l’omicidio di Salvatore. Non festeggio le disgrazie delle persone, quel festeggiamento si riferisce a un blitz dove sono stati arrestati i Savino e quella specie di uomo che è Marco Cefariello. Barbaro è stata una disgrazia. Una cosa è sicura è che Salvatore Barbaro è un bravo ragazzo. Giocavamo a biliardo nel circolo di sua nonna, parente di Raffaele Ascione. Voglio 100 mandati di cattura per omicidio ma di quelli detenuti non per quello dei bravi ragazzi”. ma ad inchiodare lui e i suoi affiliati e complici è stata proprio la sua ex moglie Antonella Madonna. La collaboratrice di giustizia, ha confermato che per tale fatto di sangue Spagnuolo ricevette 800 euro e che questi protestò per l’esiguo compenso ricevuto, dicendo che l’errore era stato commesso non da lui, ma da altri. La pentita aveva raccontato anche di aver saputo della morte del giovane innocente la sera stessa dell’agguato e che insieme a suo marito aveva accompagnato a Scafati Vincenzo Spagnuolo. Durante il tragitto da Ercolano fino al luogo della fuga del killer, sentì il marito parlare con Spagnuolo di tale omicidio e che lo scambio di persona era stato causato dall’errore di Sannino che aveva dato male la “battuta”.Il vero obiettivo era Ciro Savino esponente di spicco del clan Birra-Iacomino. Ma per un errore di segnalazione fu ucciso il giovane neomelodico Salvio il cantante, la cui unica colpa era di avere in comune con il vero obiettivo dei killer “Ciro vuoto a perdere”, l’automobile ovvero una Suzuki Swift di colore grigio.

Cronache della Campania@2018

Politica & Camorra a Maddaloni: a giudizio il sindaco e l’ ex consigliera sorella del boss

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Il Gup del tribunale di Napoli ha rinviato a giudizio il sindaco di Maddaloni, Andrea De Filippo, imputato per voto di scambio con l’aggravante mafiosa, l’ex consigliera comunale Teresa Esposito, e altre cinque persone, tra cui la madre e due fratelli della donna. Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha coordinato l’inchiesta – Aggiunto Luigi Frunzio e sostituto Luigi Landolfi – le elezioni comunali tenutesi a Maddaloni nel 2018, vinte da De Filippo, sarebbero state “inquinate” da un vero e proprio mercimonio di voti con al centro l’ex consigliera comunale Teresa Esposito; quest’ultima, approfittando dello “status” di boss del fratello Antonio, e facendosi aiutare dagli altri due fratelli Giovanni ed Edoardo e dalla madre Carmela, avrebbe comprato pacchetti di voti nel proprio quartiere di via Feudo, distribuendo ai concittadini somme dai 10 ai 30 euro. Il primo cittadino, invece, secondo quanto accertato dagli inquirenti, avrebbe promesso controlli “vessatori” in una ditta di distribuzione gas per ottenere un pacchetto di voti da un altro imprenditore, dello stesso settore, che in cambio delle preferenze dei suoi dipendenti voleva che il sindaco fiaccasse la concorrenza. Il dibattimento inizierà il 27 marzo prossimo al tribunale di Santa Maria Capua Vetere (prima sezione collegio A).

Cronache della Campania@2018

Napoli, la camorra del rione Sanità, il boss Sequino al figlio: ‘Con la zia Patrizia è un problema che va risolto. Piano, piano’

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“…erano sempre armati ogni volta che per esempio sono andato da “Gianni Gianni” che abita in un palazzo al primo piano a via Santa Maria Antesaecula, anche se dorme in un’altra abitazione sempre nella stessa strada; ho sempre visto gli uomini del clan che si intrattengono nella strada armati di pistole. Altre volte in cui li ho visti armati è stato quando, dopo l’uccisione di Carmine Lepre detto “Pulpetton”, per paura di reazioni, hanno scortato Totore Esposito andandolo a prendere al Cavone di piazza Dante per portarlo a casa di “Gianni Gianni” e per poi riaccompagnarlo a casa; erano armati ed in più di un’occasione hanno mostrato le armi”. La puntualizzazione e il racconto del pentito Rosario De Stefano hanno dato ai magistrati della Dda di Napoli l’ennesimo spunto investigativo per far capire loo il grado di pericolosità del clan dei fratelli Salvatore e Nicola Sequino e a che puto di non ritorno era arrivato lo scontro con i Vastarella. Non a caso pochi giorno dopo il duplice omicidio del 3 agosto 2016 in vico Nocelle a Materdei, dove furono uccisi il boss emergete del Cavone, Salvatore Esposito e Ciro Marfè e ferito gravemente Pasquale Amodio, tutti legati ai Sequino, il boss Nicola intercettato in carcere con il figlio Gianni dice: “Mi devi stare a sentire. Mi devi morire tu con un tumore a papà. Perché io lo so che tu lo volevi bene a Ciro (Ciro Marfè, ndr). Perché si vede, perché … (incomprensibile, ndr)…tu ti fidi di me?; Gianni (annuisce con il capo, ndr); Nicola: ?E non ti preoccupare!! Con la zia Patrizia (il boss Patrizio Vastarella, ndr) è un problema che va risolto. Piano, piano” .

Il padre spiegava al figlio che Patrizio Vastarella era complice dell’agguato perpetrato e che era tutto finto il suo comportamento di essersi sentito offeso per l’agguato eseguito quando lui aveva fatto da garante di un incontro pacifico. A questo punto Giovanni Sequino capiva la falsità di tale comportamento ed intuiva la reale portata del complotto architettato per assassinare Salvatore Esposito, al quale avevano partecipato Patrizio Vastarella, in qualità di finto paciere Salvatore Sacco, in qualità di garante del luogo ove doveva avvenire l’incontro, Vincenzo Romano, in qualità di parte interessata in rappresentanza dell’alleato clan Lepre, ed altre persone.

Nicola = Praticamente lui lo sa che … diciamo … si è assunto la responsabilità di questa cosa che è successa?
Gianni = No! Perché disse: Io sto pieno di collera.
Nicola = A perché quello lo porta come se quello gli avesse fatto la mancanza anche a lui
Gianni = Bravo! Nicola = E’ vecchia. Quello deve parlare … dovrebbe parlare con me. –Gianni = ( annuisce con il capo sorridendo, ndr)
Nicola = Lo dovrebbe dire a me che sta preso di collera.
Gianni = Ha fatto un cerchio lui (VASTARELLA Patrizio, ndr), Enzuccio (ROMANO Vincenzo, ndr), ‘O Scugnato (SACCO Salvatore, ndr) …(incomprensibile, ndr)… ha fatto un cerchio ha fatto.
Nicola = …(incomprensibile, ndr)…
Gianni = Sicuro papà! Poi può essere anche che mi sono sbagliato.
Nicola = (annuisce, ndr)”

Padre e figlio parlavano del colloquio in carcere che “Gianni Gianni” aveva intenzione di sostenere con lo zio Salvatore Sequino, noto per avere un carattere più caldo, e Nicola riferiva al figlio di ricordare allo zio che lui stesso si era raccomandato di tenere la calma. Le intercettazioni sono contenute nelle 514 pagine dell’ordinanza cautelare firmata dal gip Emiliana di Palma e che quattro giorni fa ha portato in carcere 26 esponenti dei due cartelli criminali in lotta per il controllo degli affari illeciti nel rione Sanità.

Rosaria Federico
4 continua

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