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Channel: Cronaca Giudiziaria
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‘Dove sta vostro figlio, la porta guai, scendono quelli delle Baby gang che fanno macelli’, le intercettazioni prima dell’omicidio De Bernardo

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“Dove sta vostro figlio, la porta guai, dove sta lui, la scendono quelli delle Baby gang che fanno macelli”. E’ il 29 ottobre del 2015 quando il boss di Marigliano, Luigi Esposito o’ sciamarro parla con un suo affiliato e racconta dell’incontro avuto con la mamma di Roberto De Bernardo uno dei componenti del commando che aveva ucciso pochi mesi prima a Forcella il capo della Paranza dei Bimbi, Emanuele Sibillo. Dopo la festa su una barca al largo di Napoli, come raccontato dal pentito dei Quartieri Spagnoli, Maurizio Overa, quelli del clan Buonerba autori dell’omicidio cominciarono a nascondersi temendo la vendetta dei sibillo. Tra questi c’era anche l’allora 16enne Roberto De Bernardo, nipote del boss Roberto De Bernando o’ pisiello che dopo alcuni anni di carcere si era trasferito a Marigliano. E la cognata temendo per la sorte del figlio cercò attraverso le sue amicizie criminali nel paese Vesuviano un riparo per il figlio. Ma ricevette rifiuti dal boss Esposito. Il ragazzo fu costretto a “riparare” a casa dello zio Vincenzo De Bernadro o’ pisiello. E questo segnò la sua condanna a morte. per quell’omicidio ieri sono stati arrestati in sei ovvero i due mandanti i boss Ciro Rinaldi Mauè del rione Villa a san Giovanni a Teduccio (alleato dei Sibillo), Luigi Esposito o’ Sciamarro. Entrambi avevano un motivo per eliminare De Bernardo: il primo per vendicare la morte del suo alleato, il secondo per dare un messaggio al suo rivale locale Cristiano Piezzo. In carcere sono finiti anche il killer Michele Minichini, figlio del boss detenuto Ciro, Luisa De Stefano a’ pazzignara e la nipote Enzina Maione che diedero il segnale al killer e il fiancheggiatore di Esposito, il 33enne Stefano Gallo. Vincenzo De Bernardo o’ pisiello fu ucciso l’11 novembre del 2011 a Somma Vesuviana. Spiegando le fasi che avevano preceduto l’omicidio di Vincenzo De Bernardo Esposito racconta di un summit che aveva avuto con Cristiano Piezzo, Eugenio D’Atri (alias Gegè) e Vincenzo De Bernardo (alias o’pisello) che era giunto a sorpresa a casa sua nel corso dell’incontro ed era rimasto stupito di ritrovarsi al cospetto anche di Vincenza Maione. O’ pisiello, secondo Esposito, era intervenuto per fare da garanzia per la posizione di Cristiano Piezzo. Durante il racconto uno degli affiliati di Esposito punto gli suggerivadi recarsi “nel parco”, ossia il parco Fiordaliso di Via San Sossio in Somma Vesuviana, ove era residente “o pisell”, per parlargli e perorare la sua causa, dato che era un personaggio di rilievo della criminalità organizzata locale. L’Esposito replicava che assolutamente non poteva andare da De Bernardo in quanto “aveva un grosso problema”, dovuto alla presenza di un ragazzo che aveva accolto ed a cui aveva fornito un posto in cui stare, il nipote Roberto: “Ci sta una persona a Somma che la non doveva portare, il nipote del pisello”. –
Esposito spiegava che il nipote di Pisello  (Roberto De Bernardo) era l’autore dell’omicidio di Sìbillo Emanuele, e che per tale motivo i suoi avversari, definiti “baby gang”, Io stavano cercando; egli raccontava che i Sibillo avevano già fatto dei passaggi in Somma Vesuviana con le motociclette alla ricerca del ragazzo. Esposito definiva i ragazzi appartenenti alle baby gang come persone senza scrupoli: “fanno pisciare sangue”. Sottolineava ancora un volta che era proprio il nipote di Pisello  il problema che c’era a Somma Vesuviana all’interno del Parco San Sossio a Somma Vesuviana.

Cronache della Campania@2018


Inchieste manipolate, la Procura di Salerno indaga sui colleghi di Cosenza, Castrovillari e Catanzaro

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Inchieste manipolate per favorire personaggi eccellenti: almeno 15 magistrati del distretto di Catanzaro sono finiti nel mirino della Procura di Salerno. Sono due i magistrati salernitani che stanno indagando sui colleghi calabresi, indagati per vicende e reati diversi, tra cui favoreggiamento mafioso, corruzione in atti giudiziari e corruzione. Gli atti dell’inchiesta, nata all’ufficio inquirente di Catanzaro, guidato da Nicola Gratteri sono stati trasmessi nell’estate dello scorso anno ai magistrati salernitani, competenti per le indagini sul distretto del capoluogo calabrese. Tra gli indagati, secondo quanto riferisce “Il Fatto quotidiano”, ci sono il procuratore di Cosenza, Mario Spagnuolo, l’aggiunto di Catanzaro, Vincenzo Luberto, il procuratore di Castrovillari, Eugenio Facciolla. Spagnuolo, nel 2016, avrebbe favorito un indagato, l’ex presidente dell’Asl di Cosenza, Giuseppe Tursi Prato, per una vicenda che coinvolge suo fratello, lo psichiatra Ippolito Spagnuolo; l’aggiunto di Catanzaro, Luberto, sarebbe indagato per rivelazione di segreto d’ufficio, per avere riferito notizie riguardanti un’operazione all’ex vicepresidente della Regione Calabria, Nicola Adamo, e di abuso d’ufficio, per una questione connessa a un arresto per mafia nel marzo di tre anni fa. Per Facciolla, riporta sempre “Il Fatto quotidiano”, il fascicolo sarebbe stato aperto per un’ipotesi di abuso d’ufficio dopo essere stato chiamato in causa da un maresciallo della Forestale secondo il quale il magistrato avrebbe manipolato atti di indagine, ma il legale del procuratore ha spiegato che i rilievi a Facciolla si limiterebbero esclusivamente a “temi organizzativi e amministrativi”. Al momento, non c’è alcuna richiesta di misura preventiva o richiesta di rinvio a giudizio per gli indagati. Sul sito web di informazione, iacchite.com, c’è la testimonianza del direttore responsabile del portale, Gabriele Carchidi, che sostiene di essere stato ascoltato dai carabinieri del Ros di Salerno giunti a Cosenza per raccogliere informazioni. “La fonte che ho è diretta, che più diretta non si può: sono stato interrogato dai carabinieri del Ros di Salerno, giunti qui a Cosenza per raccogliere informazioni legate al procedimento penale registrato con il numero 10404/17”, scrive Carchidi spiegando che “di norma, non potrei rendere pubblici i contenuti di questo interrogatorio perché violerei il segreto istruttorio e di questo mi hanno anche gentilmente avvertito i carabinieri che mi hanno rivolto le loro domande. Ma questo ‘divieto’, come prescrive la legge, scade dopo due mesi e pertanto, anche se non posso scendere nei particolari dell’interrogatorio, trascorsi (proprio ieri!) i fatidici due mesi, ho la facoltà di scrivere”.

