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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Camorra: 30 anni di carcere al cugino di ‘Sandokan’ per l’omicidio del postino

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Trenta anni di carcere per Francesco Schiavone e per Sebastiano Panaro, 12 anni di reclusione per il pentito Nicola Panaro. Queste le condanne inflitte dal gup del tribunale di Napoli Rosamaria De Lellis nel processo che si è svolto con rito abbreviato, per l’omicidio di Giuseppe Quadrano, il postino di San Cipriano d’Aversa e cugino omonimo del killer di don Peppe Diana divenuto collaboratore di giustizia e avvenuto nel 1996.
Francesco Schiavone, soprannominato “Cicciariello”, è il cugino del capoclan Francesco Schiavone noto come “Sandokan”, su cui pende per il medesimo delitto una richiesta di rinvio a giudizio, avendo il boss scelto il rito ordinario. Il giudice ha riconosciuto ai familiari, difesi dall’avvocato Gianni Zara, una provvisionale da 20mila euro, rinviando al giudizio civile per il risarcimento del danno. L’omicidio avvenne all’esterno di un bar di San Cipriano d’Aversa il 7 luglio di 23 anni fa con 12 colpi sparati da una pistola calibro 9×21. Un delitto rilevante perchè Quadrano era cugino dell’omonimo esponente del clan Giuseppe Quadrano, killer di don Peppe Diana, il sacerdote ucciso il 19 marzo del 1994 nella sacrestia della Parrocchia di san Nicola di Bar a Casal di Principe. Dopo il delitto del prete, il killer Quadrano iniziò a collaborare con la giustizia. I vertici dei Casalesi, “scottati” dalla scelta collaborativa, decisero così di mandare un chiaro segnale agli altri affiliati in procinto di pentirsi o che potevano maturare questa decisione; la scelta fu quella di colpire in una vendetta trasversale un innocente, parente del pentito. A raccontare di tali avvenimenti è stato uno degli esecutori materiali del delitto, Nicola Panaro, divenuto collaboratore di giustizia. E’ stato lui a ricostruire il ruolo dei vari esponenti del clan; mandanti del delitto – é emerso – furono Francesco Sandokan Schiavone e il cugino Cicciariello, mentre all’azione delittuosa presero parte lo stesso Nicola Panaro, il complice Sebastiano Panaro che guidava l’auto, una Fiat Punto, usata per raggiungere il luogo del delitto, e Oreste Caterino, deceduto qualche anno fa. Quadrano fu sorpreso all’esterno del bar Orientale di San Cipriano d’Aversa; a sparare furono Caterino e Nicola Panaro.

Cronache della Campania@2018


Napoli, 4 medici indagati per la morte dell’anziano lasciato sei ore in attesa all’ospedale San Paolo

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Napoli.Quattro persone sono state iscritti nel registro degli indagati per la morte di Eduardo Estatico, il 72enne deceduto sabato sera scorso dopo un’attesa di 6 ore al pronto soccorso dell’ospedale San Paolo di via Terracina e, come denunciano i familiari, tra dolori lancinanti all’addome. Si tratta dei medici che erano di turno in quella giornata. Sono accusati di omicidio colposo e l’iscrizione nel registro degli indagati per ora é un atto dovuto visto che potranno nominare dei propri periti tecnici per assistere all’autopsia che si svolgerà domani mattina. La moglie e i figli di Eduardo Estatico hanno presentato una denuncia contro il l’ospedale di Fuorigrotta lamentando “indifferenza” verso il proprio congiunto e la procura ha aperto un’inchiesta chiedendo ai carabinieri di acquisire documenti e cartelle cliniche.

Cronache della Campania@2018

Camorra, tornano liberi i due medici D’Ari accusati di legami coi Lo Russo e coi Potenza

