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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Maddaloni, spaccio di droga: il pm chiede 150 anni di carcere

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Maddaloni. Spaccio di droga per conto del clan Belforte il pubblico ministero della Dda di Napoli Luigi Landolfi ha chiesto 12 condanne dopo le richieste di rito abbreviato. Oltre un secolo e mezzo le pene complessive.
Ecco le richieste: 10 anni a Luigi Belvedere, 26enne di Caserta; 12 anni Pietro Belvedere, 30enne di Maddaloni; 20 anno a Antonio Esposito, 40enne di Maddaloni, 20 anni a Antonio Mastropietro, 40enne di Maddaloni, 12 anni a Giuseppe Madonna, 26enne di Maddaloni; 20 anni a Antonio Padovano, 41enne di Maddaloni; 20 anni Fabio Romano, 28enne di Maddaloni; 12 anni a Antonietta Stefanelli, 43enne di Maddaloni; 12 anni a Luigi Tagliafierro, 29enne di Maddaloni; 3 anni e 11 mesi Mariano Tagliafierro, 22enne di Maddaloni; 8 anni a Biagio Tedesco, 26enne di Maddaloni; 20 anni a Aniello Zampella, 19enne di Caserta.

Cronache della Campania@2018


Napoli: due medici indagati per la morte di Anna Siena, fissata l’autopsia

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Napoli. Ci sono due medici dell’ospedale Vecchio Pellegrini indagati per la morte di Anna Siena, la 36enne della Pignasecca deceduta dopo essere stata visitata e dimessa nonostante avesse forti dolori addominali. I due medici R.F.N e C.V., sono accusati di omicidio colposo e sono quello che hanno visitato e dimesso Anna, prescrivendole semplici antidolorifici, senza che le venisse praticato alcun esame diagnotisco. Domani sarà effettuata l’autopsia. A proposito dei presunti ritardi sulle nomine dei periti medico legali il procuratore capo di Napoli Gianni Melillo con una nota inviata a Il Mattino ha spiegato: “Pur rispettando ogni possibile opinione, devo precisare che, contrariamente a quanto pubblicato, non soltanto i componenti del collegio medico-legale sono stati tempestivamente individuati dal magistrato designato per le indagini, ma che nessun altro consulente risulta aver rifiutato di assumere l’incarico in questione, l’espletamento del quale si svolgerà, come per prassi, non appena completate le attività delegate alla polizia giudiziaria, necessarie per assicurare il rispetto delle garanzie che spettano alle persone sottoposte alle indagini e ai familiari della vittima e la piena utilizzabilità processuale degli esiti dei necessari accertamenti. Non posso che approfittare dell’occasione per ringraziare pubblicamente i medici che quotidianamente assumono – e svolgono con disciplina e onore – funzioni ausiliarie delle attività dell’Ufficio che ho la responsabilità di dirigere”.

Cronache della Campania@2018

Omicidio del boss Pellino: la Cassazione assolve tutti

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La Cassazione -un anno dopo la sentenza di assoluzione sentenziata dalla Corte di Assise d’Appello di Roma – conferma le assoluzioni per gli uomini che erano stati accusati di esse-re i presunti assassini di Modestino Pellino, alias “’o micillo”, boss di Caivano, ucciso a Nettuno il 24 luglio 2012. Martedì scorso, i giudici della Cassazione hanno dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma, contro le assoluzioni pronunciate il 18 gennaio 2018. Scagionati definitivamente, come anticipa Il Roma, Raffaele Dell’Annunziata (difeso dagli avvocati Patrizio Alecce e Saverio Senese), Raffaele Laurenza (difeso dagli avvocati Abet e Naso) e Luigi Belardo (difeso dagli avvocati Ro-hira e Merluzzi). Anna Castiello resta con la condanna di 1 anno e quattro mesi di reclusione. In primo grado Raffaele Dell’Annunziata era stato condannato a 30 anni di reclusione, Luigi Belardo a 28 anni, Raffaele Laurenza all’ergastolo con isolamento notturno e diurno per 9 mesi e Anna Castiello a due anni di reclusione.

Le indagini avevano acclarato, in base anche a riscontri del Dna che i tre uomini erano a Nettuno, in quei giorni in cui si decideva e si commetteva il delitto. Alcuni pentiti avevano sostenuto la tesi che l’omicidio fosse maturato nell’ambito della scissione del clan Ciccarelli per la gestione delle piazze di spacco di Caivano e del territorio tra Formia e Nettuno. La presenza dei tre spinse la Procura capitolina ad emettere un decreto di fermo e ad ipotizzare che Laurenza, Dell’Annunziata e Belardo fossero i tre killer.
Gli avvocati Saverio Senese, Antonio Abet e Giuseppe Perfetto hanno sostenuto il contrario, nessuna prova – neppure dalle telecamere di sorveglianza presenti nella zona – lasciava supporre che i tre imputati avevano sparato. La mancata identificazione certa dei killer ha indotto i giudici della Corte d’Assise d’Appello ad emettere una sentenza di assoluzione, accogliendo il ricorso della difesa.
Un processo indiziario nel quale avevano contato molto, le intercettazioni ambientali e telefoniche, il Dna e le impronte digitali trovate nell’appartamento di Nettuno, ritenuto base logistica dei killer. Stessa zona di provenienza tra indiziati e vittima, un’esecuzione mafiosa, le velleità di Modestino Pellino e la scissione nel clan Ciccarelli avevano fatto il resto. Ma è mancata la prova ‘madre’ quella dell’assoluta e certa identificazione dei killer immortalati da tre telecamere. Ed è arrivata l’assoluzione in Appello.