Cronache della Campania@2018

Discarica, veleni & camorra nell’ex Resit: condannati Chianese, Cerci e Alfani, assolti Facchi e i Roma

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Giugliano. Disastro ambientale per la discarica ex Resit di Giugliano: la Corte d’Appello di Napoli ha emesso la sentenza di secondo grado. Assolto Giulio Facchi, l’ex subcommissario ai rifiuti in Campania, che era stato ritenuto in primo grado tra i responsabili del disastro ambientale e condannato a 5 anni e 6 mesi di reclusione. Nella Resit per decenni, anche durante il periodo dell’emergenza rifiuti dei primi anni 2000, sono stati sversati rifiuti tossici senza alcun controllo anche per i traffici dei Casalesi. Diminuita la pena per l’imprenditore Cipriano Chianese, condannato a 18 anni, rispetto ai 20 inflitti in primo grado per disastro ambientale e associazione a delinquere di stampo mafioso. Era lui il ‘proprietario’ della discarica e lui, secondo i pentiti del clan, a gestire e volere gli sversamenti illegali per conto della cosca. Anche Gaetano Cerci, imprenditore dei rifiuti, ritenuti uno dei più attivi nel settore delle ecomafie per conto del clan dei Casalesi, in particolare della famiglia Bidognetti, è stato condannato – a 15 anni di reclusione – dalla Corte d’Appello di Napoli (presidente Roberta Vescia); condannato a dieci anni (in primo grado gli erano stati inflitti 12 anni) Remo Alfani, mentre sono stati assolti gli altri funzionari pubblici coinvolti nell’inchiesta. Oltre a Facchi sono stati assolti anche tre imprenditori di origini casertane Generoso, Raffaele ed Elio Roma, a cui in primo grado, vennero inflitti rispettivamente, 5 anni e mezzo ai primi due e sei all’ultimo. Il processo d’appello, iniziato nel 2016, si è protratto più del previsto perchè il presidente del collegio giudicante Domenico Zeuli chiese una nuova perizia per accertare se fossero effettivamente inquinati i suoli sottostanti alla maxi-discarica Resit ubicata a cavallo tra le province di Caserta e Napoli, in piena Terra dei Fuochi. Zeuli voleva una parola chiara e definitiva sulla questione centrale del processo, dopo che in primo grado Dda e difese degli imputati si erano sfidati a colpi di consulenze tecniche che erano giunte a conclusioni differenti. La perizia, firmata dai professionisti torinesi Silvia Bonapersona (ingegnere ambientale), Cesare Rampi (chimico) e Stefano Davide Murgese (geologo ambientale), fu depositata il primo marzo 2017, e confermò che la contaminazione del suolo sottostante è ancora in atto, visto che “le acque meteoriche – si legge nel documento – continuano ad infiltrarsi nel corpo delle discariche generando un percolato che continua a compromettere la qualità dell’acqua di falda”. Poco dopo Zeuli lasciò la guida del collegio, facendo slittare alcune udienze. Il collegio in nuova composizione, presieduto da Vescia, ha riconosciuto alla fine come unico responsabile il gestore del sito, Cipriano Chianese, condannato per disastro ambientale e associazione camorristica, assolvendo gli imprenditori del clan che si occuparono del traffico di rifiuti verso la discarica e i funzionari di vario livello, prima fra tutti Facchi, che firmarono le ordinanze le quali, ad intervalli temporali quasi regolari, riaprirono la discarica, facendone un invaso determinante durante il periodo dell’emergenza rifiuti.

Cronache della Campania@2018

Legambiente: ‘Processo Resit, bene la conferma delle condanne, ora la rinascita della Terra della Fuochi’

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“Bene la conferma delle condanne nei confronti degli imputati Cipriano Chianese e Gaetano Cerci, ras dell’ecocidio in Campania, le cui “gesta” erano già state raccontate da Legambiente nel primo rapporto Rifiuti spa del 1994. Lo ribadiamo da tempo, la rinascita della Terra della Fuochi si pratica con la condanna dei responsabili di questo disastro ambientale ma anche con il risanamento delle aree avvelenate dalle ecomafie. Come Legambiente proseguiremo nel nostro lavoro quotidiano fatto di denuncia, impegno e responsabilità, forti di questo importante risultato. Le infiltrazioni ecomafiose, che interessano questo territorio come altre zone del Paese, si contrastano con la repressione e gli strumenti giudiziari, grazie anche alla nuova legge sugli Ecoreati, ma il primo e imprescindibile strumento rimane il risveglio delle coscienze, l’orgoglio di una comunità che antepone il bene comune alle speculazioni e ai privilegi, contrastando in tutte le sedi la criminalità ambientale e i suoi complici”.
Così Stefano Ciafani e Mariateresa Imparato, rispettivamente presidente nazionale e regionale di Legambiente, commentano l’esito del processo d’Appello sulla discarica Resit.
Legambiente, assistita dall’avvocato Giovanni Zara, ha partecipato al processo come parte civile.