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Tornano in libertà i due noti medici napoletani titolari di una catena di ristoranti rilevata dalle mani del clan Lo Russo di Miano. I fratelli Luigi e Antonio D’Ari erano stati arrestati il 9 maggio 2017 perché accusati di aver favorito i fratelli Carmine, Marco e Massimiliano Iorio  nei loro ristorante nel lungomare di Napoli (la catena Pizza margherita e Donna Margherita) a loro volta indagati per riciclaggio e per aver impiegato in attività illecite i soldi dei Lo Russo e dei Potenza, la nota famiglia di usurai del pallonetto di Santa Lucia. I giudici del collegio B della Sesta sezione penale del Tribunale di Napoli, dove i fratelli Luigi e Antonio D’Ari, uno anestesista all’azienda ospedaliera universitaria Federico II e l’altro chirurgo estetico alla clinica Ruesh, sono imputati da un mese, hanno accolto l’istanza del loro avvocato Michele Sarno e sono tornati liberi. Nei prossimi giorni saranno rese note le motivazione. I due fratelli D’Ari erano ai domiciliari dal 9 ottobre, dopo aver trascorso cinque mesi nel carcere di Poggioreale, ma la svolta é arrivata in due mosse. Prima con la decisione del 4 giugno scorso del Tribunale del Riesame di Napoli di escludere per il maggior imputato, Domenico Mollica, di aver agito favorendo la camorra, e poi la tesi portata avanti dalla difesa: se contatti ci sono stati tra i D’Ari e gli imputati, sono risalenti nel tempo, sporadici, occasionali. Inoltre manca l’attualità del pericolo eventuale di reiterazione del reato. Il pm che ha condotto le indagini, Enrica Parascandolo della Procura di Napoli, aveva dato parere negativo alla scarcerazione, ma il Tribunale ha depositato il provvedimento che restituisce la libertà ai due medici che da domani potranno tornare a esercitare anche la loro attività professionale.

Cronache della Campania@2018

Concorso truccato per agenti penitenziari: le risposte fornite sulle cover dei cellulari e perfino sulle Tshirt

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“Sono ottimi e proficui i rapporti di collaborazione fra l’Amministrazione penitenziaria e la procura della Repubblica di Napoli, come dimostra l’operazione di oggi. Il mio personale ringraziamento va al procuratore e ai magistrati che hanno coordinato l’inchiesta, nonche’ agli uomini del Nic della Polizia penitenziaria e della Guardia di Finanza che l’hanno portata a termine con successo”. Lo dichiara il capo del Dap Francesco Basentini, commentando l’operazione coordinata dalla procura di Napoli e condotta dal Nic della polizia penitenziaria con la Guardia di Finanza, relativa al concorso per allievi agenti della Polizia penitenziaria del 2016. Associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di truffa aggravata in danno dello Stato e altri gravi reati commessi in relazione alle procedure di reclutamento di 400 allievi agenti penitenziari. E’ l’accusa contestata dalla Guardia di finanza di Napoli a Dario Latela, Carolina Caiazzo e Daniele Caruso, destinatari di 3 misure cautelari agli arresti domiciliari emesse dal Gip del capoluogo campano. Numerose le perquisizioni in corso. Le indagini svolte dal Nucleo di polizia economico finanziaria delle fiamme gialle di Napoli e dal Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria – nell’ambito di due diversi procedimenti aperti presso le procure di Napoli e Roma e poi unificati – hanno consentito di accertare come materiale concorsuale riservato fosse stato divulgato da un soggetto legato da rapporti di lavoro alla Intersistemi Spa di Roma, la società che si era aggiudicata l’appalto per l’elaborazione, la stampa e la fornitura delle ‘batterie’ di questionari da utilizzare in occasione della prova scritta svoltasi nella capitale dal 20 al 22 aprile 2016; batterie successivamente cedute “ad un numero consistente di candidati”. Alcuni dei concorrenti erano stati scoperti durante lo svolgimento della prova scritta, “con sistemi di comunicazione a distanza (auricolari, telefoni cellulari) nonché con cover di telefonini, braccialetti che riproducevano le sequenze di risposte esatte afferenti ai predetti questionari da somministrare e t-shirt sulle quali erano state impresse risposte esatte sotto forma di simboli matematici”. Sequestrati a titolo preventivo un Hummer e uno scooter di grossa cilindrata, probabilmente acquistati con i proventi dell’illecita attività. Circa 160 avvisi di conclusione delle indagini saranno notificati ai concorrenti che avevano fatto uso del materiale riservato, ad intermediari e ad altri soggetti. Proprio per la gravità dei fatti emersi, nel giugno 2017 il capo del Dipartimento della polizia penitenziaria aveva annullato la prova scritta in questione disponendone la ripetizione, nel luglio dello stesso anno.

