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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Corte dei Conti della Campania: abuso d’ufficio, prosciolto il procuratore Oricchio

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Michele Oricchio, procuratore regionale della Corte dei Conti della Campania, e’ stato prosciolto dal gup del Tribunale di Napoli Nord Luca Battinieri, dall’accusa di abuso d’ufficio in relazione alle presunte interferenze in un processo tributario a Salerno. Non luogo a procedere anche per il giudice Mario Pagano, di recente rinviato a giudizio, invece, per l’accusa di aver pilotato e aggiustato sentenze civili e per questo comparira’ il 13 marzo in Tribunale. L’inchiesta del dicembre del 2017 ruota intorno alla figura di Mario Pagano, ex giudice della II sezione civile del Tribunale di Salerno. Pagano aveva messo in piedi un sistema per pilotare processi in favore di amici e conoscenti. La posizione dei due e’ stata infatti stralciata dai pm titolari del fascicolo, Ida Frongillo e Celeste Carrano. Il nome di Oricchio compariva nell’ordinanza di custodia cautelare emessa poco piu’ di un anno fa dal gip Luisa Toscano nei confronti di Mario Pagano e di altre sei persone. Le conversazioni intercettate tra Pagano e Oricchio, scriveva il giudice, “evidenziano che Pagano interveniva sulle decisioni della Commissione tributaria mediante illecita interferenza nell’assegnazione delle cause grazie all’amicizia con il presidente della Commissione tributaria, Michele Oricchio, con il quale era solito scambiarsi favori. Tra Oricchio e Pagano sono stati accertati contatti che dimostrano una consuetudine di rapporti caratterizzati dal reciproco aiuto nell’illecita attivita’ di condizionamento delle decisioni giudiziarie in favore di persone amiche. Lo stretto rapporto esistente tra i due emerge chiaramente dal tenore dei messaggi, dai quali si evince un continuo scambio di richieste di illecite interferenze tra i due soggetti”. Ma questa mattina il gup ha deciso di prosciogliere entrambi.

Cronache della Campania@2018


Salerno, uccise il padre della fidanzata: condanna ridotta in Appello

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Salerno. Uccise a coltellate il padre della sua fidanzata e in appello viene condannato alla pena di 16 anni e 8 mesi. Luca Gentile, 24 anni, anche nel processo di secondo grado e’ stato riconosciuto dai giudici come l’omicida del carrozziere di 62 anni Eugenio Tura De Marco. Il caso di cronaca nera si consumo’, la sera del 20 febbraio di tre anni fa, nel rione Fornelle, nel cuore del centro storico di Salerno. La decisione e’ della Corte di assise d’Appello di Salerno (presidente Massimo Palumbo) che, non riconoscendo la premeditazione, riduce, cosi’, la pena inflitta in primo grado. Il 28 settembre del 2017, infatti, Gentile fu condannato, con rito abbreviato, a venti anni di reclusione. In appello, la corte non ha accolto la richiesta di rinnovazione istruttoria presentata dall’avvocato di Gentile, Luigi Gassani. Il pm della procura salernitana, Elena Guarino, nell’aprile del 2017, non ritenendo possibile la concessione delle attenuanti, applicando solo lo sconto di pena previsto dall’abbreviato, chiese che Gentile fosse condannato a trenta anni. Il giovane, poco dopo il delitto, confesso’ di aver accoltellato il suocero sostenendo, tuttavia, di aver reagito ad approcci sessuali nri suoo confronti da parte di Tura De Marco. L’accusa replico’ mostrando le foto dei luoghi in cui avvenne l’omicidio, incompatibili con la colluttazione tra i due raccontata dall’imputato. Nell’udienza di oggi, a porte chiuse, il 24enne ha reso spontanee dichiarazioni sul coltello da cucina usato per togliere la vita al suocero, mai trovato dagli investigatori; a farlo sparire per scagionarlo, dice, sarebbe stata la fidanzata, Daniela Tura De Marco, imputata, davanti alla Corte d’assise di Salerno, per concorso morale in omicidio, in quanto ritenuta responsabile di aver rafforzato il proposito criminoso del fidanzato.

Cronache della Campania@2018

Riconosciuto come vittima innocente dei Casalesi dopo 27 anni

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Riconosciuto come vittima innocente dei Casalesi dopo 27 anni.Il padre avrà diritto al vitalizio come stabilito dalla legge. Russo venne ucciso nel 1992 a San Cipriano d’Aversa, Il giudice civile di Napoli Barbara Gargia ha riconosciuto a Rodolfo Russo, papà di Flavio Russo, vittima innocente di camorra, ucciso a soli 21 anni nel 1992 a San Cipriano d’Aversa, colpito da un proiettile vagante durante un agguato dei Casalesi, il diritto al vitalizio così come riconosciuto dalla legge sui benefici economici ai familiari delle vittime della criminalità (legge 302 del 1990). La sentenza  di cui da notizia il legale della famiglia Russo, Gianni Zara – ha accolto l’istanza del papa’ del giovane ucciso. Il padre avrà diritto al vitalizio come stabilito dalla legge.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Il boss latitante Afeltra andò dall’imprenditore Greco per un ‘finanziamento’ da un milione e mezzo di euro. LE INTERCETTAZIONI