(nella foto Modestino Pellino, Luigi Belardo, Raffaele Dell’Annunziata,Raffaele Laurenza)

 

Cronache della Campania@2018

Legami con il boss Zagaria: assolto in appello l’ex manager dell’ospedale di Caserta

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La prima sezione della Corte di Appello di Napoli ha assolto con formula piena, “perche’ il fatto non sussiste”, l’ex direttore generale dell’Azienda Ospedaliera di Caserta Francesco Bottino, che era accusato di aver favorito il clan camorristico guidato da Michele Zagaria. In primo grado Bottino era stato condannato ad un anno e dieci mesi di reclusione per il reato di turbata liberta’ di scelta del contraente negli appalti pubblici con l’aggravante mafiosa. In particolare, per la Dda di Napoli, Bottino avrebbe prorogato in modo illegittimo, con propria determina, l’affidamento per la gestione di 26 distributori automatici di cibi e bevande; una ricostruzione contestata dalla difesa di Bottino, rappresentata dai legali Virgilio Marino e Francesco Carotenuto, che ha sempre sostenuto che la determina “incriminata” si limitasse solo ad anticipare la scadenza naturale del contratto e a disporre che la ditta concessionaria pagasse il dovuto. “Siamo pienamente soddisfatti della decisione che riforma una sentenza di primo grado profondamente ingiusta, nell’ambito di una indagine per la quale il dottore Bottino aveva anche patito l’infamia degli arresti domiciliari, poi revocati dal Gip all’interrogatorio di garanzia, ed era stato accostato ad uno dei piu’ potenti e sanguinari clan camorristici, il tutto per un affidamento che produceva poche migliaia di euro annui, tra l’altro disposto dal suo predecessore Luigi Annunziata (deceduto, ndr)”.

Cronache della Campania@2018

Banca Etruria, ex vertici condannati per bancarotta fraudolenta. Federconsumatori: “Ottimo viatico”

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Arezzo. Banca Etruria: arrivano le prime condanne. Stangata ai vertici della banca. Il gup del tribunale di Arezzo Giampiero Borraccia ha accolto tutte le richieste dell’accusa e, nel processo per il filone della bancarotta dell’ex Banca Etruria, ha condannato con rito abbreviato, a 5 anni l’ex presidente Giuseppe Fornasari e l’ex direttore generale Luca Bronchi, a due anni e 6 mesi l’ex vicepresidente Alfredo Berni e un anno e 6 mesi l’ex consigliere Rossano Soldini. Tutto come chiesto dai pm Andrea Claudiani e Angela Masiello. Gli altri 26 imputati saranno invece giudicati con il rito ordinario. Per il giudice, quindi, ci fu bancarotta e nel caso di Fornasari, Bronchi e Berni fu fraudolenta. La tensione prima della sentenza, arrivata in tarda serata, era palpabile come, subito dopo, la soddisfazione del procuratore Roberto Rossi, presente in aula insieme a tutti i ‘suoi’ magistrati, quelli del pool Andrea Claudiani, Angela Masiello, Julia Maggiore che lo stesso procuratore ha guidato in mezzo alla tempesta di un’inchiesta lunga quanto complessa e chiacchierata. “Le sentenze non si commentano, grazie”, ha detto uscendo il procuratore. Di tutti i filoni aperti con l’inchiesta sulla banca aretina, sicuramente quello della bancarotta era il cuore pulsante. Un plotone di imputati, in testa l’ex presidente Fornasari e l’ex dg Bronchi, che hanno poi scelto di dividere le loro sorti insieme a Berni e Soldini optando per il rito abbreviato. Le indagini vengono da lontano, esattamente dall’11 febbraio 2015 quando i funzionari di Banca d’Italia interruppero la riunione del Cda e invitarono l’intero vertice a lasciare, commissariando di fatto l’istituto. A quel punto Banca Etruria era tecnicamente fallita. Sul tavolo del procuratore Rossi finirono una serie di crediti e finanziamenti mai rientrati che avrebbero portato al fallimento di una banca che, stando a quanto messo insieme durante le indagini, era stata totalmente svuotata proprio da una gestione quantomeno “allegra” dei soldi. Tra i finanziamenti contestati dai pm del pool investigativo l’ormai notissimo yacht di Civitavecchia (perdita da 25 milioni) progettato per diventare il panfilo più grande del mondo e rimasto a invecchiare nel cantiere. Ma anche il prestito Sacci ovvero cinquanta milioni mai rientrati concessi a una società il cui amministratore Augusto Federici, ora imputato, era anche membro del Cda della banca. E ancora l’operazione San Carlo Borromeo, relais di lusso di Armando Verdiglione su cui Banca Etruria aveva la sola garanzia di un’ipoteca di quarto grado. Una serie insomma di crediti mai rientrati e che hanno, secondo l’accusa e ora anche per il gup, fatto morire definitivamente la più antica banca aretina. “Questa sera si è fatto giurisprudenza – ha commentato ricalcando i suoi legali Pietro Ferrari per Federconsumatori – per noi che rappresentiamo le parti civili adesso questo pronunciamento sarà un ottimo viatico per gli altri filoni processuali ancora aperti”. I difensori ora aspetteranno le motivazioni per valutare l’appello.