Cronache della Campania@2018

Camorra: arrestati sette esponenti del clan Moccia

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I carabinieri della compagnia di Casoria hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa su richiesta della direzione distrettuale antimafia di Napoli arrestando 7 soggetti ritenuti appartenenti al clan camorristico dei “Moccia”, operante nel controllo degli affari illeciti ad Afragola e con tentacoli anche a Casoria ed Arzano, nell’hinterland a nord di Napoli.
il provvedimento è stato emesso dopo la sentenza di primo grado che ha colpito i 7 con pesanti condanne per estorsioni, esercizio abusivo di attività finanziaria, riciclaggio e reimpiego di beni. i destinatari della misura sono: Raffaele Bencivenga, 53 anni (condannato ad 14 anni di reclusione), Giustino De Rosa, 49 anni (11 anni e 6 mesi), Pietro Iodice, 53 anni (18 anni e 6 mesi), Antonio Pezzella, 36 anni (9 anni e 6 mesi), Gennaro Piscitelli, 38 anni (13 anni e 6 mesi), Antonio Puzio, 35 anni (13 anni e 6 mesi) e Giuseppe Puzio, 49 anni (13 anni).
nello sviluppo del dibattimento si sono man mano delineati i loro ruoli all’interno del clan: Iodice è ritenuto il promotore e organizzatore delle estorsioni a titolari di imprese ed esercizi commerciali per conto del gruppo. Bencivenga, il gestore di un garage trasformato in base operativa, è stato inquadrato come promotore, organizzatore e direttore delle attività illecite e insieme al fratello si occupava anche della contabilità del clan, compreso il sostegno economico agli associati, sia liberi che detenuti nonché del pagamento dei difensori. Gli altri arrestati partecipavano alle varie attività criminali e, in particolare, alle estorsioni ai danni di titolari di esercizi commerciali e imprese della zona.

Cronache della Campania@2018

Morto in carcere l’uomo che aveva ucciso e bruciato la sua compagna nel Salernitano

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E’ morto in carcere colpito da un infarto Gimino Chirichella, l’operaio 48enne di sala Consilina che nel mese di novembre uccise e poi diede fuoco al corpo della sua compagna di origini rumena Violeta Senchiu. L’uomo è morto nel carcere di Foggia dove era detenuto. I due che vivevano insieme da qualche tempo e avevano anche un figlio (Violeta ne aveva altri due da una precedente relazione) avevano avuto l’ennesima lite e così luì uscì di casa andò a comprare una tanica di benzina e tornato in casa diede fuoco alla donna e alla casa. nell’incendio rimase ustionato egli stesso. La donna morì per le gravi ustioni riportate nell’incendio. Lui invece fu arrestato in ospedale dove era ricoverato e poi fu trasferito prima nel carcere di Potenza e quindi in quello di foggia dove è morto ieri mattina.

 

Cronache della Campania@2018

Agguato per ‘onore’ allo zio materno: la Procura ricorre in Appello contro l’assoluzione del figlio del boss di ‘casa Savastano’

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La Procura di Torre Annunziata ricorre in Appello contro l’assoluzione di Raffaele Gallo, 19 anni figlio del boss  Francesco o’ pisiello noto alle cronache per aver “prestato” la sua sfarzosa villa del rione Penniniello diventata ‘Casa Savastano’ nella prima serie della fiction Gomorra. Il rampollo era stato assolto in primo grado dal tentato omicidio dello zio e con lui anche il suo presunto complice il 20enne Vincenzo Falanga, noto come’ o gemello. I giudici del collegio del tribunale di Torre Annunziata (presidente Fernanda Iannone, a latere Silvia Paladino e Luisa Crasta),assolsero i due accogliendo così le tesi dei difensori Ciro Ottobre, Raffaella Farricelli, Giuseppe De Luca e Roberto Cuomo perché non esisteva la prova diretta che furono loro a fare fuoco. Per i due il pm aveva chiesto 13 anni di carcere. Secondo l’accusa la sera del 27 gennaio del 2017 tentarono di uccidere Salvatore Iovane, zio materno di Gallo ma ridussero in fin di vita l’incensurato Vittorio Nappi che si trovava con lui. Il motivo dell’agguato era una vendetta nei confronti della famiglia della mamma che aveva lasciato il padre in carcere e aveva intrecciato una relazione con il figlio dello spietato killer dei Gionta, Umberto Onda, acerrimo rivale del suo ex marito.

 

Cronache della Campania@2018

Assegni ‘smarriti’ ai calciatori: due anni di carcere all’ex presidente della Salernitana

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Due anni di reclusione e un risarcimento per complessivi 310mila euro per Antonio Lombardi ex presidente della Sa­lernitana. Lombardi è stato condannato in via definitiva dalla Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, nel­l’udienza relativa alla questione degli assegni bancari rila­sciati dall’allora presidente della Salernitana ai calciatori Francesco Caputo e Mariano Stendardo.
Gli assegni, rispettivamente di 130mila e 140mila euro, erano stati consegnati ai due calciatori a garanzia degli emolumenti che avrebbero dovuto percepire ma successi­vamente ne fu denunziato lo smarrimento dal legale rap­presentante della società granata, Francesco Rispoli anch’egli condannato a due anni. In conseguenza di ciò i due calciatori furono addirittura imputati per ricettazione ma successivamente vennero as­solti. Ne scaturì un contro-procedimento per calunnia ai danni di Rispoli e Lombardi, condannati in primo grado, in Appello e ora anche in Cassazione.