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Nelle oltre ottocento pagine dell’informativa che poi ha portato all’inchiesta Olimpo che ha visto l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare ad un cospicuo numero di imputati viene cristallizzata l’attenzione su un episodio particolare che sottolinea i rapporti tra l’imprenditore Adolfo Greco, attualmente in carcere a Secondigliano, e gli Afeltra. I rapporti tra Greco Adolfo e gli esponenti degli Afeltra apparivano quanto mai chiari – si legge nella nota della squadra investigativa – Ma soprattutto incontrovertibile era la partecipazione del Greco a molti dei loro affari. La partecipazione dell’ imprenditore abbracciava inoltre un ampio ventaglio di modalità come si sarebbe visto con il tempo; dalla messa a disposizione della propria rete di clientele e conoscenze politico-amministrative alla partecipazione diretta a loro affari. Era il 16 luglio del 2014, Raffaele Afeltra, dopo alcuni mesi dalla sua scarcerazione si recava nella sede operativa del re del latte a via Napoli. Raffaele Afeltra era accompagnato da Cuomo Umberto. Il motivo della visita era una richiesta economica di circa “un milione e mezzo di euro” per finanziare i lavori di realizzazione dei loculi nel nuovo cimitero di Santa Maria la Carità. Il lavoro era stato affidato ad una impresa edile di Gragnano attraverso una gara d’appalto. Non è da escludere che l’impresa fosse legata agli Afeltra visto che Raffaele chiese aiuto a Greco proprio per la ditta. Praticamente, da come si evince nei documenti, l’impresa aveva necessità di liquidità per completare il lavoro, una liquidità che gli istituti bancari non riuscivano a garantire. “Il contenuto della conversazione – sottolineano gli investigatori nel testo – permetteva di saggiare i toni del dialogo tra i presenti. Questi ultimi apparivano in modo in equivoco portatori di interessi condivisi. Tale cointeressenza avrebbe avuto ad oggetto la vicenda di “investimento” a favore di un terzo imprenditore fidato ed amico”. Ecco alcuni stracci dell’intercettazione allegata agli atti. A(Adolfo Greco) R (Raffaele Afeltra).
A: “Rafilù… se possiamo fare qualcosa per voi… che avete bisogno? (incomprensibile)
R: “…Si vi voglio parlare di una situazione diciamo… è una cosa che… penso che è possibile…”
A: “Eh…”
R: “Ci sta un costruttore che è sta facendo un lavoro già iniziato però…(incomprensibile)… gli è venuto a mancare un poco di… diciamo di liquidità, quindi dice lui dice noi se troviamo un finanziatore… completiamo il lavoro… e quindi”
A: “… e che lavori sono?”
R: (Incomprensibile) “Un lavoro edile sta facendo,… un lavoro grosso che saranno un… cinque milioni di euro mi sembra, però non è che lui… (icomprensibile)… andava trovando tutti questi soldi…”
A “… si lo so, …lo so, … ma lui con la banche, … con quale banche lavora questo signore?”
R: “Lui stava… (incomprensibile)… di Gragnano, … eh no, questo è un amico, sono gente a posto…”
A: “…si (si sovrappongono le voci)”
R: “… poi non è che noi facciamo una cosa per senza niente, …certamente”
A: “…no, … ma noi…”
R: “… noi ci sediamo…”
A: “…noi se gli possiamo dare una mano…”
R: “…eh!”
A: “… a livello, se lui ha… ha le caratteristiche, … noi possiamo dare solo una mano… a livello di banche dico, … di farlo, … di presentarlo se ha le caratteristiche per poterle avere…”
R: “… io penso che ha le caratteristiche”
A: “… scusa no, … questo come si chiama?”
R: “…ec, …Coticelli… No so brava gente, hanno sempre lavorato, hanno sempre fatto… solamente che loro hanno fatto una cosa un poco grossa per la portata loro, … hai capito? E quindi eh…”

Adolfo Greco spiega ad Afeltra Raffaele che oggi è difficile ricevere credito con le banche ma che tuttavia avrebbe potuto intercedere con qualche istituto di credito. E racconta che anche i suoi parenti, i Polese, avevano avuto problemi.
A: “(incomprensibile) …voi di questi tempi, … è anche difficile finanziare una cosa, … una cosa una, … allora, … se (incomprensibile)…le banche loro hanno una possibilità noi lo possiamo portare alla banca, … io conosco, … se loro hanno con tutto il… (incomprensibile) … dove vanno non gli da niente nessuno, … oggi le banche non danno niente manco a chi merita, quindi fatevi il conto che i miei parenti, … i Polese, … i parenti miei, i Polese, …gli hanno chiuso, … hanno dovuto rientrare tutte le banche con tutto che lavorano, … tutte perché hanno avuto il sequestro del terreno per mezzo, … per una cosa urbanistica una cosa di costruzione e no una cosa di mafia, di camorra, … questo e quell’altro e gli hanno revocato i fidi…”
R: “…comunque… lui mi sembra che ha accennato… (si sovrappongono le voci)”
A: “… questi Cotticelli”
R: “(incomprensibile)… un certo Lombardo, …agenzia di finanziamenti di… Lui diceva se ci stava una cosa là… poi, non, è una cosa che io…”
A: “…no fatemi capire chi questo…?”
R: “… ve lo dico così…”
A: “Lombardo?”
R: “…che poi magari lui…”
A: “Lombardo no? Si Lombardo, chi è non ho capito…?
R: “…è un’agenzia finanziari”
A: “… e di dove?”
R: “… di … di Scafati”
A: “…si Giovanni Lombardi eh, … è amico mio ma fa l’agenzia finanziaria? Non lo so…” (si sovrappongono le voci – incomprensibile)
R: “…nooo”
A: “Se noi potevamo intervenire…”
R: (incomprensibile)
A: “… con questo Lombardi, …ma Lombardi…”
R: “…eh”
A: “(incomprensibile) Tutti soci miei”
R: “…eh”
A: “…Lombardi,… questo Lombardi che voi dite perciò dico… (incomprensibile)”
R: “…Lombardi c’è nato così però”
A: “Questo Lombardi noi stiamo parlando,… per l’amor di Dio,… di famiglia, … ne nel mondo..”
R: (incomprensibile)
A: “… LOMBARDI prima era, … prima stava col Banco di Napoli poi teneva una società a… (incomprensibile) …Tu gli portavi i soldi, … tu a lui, …e lui li investiva, … e lui dava gli interessi perche faceva, … faceva l’agente finanziario, … però non è che lui dava i soldi al costruttore o all’imprenditore, … erano gli imprenditori che davano i soldi a lui e lui che aveva come investirli, … a livello di azioni, … a livello di Bot, …tutte queste cose qua, … e dava gli interessi, … perciò è tutto il contrario… E questo Lombardi prima aveva a Scafati questa, … col Credem lavorava, … mo lui si è tolto di mezzo e sta qua, … ha MILLESTAMPE e tiene le cose… (incomprensibile)”
R: “… voi.. (icomprensibile)… sapete come”
A: “… però loro…”
R: “… si deve trovare una strada… (incomprensibile)”
A: “Ma loro che lavoro devono fare?”
R: “…loro devono completare questo lavoro, questo lavoro già sta…”
A: “e dove ce l’hanno questo lavoro?”
R: “… a Santa Maria la Carità”
A: “(incomprensibile)… ancora devono cominciare…”
R: “No quello la…”
A: “… loro eh.. questa ditta… e la ditta che… per caso ha vinto le cose… del cimitero?”
R: “… non lo so, … sinceramente non lo so”
A: “…perché io ho letto però, … non, ripeto, …non conosco però una ditta Cotticelli insieme ad altri ha vinto una gara per fare il cimitero o i loculi del cimitero a della Carità, … perciò vi sto dicendo, … e non vanno iniziando perché mi sembra che non hanno fidejussioni, … non hanno di queste cose, … e loro sono andati anche da Ciro Polese…”
R: “…ah allora già sono andati allora?… Eh?”
A: “… io in un modo indiretto l’ho saputo, … se sono questi di Gragnano…”

Nel corso della conversazione Adolfo Greco chiede se questa impresa ha da proporre sul tavolo delle garanzie “se tengono da perdere allora noi possiamo proporre al… Io tengo un amico… della banca” . Quindi chiede ad Afeltra di portare l’interessato così da spiegare la situazione “… se voi lo fate venire eh gli diamo un appuntamento e così spiega…” Adolfo Greco dice che preferisce incontrare “giù da lui” questa persona.