Cronache della Campania@2018

Slot machine dei Casalesi: chieste 25 condanne in appello

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Il procuratore generale al processo in appello a carico di 26 persone accusate di gestire attività illecite come imposizioni vidoepoker nella zona dell’agro aversano ha chiesto le conferme delle condanne in appello. L’inchiesta aveva consentito di ricostruire gli affari della fazione “Schiavone-Venosa” del clan dei Casalesi soprattutto nel gioco on line. Il procuratore ha chiesto solo piccole riduzioni che saranno valutate dal presidente. Giuseppe Verrone di Aversa a 14 anni; Giuliano Venosa di San Cipriano d’Aversa a 12 anni; Angelo D’Errico, di Frignano a 12 anni; Salvatore Cantiello, di Casal di Principe, a 8 anni; Anna Cerullo, di Casal di Principe, a 2 anni e 8 mesi; Giuseppe Bianchi, di Casal di Principe, a 6 anni; Silvana Venosa, di Santa Maria Capua Vetere, a 2 anni e 8 mesi; Dionigi Pacifico, di Casal di Principe, a 8 anni; Ettore Pacifico, di Napoli, a 2 anni e 8 mesi; Augusto Bianco, di Casal di Principe, a 8 anni; Anna Cammisa, di San Cipriano d’Aversa, a 2 anni e 8 mesi; Teresa Venosa, di San Cipriano d’Aversa, a 10 anni; Luigi Venosa, detto ‘cocchiere, a 8 anni; Angelina Simonetti, di Casal di Principe, a 2 anni e 8 mesi; Salvatore Rossi, di Napoli, a 11 anni e 2 mesi; Angelo Mennillo, di Aversa, a 2 anni e 4 mesi; Gennaro D’Ambrosio, di Aversa, a 11 anni e 2 mesi; Massimiliano D’Ambrosio, di Casaluce, a 11 anni; Pasquale Picone, di Caserta, a 8 anni; Salvatore Frattoluso, di Aversa, a 10 anni ed 8 mesi; Raffaele Micillo, di Napoli, a 5 anni; Angelo Prece, di Acerra, a 10 anni; Mario Pinto, di Napoli, a 10 anni; Vittorio Pellegrino, di Aversa, a 10 anni; Massimo Venosa, di San Cipriano d’Aversa, a 10 anni; Antonio Simonetti, di Casal di Principe, a 2 anni e 8 mesi; Iuri La Manna, di Maddaloni, già collaboratore di giustizia, a 4 anni. Assolti Antonio Cantiello di Caserta e figlio di Salvatore Cantiello, e Mario Bianchi, di Napoli. Nel collegio difensivo ci sono Paolo Caterino, Mirella Baldascino Nando Letizia.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Paziente morta all’ospedale di Sorrento: chiesto il processo per tre medici

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Dopo diversi giorni di agonia, Elena Migliozzi, di settantasette anni, muore nel settembre del 2015. Il suo decesso fa finire tre medici sotto inchiesta per i quali, la Procura di Torre Annunziata, ha annunciato il rinvio a giudizio: il giudice si pronuncerà il prossimo 9 maggio. Elena era stata ricoverata per un ematoma alla gamba sinistra. Da una tac effettuata, invece, pareva ci fosse una lesione della milza per la quale era necessario un intervento chirurgico ma una volta in sala operatoria, l’organo si presenta intatto. Dopo tre anni e mezzo dalla tragica vicenda, ancora si attende una decisione sull’eventuale processo a carico dei tre medici coinvolti: Pietro Gnarra, primario di Chirurgia dell’ospedale di Sorrento e unico a essere presente ieri in aula, Loris Tango, in servizio presso il Santa Maria della Misericordia, e Chiara D’Errico, membro del team di Radiologia.
Dopo la morte della signora Elena, i figli, come riporta Il Mattino, denunciano la vicenda ai carabinieri e la Procura apre un’inchiesta che dà mandato di procedere con l’esame autoptico dal quale emerge, secondo l’esperto nominato dalla Procura, che: “I medici dell’ospedale di Sorrento hanno una responsabilità negli eventi che portarono alla morte” della paziente, avendo agito “senza la dovuta prudenza, diligenza e perizia”. Sul fronte opposto, invece, una perizia firmata da Francesco Corcione, uno dei chirurghi italiani più famosi, sostiene come Gnarra e Tango abbiano rispettato i protocolli sanitari e come l’intervento su Migliozzi fosse indispensabile alla luce del suo quadro clinico: emoglobina e pressione in calo, paziente sotto choc e sospetta lesione della milza. Ma i figli di Elena incalzano: “Vogliamo giustizia per nostra madre spiegano . Se i medici dovessero essere condannati, devolveremo l’eventuale risarcimento a una fondazione impegnata nella ricerca sulle malattie rare”.

Cronache della Campania@2018

Aveva una emorragia cerebrale ma i medici non se ne accorsero: in tre a processo

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Per il decesso di Daniela Delli Priscoli, avvenuto il 10 dicembre del 2016, tre medici saranno processati per omicidio colposo. La prima udienza del processo è stata fissata per il prossimo 19 luglio. Sia la Procura di Nocera Inferiore che il gup, sostengono ci siano elementi sufficienti per sostenere la responsabilità medica.Daniela morì nel dicembre del 2016 lasciando tre figli, il più piccolo di soli sei mesi e questo perché nessuno dei tre sanitari, secondo l’accusa, predispose esami approfonditi per capire l’origine dei lancinanti dolori alla testa. Per questo motivo la sua famiglia si è affidata all’avvocato Francesco Dustin Grancagnolo per vedere affermato il proprio diritto alla giustizia. Secondo il perito di parte civile, il neurologo e medico legale Tito De Marinis, Daniela poteva essere salvata se le fossero stati fatti approfonditi esami. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la perizia della procura, affidata al medico legale Giovanni Zotti che ha accertato che la donna è morta per un aneurisma cerebrale. Era la mattinata del 5 dicembre del 2016 quando Daniela andò in ospedale a Mercato San Severino per una forte cefalea. I medici riscontrarono una grave ipertensione arteriosa, di massima gravità, e, nonostante al momento delle dimissioni, la donna fosse colta da un nuovo e fortissimo dolore, che secondo prassi doveva essere calmato con una terapia farmacologica, i medici omisero di ricoverarla e anche di effettuare una tac ed altre indagini. Tac che, secondo quanto poi dichiarato dagli stessi sanitari, non fu eseguita perché in quel momento l’apparecchio era fuori uso. Ma non fu neanche disposto il suo trasferimento in un’altra struttura sanitaria. Ma la dimisero prescrivendole ulteriori approfondimenti diagnostici di natura ortopedica per i forti dolori al collo. Il giorno successivo il medico di famiglia della Delli Priscoli, invece, senza una adeguata diagnosi, le prescriveva soltanto un ansiolitico, ovvero un holter pressorio per la cefalea senza considerare una diagnosi di natura vascolare o neurologica. Infatti la donna aveva una emorragia cerebrale in corso.
Tant’è che nel giro di pochi giorni dalle dimissioni è tornata nuovamente in ospedale, ma questa volta al San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, per non uscirne mai più viva. Qui i medici non hanno potuto far altro che constatarne la morte cerebrale. Le sue ultime parole, nel corso della nottata, prima dell’ennesimo ricovero sono state al marito: «Portami in ospedale, non sto bene», poi in ambulanza ha perso i sensi.
Nonostante il dolore per la improvvisa morte, però, il marito volle assecondare le sue volontà e chiedere nel corso della stessa nottata al giudice l’autorizzazione per l’espianto dei suoi organi che hanno regalato la vita ad altre persone. Polmoni, reni, cuore, fegato e cornee sono stati donati a persone che erano in lista d’attesa per un trapianto in varie località italiane.
Un calvario, quello di Daniela, durato in tutto una ventina di giorni durante i quali nessuno le ha indicato gli esami giusti da fare per capire a cosa potessero essere legati quei dolori alla testa che le creavano dei veri e propri momenti di choc.