Cronache della Campania@2018

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Inter-Napoli, l’ultrà Ciccarelli riconosciuto dal tifoso ‘pentito’: era uno dei pianificatori dell’attacco

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Milano. L’arresto dello storico ultrà dell’Inter Nino Ciccarelli per gli scontri prima di Napoli-Inter è stato determinato dal riconoscimento fotografico di Luca Da Rom, il giovane tifoso arrestato che ha poi iniziato a collaborare con gli inquirenti. Da Ros, la cui “scelta dissonante” di parlare “rispetto alle regole del gruppo” viene evidenziata dal gip, ha riconosciuto il fondatore dei Viking tra i tifosi presenti al pub di via Emanuele Filiberto prima di dirigersi nella zona dell’assalto ai tifosi del Napoli. Le dichiarazioni di Da Ros hanno poi trovato “diretto riscontro” negli accertamenti della Digos che ha acquisito anche numerose immagini di telecamere presenti nella zona. Immagini dalle quali si vede Ciccarelli “claudicante e nell’atto di toccarsi il corpo, in particolare la gamba destra, come per tamponare o alleviare il dolore di alcune ferite”. Interrogato dai pm il 30 dicembre, aveva ammesso di avere partecipato alla rissa, affermando però di essersi trovato “per caso” in via Novara e di avere deciso di aiutare “gli amici interisti”. E aveva raccontato di essersi ferito “cadendo per terra sui cocci”. Affermazioni “inverosimili” per il giudice che lo colloca tra i pianificatori dell’attacco e sottolinea le ferite da “armi da taglio”.

Cronache della Campania@2018

‘Il barman si avvicinò al tavolo, ci offrì un drink e poi ci invitò al bar’: il racconto choc in aula della figlia della turista inglese violentata a Meta

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“Erano tutti garbati, anche quella sera si sono mostrati ospitali, quella sera quando io e mia madre eravamo ancora a tavola, uno dei barman offrì loro dei bicchierini di alcolici. Ci portò gli shot e ci invitò al bar dopo cena”. Inizia così il racconto choc della 26enne figlia della turista inglese drogata e violentata, secondo le accuse tre anni fa nell’albergo Alimuri di Meta di Sorrento dove erano ospiti. la ragazza ieri ha testimoniato alla prima vera udienza del processo che vede imputati Antonino Miniero di Portici, Gennaro Davide Gargiulo di Massa Lubrense, Raffaele Regio e Francesco Ciro D’Antonio entrambi di Torre del Greco e Fabio De Virgilio di Vico Equense (ai domiciliari dal mese di ottobre)e i tre indagati a piede libero Catello Graziuso di Castellammare di Stabia, Vincenzo Di Napoli di Meta di Sorrento e Francesco Guida di Sant’Agnello. La ragazza ha raccontato che era stato De Virgilio a portare loro i drink e che poi dietro al bancone con lui c’erano anche Gargiulo e una terza persona ancora sconosciuta. “Ricordo di aver bevuto un drink e che sul bancone c’erano gli shot. Ho cominciato a star male, -ha raccontato ancora la ragazza- sono stata in bagno per ore, ho vomitato, sono svenuta, poi mi sono ripresa e ho cercato mamma, senza però trovarla»”. E secondo le accuse inq uei frangenti la donna venivano violentata a turno da una decina di persone dell’albergo. Ma secondo gli avvocati della difesa la ragazza mentre era in bagno per vomitare sentì la voce della madre che la invitava a prendere le chiavi e a tornare in camera. Questo, sempre secondo la difesa lascia supporre che la donna volesse appartarsi con qualche membro del personale. I ragazzi, è bene chiarirlo, si sono sempre difesi, sostenendo che non c’è stato alcuno stupro di gruppo che la donna era consenziente. “Ero dispiaciuta perché volevo che mamma mi stesse vicino. Quando siamo rientrati dalla vacanza mi ha chiesto scusa dicendomi di non ricordare di essere mai entrata nel bagno”, ha raccontato la ragazza. Così come riportato nell’ordinanza cautelare la ragazza anche ieri in aula ha ricordato che dopo essere uscita dal bagno e averla cercato la madre nell’hotel l’aveva vista uscire dall’ascensore e tornare nella stanza accompagnata da un uomo: “Le ho chiesto dove fosse stata, ma non mi ha risposto. Non aveva segni di violenza, era assente, in quel momento ho avuto la sensazione che si fosse appartata con qualcuno»”. Secondo la perizia, eseguita durante le indagini dall’esperto nominato dalla Procura, è stato accertato la presenza di benzodiazepine nell’organismo della 50enne. Secondo gli avvocati dei ragazzi sotto accusa, la spiegazione sarebbe nella saltuaria assunzione di tranquillanti da parte della donna, circostanza confermata da quest’ultima in sede di incidente probatorio e quindi alla donna non sarebbe stata data la cosiddetta?droga dello stupro’ nei drink. ma la ragazza è stat precisa: “Mamma non ha mai assunto quei medicinali”.

