Quantcast
Channel: Cronaca Giudiziaria
Viewing all 6090 articles
Browse latest View live

Processo Aliberti, ‘scintille’ e lacrime in aula: la difesa inveisce contro la giornalista

$
0
0

Scafati. Scintille e lacrime in aula, oggi al processo nei confronti del sindaco Pasquale Aliberti e i suoi coimputati accusati di scambio di voto politico-mafioso con il clan Ridosso-Loreto che si sta celebrando dinanzi ai giudici del Tribunale di Nocera Inferiore. Ultima udienza per controesaminare uno dei teste chiave del processo, il capitano della Dia Fausto Iannaccone, poi in aula ha testimoniato la giornalista Valeria Cozzolino, costituitasi parte civile contro l’ex sindaco di Scafati e il fratello Nello Maurizio per le minacce ricevute nei mesi antecedenti la campagna elettorale del 2013 quando lavorava per il quotidiano Metropolis, chiamata a testimoniare dalla pubblica accusa. Un’udienza ‘complicata’ e tesa, in cui non sono mancati i toni accesi e le domande – spesso provocatorie – della difesa di Aliberti nei confronti dei due testimoni, e culminata con la richiesta di trasmissione del verbale di udienza all’ufficio del pubblico ministero della Dda, Vincenzo Montemurro, per valutare l’accusa di calunnia nei confronti dell’avvocato Silverio Sica, difensore di Angelo Pasqualino Aliberti, che ha fatto illazioni sulla veridicità delle dichiarazioni di Valeria Cozzolino. E’ il secondo episodio dall’inizio del processo dinanzi ai giudici del Tribunale di Nocera Inferiore.
Alla fine dell’udienza non sono passate inosservate le lacrime di sfogo dell’ex primo cittadino abbracciato alla mamma, Rosaria Matrone, presente tra il pubblico, insieme al marito.
L’udienza di stamane è iniziata con il controesame dei legali di Nello Maurizio Aliberti del capitano Iannaccone. La difesa ha puntato molto su alcune questioni della gestione del Comune – amministrato all’epoca dal fratello Pasquale – in cui Nello Maurizio avrebbe avuto una forte ingerenza. A partire dai rapporti telefonici – emersi dai tabulati – con Luigi Ridosso, il giovane rampollo dell’omonimo clan. La difesa ha più volte insistito su questa questione, facendo intendere che le numerosissime telefonate – il cui contenuto non è conoscibile – fossero dovute ad un incidente sul lavoro nel quale era rimasto vittima un dipendente della ditta di pulizie dei Loreto-Ridosso, nella fabbrica conserviera di Nello Longobardi dove i fratelli Aliberti curavano la sicurezza sul lavoro. Le domande volte a far emergere particolari non documentabili né da parte della difesa né dell’accusa sono rimaste nel limbo dell’incognita. Il testimone Iannaccone ha più volte rimarcato il dato storico e oggettivo delle indagini, non essendo – all’epoca – in corso alcun tipo di intercettazione telefonica, ma avendo la Dia solo acquisito i tabulati telefonici dei contatti del fratello del sindaco e del noto pregiudicato. Nel corso dell’udienza la difesa ha anche provato a far passare come ‘datata’ e non determinante un altro dato oggettivo emerso prima dell’avvio delle indagini e acquisito dagli inquirenti nell’inchiesta Sarastra: un controllo dei carabinieri di Scafati che aveva evidenziato i rapporti di conoscenza e di frequentazione tra Nello Maurizio Aliberti e il figlio di Francesco Sorrentino, ‘o campagnolo, esponente dell’omonimo clan, poi morto in circostanze violente. I difensori di Nello Aliberti hanno cercato di contrastare questo dato con il fatto che Aliberti aveva acquisito al patrimonio del Comune un bene confiscato proprio alla famiglia Sorrentino. Pronta è stata la risposta del capitano Iannaccone: “Il bene fu acquisito al patrimonio comunale – ha ricordato il teste – ma fino all’insediamento della commissione prefettizia straordinaria non è stato mai destinato agli scopi sociali per i quali fu confiscato alla camorra”. Questo dei beni confiscati alla criminalità organizzata è uno dei tanti buchi neri dell’amministrazione Aliberti. Non sono mancati, nel corso del contro esame, gli accenni alla vita personale e privata di Nello Maurizio Aliberti come il suo matrimonio con la figlia di Ninuccio Galasso e nipote dell’ex boss, ora pentito Pasquale, finito poi con una separazione. Tra i dati sollecitati dalla difesa anche l’attenzione su questo punto, riportato dal teste come ricostruzione del passato storico dell’imputato Nello Maurizio Aliberti.
Tra le domande anche quella relativa all’incarico, affidato all’architetto Michele Nocera, casertano doc, per seguire il progetto di pavimentazione e marciapiedi di una strada di Scafati. Nocera è stato poi arrestato per la sua vicinanza e contiguità con il clan dei Casalesi e per aver progettato il bunker dove si è nascosto per anni Michele Zagaria. Secondo quanto ha riferito il teste, rispondendo alle domande della difesa, proprio con la gestione dell’opera da parte di Nocera il costo lievitò di almeno 200mila euro.
Alla fine del contro esame il pm Montemurro ha chiesto al capitano Iannaccone di ricostruire gli illeciti avvenuti sia al piano di zona che nella pseduto-partecipata del comune Scafati Solidale con la gestione della dirigente Maddalena Di Somma, la dirigente, indagata per turbativa d’asta, per aver favorito una coop al Piano di Zona e per aver affidato alla Ada, l’associazione dell’ex consigliere-assessore Diego Chirico e della moglie a Scafati Solidale, un incarico prima che l’ente fosse iscritto all’albo delle associazioni del Comune di Scafati.