Cronache della Campania@2018


Avellino, molestie a una alunna: condannato prof di musica

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Accusato di violenza sessuale ai danni di una alunna, è stato condannato a 4 anni di reclusione un docente del liceo artistico “De Luca” di Avellino. Al 30enne di origine beneventana era stata riconosciuta una parziale incapacità di intendere e di volere e il suo comportamento non era connotato da un obiettivo del tipo sessuale. Esito a cui era giunto anche il consulente di parte, nominato dall’imputato, Pierluigi Vergineo. Circostanze quest’ultime più volte sottolineate anche dai due difensori nel corso della loro discussione davanti al giudice per le udienze preliminari del tribunale di Avellino, durante la quale hanno insistito “sull’insussistenza dello stalking e la mancanza dell’elemento volitivo”. I legali del professore – in attesa di leggere le motivazioni della sentenza – preannunciano ricorso in Appello. Sul 30enne beneventano pende un altro procedimento penale, per aver palpeggiato seno e gluteo anche a un’altra studentessa, yba eafazza disabile dello stesso istituto, che presentò denuncia. Procedimento penale che verrà discusso il prossimo 5 febbraio davanti al gup Paolo Cassano del tribunale di Avellino.

Cronache della Campania@2018

Rapinarono una donna e la sua bambina di 7 anni: arrestati due uomini di Grumo Nevano

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Frattaminore. Puntarono la pistola contro una donna e la sua bambina di sette anni per rapinarle la borsa: due mesi dopo sono finiti in carcere i due responsabili, sono due 43enne di Grumo Nevano. Gli agenti della Polizia di Stato del Commissariato di Frattamaggiore hanno arrestato in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare due uomini, M.P. e M.L. originari di Grumo Nevano entrambi 43enni che, avevano messo a segno una rapina nel comune di Frattaminore a dicembre scorso. Ieri sera i due sono stati catturati in esecuzione di due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip del Tribunale di Napoli nord su richiesta del P.M., a seguito di accurate e meticolose indagini dei poliziotti del Commissariato PS Frattamaggiore.
I poliziotti, in seguito alla denuncia di rapina, avvenuta nella mattinata del 9 dicembre scorso, a Frattaminore in via Roma quando una madre in compagnia della sua bambina di sette anni fu minacciata con una pistola e rapinata di 120 euro e di un orologio di marca dal valore di 1200 euro da due uomini che viaggiavano in sella ad un ciclomotore Piaggio Liberty privo di targa, hanno avviato un’accurata indagine. Gli agenti in momenti diversi hanno rinvenuto e sequestrato sia il motociclo privo di targa nella disponibilità di M. P. che, la pistola, una similare a quelle in dotazione alle forze dell’ordine nell’abitazione del complice. I due arrestati sono stati condotti presso la Casa Circondariale di Poggioreale. La Polizia prosegue le indagini per verificare se gli stessi abbiano commesso altre rapine.

Cronache della Campania@2018

Falsi collaudi per il Pip di Marano: processo per sette complici dei Cesaro

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Marano. Il Tribunale di Napoli Nord ha rinviato a giudizio sette persone ritenute coinvolte in uno dei tre filoni dell’inchiesta sul Piano di Insediamento Produttivo di Marano, popoloso comune della provincia di Napoli. Gli indagati – tecnici di una ditta riconducibile ai fratelli Cesaro ed ex tecnici comunali – sono accusati di avere prodotto falsi collaudi e certificati relativi alle opere realizzate nell’area industriale. Il sostituto procuratore Maria Di Mauro e il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli hanno chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio, tra gli altri, per Gennaro Pitocchi (ex direttore dell’ufficio tecnico di Marano), Domenico Domenicone (amministratore di una societa’ di Sant’Antimo), i cugini Antonio Di Guida e Pasquale Di Guida, Francesco Scialo’ e Oliviero Giannella. Antonio Di Guida e Giannella sono imputati per concorso esterno in associazione mafiosa, nell’ambito di un altro filone dell’indagine di Dda e Ros. L’ultimo indagato, Giuseppe Nasto, ha invece chiesto il patteggiamento.