A: “Fatelo venire voi qua da me e lui mi spiega la situazione… uno di loro basta che viene…”
R: “…eh”
A: “… e spiega la situazione… (incomprensibile — si sovrappongono le voci) … se ci sono gli estremi e ho la possibilità per mezzo di Raffaele, … dico, … io sto a disposizione per Raffaele di farlo conoscere a un presidente della banca, … (omissis), … il presidente, … se lui ha gli elementi sicuramente questo lo fa, … però se loro stanno che da un anno o due anni, … io perché lo so, … perché il compariello di mio figlio, … non conosco le persone, però il compariello di mio figlio si chiama Gennaro ed era consigliere comunale alla Carità, … e più volte mi ha detto… (incomprensibile) … pure sopra il giornale che hanno vinto la gara due tre ditte, … quello non è solo lui, sono due tre di loro che hanno vinto questa gara, … sono, … non so, quelli di Napoli, … un’altra dovettero toglierla da mezzo perchè ebbe l’antimafia malamente, … questo è successo… (incomprensibile) … che non sono partiti perché mi sembra che non hanno la possibilità di fare una fidejussione, … cioè io mo vi dico delle cose che voi non sapete neanche niente…”.

14. continua

Cronache della Campania@2018

Scafati, Dino Faucitano divise l’ultimo caffè con il suo traditore. Ecco come si muore per un debito di droga

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Scafati. Uccisero per un debito di droga: 700 euro tanto valeva la vita di Armando Faucitano, il 47enne pregiudicato, ucciso il 26 aprile del 2015 in piazza Falcone e Borsellino a Scafati. Ieri né Marcello Adini, alias ‘o biondo, né Pasquale Rizzo ‘o tedesco, hanno risposto alle domande del Gip Maria Zambrano del Tribunale di Salerno che ha emesso nei loro confronti un’ordinanza di custodia cautelare per omicidio e concorso in omicidio. Il primo è accusato di essere uno dei due killer di Faucitano, l’altro l’amico che gli tese la trappola per farlo uccidere. Nessuna difesa per i due detenuti a Fuorni, arrestati su richiesta del pm della Dia Giancarlo Russo, insieme a Carmine Alfano, Bin Laden, detenutone carcere di Cosenza. In tutto sono 8 gli indagati per il delitto commesso in piazzetta Genova tre anni fa, insieme ai tre ci sono coloro che aiutarono Alfano e Adini subito dopo l’omicidio: Vincenzo Alfano, fratello di Carmine ritenuto anche il mandante, che recuperò i due killer dopo che questi abbandonarono la moto (un’onda Sh 125) in località Fosso dei Bagni); Vincenzo Pisacane che si occupò di far sparire le armi utilizzate; Giovanni Barbato Crocetta e Gaetano Esposito, alias Ninotto, che prepararono la moto con la quale sarebbe stato commesso l’omicidio; Alberto Panico, il ladro di Trecase, oggi collaboratore di giustizia, che rubò la moto per il delitto. Ricostruito dagli inquirenti nel corso delle indagini sull’omicidio anche un raid punitivo messo a segno da Carmine Alfano nei confronti di un gruppo di bulgari residenti a Scafati, rei di aver rubato a casa di Anna D’Isidoro, zia e madre adottiva di Antonio Matrone detto Michele, nonché moglie di Francesco Matrone. Michele Matrone risulta tra gli indagati per essere il mandante di quell’episodio.
Quel giorno a tradire Faucitano fu Pasquale Rizzo, dipendente di Carmine Alfano, nel suo negozio di animali e complice nella tratta dei cani provenienti dall’estero del pregiudicato. Rizzo, con il quale la vittima divise il suo ultimo caffè al blu bar di via De Gasperi, portò Faucitano in piazzetta Genova dove poi i killer lo uccisero. I due vivevano insieme, nell’appartamento della vittima, o meglio Alfano aveva chiesto al pregiudicato – detenuto ai domiciliari, di ospitare Rizzo che non aveva dove andare a dormire, e fu proprio ‘o tedesco – era nato in Germania, da qui il soprannome – a tradire la vittima. I carabinieri del reparto Territoriale di Nocera hanno ricostruito le fasi precedenti e quelle successive dell’omicidio con estrema precisione, a saldare i tasselli dell’indagini sono arrivati poi anche i collaboratori di giustizia: Alfonso Loreto, Romolo Ridosso, Dario Spinelli, Alberto Panico e Massimo Fattoruso. Carmine Alfano, ritenuto insieme al padre Gennaro Alfano (alias bim bus bam) e al fratello Vincenzo esponenti del clan Aquino-Annunziata di Boscoreale gestiva lo spaccio a Scafati ed è nell’ambito di questo affare che maturò la decisione di uccidere Armando Faucitano, debitore di mille euro nei confronti del pericoloso pregiudicato, per l’acquisto di stupefacente. Pochi giorni prima del delitto, Faucitano aveva avuto un ultimatum da ‘Bin Laden’: ‘Entro sabato devi saldare il debito’. Ma Dino Faucitano riuscì in quei giorni solo a racimolare 300 euro, il resto non li aveva. Sapeva che Carmine Alfano era pericoloso ed era determinato a denunciarlo il lunedì successivo se non fosse riuscito a trovare i soldi. Ma non fece in tempo: la domenica mattina fu ucciso in piazzetta Genova, davanti agli occhi del suo amico Pasquale Rizzo che i killer non toccarono proprio.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Sei ergastoli e 51 anni di carcere per gli Amato-Pagano e i Lo Russo

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Sei ergastoli per boss e gregari dei clan Amato-Pagano e Lorusso ma anche 51 anni di carcere complessivi sono stati chiesti dalla Dda di Napoli (pm Maurizio De Marco e Vincenza Marra per i 4 pentiti che hanno aiutato le indagini nel processo che si sta svolgendo il rito abbreviato davanti al gup Egle Pilla per il triplice omicidio e occultamento di cadavere di Francesco Russo o’ doberman, suo figlio Ciro e il loro autista Vincenzo Moscatelli avvenuti il 15 marzo del 2009 a Mugnano. La mano pesante della Procura si abbatte su mandanti ed assassini nonostante i boss abbiano ammesso le loro colpe e addirittura  proponendo una cifra da stabilire come risarcimento danni alle famiglie delle vittime. E’ così il boss sanguinario Cesarino Pagano l’uomo della scissione, ci ha riprovato(come aveva fatto in altri processi) facendo recapitare una lettera attraverso il suo legale Domenico dello Iacono nella quale ammette le sue responsabilità. Nell’udienza di dicembre avevano fatto lo stesso il nipote Carmine Amato e il killer Oreste Sparano. Ma non è bastato a convincere la Dda che ha invocato il fine pena mai per i tre che hanno ammesso le loro responsabilità ma anche per Oscar Pecorelli ‘o malommo, spietato killer del clan Lo Russo, Lucio carriola e Francesco Biancolella detto ciccio o’ monaco. Quindici anni di carcere invece sono stati chiesti per il boss pentito Antonio Lo Russo ( mandante del triplice omicidio e ‘compariello di nozze di Cesare Pagano) mentre la Dda ha invocato una condanna a 12 anni a testa per gli altri tre pentiti: Antonio Caiazza, Biagio Esposito e Carmine Cerrato detto takendò.