Alla fine della testimonianza, Angelo Pasqualino Aliberti, ha chiesto di rendere dichiarazioni spontanee, ha provato a riportare la sua versione su alcune questioni come Copmes e Scafati Sviluppo.
Lucida e puntuale la ricostruzione di un episodio che ebbe molto clamore mediatico fatto in aula dall’altra teste dell’accusa, da Valeria Cozzolino. La giornalista fu aggredita verbalmente e minacciata di morte dinanzi ad un edicola dal fratello dell’allora sindaco Aliberti, Nello Maurizio, e da Gennaro Ridosso – uno dei capi del clan Loreto-Ridosso – per alcuni articoli apparsi sul quotidiano nel corso dei mesi antecedenti alla campagna elettorale del 2013.
La giornalista ha risposto alle domande del pm e dei difensori, proprio nel corso del contro esame dell’avvocato Silverio Sica che ha sostenuto ‘platealmente’ che la teste stava mentendo, è scattata la reazione della pubblica accusa che ha chiesto la trasmissione degli atti al proprio ufficio.
La difesa ha provato a scalfire la testimonianza della giornalista sull’episodio che all’epoca generò anche la dura reazione dell’ordine dei giornalisti della Campania, con un comunicato di solidarietà alla cronista di Metropolis e ai suoi colleghi della redazione per gli attacchi provenienti dall’amministrazione comunale di Scafati e dai suoi familiari. Il fratello dell’allora sindaco, inveì contro Valeria Cozzolino, minacciandola, contornato dai suoi supporter, tra i quali Ridosso che strapparono le locandine dagli strilloni di un’edicola di via Alcide De Gasperi. La difesa di Aliberti ha punzecchiato prima la testimone sulle sue idee politiche, ipotizzando un contrasto con l’imputato per motivi politici, poi ha iniziato l’opera di delegittimazione della teste che invece rispondeva puntualmente ad ogni domanda, finché su una circostanza l’avvocato Sica ha esclamato in udienza, dinanzi ai giudici: ‘la testimone sta mentendo’. Una reazione spropositata che non è passata inosservata, innescando, un botta e risposta tra il difensore e il pm in udienza il quale ha chiesto la trasmissione degli atti al proprio ufficio, mentre l’avvocato Silverio Sica si allontanava dall’aula lasciando al collega Giuseppe Pepe la conclusione del controesame della teste. Valeria Cozzolino ha confermato quanto denunciato dinanzi agli uomini della Dia, nel corso delle indagini. Una denuncia che è costata ai due fratelli Aliberti, l’ex sindaco come mandante, e al pregiudicato Gennaro Ridosso l’accusa di minacce con l’aggravante mafiosa. Ed ha fatto i nomi di alcuni colleghi di redazione che quel giorno e per quella circostanza furono messi a conoscenza di quanto accaduto, tra questi il direttore di Metropolis dell’epoca, Giuseppe Del Gaudio e Rosaria Federico che sarà uno dei prossimi testi in aula. Nel controesame i difensori di Nello Maurizio Aliberti hanno, invece, rispolverato alcuni post su Facebook e un messaggio con l’invio di una foto, da parte della giornalista, che ritraeva il papà dell’ex sindaco. Alla fine dell’udienza, l’ex sindaco si è avvicinato alla mamma e ha cominciato a piangere scatenando la reazione della donna.
La prossima udienza è fissata per il 23 gennaio prossimo, per quell’occasione, il pubblico ministero ha annunciato la citazione della giornalista Rosaria Federico.