Cronache della Campania@2018

Camorra e politica, l’ex sindaco di Mondragone condannato a otto anni e sei mesi

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Mondragone. Ex sindaco di Mondragone, Ugo Alfredo Conte condannato a otto anni e sei mesi nell’ambito del processo nato dall’inchiesta sulle infiltrazioni camorristiche nella Eco4, la società che si occupava della raccolta rifiuti a Mondragone, Il pm della Dda aveva invocato una pena di 5 anni e 6 mesi solo per la truffa e la corruzione per l’assunzione di persone nell’Eco4, circostanza aggravata dall’articolo 7, chiedendo l’assoluzione per l’estorsione aggravata dal metodo mafioso. Sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione per gli altri imputati – l’ex vicesindaco Agostino Romano, Massimo Romano, Daniele Gnasso, Amodio e Pietro D’Agostino – essendo decaduta l’aggravante mafiosa. L’avvocato difensore di Conte ha annunciato l’impugnazione della sentenza in Appello.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Escort, al via il processo a Berlusconi: pagò le bugie di Tarantini sugli incontri e su Finmeccanica

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Bari. Berlusconi pagò le bugie Tarantini sulle escort: il processo all’ex premier inizierà lunedì prossimo e nel procedimento la Presidenza del Consiglio è parte civile. “Il più delle volte al pagamento delle prestazioni” sessuali delle escort reclutate da Gianpaolo Tarantini “provvedeva lo stesso Berlusconi: e ciò non era propriamente indifferente per la reputazione interna ed internazionale di un presidente del Consiglio”. E’ per questo che Silvio Berlusconi avrebbe pagato Tarantini per mentire ai pm baresi che indagavano sulle escort. E’ uno dei passaggi del provvedimento con il quale il gup del Tribunale di Bari Rosa Anna Depalo, nel novembre 2018, ha rinviato a giudizio l’ex premier per il reato di induzione a rendere false dichiarazioni all’autorità giudiziaria sulla vicenda escort. Il processo inizierà lunedì prossimo, 4 febbraio, e sarà celebrato nell’ex sezione distaccata del Tribunale di Modugno (Bari). Secondo la Procura Berlusconi, all’epoca presidente del Consiglio dei Ministri, avrebbe fornito all’imprenditore barese, per il tramite di Valter Lavitola (la cui posizione è stata stralciata e trasmessa a Napoli), avvocati, un lavoro e centinaia di migliaia di euro in denaro, perchè mentisse ai pm che indagavano sulle escort portate nelle residenze estive dell’ex premier fra il 2008 e il 2009 e sui suoi interessi in Finmeccanica. Nel procedimento contro Berlusconi, difeso dagli avvocati Niccolò Ghedini e Francesco Paolo Sisto, si è costituita parte civile in udienza preliminare la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Cronache della Campania@2018

Lunedì inizierà il processo agli aggressori della giornalista Marilena Natale

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Caserta. lunedì 4 febbraio, presso il tribunale di Caserta, si aprirà il processo a carico dei presunti aggressori di Marilena Natale, la coraggiosa giornalista che non ha esitato a denunciare le trame della camorra e ora è costretta ad una vita “Sotto scorta’”. La Federazione nazionale della Stampa italiana, il Sindacato unitario giornalisti della Campania e il Gruppo cronisti della regione – si legge in una nota – hanno deciso, anche questa volta, di chiedere la costituzione parte civile e di accompagnare la collega in aula.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Omicidio Faucitano: pentiti e agenti provocatori muniti di microfoni tra gli accusatori di Alfano, Adini e Rizzo