(nella foto da sinistra Cesare Pagano, Lucio Carriola, Oscar Pecorelli, Carmine Amato, Oreste Sparano, Francesco Biancolella)

Cronache della Campania@2018

La Finanza notifica un sequestro beni a ‘donna Celeste’ Giuliano

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La Guardia di Finanza di Formia nei giorni scorsi ha notificato un provvedimento di sequestro preventivo e di perquisizione a carico di Erminia Giuliano, meglio nota come “Celeste”, per il colore dei suoi occhi o “Lady camorra”. La donna , oggi 63enne, che vive da anni a Formia è la sorella dell’ex boss ma pentito da anni, Luigi Giuliano meglio noto come o’ rre di Forcella. L’atto è stato notificato dalla Guardia di Finanza di Formia qualche giorno fa alla figlia della donna, Gemma Roberti 41 anni. La madre si trova ricoverata presso una clinica di Castel Volturno. I provvedimenti sono stati firmati dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, Pierpaolo Bortone, su istanza del Procuratore della Repubblica, il dottor Carlo Lasperanza e dal sostituto procuratore, il dottor Giuseppe Miliano. Secondo i pubblici ministeri l’indagata, essendo stata condannata il 2 ottobre del 2007, con sentenza definitiva per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, 416 bis, ometteva nei termini di legge, la variazione del patrimonio successiva alla notifica della condanna in questione. In particolare la variazione dell’importo di 25mila euro che avrebbe dovuto comunicare essendo superiore alla cifra limite di 10.329, 14 centesimi. Con il decreto di perquisizione locale e personale, presso l’abitazione di via Toraldo, gli inquirenti contavano di trovare la somma cercata, o in contante o certificati di deposito, o titoli di Stato, libretti di risparmio bancari, chiavi di cassette di sicurezza, oggetti preziosi, utili da sottoporre a sequestro raggiungere l’equivalente della somma di 25mila euro, valore indicato dal gip Bortone nel decreto di sequestro. Dagli atti di indagine è emerso che con la sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 3 aprile del 2007, divenuta irrevocabile il 2 ottobre del 2007, la Giuliano veniva condannata per il reato di associazione mafiosa. Nell’ottobre del 2018, la Guardia di Finanza del Gruppo di Formia ha effettuato alcuni accertamenti all’esito dei quali è stato verificato che al maggio del 2013, l’indagata acquistò da Giuliano Roberti, la sua parte del diritto di usufrutto su un immobile sito a Napoli al prezzo di 25 mila euro, senza mai darne comunicazione alla polizia tributaria come previsto dalla legge.

Cronache della Campania@2018

Spari al ristorante durante la comunione del nipote: 8 anni di carcere. Indagata la sorella del boss

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Boscotrecase. E’ indagato per favoreggiamento, Michela Gallo, sorella del boss Giuseppe, detto Peppe o’ pazzo, il noto trafficante internazionale di droga. La donna è accusata di aver favorito la fuga del pregiudicato Luigi Mansi, il pregiudicato 51enne, legato al clan del fratello, e protagonista della sparatoria in un ristorante alle falde del Vesuvio durante il ricevimento della comunione del nipote. Per quella sparatoria Mansi è stato condannato a otto anni di carcere. L’uomo secondo le accuse ferì a colpi di pistola Luigi Fiore un 46enne di Striano, pure lui pregiudicato, intervenuto in una lite tra ragazzini. Secondo l’accusa e come è emerso dalla sentenza di condanna Michela Gallo avrebbe favorito la fuga dal ristorante di Mansi, armato di pistola, dopo la sparatoria e per questo il pm Antonella Lauri, ha chiesto di indagare.

 

Cronache della Campania@2018


Inchiesta voto di scambio a Torre del Greco, indagato anche l’ex consigliere Maida

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Torre del Greco. Finisce tra gli indagati per voto di scambio anche Domenico Maida, consigliere comunale uscente e non eletto nella lista Cuore Torrese nonostante gli oltre 700 voti ricevuti. Negli ultimi giorni il candidato a sostegno di Nello Formisano è stato ascoltato degli investigatori nell’ambito della maxi inchiesta sul voto di scambio. Maida non è entrato nel merito delle denunce annunciate in campagna elettorale sui social, ha utilizzato una strategia difensiva. “Non ricordo”, “Non lo so”, Non è vero” queste le risposte ripetuti agli inquirenti che l’hanno interrogato alla presenza del suo avvocato. Risulta anch’egli nel registro degli indagati per gli stessi reati contestati a Simone Magliacano, Domenico pesce e Stefano Abilitato. Il cuore dell’inchiesta condotta dai militari della città del corallo è la promessa di posti di lavoro in cambio di preferenze, voti comprati con pacchi alimentari e voti acquistati semplicemente. E’ questa la pista scelta dagli investigatori anche alla luce dell’analisi ad alcune chat, messaggi e profili social delle persone coinvolte.

Cronache della Campania@2018

Chiesti 18 anni di carcere a testa per quelli della baby gang che uccise il vigilante a Piscinola

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Napoli. Diciotto anni a testa. Questa la pena che il pm del tribunale dei Minori di Napoli ha chiesto per tre ragazzi, un 15enne, un 16enne e un 17enne, accusati di aver aggredito a bastonate il 3 marzo dell’anno scorso Franco Della Corte, 52 anni, guardia giurata in servizio nella fermata della metropolitana del quartiere di Piscinola. L’uomo entro’ in coma per non risvegliarsi piu’. Il 15 marzo scorso poi il vigilantes mori’; quella sera stessa la polizia arresto’ i tre minorenni incastrati dall’andatura sbilenca di uno dei tre giovanissimi ripresa dalle telecamere di videosorveglianza. La baby gang agi’ per noia e per rubare la pistola di Della Corte. Entro questa sera il giudice pronuncera’ la sentenza.

Cronache della Campania@2018

Castellammare, sparatoria al Lungomare: confermate anche in Appello le condanne ai ‘Fasano’

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Castellammare. La Corte di Appello di napoli ha confermato i ventotto anni di carcere complessivi per i cinque componenti della famiglia Fontana ‘I Fasano’  dell’Acqua della Madonna per la sparatoria sul lungomare di Castellammare del 10 dicembre del 2016. Nei dettagli sono stati condannati a 5 anni e mezzo di carcere il 52enne Catello Fontana, il 51enne Giovanni Fontana, e il 50enne Francesco Fontana. A 4 anni e mezzo di carcere invece è stato condannato il 19enne Alfonso Fontana mentre il 25enne Ciro Fontana a 4 anni. Infine il 19enne Vincenzo Lucarelli a 3 anni di reclusione. Saranno invece giudicati separatamente i due ragazzini, G. F. figlio di Catello Fontana e P. G. Lucarelli, minori all’epoca del ferimento, finiti in due comunità per ordine del giudice del Tribunale per i minori. G. è accusato di aver ferito a colpi di pistola la vittima, reo di aver partecipato ad un diverbio avvenuto nella villa Comunale di Castellammare un’ora prima del ferimento al Bar 82 di Corso Alcide De Gasperi.