Cronache della Campania@2018

Scafati, arrestati gli assassini di Armando Faucitano

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Svolta nelle indagini per l’omicidio di Armando Faucitano, commesso il 26 aprile 2015 a Scafati, nel Salernitano. Questa mattina, i carabinieri del Reparto Territoriale di Nocera Inferiore, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia locale, hanno eseguito nove perquisizioni domiciliari e tre ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip, nei confronti di tre persone ritenute responsabili di omicidio e porto abusivo di armi, aggravati dall’aver agito con metodo mafioso-camorristico. All’epoca, due sicari, coadiuvati da un altro soggetto che faceva da “palo”, uccisero Faucitano su una panchina in piazzetta Falcone e Borsellino, in pieno centro cittadino. Le indagini, supportate dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, hanno consentito di individuare gli autori materiali dell’omicidio. Si tratta di tre pregiudicati ritenuti affiliati o comunque vicini ai clan locali, clan Matrone di Scafati e clan Aquino-Annunziata di Boscoreale. Alla base dell’omicidio vi era la volonta’ di infliggere una punizione plateale ed esemplare per un debito di droga che la vittima, tossicodipendente, aveva contratto. E’ stato anche trovato lo scooter utilizzato per l’omicidio, frutto di riciclaggio e successiva ricettazione, sottoponendo, gia’ nel luglio 2015, a fermo di indiziato di delitto i due soggetti che lo avevano messo a disposizione dei sicari.

Cronache della Campania@2018


Sant’Antimo, sequestrata la casa del boss Luigi Di Spirito

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A seguito di complessa attività di indagine di natura patrimoniale, tesa all’aggressione dei patrimoni di mafia, personale della Sezione Misure di Prevenzione Patrimoniali della Divisione Anticrimine della Questura di Napoli ha dato esecuzione al decreto di sequestro beni emesso dal Tribunale di Napoli-Sezione Misure di Prevenzione, ai sensi della normativa antimafia, nei confronti di DI SPIRITO Luigi, di 58 anni, in atto detenuto.

Il predetto è soggetto di qualificato spessore delinquenziale maturato nel corso degli anni, in considerazione della adesione al clan camorristico denominato PUCA, operante in Sant’Antimo e comuni limitrofi, suffragato da condanne definitive emesse dalla A.G., fra l’altro, per associazione di stampo mafioso, trasferimento di valori ed intestazione fittizia di beni aggravati dall’art. 7 L.203/91.

II Di Spirito Luigi, in ragione delle sue condanne, è detenuto ininterrottamente dal 2009 presso la Casa Circondariale di Rebibbia (RM).

Il clan Puca si è rivelato nel corso della sua storia quale gruppo criminale tra i più pericolosi operanti in Campania, connotato da elevate capacità criminali dispiegate soprattutto nelle attività estorsive in danno degli operatori economici nel comprensorio territoriale del comune di Sant’Antimo e zone limitrofe.

Negli atti giudiziari emerge il ruolo apicale rivestito dal Di Spirito Luigi all’interno del predetto clan camorristico, quale persona di fiducia del capoclan PUCA Pasquale, alias o’ minorenne”.

Il decreto di sequestro di beni del Tribunale di Napoli, emesso in accoglimento di articolata proposta del Questore di Napoli, formulata a seguito di complessa e prolungata attività investigativa svolta dalla Sezione Misure di Prevenzione Patrimoniali, ha disposto il sequestro di un appartamento di Sant’Antimo il cui valore ammonta intorno ai 300.000 Euro.

Cronache della Campania@2018

Omicidio Faucitano, la svolta: Rizzo da testimone chiave a complice, arrestato con i killer Alfano e Adini

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Scafati. Era già tutto scritto quel giorno: il 26 aprile del 2015. Il piano per uccidere Armando Faucitano, il 46enne scafatese, agli arresti domiciliari per droga era pronto e studiato. Mandati, esecutori e fiancheggiatori sono stati arrestati stamane dai carabinieri del Reparto Territoriale dei carabinieri di Nocera Inferiore. Tre persone, i cui nomi era già scritti da tempo nel fascicolo dell’inchiesta coordinata dalla Dia di Salerno e dal sostituto procuratore Giancarlo Russo. Ma quei nomi, pochi mesi dopo l’omicidio avvenuto il 26 aprile del 2015, nella piazzetta Falcone e Borsellino, erano già emersi. Di uno si conosceva l’identità, ma non le responsabilità, fin dai primi minuti dopo il delitto: Pasquale Rizzo, l’uomo che quel giorno era in compagnia di Faucitano, con il quale pare che la vittima avesse preso anche un caffè faceva da palo. Raccontò di essere stato risparmiato dai killer, ma era lì a pochi passi. Rizzo, si scoprì poi, faceva l’aiutante nel negozio di animali di Carmine Alfano  Uno faceva il ‘palo’, si è scoperto che era un finto amico con il quale prese il caffè, Pasquale Rizzo, dipendente nel negozio di animali del mandante-esecutore dell’omicidio, Carmine Alfano. Rizzo, non a caso pochi mesi dopo il delitto di piazzetta Falcone e Borsellino, fu arrestato in Germania in compagnia di Vincenzo Alfano, fratello di Carmine, per la detenzione di un ingente quantitativo di droga. Quelle di Rizzo non erano solo amicizie pericolose, dunque. Secondo l’antimafia, il pregiudicato scafatese, portò Faucitano a’ dama’, era ‘amico’ della vittima ma anche complice di Alfano. Forse quella mattina aveva per l’ennesima volta sollecitato il tossicodipendente-pusher, finito nel mirino, a pagare una partita di droga acquistata da Alfano e non pagata perchè nel frattempo era stato arrestato e finito agli arresti domiciliari, con un permesso ad uscire qualche ora al giorno per provvedere ai suoi bisogni quotidiani. Ma Faucitano, quei soldi per appianare il debito non li aveva e allora il piano di ucciderlo fu messo in pratica. Un segnale a tutti quelli che trasgredivano le regole. Pasquale Rizzo, stamane, è passato ufficialmente da testimone-chiave del delitto a complice degli assassini.
Quel giorno i killer in azione erano due, come fu accertato fin dai primi momenti dagli inquirenti. Uno dei due era proprio Alfano, l’altro il suo amico-complice Marcello Adini, successivamente arrestato con lui per una tentata estorsione al bar Dodo del centro Plaza di Scafati.
Quei tre nomi erano scritti da tempo nell’inchiesta aperta per scoprire gli assassini di Armando Faucitano. Oggi, i carabinieri del Reparto territoriale hanno eseguito un’ordinanza emessa dal Gip del tribunale di Salerno a carico di tutti e tre. Alfano e Adini erano già detenuti, il primo a Cosenza, l’altro a Salerno-Fuorni, mentre Rizzo è finito in carcere a Fuorni dove sarà interrogato lunedì insieme ad Adini. Mentre l’interrogatorio di garanzia di Carmine Alfano, difeso dall’avvocato Francesco Matrone, si terrà per rogatoria a Cosenza.
Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Camorra, torna da ‘libero’ nella sua casa di Marano il proprietario del Jambo