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Scafati. Una spiata ai carabinieri sui traffici di droga di Carminuccio Alfano e sui legami con Michele Matrone: questo uno dei motivi per i quali fu ucciso Armando Faucitano. Una tesi emersa nel corso delle indagini quando un pregiudicato, poi diventato agente-provocatore e collaboratore di giustizia, fece le prime ammissioni agli inquirenti. Domani, nel corso dell’udienza dinanzi ai giudici del Riesame di Salerno che dovranno decidere la scarcerazione di Carmine Alfano, Marcello Adini e Pasquale Rizzo, il collegio difensivo dovrà valutare necessariamente anche questo movente, oltre a quello legato ad un debito per l’acquisto di sostanza stupefacente.
A parlare per primo della circostanza è stato Alberto Panico, pregiudicato di Boscoreale, che diede ospitalità a Pasquale Rizzo dopo l’omicidio di Faucitano. Panico è diventato, nel 2016 un collaboratore di giustizia, ammesso al programma di protezione proprio per la vicenda dell’omicidio avvenuto a Scafati. Panico ha inoltre raccontato di essere un corriere della droga e di aver fatto affari con i clan torresi e stabiesi. Fu lui nel gennaio del 2016 che – a supporto di quanto già riferito ai carabinieri – fu utilizzato come ‘agente provocatore’, munito di una microspia intercettò i suoi amici Giovanni Barbato Crocetta e Gaetano Esposito, arrestati e poi scarcerati per aver riciclato lo scooter utilizzato per l’omicidio Faucitano e ritrovato nel Rio Sguazzatorio a Scafati poco dopo l’agguato di piazzetta Genova del 26 aprile 2015. Panico aveva ospitato per pochi mesi Pasquale Rizzo – poi arrestato per concorso in omicidio – dopo il delitto e prima che venisse arrestato in Germania con Vincenzo Alfano, fratello di Carmine, per aver trasportato della droga. Panico rivelò agli inquirenti che Pasquale Rizzo gli aveva confidato alcuni particolari: “Con Pasquale era nata una sorta di amicizia – rivela Panico ai carabinieri – e mi disse che circa un mese prima del suo omicidio, una notte, origliando a sua insaputa, aveva sentito Faucitano dare delle confidenze ai carabinieri di Scafati, nella sua cucina nel corso di un controllo mentre stava agli arresti domiciliari. Nella circostanza Faucitano riferiva ai carabinieri di numerose attività illecite che avvenivano a Scafati nominando coloro che le commettevano. In particolare riferiva di un certo Carminuccio ‘detto bim bum bam’ ritenendoloil gestore dello spaccio di marijuana e cocaina a Scafati insieme al figlio del boss Franchino Matrone”. Sul coinvolgimento di Carmine Alfano, Panico cercò altre conferme, intercettando i suoi amici finiti in prigione per la moto utilizzata per il delitto: “Quello è uno scemo, ha fatto un macello ha ucciso ad un bravo ragazzo” si sente in una delle conversazioni che Alberto Panico registrò con Esposito e Barbato Crocetta e secondo gli inquirenti il riferimento era ad Alfano e Adini. “Rizzo mi riferì – ricorda Alberto Panico agli inquirenti – che dopo due giorni dalla notizia data a Carmine Alfano (si riferisce alla spiata ai carabinieri, ndr) Armando Faucitano è stato ucciso. Rizzo mi disse che si era messo d’accordo la sera prima con Alfano di portare Faucitano il giorno successivo in una piazzetta con la scusa di consumare uno spinello insieme. Faucitano sarebbe stato ucciso da Carmine Alfano e da un certo Marcello di cui non conosco il cognome. Tutto era stato studiato nei particolari in modo da non rendere Rizzo testimone oculare, perchè aveva paura”. La versione di Panico, secondo gli inquirenti collima in gran parte con quanto emerso durante le indagini. Dopo le dichiarazioni, il testimone cercherà in tutti i modi di far emergere i nomi dei due killer nelle conversazioni registrate con Esposito e Barbato Crocetta che in realtà alludono ad Alfano, ma non ne fanno mai il nome.
Ma c’è un altro neo collaboratore di giustizia che accusa pesantemente Carmine Alfano: è Massimo Fattoruso, fratello di Francesco, ucciso – secondo gli inquirenti – da esponenti del clan Aquino-Annunziata. Fattoruso ha raccontato all’inizio dello scorso anno di conoscere la pistola con la quale Armando Faucitano è stato ucciso e di averla gettata nel fiume Sarno, indicando anche il luogo preciso. La pistola non è stata in effetti mai trovata ma Fattoruso racconta: “In merito all’omicidio posso dire di sapere chi è stato e dove si trova l’arma utilizzata. La pistola utilizzata è una calibro 38 e si trova nel fiume Sarno, nei pressi della Frazione di San Pietro. E’ una calibro 38 di colore argento con il manico di colore avorio prima, con un disegno sopra. Non è stata gettata subito dopo l’omicidio, sono stato proprio io a buttarla avvolta in un panno bianco”. Secondo Fattoruso, quella pistola apparteneva a suo fratello, ucciso nel 2014. Dopo l’omicidio la vedova di Francesco Fattoruso l’avrebbe consegnata a Carmine Alfano insieme ad un borsone contenente della droga. E dopo l’omicidio Faucitano, Alfano l’avrebbe restituita alla signora per evitare che fosse ritrovata. “mi sono reso conto, quando poi sono uscito e mia cognata mi ha spiegato la cosa, che quella era proprio la pistola usata per l’omicidio a Piazzetta Genova”. Fattoruso spiega che Alfano era il compariello del fratello Francesco e di aver saputo che proprio ‘bimu bum bam’ se l’era ‘venduto’ ai suoi assassini.
Su questi elementi e sugli altri raccolti nel corso delle indagini, il collegio difensivo dovrà domani fondare la difesa dei tre arrestati su disposizione del Gip Zambrano e su richiesta della Dda di Salerno. Carmine Alfano, Marcello Adini sono accusati, il primo di essere il mandante ed esecutore, il secondo solo esecutore e Pasquale Rizzo deve rispondere dell’accusa di concorso in omicidio.

Cronache della Campania@2018


Castellammare, l’autopsia chiarirà le cause della morte delle neo mamma: due medici indagati

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Castellammare. L’autopsia oggi chiarirà le cause della morte di Lucia Balzano, la neo mamma di Torre del Greco, residente a Scafati deceduta nell’ospedale stabiese 4 giorni giorni fa per una probabile sepsi infettiva, presumibilmente da meningococco. Il pubblico ministero Francesca Sorvillo, della Procura di Torre Annunziata e titolare delle indagini nel frattempo ha iscritto nel registro degli indagati, con l’accusa di omicidio colposo, due medici dell’ospedale San Leonardo. Il marito della donna Giuseppe Lupe e il padre Cesare Balzano hanno presentato una denuncia chiedendo che siano chiariti i motivi della morte della loro congiunta e che vengano accertate eventuali colpe mediche. La donna aveva dato alla luce il 17 gennaio, in una clinica privata di Torre del Greco, il piccolo Christian. E dopo pochi giorni ha cominciato ad avere febbre alta e forti dolori. Dolori che sono stati associati al parto cesareo cui si era sottoposta Lucia per partorire suoi figlio che è ricoverato per accertamenti all’ospedale pediatrico Santobono-Pausilipon. Quella febbre, evidentemente, non era riconducibile al post parto ma era il segnale di un’infezione in corso, una sepsi come trapela dall’ASL. Arrivata in ospedale, accompagnata dai familiari, dopo alcuni minuti lamentava dolori alla nuca e al basso ventre. Dopo un primo consulto medico è stata prospettata l’ipotesi meningite facendo scattare la profilassi. La donna è stata isolata ed è scattata la profilassi tra gli operatori e per i familiari che hanno avuto contatto con la 28enne. Si è anche pensato il trasferimento all’ospedale per le malattie infettive Cotugno ma le condizioni sono subito precipitate e nella notte la donna è morta. Ora l’autopsia dovrà chiarire le cause.