La vendetta familiare, per l’oltraggio a G., era scattata pochi minuti la discussione nella quale il minore aveva avuto la peggio. Subito dopo aveva cercato e ottenuto l’appoggio dei suoi familiari per mettere in atto il raid. Per il ragazzo una sorta di iniziazione della quale sono consapevoli il padre, gli zii, le zie che hanno fornito le armi, cugini e cugine. Di fronte alle accuse e alle indagini – tutte le fasi preparatorie e successive all’agguato erano state riprese dalle telecamere di videosorveglianza della città.

Cronache della Campania@2018

Processo Aliberti, giornalista in aula: “Minacce e locandine divelte per mettere a tacere la stampa”

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Scafati. Giornaliste minacciate dal fratello dell’ex sindaco di Scafati Angelo Pasqualino Aliberti e dal pregiudicato Gennaro Ridosso: è il tema sul quale stamane si è concentrata l’attenzione del pm della Dda Vincenzo Montemurro, degli avvocati degli imputati e dei giudici del Tribunale di Nocera Inferiore – presidente Raffaele Donnarumma – nel processo ad Aliberti+altri. In aula un unico testimone: Rosaria Federico, ex caposervizio del quotidiano Metropolis nel 2013, alla quale nel giugno di quell’anno la collega Valeria Cozzolino riferì delle minacce subite dinanzi ad un’edicola di via Alcide De Gasperi da Nello Maurizio Aliberti e da altre persone tra le quali Gennaro Ridosso. La difesa dell’ex sindaco Aliberti ha chiesto di acquisire i verbali della testimone dell’accusa redatti nel 2017, dinanzi agli investigatori della Dia di Salerno, e nel 2015 relativo alle minacce subite da Nello Maurizio Aliberti in un noto bar di Scafati.
La giornalista ha confermato l’episodio e le minacce subite dalla collega, rispondendo ad alcune domande del pm, raccontando che quel giorno sia lei che la collega Cozzolino ricevettero numerosi attestati di solidarietà dal Cdr del giornale e dall’ordine dei giornalisti della Campania, ed ha specificato alcune circostanze relative agli attacchi fatti a lei e ai giornalisti della testata per la quale lavorava anche attraverso comunicati stampa dell’amministrazione comunale. L’episodio al centro dell’attenzione nel processo è relativo alle minacce subito in occasione della pubblicazione di un articolo relativo ai presunti abusi edilizi nell’abitazione dell’allora sindaco, articolo che aveva provocato la violenta reazione di Nello Maurizio Aliberti e di un gruppo di supporter che in quell’occasione lo accompagnava, nei confronti della corrispondente del quotidiano Valeria Cozzolino, incontrata dinanzi ad un’edicola dove poco prima erano state strappate le locandine. Rosaria Federico ha raccontato che Nello Maurizio Aliberti minacciò pesantemente la collega e le intimò di non occuparsi più di vicende che riguardavano la famiglia Aliberti, allo stesso tempo ingiuriò pesantemente le due giornaliste. Il clima di tensione per tacitare la stampa nel periodo in cui l’allora sindaco era impegnato nella campagna elettorale per le amministrative è tra gli episodi contestati ai fratelli Aliberti e a Gennaro Ridosso che rispondono anche di scambio di voto politico-mafioso (Gennaro Ridosso è stato condannato a sei anni di reclusione con rito abbreviato per corruzione elettorale e le minacce alla giornalista Valeria Cozzolino) insieme a Monica Paolino, moglie di Aliberti e consigliere regionale di Forza Italia, Giovanni Cozzolino, ex staffista di Aliberti, Roberto Barchiesi, ex consigliere comunale, Andrea Ridosso, cugino di Gennaro Ridosso e fratello di Luigi jr, Ciro Petrucci, ex vicepresidente dell’Acse, la cui nomina sarebbe stata sponsorizzata da esponenti del clan Ridosso – in particolare Luigi – in cambio dell’appoggio elettorale fornito da esponenti del clan sia ad Aliberti che alla moglie Monica Paolino, durante le Regionali del 2015. La prossima udienza è prevista per il 20 febbraio prossimo: sul banco dei testimoni il giornalista Domenico Gramazio, Filippo Sansone ex Ad di Scafati Sviluppo, e l’ex presidente del consiglio comunale di Scafati Pasquale Coppola.
Renato Pagano

Cronache della Campania@2018

Anno Giudiziario, il procuratore generale di Napoli: Fare affari con la camorra non conviene’

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“Fare gli affari con la camorra non è conveniente perché o si viene arrestati o si finisce in bancarotta, prima o poi si viene scoperti”. Lo ha detto Luigi Riello, procuratore generale della Corte dei Conti di Napoli, durante la conferenza stampa di presentazione dell’anno giudiziario che si terrà sabato. “È fondamentale i fili invisibili che esistono tra una società apparentemente per bene e la camorra” , ha spiegato. E poi ha aggiunto: “La camorra, quando viene colpita, reagisce in maniera scomposta, ma il messaggio deve essere chiaro: questi fili vanno recisi. C’è maggiore fluidità nella camorra e gli assetti strutturati di una volta sono cambiati. Napoli, dunque, resta una città difficile da analizzare e difficile da schematizzare, ma il lavoro della magistratura e il controllo territorio sortiscono effetti importanti. Tuttavia, neanche il tempo di rallegrarci che sono avvenuti fatti difficilmente leggibili”, sottolinea Riello. Forte resta la “commistione sotterranea tra criminalita’ e persone insospettabili, e cioe’ notabili, politici imprenditori e liberi professionisti – spiega – ci sono fili non visibili nelle statistiche e che dobbiamo recidere. Questi fili sono stati recisi perché le indagini della Dda di Napoli hanno ottenuto risultati importanti, ma persiste la volontà e la vocazione imprenditrice da parte camorra che trasforma la violenza in forza economica. Non cerchiamo eroi tra i cittadini, ma le due città apparentemente separate si incontrano: merci contraffatti, uso di stupefacenti, prostituzione, credito illegale, parcheggi abusivi e contrabbando”.

Aumento pendenza procedimenti penali

Pendenza dei procedimenti penali in aumento mentre diminuiscono quelli civili. È quanto emerge dalla relazione presentata, questa mattina a Napoli, dal procuratore generale Luigi Riello e dal presidente della Corte d’appello Giuseppe de Carolis di Prossedi’. La carenza di organico è l’elemento che ha portato all’aumento nel settore penale, dove per le sezioni ordinarie c’è stato un aumento del 9,2%.”ci sono 15 magistrati in meno e quindi immaginate quanto questo possa pesare”, ha spiegato De Carolis di Prossedi’.