Cronache della Campania@2018


Concorso truccato nella ‘Penitenziaria’: ‘Le soluzioni? Ce li ha dati un cinese fuori’

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Napoli. “Le soluzioni le ha vendute un cinese fuori”. Questo avrebbero dovuto rispondere i candidati nel caso in cui fossero stati scoperti con uno dei kit predisposti per il superamento della prova concorsuale per agente di polizia penitenziaria. E’ il retroscena che emerge dalle intercettazioni depositate nell’ambito dell’inchiesta sul concorso per accedere all’interno del corpo di polizia nell’aprile del 2016. Secondo la Procura, infatti, si tratta di versioni concordate. Durante la prova in sette furono scoperti con accessori elettronici per comunicare all’esterno. Altri, inoltre, avevano magliette, braccialetti colorati, cover per cellulare. Insomma tutti stratagemmi, poco o molto fantasiosi, che avrebbero consentito il superamento della prova. “Gli ho fatto fare una bella cover che hanno attaccato dietro al telefono” solo le parole ascoltate durante un’intercettazione di Giuseppe Fastampa e Giuseppe Zarrillo coinvolti con Sabato Vaccinano nel primo filone dell’inchiesta. Una testimone, invece, racconta di aver ricevuto da Daniele Caruso, indagato e finito ai domiciliari, una “cover contenente le risposte”.
Il sistema era stato messo in piedi per consentire di superare il concorso ad una cifra che arriva fino a 35mila euro, un investimento considerando che si tratta di un “posto” sicuro che permette, in poco più di un anno di recuperare quanto speso. Ora la difesa potrà replicare nell’interrogatorio di garanzia e impugnare l’ordinanza al Tribunale delle Libertà.

Cronache della Campania@2018

Il bacio della morte del boss all’imprenditore che voleva acquistare un’azienda bufalina nel mirino di La Marca

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Il bacio sulla guancia di Giovanni Maiale per elimi­nare “il vecchio”. Era il 6 gennaio del 2018 quando il titolare di un agenzia immobiliare si recò dai cara­binieri per raccontare quanto stava subendo. Ai mi­litari l’uomo raccontò che, all’inizio del dicembre 2017, mentre era con la moglie nell’agenzia immo­biliare dei figli giunse un suo conoscente, Gianluca La Marca. Quest’ultimo senza mezzi termini riferì di essere a conoscenza della volontà di acquistare al­l’asta, da parte del titolare dell’agenzia, dei restanti lotti di una azienda agricola bufalina. “Mi chiedeva di abbandonare quella idea perché era direttamente interessato ad acquistarli, specificando che il pro­prietario doveva continuare a produrgli il latte che lo stesso la Marca utilizzava. La Marca si presentò a me con atteggiamento spavaldo e spocchioso di­cendo che aveva i soldi per comprare l’azienda, mo­tivo per cui mi fece chiaramente capire che dovevo abbandonare ogni mio proposito commerciale sui lotti 1 e 5 dell’azienda bufalina”. A seguito di un pre­annunciato incontro, mai avvenuto, l’imprenditore immobiliare pensò che La Marca avesse abbando­nato l’intento dell’acquisto e così proseguì lui su quella strada.
“La cosa preoccupante che mi ha turbato profonda­mente, è accaduta la mattina del 3 gennaio qualche ora prima dell’accesso all’azienda bufalina, allor­quando sono riaffiorati i ricordi che negli anni ’90 mi hanno distrutto una vita e la famiglia a causa delle angherie, violenze e vessazioni che ho dovuto subire dal capo e dagli affiliati del clan Maiale di Eboli, fino al punto di essere stato sequestrato per una notte intera per convincermi a pagare loro le estorsioni”
L’imprenditore ai carabinieri ha raccontato che quella mattina aveva da poco aperto l’agenzia dei figli e si stava incamminando verso piazza Madon­nina per prendere un caffè. Ad un tratto l’impren­ditore ha notato una Fiat Panda nuovo modello parcheggiata a poca distanza da lui. Dall’auto è sceso un uomo che l’imprenditore, in un primo momento non ha riconosciuto.
“Poiché costui aveva degli occhiali da sole del tipo a specchio, non l’ho subito riconosciuto, ma appena si è parato davanti a me, togliendo gli occhiali, l’ho su­bito riconosciuto per il noto boss camorristico Gio­vanni Maiale di Eboli, quello stesso soggetto che mi ha costretto alle vessazioni di cui ho detto e che, a dire dei collaboratori di giustizia nell’ambito del noto processo California, voleva finanche ucci­dermi”. Dopo essersi scambiati alcune battute sul come mai l’imprenditore non lo avesse riconosciuto “Giovanni Maiale mi abbracciò e mi baciò sulle guance, comportamento che mi fece rimanere al­quanto sbigottito visto il male che costui mi aveva procurato anni addietro”. Maiale disse all’imprenditore che dovevano eliminare ogni riferimento al pas­sato e “che lui non serbava rancore sulle denunce che avevo fatto in passato in merito alle estorsioni subite”
“Giovanni Maiale mi disse che avrei dovuto fargli un favore”. Maiale spiegò dell’interesse di un suo amico verso una precisa azienda bufalina e per questo disse “vedi di non partecipare all’asta né per te né per altri , perché quei lotti se li deve aggiudicare Gianluca”.