 

Cronache della Campania@2018

La Procura ha aperto un’inchiesta sulla ‘Affittopoli Salernitana’

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La Procura di Salerno ha aperto un’inchiesta su quella che viene definita la “affittopoli” salernitana. Non si conoscono, almeno all’ufficio patrimonio del comune ne le associa­zioni che occupano i locali pub­blici di proprietà del Comune di Salerno, ne l’elenco degli immobili sempre di pro­prietà di Palazzo di Città. Agli atti mancano fin troppi do­cumenti ufficiali: solo l’elenco del 2016 di associazioni che oc­cuparono i locali del Comune e un ulteriore elenco dei “mo­rosi’’ del 2015. Dell’elenco sui fitti di immobili nel pieno cen­tro cittadino, il nulla.
A via dei Carrari, ad esempio, come riporta Cronache del Salernitano, il Comune di Salerno ebbe la pos­sibilità di affìttare un immobile di ben 1022 metri quadri a 2.600 euro all’anno. In dodicesimi la somma di 220 euro al mese, versata all’Ente da un’attiva produttiva. Si trattava, secondo l’elenco, dell’azienda dei fratelli Avino. Altro esempio: il super­market Caramico di via De Cre­scenzo: qui il Comune di Salerno volle affittare al­l’azienda oltre 4000 metri qua­dri a 16.800 euro l’anno. La dio­cesi della parrocchia di Santa Maria della Porta, in via Sichelgaita paga per un locale comu­nale, ben 12 euro all’anno. Un euro al mese. Stessa cifra per un suolo affittato in via Pre­muda alla parrocchia Santa Maria del Rosario. Cifra più bassa – 6,20 euro all’anno – per un locale in via Raffaele Guariglia locato alla parrocchia Gesù Redentore. Stesso prezzo accor­dato anche alla parrocchia Santa Margherita per un locale in via D’Allora. Ma non finisce qui. Sul lungomare Tafuri è stata concessa un’area di 355 metri quadrati ad uno stabili­mento balneare. L’affittuario, sempre secondo l’elenco, è l’AlfaMar sas che in quella zona ge­stisce un lido. Ancora appartamenti prestigiosi nel centro storico. Tre, in partico­lare, a Largo Conservatorio, una delle traverse di via dei Mer­canti. Tre alloggi, di cui due pa­gati annualmente 60 euro. L’altro, invece, mille e 700 euro l’anno. Ma c’è anche la Presi­denza del Consiglio dei Ministri tra gli affittuari del Comune di Salerno. Ha un immobile – ap­parentemente chiuso – di 100 metri quadri in via Roma 226. Paga all’anno 6mila e 300 euro. In dodicesimi 500 euro circa al mese. Ma la lista degli affittuari a basso costo è lunghissima. Su 856 immobili, tra case Erp, lo­cali e depositi, c’è chi davvero arriva a pagare quasi nulla. E’ il caso degli immobili di via dei Barbuti: case e depositi che oscillano dai 68 ai 44 euro al­l’anno.
C’è perfino una palestra in via Fornelle che conta un locale di 135 metri quadrati. Il fitto am­monta a 1739 euro l’anno. Mix di alloggi e depositi in via Portacatena. Tutti rigorosamente affittati a prezzi stracciati. Si arriva al massimo a 123 euro l’anno. Prestigiosi ed appetibili immobili anche in largo Abate Conforti. C’è un deposito a pochi passi dall’Archivio di Stato di 27 metri quadri. E ci sono, poi, due alloggi nel pa­lazzo in cui “Alfonso Gatto – si legge sulla targa – visse la pen­sosa giovinezza e si rilevò poeta nel quotidiano contatto con gli umili”. I fitti ammontano a 1300 e 1400 euro l’anno. Quat­tordici sono invece gli immobili comunali in via Degli Amalfi­tani. Anche in questo caso siamo nel pieno del centro sto­rico a pochi passi dal Duomo. I fìtti al massimo raggiungono i 3mila e 600 euro l’anno per un alloggio di 80 metri quadri, 300 euro al mese. Ma c’è chi paga, sempre nello stesso immobile anche 154 euro all’anno per una casa da 76 metri quadrati. In via Esposito, sempre nel cen­tro storico, c’è un immobile de­stinato – naturalmente a costo zero – ai servizi sociali comu­nali. Nello stesso fabbricato ci sono altre tre case affittate a 321 euro; 575 euro e 418 euro annui. Un elenco per rinfre­scare la memoria e anche per capire come sono stati affittati e se questi locali fanno parte di qualche concessione partico­lare.

Cronache della Campania@2018

Pagani, chiesto il processo per il clan dello spaccio alla Lamia

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Pagani. Chiesto il processo per il tutto il “sistema” paganese che gestiva la principale piazza di spaccio dell’Agro Nocerino Sarnese. A comparire da­vanti al gup il prossimo 6 marzo saranno Salva­tore Di Maio, nel ruolo di capo, Vincenzo Pepe, braccio destro, coinvolto nell’operazione anti­droga denominata Taurania Revenge, Alfonso Belluno, Ciro Califano, Ivan Pepe e Salvatore Oli­vieri, figlio del boss Peppe Saccone, Francesco Cacace, Giuliano Cacace, Roberto Califano, Francesco Martigiano e Carmine Ursolino. Gli arresti sono scaturiti dalle indagini svolte dagli uomini della locale tenenza dei carabinieri e dalle ricostruzioni effettuate dai Pm durante un lungo anno di lavori e intercettazioni. Stando a tutte le ricostruzioni della Dda, il gruppo gestiva la piazza di spaccio più proficua delTAgro, una vera roccaforte del clan Fezza- D’Auria-Petrosino. La regola principale per gli spacciatori era di non avere mai la droga con sé, né in casa. Ed ecco che ogni anfratti e buchi fra i mattoni delle case lungo i vicoli delle strade di­venivano il posto principale dove occultare la merce. La vendita, infatti, avveniva in auto con una disponibilità di quasi ventiquattr’ore al giorno. Lo spaccio, infatti, proseguiva fino a notte fonda. Gli acquirenti, una volta avvicinatisi ed effettuata la richiesta, venivano invitati a farsi un giro fra le strade del quadrilatero di via Matteotti (già Lamia) e viale Trieste. Il tempo ne­cessario di recuperare la droga nascosta.
La divisione delle mansioni, inoltre era ben or­ganizzata con precisi ruoli e compiti divisi fra i “muschilli” e i “capibastone”. Durante l’arresto degli scorsi mesi sono stati sequestrati fra i 4000 e i 5000 euro, probabili proventi del fortu­nato mercato di stupefacenti. Le indagini sono state effettuate dai pm Luca Masini e Vincenzo Senatore che hanno ricostruito la vicenda, coa­diuvati dai carabinieri della tenenza di Pagani guidati dal tenente Simone Cannatelli, e dagli uomini del gruppo territoriale di Nocera Infe­riore, guidato dal colonnello Francesco Mortari. Un anno di lavoro intenso portato avanti con in­tercettazioni telefoniche ed ambientali e aiutati dalle telecamere di sorveglianza che venivano sistematicamente eliminate dagli uomini del clan.