“Allarme prescrizione” 

Circa 3mila processi ogni anno nel Distretto di Corte d’Appello di Napoli vengono estinti per prescrizione. Il 33 per cento dei reati si perdono in secondo grado. “Mancano 15 magistrati e se pensiamo che c’e’ un solo un ausiliario idoneo a spingere i carrelli con i fascicoli che viaggiano da una parte all’altra del tribunale. Questo rende chiara l’emergenza”, ha spiegato Giuseppe de Carolis, presidente della Corte d’Appello di Napoli incontrando la stampa a pochi giorni dall’inaugurazione del nuovo anno giudiziario. Per il procuratore generale, Luigi Riello, neanche la “sospensione della prescrizione potrebbe servire, dato che corre il rischio di aumentare processi lumaca. Vanno modificate tante cose, come ad esempio le letture di atti processuali, sanzioni alternative al carcere effettive e dissuasive e stanziamenti straordinari per il settore Giustizia”. La Corte d’Appello del Distretto di Napoli resta al secondo posto in Italia per numero di processi definiti, subito dopo Roma. E’ record con 11.187 procedimenti penali definiti, mentre ne sono arrivati 15mila che sono “difficili da gestire con organico non adeguato”, spiega de Carolis. Sono stati definiti 95 processi in Corte d’Assise, “che e’ il nostro codice rosso”. Nel settore civile, si e’ passati da 49 mila processi a 45mila pendenti. I tribunali civili del Distretto hanno in totale 208mila pendenze. A Napoli Nord la “situazione e’ drammatica”, con 25mila processi definiti e “una sopravvenienza enorme con risorse inferiori e inadeguate”, dice ancora De Carolis. Sono diminuite le pendenze per i processi di protezione internazionale, ma sono ancora a quota 3.300. Nel settore penale, aumenta la pendenza in Corte d’appello nonostante mole di sopravvenienza di 15mila nuovi processi. Aumentano le pendenze per i minorenni, i cui processi sono passati da 104 a 145. Oltre alla definizione dei processi per omicidio, l’altra priorita’, per De Carolis, e’ l’esecuzione: “Tra il 2017 e il 2018 sono stati emessi piu di 8mila estratti esecutivi. Nel primo semestre sono stati 2.999”. Infine, sull’andamento dei reati si evidenzia un calo nell’anno solare 2018, passando da 131mila a 128mila. Gli omicidi sono scesi da 35 a 21 e solo 8 sono legati alla camorra rispetto ai 22 dell’anno precendente. Diminuiti in modo massiccio gli incendi boschivi, passati da 53 a 8. Vi sono ancora 4700 rapine, 660 casi di usura, 46 le associazioni. Ancora alti i numeri dei reati legati allo spaccio con 2mila reati commessi. Aumentati i furti con 68mila casi nel solo 2018 e i delitti informatici passati da 303 a 521.

Grave carenza dei servizi sociali

Sul fronte della lotta alla criminalità minorile “abbiamo denunciato la carenza di servizi sociali, di operatori sociali. Su questo profilo non sono stati fatti passi da gigante e questo è molto grave”. Ha detto ancora  il procuratore generale di Napoli, Luigi Riello. E poi ha aggiunto: “La giustizia lenta è uno dei cancri della giustizia italiana, ma la risposta del Tribunale per i minorenni sugli episodi sconvolgenti dello scorso anno è stata molto rapida. Sono stati accesi i riflettori su questa realtà, è venuto a Napoli il Csm che ha svolto un plenum qui. Noi abbiamo denunciato soprattutto la carenza di servizi sociali e su questo profilo non sono stati fatti passi da gigante e questo molto grave”. Riello ha ribadito che “la risposta repressiva dello Stato c’è stata, anche con norme più dissuasive, ma senza una bonifica sociale vera con forze e fondi straordinari non andiamo da nessuna parte”.

Camorra: meno omicidi ma la situazione resta grave

Resta “grave” la situazione con riguardo alla criminalità organizzata a Napoli e provincia “nonostante la rilevante riduzione degli omicidi di camorra”. Ha invece spiegato il presidente della Corte d’Appello di Napoli, Giuseppe De Carolis di Prossedi, nel corso di un incontro con la stampa in vista della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario che si terrà sabato mattina al Maschio Angioino. La criminalità organizzata, ha spiegato De Carolis citando la Questura di Napoli, “ha assunto in città e provincia negli ultimi tempi delle caratteristiche di maggiore fluidità, con sodalizi criminali composti anche da elementi molto giovani che mutano assetto, consistenza e obiettivi nel volgere di pochi mesi e si scontrano tra loro con metodi violenti e colpi di ‘stese’ per il controllo delle piazze di spaccio e talvolta anche per contendersi minime estensioni di territorio, senza la capacità di misurare il rapporto tra benefici e costi delle proprie azioni criminali, come dimostrano anche i preoccupanti episodi verificatisi di recente di esplosioni di ordigni nel centro storico di Napoli e soprattutto di Afragola, che hanno creato un notevole allarme sociale”.

Cronache della Campania@2018

Usura a Scafati, colpo di scena al processo: pene lievi e una scarcerazione importante

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Scafati. Giunto a conclusione il giudizio dei presunti usurai di Scafati nel processo “get a money”.A capo del gruppo di usurai secondo gli inquirenti era stata individuata Elvira DeMaio, 59enne, vedova del boss Antonio Porpora( difesa dall’avvocato Geppino Chirico) ed il figlio Raffaele Porpora(difeso dagli avvocati Roberto Concilio e Pierluigi Spadafora). Tesi confermata dal Tribunale di Nocera, presidente dott. Raffaele Donnarumma, che ha visto la condanna per la Elvira De Maio ad anni 5 e 11 mesi, con una sensibile riduzione di pena rispetto alle richieste di anni 8 e  6 mesi della Procura. Confermata invece la richiesta di condanna avanzata dal PM, Lenza, per il figlio Lello Porpora di anni 8 e sei mesi che resta l’unico ad essere detenuto in carcere. Condanna “leggera” per Civale Francesco (difeso dall’Avv. Roberto Concilio) di 3 anni rispetto alla richiesta di sette anni della Procura.
Confermata l’assoluzione per Di Lauro Antonietta (difesa dagli avvocati Giovanni Pentangelo ed Erminia Maisano) che era stata già richiesta dall’ufficio di Procura. Ribaltato completamente il verdetto per Davide Antonio detto Tonino o’ messicano (difeso dall’avvocato Gennaro De Gennaro) che rispetto alla richiesta di una condanna di 5 anni per concorso in usura ed estorsione ha riportato l’assoluzione con formula piena e conseguente scarcerazione.