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Torna da “libero” nella sua casa di Marano il proprietario del Jambo. Revocato il divieto di dimora in Campania per Falco ma non potrà venire in provincia di Caserta. Alessandro Falco può rientrare in Campania. Il presidente della prima sezione collegiale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Roberto Donatiello, dinanzi al quale si si sta celebrando il processo sugli interessi del clan dei Casalesi – in particolare del capoclan Michele Zagaria – nel centro commerciale di Trentola Ducenta, ha accolto l’istanza del legale di Falco, l’avvocato Paolo Trofino, ed ha disposto la revoca della misura del divieto di dimora in Regione sostituendola con quella del divieto di dimora in provincia di Caserta, luogo, di fatto, dove si sarebbero consumati i reati contestati all’imprenditore. Appena un mese fa lo stesso giudice aveva revocato gli arresti domiciliari per Falco decidendo per il confino fuori regione, revocato ieri. Falco è così tornato nella sua abitazione di Marano, in provincia di Napoli.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Camorra & imprenditori, il senatore Cesaro non risponde al processo contro i fratelli

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Il senatore Cesaro si avvale della facoltà di non rispondere nel processo che si sta celebrando per il Pip di Marano, al Tribunale di Napoli Nord ad Aversa.
Luigi Cesaro è stato chiamato a testimoniare nel processo a carico dei fratelli, Raffaele ed Aniello Cesaro.
L’esponente forzista, indagato in un procedimento parallelo, si è avvalso della facoltà di non rispondere alle domande dei magistrati. I due imprenditori sono a processo per l’inchiesta relativa al Pip di Marano. Per la Procura Antimafia di Napoli, i Cesaro e il clan Polverino avrebbero creato una società occulta che si sarebbe avvalsa del fiume di danaro proveniente dai traffici illeciti dell’organizzazione criminale per poter operare tranquillamente.
Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Il Comune di Ercolano e l’associazione anti racket si costituiscono parte civile contro i ‘signori’ del pizzo

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Ercolano. Il Comune e l’associazione anti racket si costituiscono al processo contro i ‘signori’ del pizzo. Al via oggi al Tribunale di Napoli l’udienza preliminare nei confronti di nove presunti appartenenti ai due clan di Ercolano accusati di aver estorto negli anni scorsi il pizzo a imprenditori della città vesuviana. Dinanzi al gup Maria Laura Ciollaro c’è stata la richiesta di costituzione di parte civile avanzata dal Comune di Ercolano e dall’associazione antiracket Fai ‘Ercolano per la legalita” alla quale aderisce un buon numero di commercianti. “La presenza del Comune di Ercolano in questi procedimenti giudiziari testimonia la costante attenzione verso i fenomeni criminali in città e la vicinanza alle vittime che in questi anni hanno trovato il coraggio di denunciare i propri aguzzini” ha detto il sindaco di Ercolano, Ciro Buonajuto. ”Gli straordinari obiettivi raggiunti in città contro il racket devono rappresentare un modello per riaffermare ovunque i principi di legalità. Domani a Napoli parteciperò a una manifestazione di solidarietà a Gino Sorbillo in cui porterò l’esperienza di Ercolano come modello nella lotta alla criminalità”. Gli avvocati hanno avanzato richiesta di rito abbreviato per i loro assistiti. La prossima udienza è in programma l’11 aprile con requisitoria del pubblico ministero.

Cronache della Campania@2018

Afragola, oltre un secolo e mezzo di carcere per gli usurai del clan Moccia.TUTTE LE CONDANNE

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Afragola. Prestiti usurai del 300 per cento per conto del clan Moccia a imprenditori e commercianti di Afragola e dintorni: il tribunale di napoli infligge condanne complessive per 159 anni di carcere per i 18 imputati. Il blitz scattò  il 20 gennaio del 2015 con 30 arresti tra Afragola, Casoria e in altre parti d’Italia. Le indagini, molto lunghe,  durate circa tre anni avevano permesso di documentare decine di prestiti a tassi usurari e numerose richieste estorsive a piccoli imprenditori. Le vittime sono per lo più piccoli commercianti in gravi difficoltà economiche. E sempre in base alle indagini i tassi imposti dagli usurai del clan erano di quelli impossibili: imposizioni della restituzione di cifre trenta volte superiori a quelle inizialmente erogate dai cravattari. Davanti ai giudici della Terza Sezione – collegio B – del tribunale di Napoli, pres. dott. Aliperti, sono comparsi in 18 e per loro la pm Ivana Fulco aveva chiesto un totale di 186 anni di carcere. Ecco tutte le condanne: Raffaele Bencivenga, 14 anni (richiesta di 12); Luigi Buonerba, 12 anni (richiesta confermata); Antonio D’Anna, 9 anni (richiesti 8 anni); Domenico D’Anna, 11 anni e 6 mesi (richiesta di 10 anni); Giustino De Rosa, 11 anni e 6 mesi (richiesta di 18 anni); assolto Domenico De Simone (richiesti 4 anni);  Salvatore De Simone as-olto (il pm aveva chiesto 4 anni); Daniele Ferrara,11 anni e 6 mesi (richiesta di 10 anni); Luigi Ferrara, 10 anni (richiesta di 8 anni); Giuseppe Iodice, 16 anni (richiesta di 12 anni); Pietro Iodice, 8 anni e 6 mesi (richiesta di 12 anni), Federico Maldarelli, 18 anni (richiesta di 16 anni); Antonio Pezzella, 9 anni e 6 mesi (richiesta di 10 anni); Angelo Pezzullo, 16anni e 10 mesi (richiesta di 10 anni); Gennaro Piscitelli, 13 anni e 6 mesi (richiesta di 12 anni); Antonio Puzio, 13 anni e 6 mesi (richiesta di 12 anni); Puzio 13 ani (richiesta di 12 anni); Luigi Ugo assolto (4 anni).