Cronache della Campania@2018

Minacce, danni ed aggressioni in carcere: Zagaria di nuovo a giudizio

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Minacce, danni ed aggressioni in carcere: Zagaria di nuovo giudizio. Agenti della penitenziaria aggrediti, telecamere e finestre rotte, minacce. Sono queste le accuse per le quali il boss dei Casalesi Michele Zagaria è stato rinviato a giudizio dinanzi al giudice monocratico di Milano per una serie di condotte illecite all’interno del carcere di Milano Opera dove è stato detenuto prima del suo trasferimento, ad agosto, al penitenziario di L’Aquila. Sempre a marzo Zagaria, difeso dall’avvocato Paolo Di Furia, dovrà comparire dinanzi ai giudici del tribunale di Napoli Nord per i messaggi all’esterno filtrati attraverso le videoconferenze in udienza o i colloqui con i suoi familiari.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Sarno, sette chili di cocaina e 18 di hashish in casa: arrestata una coppia. Quattro gli indagati

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Sarno. Sequestro di droga nel Salernitano. Sono stati scoperti dai carabinieri di Nocera Inferiore 7,5 chili di cocaina, 18,5 chili di hashish e 50 grammi di marijuana, oltre a due pistole complete di munizioni, una delle quali rubata. I militari dell’Arma hanno dato esecuzione a una misura cautelare nei confronti di una coppia di conviventi di Sarno di 40 e 42 anni, di un 54enne destinatario di divieto di dimora nel comune di residenza e un 31enne che è stato sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, ritenuti responsabili di concorso in detenzione di stupefacenti, detenzione abusiva di armi e ricettazione. L’indagine è partita nel luglio dello scorso anno con l’arresto in flagranza del 42enne. Sequestrate una Range Rover Evoque e una moto Honda Adv 750.

Cronache della Campania@2018

Camorra: la nuova faida tra i Rinaldi e Mazzarella nata per una lite tra donne

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C’è una data precisa a cui far risalire lo scoppio della nuova faida tra il clan Mazzarella e il clan Rinaldi-Reale: é il 22 giugno del 2015. E’ quanto emerge dagli atti dell’inchiesta che nel mese di luglio ha portato in carcere nei mesi scorsi 17 esponenti del clan Mazzarella. Furono le donne del clan Rinaldi a far scoppiare la nuova faida. Il pomeriggio del 22 giugno del 2105 infatti in via Figurelle a poca distanza dalla “roccaforte” del clan Rinaldi, il rione Villa a san Giovanni a  Teduccio, Fortuna Oliviero Fortuna, figlia del noto pregiudicato  Raffaele alias O’ Pop e Maria Grassia figlia del noto pregiudicato Ciro alias “Gibè”, avevano aggredito fisicamente la moglie e la figlia di Salvatore Donadeo alias O’ Pozzolente, componente di spicco del clan Mazzarella e reggente nella zona di san Giovanni. La risposta dei Mazzarella non si fece attendere.Intono alle 20 infatti all’interno del negozio Patagraff in via Repubbliche Marinare 189, si erano presentate due persone armate di mazze da baseball e  avevano devastato tutto il negozio. Alla polizia era arrivata la segnalazione di colpi di arma da fuco ma quando la volante del commissariato san Giovanni arrivò sul posto si trovò di fronte lo spettacolo di devastazione. Il negozio risultava essere di proprietà di Andrea Cunato e della moglie Immacolata Rinaldi, nipote del boss Ciro detto mauè, all’epoca ancora in carcere. I due banditi, allontanatisi in sella a un motorino, dieci minuti più tardi si presentarono al civico 339 sempre di via Repubblica Marinare ma all’interno del negozio di telefonia denominato “2 B Service srl” . Con le stesse modalità i due banditi armati di mazze da baseball devastarono tutto il possibile prima di allontanarsi. Il negozio in questione era di Flora Prisco moglie di Antonio Rinaldi, figlio del boss Ciro. E anche in questo caso la risposta dei Rinaldi non si fece attendere. Infatti intorno alle 23 dello stesso giorno ignoti diedero fuoco al portone del civico numero 137 di via Comunale Ottaviano. Li vi abita Gaetano Bovenato cognato del boss Salvatore Donadeo alias O’ Puzzolente. E da quel giorno la faida trai Mazzarella e i Rinaldi è ripresa e va avanti senza esclusione di colpi. per il danneggiamento dei due negozi della famiglia Rinaldi e per un altro danneggiamento sono in carcere da inizio luglio 17 personaggio legati ai Mazzarella. In cella è stato raggiunto da una nuova ordinanza lo stesso Salvatore Donadeo.