Il collegio ha accolto la tesi del suo avvocato confermando la estraneità ai fatti contestati sebbene con l’ordinanza cautelare del GIP l’imputato era stato mandato in carcere.
Ridotta anche la condanna per Perrotti Marianeve (moglie di Davide , pure lei difesa dall’avvocato Gennaro De Gennaro) che ha riportato una condanna di anni 2 e mesi sei. E per finire condanna di anni due per Nastro Geraldina (difesa dall’avvocato Antonio Raiola), anziana madre della Elvira De Maio. Colpo di scena finale per le presunte vittime in quanto due di loro Calitri Luigia e Generali Lucia non sono state ritenute attendibili e per loro c’è stato il rinvio degli atti in Procura con l’accusa di falsa testimonianza con conseguente rischio di finire a giudizio con accuse gravi. Per due innocenti finisce l’incubo del processo mentre per gli altri, per il momento condannati, le difese preannunciano battaglia in appello.

Cronache della Campania@2018

Fioraio ucciso davanti al cimitero: chiesto un ergastolo e condanne per 50 anni di carcere

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Fioraio ucciso davanti al cimitero: chiesto un ergastolo e circa 50 anni di carcere. San Cipriano d’Aversa. Ergastolo per Francesco Carannante, 16 anni a testa per Raffaele, Salvatore e Pietro Paolo Venosa. Sono state queste le richieste del pubblico ministero a carico dei 4 accusati dell’omicidio del fioraio Luigi Diana, freddato dai sicari del clan nel 1992 davanti al cimitero di San Cipriano d’Aversa.

Cronache della Campania@2018


Zagaria dava ordini ai suoi anche dai collegamenti in video-conferenza durante i processi e nei colloqui con i familiari, nuova inchiesta

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Casapesenna. I magistrati della Dda contestano a Michele Zagaria una nuova accusa: quella di aver partecipato alle attività criminali fino al 2018.. Ci sarebbe un nuovo processo in cui l’Antimafia contesta l’associazione mafiosa al boss in carcere. Il carcere duro non l’ha fermato: Michele Zagaria ha dettato la sua linea al clan anche dalle sbarre. Per la Dda, dal 2014 al gennaio scorso, “in qualità di capo ha partecipato alle attività criminali” della compagine camorristica. Lo avrebbe fatto impartendo ordini prima attraverso i colloqui con sorelle e cognate, poi tramite le udienze pubbliche, sfruttando i suoi video-collegamenti dal carcere di Milano ‘Opera’. Condotte, quelle di Capastorta, che sono state raccolte dalla procura e confluite in una nuova imputazione.
Le accuse
Al capoclan i pm Maurizio Giordano, Alessandro D’Alessio, Simona Belluccio e Catello Maresca contestano l’aver guidato l’associazione mafiosa fino al 2018. Accusa che gli è costato il coinvolgimento in un nuovo processo che sta affrontando, con la difesa dell’avvocato Paolo Di Furia, dinanzi al tribunale di Napoli Nord. La prossima udienza si celebrerà a marzo. Il dinamismo criminale di Zagaria, nonostante la sua detenzione, sarebbe emerso durante l’inchiesta che ha portato alla condanna in primo grado per camorra la sorella Beatrice e per ricettazione (il presunto incasso dello stipendio del clan) Francesca Linetti, 46enne, moglie di Pasquale Zagaria, Patrizia Martino, 55enne, sposata con Antonio Zagaria, Paola Giuliano, 46enne, moglie di Aldo Nobis, e Tiziana Piccolo, 42enne, coniuge di Carmine Zagaria.
Il delfino
Fuori, ora, a rischiare di tenere accesa la macchina del clan c’è il delfino di Capastorta: si tratta di Filippo Capaldo, figlio di Beatrice. Il 42enne nei mesi scorsi ha lasciato il carcere di Bancali. Il boss lo aveva designato suo ‘erede’. E da libero adesso si ritrova in un territorio, insieme allo zio Carmine, dove le altre cosche sono state demolite da indagini e pentimenti.
Il gruppo Schiavone è stato falcidiato dal duro lavoro della Dda e a dargli il colpo di grazia, a luglio, ci ha pensato la collaborazione con l’Antimafia del primogenito di Sandokan,Nicola Schiavone. Nelle stesse condizioni versa la cosca che faceva capo a ‘o Ninno. Bloccato sul nascere anche il tentativo dei bidognettiani di riorganizzarsi con la ‘Nuova gerarchia del clan’ benedetta, secondo gli inquirenti, da Michele Bidognetti, fratello di Francesco Cicciotto ‘e mezzanotte.
Zagaria Family
Resistono, invece, i tentacoli e la struttura della cosca di Zagaria. Perché una parte del gotha di quel gruppo, costituito dai congiunti del boss, è già libera. E l’altra parte rischia di esserlo nei prossimi anni. Perché i segreti custoditi da quella compagine malavitosa non sono stati ancora rivelati (almeno non tutti): trattare con colletti bianchi e politici ‘insospettabili’ era un affare di famiglia, di sangue. Tutto passava per Michele Zagaria, i fratelli o i nipoti. Lo hanno detto ripetutamente i pentiti quando i pm hanno chiesto loro di approfondire le relazione tra la mafia di Casapesenna e businessman in odore di camorra. “Erano rapporti che curava direttamente la famiglia”, hanno dichiarato come un mantra Massimiliano Caterino, Attilio Pellegrino e Michele Barone.
Il processo
Quella di Casapesenna più che una fazione di Casalesi è una ‘ndrina: il vincolo dell’omertà è stato sostituito da quello di sangue. E per azzerarla bisogna disarticolare quel patto interno, indebolirlo. Prima di tornare a Napoli Nord (per l’imputazione di associazione mafiosa), a fine mese il boss, difeso dagli avvocati Angelo Raucci e Andrea Imperato, dovrà affrontare la requisitoria del pm Belluccio per i delitti di Michele Iovine e Antonio Bamundo.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Napoli, processo Materazzo, parla l’esperto dei Ris: ‘Tracce biologiche e Dna ‘portano’ all’imputato’

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Napoli. Secondo Luciano Garofano, ex generale dei Ris e consulente dell’accusa nel processo per la morte di Vittorio Materazzo l’esame del Dna non mente e tutti i reperti raccolti sul luogo del delitto la sera del 28 novembre del 2016 sono compatibili e “portano” all’imputato Luca Materazzo. In particolare il consulente dell’accusa si è soffermato sulle tracce trovate nel casco marca “Nolan” e nel guanto marca “Balz” rinvenuti abbandonati nella discarica a ridosso di corso Vittorio Emanuele. “Sia all’interno del casco, sia su uno dei guanti, è stato possibile rinvenire con scientifica certezza profili misti costituiti dal sangue di Vittorio Materazzo e dal sudore di Luca Materazzo”, ha spiegato Garofano.  poi il presidente della Corte d’Assise Provitera ha chiesto a Garofano di spiegare meglio il concetto di profilo misto trovato all’interno del casco. Dove è stato estratto questo profilo misto? “Dalla calotta interna al casco perché quando l’assassino si è tolto il casco, è avvenuto il rilascio della traccia biologica”, ha spiegato a quel punto Garofano. L’avvocato di Luca Materazzo, la penalista Silvia Buonanno,ha cercato di far emergere la contraddizione visto che il casco e gli altri indumenti erano sicuramente di Luca, che però ne denunciò la scomparsa il giorno dopo il delitto. Garofano è stato categorico: “Ritengo fantasiosa l’idea che l’assassino indossasse un passamontagna (che per altro non è stato mai rinvenuto), mentre per gli altri profili rinvenuti posso solo concludere con il concetto di verosimiglianza, vista la sovrabbondanza di sangue e di dna riconducibile alla vittima”. Insomma una udienza che ha segnato parecchi punti a favore della pubblica accusa.