Cronache della Campania@2018

Clan Mazzarella: chiesti quasi due secoli di carcere

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Napoli. Chiesti quasi due secoli di carcere per 14 dei diciassette componenti del nuovo vertice del clan Mazzarella di San Giovanni a Teduccio arrestati nel blitz dello scorso febbraio. Nel processo che si sta svolgendo con rito abbreviato ci sono Francesco Mazzarella o’ parente che dopo l’arresto del fratello Roberto nel 2007, reggeva l’organizzazione (per lui chiesti 12 anni di carcere) e anche Salvatore Donadeo detto o’ puzzolente (per lui chiesti 20 anni di carcere). E ci sono anche i due imprenditori Maurizio e Luigi Bonavolta, padre e figlio, saliti alla ribalta della cronaca nei mesi scorsi per gli incendi dolosi ai bar di cui erano stati proprietari (“Shabby Cafè”) in via Pessina e in via Toledo. Per i due, che sono accusati di traffico di droga, sono stati chiesti 12 anni di carcere ciascuno. In nove era stati arrestati il 14 febbario scorso nel corso di un blitz della squadra mobile di Napoli, in quattro (Salvatore Fido, Maurizio Donadeo, Arcangelo Cimminiello e Giuseppe Cozzolino) si erano resi latitanti e sono stati arrestati in questi mesi, ultimo in ordine di tempo Salvatore Fido arrestato il 31 ottobre a Varcaturo. Le indagini che ha portato al loro arresto e quindi alla richiesta di processo sono scaturite dall’omicidio, avvenuto il 26 agosto del 2012, di Di Pede Vincenzo, affiliato al clan Formicola e  hanno consentito non solo di individuare gli autori dell’omicidio in Raffaele Russo e  Rosario Guadagnuolo , affiliati al clan Mazzarella, già condannati in primo grado, ma anche di dimostrare l’attuale operatività del clan Mazzarella al cui vertice spicca la figura di Francesco Mazzarella, soprannominato ‘o parente che, anche non si è mai esposto in prima persona nelle azioni violente, ha assunto il ruolo di capo indiscusso, in virtù anche dell’investitura che gli deriva dall’appartenenza alla famiglia Mazzarella.
Le investigazioni hanno, inoltre, accertato che l’omicidio Di Pede ha determinato una spaccatura tra il clan Mazzarella e il clan Formicola, un tempo alleati e la nascita di una nuova alleanza tra il clan Formicola e il clan Rinaldi.
Dal mutamento degli assetti criminali sono scaturiti alcuni episodi di violenza avvenuti negli anni 2014 e 2015, consistiti in atti di ritorsione e in reciproci agguati, chiaramente riconducibili alla faida tra i Mazzarella e i Rinaldi/ Formicola, in considerazione delle vittime attinte, dei luoghi in cui si sono verificati e delle modalità operative.
Dalle indagini svolte negli ultimi mesi è emerso, invece, che l’annoso scontro tra i Rinaldi/Formicola e i Mazzarella si è acuito a causa degli arresti eseguiti nel novembre 2017 nei confronti di numerosi esponenti del clan De Micco, operante nel quartiere di Ponticelli, che hanno comportato un mutamento degli assetti criminali e la formazione di nuove alleanze nel tentativo di conquistare un territorio fino a quel momento appannaggio dei De Micco. In tale ottica si spiegherebbero le azioni di fuoco e gli attentati dinamitardi commessi nell’ultimo periodo, consistenti in esplosione di colpi d’arma da fuoco contro le abitazioni di affiliati alle fazioni in lotta.
L’8 dicembre dello scorso anno in via Sorrento sono stati esplosi numerosi colpi d’arma da fuoco contro l’abitazione di Grassia Sergio, personaggio di spicco del clan Rinaldi.
La notte del 22/12/2017 in via Ferrante Imparato è deceduto Perna Antonio, ritenuto affiliato al clan Mazzarella, a seguito della deflagrazione di un ordigno che la stessa vittima stava piazzando insieme alla compagna, rimasta anch’essa ferita, nei pressi dell’abitazione di una famiglia dedita allo spaccio di sostanza stupefacente.
Il 31 dicembre del 2017 da una perquisizione effettuata nell’abitazione di Gitano Luigi, affiliato al clan Mazzarella sono state rinvenute 182 munizioni di vario calibro, un silenziatore ed un impianto di video sorveglianza, oltre che uno sgabello nei pressi della finestra, a dimostrazione che al momento dell’intervento della Volante l’uomo era in compagnia di altre persone poi scappate.
Lo stesso giorno è stato ferito a causa dell’esplosione di colpi d’arma da fuoco un bambino di 12 anni, che si trovava in zona San Giovanni a casa di parenti per festeggiare il Capodanno. Da una prima ricostruzione risulta che ad esplodere i colpi siano stati 4 soggetti, con volto travisato, che avrebbero indirizzato gli stessi all’indirizzo dell’abitazione del citato Grassia Sergio.
Il 14/1/2018 l’abitazione di Donadeo Maurizio, affiliato al clan Mazzarella, è stata oggetto dell’esplosione di colpi d’arma da fuoco.
Episodi che rappresentano la chiara dimostrazione dello scontro in atto nella zona di San Giovanni a Teduccio tra il gruppo dei Mazzarella insieme ai D’Amico da una parte, e, dall’altra i Rinaldi-Reale-Silenzio-Formicola.