Cronache della Campania@2018

Corrompeva i carabinieri: 8 anni e mezzo di carcere per il boss Francesco Casillo ‘a vurzella

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La Corte di Appello di Napoli ha confermato la condanna a 8 anni e mezzo di carcere per il boss di Boscoreale, Francesco Casillo ’a vurzella. Il boss del piano Napoliera accusato di narcotraffico e corruzione con la complicità di alcuni carabinieri tra cui anche ufficiali in servizio al nucleo investigativo del Gruppo di Torre Annunziata nel 2009. Per questa accusa sette carabinieri sono già stati assolti lo scorso anno nel processo che si è svolto con il rito abbreviato mentre per altri tre si procede con il rito ordinario. Sono accusati di favoreggiamento e si tratta dell’ex comandante del nucleo investigativo Pasquale Sario, oggi tenente colonnello in servizio a Roma, e sospeso per un anno, che avrebbe accettato “favori” da Casillo per fare carriera. Con lui ci sono il maresciallo “mazinga” Sandro Acunzo, già ai domiciliari e considerato l’uomo chiave dell’inchiesta. E ancora l’altro maresciallo Gaetano Desiderio, anche lui gravato da pesanti accuse, e i trafficanti di droga Orazio Bafumi e Luigi Izzo. Conferma della sentenza di primo grado anche per il fratello Aniello Casillo, a 8 anni, e per il suo avvocato Giovanni De Caprio, in primo grado condannato a 10 anni e ritenuto elemento importante nella “trattativa” tra il boss e i carabinieri.

Cronache della Campania@2018

Clan dei Casalesi: fratello del boss pentito ucciso, ergastolo per Cristofaro

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Giuseppe Cristofaro, 70 anni di Lusciano, esponente della fazione Bidognetti del clan dei Casalesi, accusato di aver preso parte all’organizzazione dell’omicidio di Aldo De Simone, fratello del collaboratore di giustizia Dario De Simone, avvenuto il 7 agosto 1996 è stato condannato all’ergastolo in via definitiva. La Cassazione ha messo infatti la parola fine al processo. Cristofaro, secondo la ricostruzione fatta poi anche da altri pentiti, tra cui soprattutto Domenico Bidognetti, avrebbe partecipato all’omicidio col ruolo di specchiettista.
L’omicidio era la ritorsione del clan dei Casalesi contro la collaborazione di Dario De Simone, “che era stato, con Vincenzo Zagaria e Francesco Biondino, esponente di spicco del gruppo di Trentola, più vicino, all’interno del clan dei Casalesi, al gruppo di Francesco Schiavone che a quello di Francesco Bidognetti”. Alcuni tentativi fatti da Vincenzo Zagaria, avvicinando Aldo De Simone e Giovanna Previdente, moglie di Dario De Simone, per indurre quest’ultimo, all’epoca detenuto, a desistere dalla scelta collaborativa (come poi dichiarato dalla stessa Previdente, da Angela Saggese, moglie di Aldo De Simone), non avevano avuto risultato positivo e per questo si era deciso di mandare un segnale forte, uccidendo il fratello del boss-pentito.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018


Medico del Beneventano accusato di violenza sessuale: sospeso per 12 mesi

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E’ accusato di una presunta violenza sessuale un medico di 61 anni di Ceppaloni in provincia di Benevento che è stato sospeso per dodici mesi dall’esercizio della professione medica. Il reato sarebbe stato commesso nell’agosto 2017. La misura interdittiva è stata disposta dal Tribunale del Riesame di Napoli, ed è stata notificata oggi dai carabinieri al professionista sannita.