Renato Pagano

Cronache della Campania@2018


Colpo di scena al processo per abusi sessuali ai danni dei bambini della scuola d’infanzia di Salerno: non ci sono prove

$
0
0

Salerno. Colpo di scena al processo sui presunti abusi ai danni dei bambini della Scuola d’infanzia di Coperchia: in quattro mesi di intercettazione ambientale, non è emersa alcuna conferma documentale che possa confermare le accuse. I bambini erano ritenuti, dalla Procura, vittime di un giro di pedofilia da parte di sei persone tra bidelli e personale amministrativo in servizio all’asilo fino nel 2010. Ieri, davanti ai giudici della seconda sezione penale del tribunale di Salerno, come riporta Il Mattino, è stato ascoltato il maresciallo della stazione di Coperchia José Santo Aliano che ha coordinato le indagini culminate nel 2010 con l’arresto di uno dei bidelli della materna, scarcerato però, dopo soli diciannove giorni dal tribunale del Riesame perché non emersero, a carico dell’imputato, i gravi indizi di colpevolezza di cui era accusato. 
Una deposizione fondamentale, quella resa dal militare, che sembra smontare numerosi tasselli dell’impianto accusatorio che, sin da primo momento, si è retto solo sulle dichiarazioni dei minori. Il comandante ha ripercorso la lunga fase investigativa sostenendo che, dalle indagini, in particolare dalla visione dei filmati delle telecamere nascoste all’interno della scuola, non è emerso alcun elemento d’accusa a carico degli imputati. Gli avvocati Gerardo Di Filippo e Cataldo Intrieri hanno poi chiesto e ottenuto l’acquisizione di alcune sentenze scaturite da inchieste giudiziarie che negli anni scorsi hanno fatto finire sotto la lente di ingrandimento della Procura la neuropschiatra infantile Maria Rita Russo, dirigente all’Asl di Salerno del servizio Not, consulente della Procura nell’ambito dell’inchiesta sugli abusi alla materna di Coperchia e in altre numerose indagini inerenti abusi ai danni di minori. 

Cronache della Campania@2018

Salerno, falsi attestati ai bidelli: nel mirino in 200 che stanno lavorando al Nord