LE RICHIESTE DI CONDANNA

DONADEO SALVATORE 20 ANNI
TROISE PASQUALE 18 ANNI
CIMMINIELLO ARCANGELO 15 ANNI
BONAVOLTA LUIGI 12 ANNI
MAZZARELLA FRANCESCO 12 ANNI
BONAVOLTA MARIANO 12 ANNI
COZZOLINO VINCENZO 12 ANNI
GUADAGNUOLO ROSARIO 12 ANNI
NOVIELLO SALVATORE 12 ANNI
COZZOLINO GENNARO 12 ANNI
LIMATOLA GENNARO 12 ANNI
SANTANIELLO VINCENZO 12 ANNI
FUMMO GIANLUCA 12 ANNI
ESPOSITO MARCO 12 ANNI
GITANO LUIGI 12 ANNI

(nella foto da sinistra Franco Mazzarella, Pasquale Troise, Arcangelo Cimminiello, Salvatore Donadeo,Vincenzo Cozzolino Vincenzo Santaniello, Mariano Bonavolta, Luigi Bonavolta)

Cronache della Campania@2018


Accusati di truffa sui fondi comunitari: tutti prosciolti i 42 pescatori della Costiera Amalfitana

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Erano accusati di malversazione ai danni dello Stato, i quarantadue pescatori della Costiera amalfitana che ieri mattina sono comparsi davanti al gup del Tribunale di Salerno, Maria Zambrano. Secondo le accuse, gli imputati – pur beneficiando dei fondi europei destinati all’adeguamento delle flotte o alla loro riconversione – non avrebbero predisposto i relativi progetti imprenditoriali. Il gup ha emesso una sentenza di non luogo a procede perché il fatto non sussiste. Solo uno è stato rinviato a maggio perché residente a Malta e vi era un difetto di notifica. Secondo le accuse i pescatori indagati avrebbero incassato il contributo ritenendo quei soldi una sorta di sussidio per incrementare le loro entrate in un periodo di crisi e non come un incentivo per avviare nuove iniziative: il denaro sarebbe stato incassato senza che ve ne fossero i requisiti. Ma la sentenza di ieri ha dimostrato altro.Nel collegio difensivo gli avvocati: Antonella Senatore, Costantino Montesanto, Gaspare d’Alia, Francesco Vetere, Francesco Dustin Grancagnolo, Anna Sassano, Antonietta Cennano
Matteo Cardamone, Domenico Fasano, Dario Barbirotti, Aniello Liguori.

Cronache della Campania@2018

Intestino perforato: sei indagati per la morte della 67enne di Casola

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Casola di Napoli. Sei persone sono state iscritte nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo da parte del pm Antonio Barba della Procura di Torre Annunziata nell’ambito dell’inchiesta sulla morte, avvenuta tre giorni fa nell’ospedale di Sorrento di Antonietta Cavallaro. La 67enne di Casola è morta durante un secondo intervento chirurgico probabilmente per una emorragia interna dovuta alla perforazione dell’intestino subito in una prima operazione di asportazione della colecisti che aveva avuto alcuni giorni prima nell’ospedale di Vico Equense. Il pm martedì conferirà l’incarico al medico legale di effettuare l’autopsia. Gli indagati sono 4 medici e due anestesisti. in pratica le due equipe mediche dei due ospedali che hanno avuto in cura la sfortunata 67enne di Casola. L’inchiesta è volta a scoprire le cause della morte e come sia stato possibile che un banale intervento chirurgico di asportazione della colecisti che avviene in laparascopia (se ne fanno centinaia all’anno all’ospedale di Vico) abbia potuto causare la morte della donna.

 

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Bimba nata morta: indagati 10 medici dell’ospedale di Nocera

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Una gioia trasformata in dolore per una famiglia di Nocera Superiore: la figlia nata senza vita. Sul caso, è stata avviata un’indagine della procura che ha iscritto nel registro degli indagati dieci medici per omicidio colposo. La partoriente, una donna di trentasei anni, in seguito ad alcune perdite, si era recata all’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore. Dalla denuncia sporta si apprende che la donna era in buone condizioni e avrebbe dovuto partorire il giorno dopo con un taglio cesareo previsto per venerdì scorso. I medici avevano disposto il suo ricovero, con ulteriori accertamenti, verifiche e tracciati, propedeutici al parto già previsto. Ma qualcosa nel battito cardiaco della bimba non andava. Sarebbe risultato debole, poi del tutto assente. Il taglio cesareo disposto con urgenza ha fatto poi emergere ciò che la famiglia proprio non immaginava. La coppia ha deciso di sporgere una formale denuncia alle forze dell’ordine e il caso è stato affidato alla polizia del commissariato, retta dal vice questore Luigi Amato. Gli agenti, dietro delega del sostituto procuratore Anna Chiara Fasano, hanno sequestrato la cartella clinica, ma altri accertamenti saranno effettuati nelle prossime ore. La procura ha iscritto nel registro degli indagati dieci medici di Ginecologia, compreso il primario, che sarebbe stato anche il medico curante della donna. E’ stato prediposto l’esame autoptico su corpicino della bimba giovedì pomeriggio.