Cronache della Campania@2018

ESCLUSIVA. Carolei a Enzuccio D’Alessandro: ‘Quel Tommasino si va spacciando per amico di tuo fratello’. L’intercettazione choc a casa del boss

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Castellammare. Riemerge l’indagine per la morte dell’omicidio del consigliere comunale del Pd, Luigi Tommasino. E’ una intercettazione inserita nelle circa 1800 pagine del fascicolo ‘Tzunami’ che ha fatto luce su tutti gli affari del clan D’Alessandro degli ultimi 20 anni. E quella intercettazione, alla luce di quanto accaduto il 3 febbraio del 2009, giorno in cui Tommasino fu trucidato in Viale Europa, fornisce una chiave di lettura diversa su un possibile movente del delitto. Cosa che fino ad oggi nonostante i tre gradi di giudizio e le condanne dei killer, non è stato ancora trovato. L’intercettazione è stata registrata circa due anni prima di quell’omicidio eccellente, pochi giorni prima del Natale del 2007, nell’abitazione di Vincenzo D’Alessandro. C’è un summit, il gotha della cosca di Scanzano, parlano di appalti e di soldi. Tanti soldi. Vincenzo D’Alessandro parla con Renato Cavaliere (colui che materialmente uccise Tommasino due anni dopo e che si è pentito da qualche anno), Gennaro Pasqua, Nunzio Bellarosa, Giovanni Somma, Sebastiano Giordano e Paolo Carolei. E’ proprio ‘Pauluccio’ che chiede conto a Enzuccio D’Alessandro di un fatto strano. Menziona un consigliere comunale, tale Tommasino. Il politico – riferisce Carolei a D’Alessandro – quando ci sono gare d’appalto in vista si presenta come un ‘amico’ di Pasquale suo fratello.
E’ Carolei che introduce l’argomento mentre il ‘direttorio’ del clan parla di estorsioni, spartizioni e soldi.
“Ha preso quattro denunce, per estorsione, e una inc. una di quelle quattro, inc … quattro o cinque di loro di loro a Ciccio” dice ‘Pauluccio’ parlando agli altri sodali di una persona non meglio identificata e poi aggiunge: “Questo a … (inc.) che ha fatto, ce la mise 900.000 euro (gliela valutò) tramite di Tommasino il politico di Castellammare, quello che si va spacciando, Mimì è tuo fratello Pasqualino, il nome di tuo fratello Pasqualino, per tutte le parti, Tommasino, Tommasino proprio lo chiamano”. Secondo Carolei, Tommasino si vanta in giro di essere amico di Pasquale D’Alessandro, fratello di Vincenzo. Ma è proprio quest’ultimo a mostrare stupore, sembra non conoscere neppure il cognome del consigliere comunale: “Il cognome è quello là?”. “Il cognome? Tommasino” risponde Carolei e poi spiega: “Per esempio la gara d’appalto? Dice: “no noi con i D’Alessandro sto … inc … con Pasqualino e (inc.) dammi 100.000 euro a me li mando sopra Scanzano e risolviamo il problema. Perchè Pazziella  inc. Pasqualino. inc. è. io lo so bene che non è così …. inc… da Giordano”. Il gruppo, pare metta al corrente Vincenzo D’Alessandro di quello che è accaduto nell’ultimo periodo. Sebastiano Giordano interviene nella discussione: “Tuo fratello mi chiamò pure disse vediamo là, dissi Pasqualino io sto stretto (inc)”. Vincenzo D’Alessandro pare non conoscere alcuni particolari: “lo adesso tante cose… si, si, no .. (inc.) … è perché mi fido di te, hai capito cos’è?”. Nell’ultimo passaggio della conversazione riportato nell’inchiesta Tzunami, Carolei parla ancora di affari e di estorsioni, come se stesse mettendo al corrente Vincenzo D’Alessandro di quello che il gruppo ha fatto: “Siamo compagni è normale siamo cresciuti con lui e gli dobbiamo dare inc. il discorso è che siamo andati sotto a questo (inc.) togliendo la concessione e levandogli la proprietà inc. comunque sopra la proprietà da seicentocinquanta lui, un milione e trecentomila euro inc… fare mutuo e tutto il casino (inc.) però dietro sono stati manovrati diciamo (inc.) che succede adesso (inc.) forse riusciamo a piazzare un’altra volta l’intervento di Milante inc. questo e quell’altro (inc.) chiudiamo la concessione (inc.) per mezzo mio, per il fatto dei mezzi sequestrati, macchine demolite ecc.”.
Questa conversazione in cui due anni prima dell’omicidio di Luigi Tommasino, i ras di Scanzano, paventano le ‘millanterie’ del politico che si sarebbe presentato come ‘amico’ di Pasquale D’Alessandro della cosca non è stata una pista esplorata dagli inquirenti nel corso del processo per il delitto del politico.