Cronache della Campania@2018

Picchiò il candidato rivale per farlo ritirare: arrestato per camorra l’ex sindaco di Capua

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Concorso esterno in associazione di tipo mafioso. E’ questa l’accusa a cui è chimato a rispondere l’ex sindaco di Capua, Carmine Antropoli, eletto per due consiliature consecutive dal 2006 al 2016, considerato dagli inquirenti un ‘colletto bianco’ dei Casalesi. L’indagine che ha portato all’emissione di una misura di custodia cautelare da parte del gip del tribunale di Napoli nei suoi confronti coinvolge anche un imprenditore, Francesco Zagaria, detto Ciccio ‘e brezza, gia’ destinatario di un provvedimento cautelare nel 2017 anche per concorso esterno in associazione di tipo mafioso e intestazione fittizia di beni, non parente del boss Michele Zagaria ma suo uomo di fiducia. Il capoclan lo ha impiegato anche per funzioni di ausilio nell’esecuzione di un duplice omicidio commesso a Santa Maria Capua Vetere il 31 ottobre 2003. Nella ricostruzione dei fatti resa possibile dalle indagini dei carabinieri del comando provinciale di Caserta, Antropoli, nel suo studio medico con la collaborazione attiva dell’imprenditore, ha indotto un avversario politico a ritirare la sua candidatura, arrivando fino a picchiarlo. Questo perche’ aveva stretto un patto con Francesco Zagaria e con un altro affiliato storico dei Casalesi, Martino Mezzero, per assicurare dei voti a un’altra persona del suo gruppo politico. Per gli inquirenti dunque le elezioni a Capua sono state fortemente condizionate dalla camorra. Le indagini sono partite nel 2015 e anche con l’ausilio di attività tecniche sono terminate a luglio 2018. L’ex sindaco di Capua , Carmine Antropoli, 56 anni – arrestato stamattina dai Carabinieri di Caserta con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa – è considerato un apprezzato chirurgo del colon che, in questi anni, ha eseguito migliaia di interventi nell’ospedale Cardarelli di Napoli dove, dallo scorso aprile, e’ direttore della Chirurgia Generale 3. E’ socio della Società italiana di Chirurgia (SIC), della Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI), della Società Napoletana di Chirurgia, e della Società Italiana Polispecialistica dei Giovani Chirurghi. Insieme con altri colleghi ha pubblicato oltre un centinaio di articoli scientifici su riviste nazionali ed internazionali, è autore di 4 libri, di video di chirurgia e di una monografia di farmacologia clinica. Tra il 2003 e il 2008 e’ stato professore incaricato esterno di “Principi generali di chirurgia mininvasiva” presso Scuola di Specializzazione in Chirurgia Generale e la Scuola di Specializzazione in Chirurgia dell’Apparato digerente dell’Universita’ Campus Bio-Medico di Roma. (

Cronache della Campania@2018

Portici, omicidio di Peppe o’ furnaro: ordinanza cautelare per 6 del clan Vollaro

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Nella mattinata odierna gli agenti del Commissariato di Portici, sotto il coordinamento della DDA, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di Applicazione di Misura Cautelare Coercitiva, emessa dal G.I.P. del Tribunale, a carico di VOLLARO Pietro classe 1963, VOLLARO Giuseppe classe 1968, ROMAGNOLI Antonio classe 1964, FRONCILLO Antonio classe 1968, NOCERINO Ciro classe 1975, TOTI Giuseppe classe 1962, DONADONA Mariano classe 1982, capi ed affiliati della organizzazione di stampo camorristico dei “VOLLARO” operante in Portici, perché ritenuti gravemente indiziati di porto e detenzione di arma, spari in luogo pubblico, ricettazione e omicidio premeditato in danno di IACONE Giuseppe detto “Peppe ò furnaro”, in concorso tra loro e aggravato dal metodo mafioso.

I fatti risalgono al 28 maggio 2004, allorquando personale del Commissariato di Portici interveniva alla via Bellucci Sessa di Portici ove veniva segnalata l’esplosione di colpi d’arma da fuoco. Sul posto accertava la veridicità dell’evento e il ferimento a colpi d’arma da fuoco dello IACONE e di R.A.. I due, soccorsi da personale 118, venivano trasportati preso l’ospedale “Loreto Mare” di Napoli ove lo IACONE, dopo oltre due ore di intervento chirurgico, decedeva per la gravità delle ferite riportate mentre l’altra persona riportava ferita d’arma da fuoco al fianco destro con prognosi di giorni 10.

Le indagini dirette dalla DDA ed eseguite dal Commissariato di Portici, permettevano nel corso degli anni di raccogliere pregnanti indizi probatori a carico degli arrestati che, ritenuti validi dal G.I.P. del Tribunale di Napoli – Sezione 13^ -, emetteva la misura coercitiva della custodia in carcere su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli.

Gli arrestati venivano raggiunti dalla misura nei luoghi di detenzione, ove già trovasi ristretti per altri reati anche di natura associativa, mentre il Mariano DONADONA veniva rintracciato nella provincia di Pesaro Urbino ove si era trasferito da circa un decennio.

Cronache della Campania@2018

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