 

 

Cronache della Campania@2018

Pensionato di Cava muore dopo il giro di tre ospedali dell’Agro: 31 medici indagati

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Umberto Ferrara, pensionato di Cava de’ Tirreni e residente a Nocera Superiore è morto due giorni fa in una struttura privata dopo mesi di cure, esami e terapie in ben tre strutture ospedaliere, quella di Pagani, di Scafati e di Nocera Inferiore. Ora i familiari intendono conoscere la verità sulla sua morte  e hanno presentato una denuncia ai carabinieri di Nocera per capire realmente cosa sia accaduto. A seguito della denuncia, il sostituto procuratore di Nocera, Viviana Vessa, ha iscritto nel registro degli indagati trentuno medici, il numero dei camici bianchi che ha incontrato il settantasettenne deceduto nei tre ospedali in cui è stato ricoverato. L’accusa formale per tutti è di omicidio colposo. L’attività investigativa si preannuncia non di veloce soluzione, visto il numero dei medici al momento coinvolti e per la mole di verifiche che la procura dovrà effettuare, una volta eseguita l’autopsia predisposta per martedì. Il percorso medico del paziente ha avuto inizio nell’ottobre dello scorso anno, e anche prima, quando l’uomo ha effettuato una serie di controlli. Secondo fonti ospedaliere, l’anziano era vasculopatico. I medici iscritti nel registro degli indagati, in questo caso, provengono dai reparti di rianimazione di Nocera Inferiore, Scafati e Pagani. A seguire i reparti di Medicina e Pneumologia, sempre a Scafati, la Chirurgia e anche il reparto di Neurologia, a Nocera Inferiore.
Al momento pare che l‘uomo sarebbe deceduto in seguito a un ictus. Affetto da alcune patologie, avrebbe avuto problemi neurologici e cardiaci. Ora il perito dovrà confrontare, dopo i risultati dell’esame autoptico, se i medici che hanno avuto in cura il paziente abbiano rispettato tutti i protocolli del caso. Una volta effettuata questa verifica bisognerà poi compararla con le terapie e le diagnosi.

Cronache della Campania@2018

Travolse e uccise un centauro minorenne: condannato 72enne

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Travolse ed uccise, dopo un sorpasso azzardato, il 16enne Andrea Severi di Marcianise. Per questo un uomo di 72 anni, Luigi T., anche lui marcianisano, è stato condannato per omicidio colposo.
La Corte di Cassazione ha rigettato il suo ricorso e confermato la pena inflitta in Appello. L’incidente si verificò nel mese di novembre del 2010 quando il 72enne a bordo di una Fiat Punto stava percorrendo la strada provinciale 335. Dopo aver sorpassato, in un punto con doppia striscia continua, una Renault Modus, svoltò a sinistra, tagliando via Del Bene trasversalmente e non avvedendosi dell’arrivo nella corsia opposta di Severi che viaggiava a bordo di un Sh 125. Il ragazzo in sella allo scooter tentò di sterzare ma fu inutile. Andò ad impattare violentemente contro la fiancata della Punto e finì rovinosamente a terra. Severi, ricoverato in gravissime condizioni all’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta dove morì pochi giorni dopo. Per questi fatti il 72enne Luigi T. è stato condannato in via definitiva.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Castellammare, sesso in cambio di lavoro: processo all’ex vigile urbano in pensione

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Ha settant’anni il vigile urbano in pensione che dà lavoro a un vedova in cerca di lavoro in un parcheggio stabiese. Lei, 43 anni di Pompei, per paura di perdere il lavoro, si concede al suo datore di lavoro ma quando scopre che nell’alcova dove i due s’incontrano è nascosta una telecamera, la vicenda assume altri contorni. Un incubo per la povera vedova. Prima una colluttazione nella quale si frattura una spalla, poi strane persone la avvicinano per invitarla a ritirare la denuncia in cambio di denaro, poi ancora minacce di morte a lei al figlio di otto anni, infine le viene incendiata due volte l’auto. Questa raccapricciante vicenda si consuma tra Castellammare di Stabia e Pompei. Ora l’imprenditore è a processo per lesioni aggravate, tentata estorsione e rapina.
Ieri si è celebrata la prima udienza del processo al tribunale di Torre Annunziata durante la quale la donna, più volte in lacrime, è parte civile assistita dall’avvocato Luca Sansone. La sua testimonianza parte dalla fine del 2014, quando la donna – già vedova – si è rivolta all’imprenditore chiedendo un’occupazione. Le viene offerto uno stipendio base per occuparsi di cassa e giardinaggio in un parcheggio, lei accetta. “Dopo qualche mese ha raccontato la donna mi ha chiesto di avere un rapporto sessuale con lui, perché tutte le dipendenti lo facevano. Mi ha fatto vedere anche alcuni video delle altre. Io ho accettato, l’ho fatto più volte, sempre in maniera consenziente perché mi servivano quei soldi”. Lo stipendio iniziale era di mille euro mensili, poi è sceso a 30-50 euro a giornata. Finché, a gennaio dell’anno scorso, la donna scopre che in quel casotto dove c’è la centrale di videosorveglianza, in cui erano soliti appartarsi, c’è anche una telecamera nascosta che la riprende. Dopo una discussione con l’uomo, come riporta Il Mattino,  riesce a portare via la microcamera, poi torna dentro e scoppia la colluttazione con l’anziano imprenditore, che le strappa il cellulare dalle mani e poi la scaraventa a terra procurandole la frattura della spalla sinistra. La donna decide di denunciare tutto ai carabinieri, che riescono a recuperare l’intera scena della colluttazione dalle telecamere. Ma da quel momento per la povera donna comincia l’incubo: “Sono stata avvicinata da una conoscente che mi ha proposto soldi per ritirare la denuncia. Poi lo stesso imprenditore mi ha pedinato fino all’ufficio postale di Ponte Persica, battendo i pugni vicino al finestrino dell’auto e chiedendomi di chiarire”. Rifiutando ogni tipo di confronto, la vicenda peggiora: “Un suo dipendente mi ha aggredita per strada e poi mi ha minacciata, dicendo che avrebbero ammazzato me e mio figlio. A settembre mi è stata incendiata per la seconda volta l’auto”. L’imputato è agli arresti domiciliari da sei mesi.

Cronache della Campania@2018

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