Cronache della Campania@2018

Lo scandalo dei diplomi falsi per gli insegnanti: la base operativa è nell’Agro Nocerino

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Lo scandalo sui diplomi falsi e i relativi irreperibili certificati fa base nel salernitano e precisamente a Castel San Giorgio, dove l’Ufficio scolastico regionale del Veneto ha indicato i nominativi di due istituti fantasma che non hanno mai avuto il decreto di riconoscimento di scuola paritaria autorizzata a rilasciare diplomi di qualifica triennali validi per l’inserimento nelle graduatorie di istituto 2018-2021 del personale Ata. Le due scuole fantasma non abilitate avrebbero consentito a centinaia di bidelli salernitani di dichiarare un diploma di qualifica triennale col massimo dei voti e, secondo l’Ufficio scolastico del Veneto, le due scuole sono il De Sanctis e il Vanvitelli di Castel San Giorgio. Ma questo era già noto all’Ufficio scolastico della Campania, sotto la guida della direttrice generale Luisa Franzese, aveva già indagato su queste scuole accusate di erogare titoli e diplomi non regolari.
Per questo, il Provveditorato di Bari, aveva comunicato mesi fa che “a seguito di segnalazione da parte del dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, glI Istituti De Sanctis e Vanvitelli di Castel San Giorgio non hanno, allo stato, alcun riconoscimento di parità scolastica o iscrizione nell’Elenco Regionale delle scuole non paritarie. Pertanto,come riporta Il Mattino, gli attestati di studio rilasciati dai suddetti Istituti non hanno validità. Si precisa ulteriormente – si legge nella circolare dell’ufficio scolastico di Bari – che esiste a San Marco Evangelista un istituto riconosciuto paritario dall’anno scolastico 2004-2005 denominato Vanvitelli. S’invita a verificare l’esistenza di dichiarazioni in tal senso degli aspiranti alle graduatorie in parola”.
Intanto il lavoro coordinato delle indagini incrociate tra Ufficio scolastico del Veneto e quello della Campania, fanno emergere almeno cinquecento casi sospetti di titoli non regolari riferiti a bidelli salernitani, principalmente diplomi di qualifica professionale antecedenti al 2013. “Stiamo rispondendo alle richieste di verifica titolo, c’è massima collaborazione con le scuole del Veneto o di Emilia Romagna e Lombardia”, fanno sapere dal Provveditorato di Fuorni. Il Veneto ha messo nel mirino anche istituti che hanno perso la parità scolastica come il “Luca Pacioli” di Nola e il “Primo Levi” di Agropoli.

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Caso Cucchi, intercettati colonnello e carabiniere in servizio a Napoli: ‘Bisognare avere spirito di corpo e aiutare i colleghi in difficoltà’

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“Deve restare tranquillo, bisogna avere spirito di corpo, se c’e’ qualche collega in difficolta’ lo dobbiamo aiutare”. Queste le parole dette il 6 novembre scorso dal comandante del Gruppo Napoli dei Carabinieri, Vincenzo Pascale, al vicebrigadiere dei carabinieri Mario Iorio, in servizio presso la stazione Vomero-Arenella di Napoli. Parole che Iorio aveva il compito di riferire al collega Ciro Grimaldi in vista della testimonianza di quest’ultimo al processo per la vicenda di Stefano Cucchi. Una intercettazione telefonica depositata oggi dalla Procura dalla quale emergerebbe un presunto nuovo tentativo di depistaggio o di ‘pressione’ da parte dei vertici dell’Arma. Grimaldi, all’epoca dei fatti in servizio presso la stazione Casilina di Roma, e’ stato sentito come testimone il 6 dicembre scorso. Nell’intercettazione Iorio riferisce al collega quanto dettogli dal colonnello: “Mi raccomando dite al Maresciallo che ha fatto servizio alla Stazione – afferma nella intercettazione Iorio riportando al maresciallo Grimaldi le parole del colonnello – li’ dove e’ successo il fatto di Cucchi…di stare calmo e tranquillo…”. E ancora Iorio riferisce al collega quanto dettogli dal superiore: “mi raccomando deve avere spirito di corpo, se c’e’ qualche collega in difficolta’ lo dobbiamo aiutare”. La nota della Squadra mobile fa parte di una serie di atti che la procura ha depositato nell’ambito del processo che vede imputati cinque carabinieri. Tra i documenti messi a disposizione delle parti dal pm Giovanni Musaro, anche i verbali di testimonianze raccolte nelle ultime settimane negli uffici di piazzale Clodio. Tra le persone sentite anche il maresciallo Davide Antonio Speranza, in servizio presso la stazione Quadraro dei Carabinieri di Roma all’epoca della morte di Cucchi. Nel corso dell’audizione, il militare e’ tornato sulla vicenda delle note di servizio modificate tirando in ballo due degli impuntati: Roberto Mandolini e Vincenzo Nicolardi. “Mandolini quando lesse la nota – ha fatto mettere a verbale Speranza – mi disse che non andava bene e che avrei dovuto cestinarla perche’ avremmo dovuto redigerne una seconda in sostituzione della prima. Il contenuto di tale annotazione fu dettato da Mandolini e lo scrissi io, alla presenza anche di Nicolardi, quindi stampammo e la firmammo a nostro nome”. Parlando delle due versioni delle note di servizio, Speranza afferma che nella prima versione si affermava che “Cucchi era in stato di escandescenza” mentre nella seconda versione, sul punto, si afferma che “e’ doveroso rappresentare che, durante l’accompagnamento, non lamentava nessun malore ne’ faceva alcuna rimostranza in merito”. Tra gli atti depositati, infine, c’e’ anche un ordine di servizio in cui compare la scritta “bravi” nello spazio dedicato alle note dei superiori. Sul punto il maresciallo afferma: “non so dirvi per quale ragione, nella parte dell’ordine di servizio dedicata alle annotazioni dei superiori e’ scritto ‘Bravi’, considerato che avevamo fatto una mera azione di routine e che nel momento in cui l’ordine di servizio fu redatto Cucchi era gia’ morto”. Sul punto e’ stato ascoltato anche il comandante della stazione dei carabinieri del Quadraro, Dino Formato, il quale afferma di non sapere per quale ragione fu redatta una seconda annotazione.

Cronache della Campania@2018

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