 Rosaria Federico

(nella foto il luogo dell’omicidio di Gino Tommasino, il primi a sinistra nei riquadri e a seguire i boss Paolo Carolei ed Enzo D’Alessandro)

Cronache della Campania@2018

Spaccio nel Casertano, Fargnoli a chi lo sfidava: ‘Appena sono libero tu sei un uomo morto’

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Le minacce di Fargnoli: “Appena sono libero tu sei un uomo morto”. Emergono nuovi particolari sul modus operandi tenuto da Robert Fargnoli, 46 anni, ritenuto, assieme alla moglie Maria Assunta Di Chello, il capo della piazza di spaccio nelle case popolari di Alife in provincia di Caserta e accusato di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione, trasporto e cessione illecita delle, con l’aggravante di avere impiegato nell’attività illecita persone minori.
Dalle intercettazioni emerge come, in questo caso del marzo 2017, Fargnoli non avesse paura di minacciare a telefono chi, a suo avviso, avesse avuto il coraggio di sfidarlo. I due insieme con altre dieci persone sono stati arrestati la scorsa settimana nel corso di un blitz che ha fatto luce su un vasto traffico di droga in alcuni comuni del casertano affidato anche a ragazzini minorenni.

 Gustavo Gentile

(nella foto Robert Fargnoli e la moglie Maria Assunta Di Chello)

Cronache della Campania@2018

Il boss ‘Sandokan’ a processo per l’omicidio del postino cugino del killer di don Peppe Diana

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Il gip di Napoli ha rinviato a giudizio per un omicidio di camorra del 1996 il superboss, capo del clan dei Casalesi Francesco Schiavone, noto come “Sandokan”. Si tratta del delitto del postino Giuseppe Quadrano, cugino dell’omonimo collaboratore di giustizia, killer del sacerdote don Peppe Diana, ucciso nel 1994 nella chiesa di cui era parroco a Casal di Principe. Quadrano si penti’ poco dopo l’omicidio, provocando la reazione rabbiosa dei vertici del clan, tra cui “Sandokan”, che decisero di eliminare il cugino del killer, che aveva il suo stesso nome e cognome. L’obiettivo della cosca era di mandare un segnale di avvertimento a tutti gli esponenti del clan che avevano in testa di collaborare con la magistratura. Il capoclan dovra’ comparire per il dibattimento davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il prossimo 27 marzo. Per il delitto sono stati condannati qualche giorno fa a 30 anni di carcere gli esponenti di spicco del clan Francesco Schiavone detto “Cicciariello”, omonimo e cugino di “Sandokan”, ritenuto uno dei mandanti, e Sebastiano Panaro, che prese parte al delitto guidando l’auto dei killer. Quadrano fu massacrato all’esterno di un bar di San Cipriano d’Aversa il 7 luglio di 23 anni fa con 12 colpi sparati da una pistola calibro 9×21. A raccontare di tali avvenimenti e’ stato uno degli esecutori materiali del delitto, Nicola Panaro, divenuto collaboratore di giustizia, condannato a 12 anni di carcere.

Cronache della Campania@2018

Turisti schiacciati dall’auto sul traghetto per Palermo: indagate cinque persone

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Napoli. Sono indagati due ufficiali, un nostromo, un marinaio e il guidatore della vettura che precipitò dal ponte del traghetto all’imbarco di Napoli e causò la morte di due turisti indonesiani. La tragedia del 17 giugno scorso, nel porto di Napoli, potrebbe costare il processo a cinque persone. I magistrati della VI sezione della Procura di Napoli – Michele Caroppoli e Lucio Giugliano, procuratore aggiunto Giuseppe Lucantonio – hanno emesso cinque avvisi di conclusione indagini, per omicidio colposo in cooperazione, nei confronti di cinque persone: il primo e il secondo ufficiale, il nostromo, un marinaro e il conducente della vettura precipitata sui due indonesiani. Burhasn Samir, di 79 anni, morì sul colpo, schiacciato dall’automobile. La moglie, Langsa Ana, perse la vita in ospedale, il 26 luglio, per le gravi ferite riportate nel grave incidente. Per gli inquirenti le operazioni di imbarco avvennero senza l’opportuna guida e che ci fossero le necessarie condizioni di sicurezza. La vettura, peraltro anche con pneumatici risultati usurati, precipitò da un ponte mobile di accesso anche a causa della mancanza di barriere. Per i due turisti stranieri, che stazionavano sotto quel ponte, insieme con altri loro amici, non ci fu scampo. Il conducente dell’auto, un 39enne nato nella provincia di Trapani ma residente a Terni, rimase incolume.

Cronache della Campania@2018

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