$
0
0

Salerno. Altre due scuole della provincia di Salerno sono finite sotto inchiesta per avere rilasciato titoli di studio e di servizio irregolari. L’indagine è quella dei falsi diplomi che sono serviti ai bidelli per scalare le graduatorie e le due scuole sospette sono paritarie. Collaboratori scolastici salernitani che avrebbero dichiarato, con l’aiuto e la disponibilità delle due scuole individuate, diplomi conseguiti col massimo dei voti e titoli di servizio da precari irregolari o fasulli. Intanto tra i primi di dicembre e Natale sono state inviate alle scuole pubbliche e paritarie del salernitano più di duecento richieste di verifica titolo e servizio, spedite da scuole del Veneto e dell’Emilia Romagna. “Una scuola paritaria superiore ha erogato un diploma di qualifica senza avere il decreto di paritarietà, mentre un’altra scuola non ha erogato i contributi all’Inps per la validità del servizio da bidello”, confermano dal Provveditorato di Salerno. I nomi delle scuole sono ancora riservati ma i risultati delle indagini da parte dell’amministrazione scolastica sono clamorosi. Dopo il caso della scuola superiore di Nocera Inferiore segnalata all’Ufficio scolastico da una scuola di Verona, per aver emesso diplomi di qualifica triennali quando non era nemmeno dichiarata al Miur come scuola paritaria, spunta il caso della scuola paritaria di Nocera Superiore che non ha versato all’Inps i contributi per i bidelli in servizio. “Senza versamento dei contributi all’Ente previdenziale – confermano dal Provveditorato – il servizio dichiarato al Nord dai bidelli per l’inserimento nelle graduatorie non è valido”. E, dopo il bidello licenziato a Venezia e i quattro bidelli indagati dalla Procura di Verona, si segnalano altri due bidelli nei guai a Treviso: tutti di Salerno. Intanto partono a raffica le richieste di accesso agli atti.

Cronache della Campania@2018

Caserta. Evasione fiscale, sequestro preventivo dei beni per società ed amministratore

$
0
0

Caserta. In data odierna, il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Caserta ha completato l’esecuzione di un decreto di sequestro preventivo di beni per circa 730 mila euro emesso dal G.I.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – su richiesta di questa Procura – avente per oggetto disponibilità finanziarie della “Fenice s.r.l.”, esercente l’attività di “commercio al dettaglio di mobili per la casa”, già con sede in provincia di Caserta, nonché il patrimonio personale del rappresentante legale pro-tempore. L’adozione della misura cautelare è intervenuta a seguito dell’esecuzione di indagini delegate, da questa Procura alla Guardia di Finanza che hanno consentito di accertare che la società aveva omesso il prescritto versamento di dell’IVA, per l’anno di imposta 2016, per ca. 730 mila euro, determinando un’ingente evasione fiscale. Considerato l’elevato valore indiziarlo degli elementi raccolti nel corso dell’attività investigativa, generata da una segnalazione dell’Agenzia delle Entrate di Caserta, questa Procura – in virtù della normativa che prevede la possibilità di applicazione della “confisca per equivalente” – ha avanzato richiesta di sequestro dei beni fino all’ammontare delle imposte evase, al fine di inibire il consolidamento del vantaggio economico derivante dall’evasione. Quindi, il C.I.P., aderendo alla predetta richiesta, ha disposto il sequestro preventivo delle disponibilità liquide della società e, per equivalente, dei beni nella disponibilità del suo amministratore pro-tempore 75enne Angelo Cantone fino al valore delle imposte complessivamente evase. Pertanto, sulla base di tale provvedimento il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Caserta ha sottoposto a vincolo cautelare quote societarie nonché 2 immobili (un appartamento e terreno agricolo, in Pietramelara – CE), per un valore complessivo di oltre 305.000 euro. Gli esiti della presente attività d’indagine costituiscono un’ulteriore testimonianza del costante presidio economico-finanziario esercitato dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, in stretta sinergia con il Comando Provinciale della Guardia di Finanza e con l’Agenzia delle Entrate di Caserta, per la repressione del grave fenomeno dell’evasione fiscale.

Cronache della Campania@2018

Imprenditori collusi con i Casalesi: tre arresti

$
0
0

Imprenditori collusi con i Casalesi. E’ questo lo scenario di una indagine della polizia a Caserta, su delega della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha portato all’arresto di Armando Diana, 77 anni, e di Antonio e Nicola Diana, entrambi 51enni, che devono rispondere di concorso esterno all’associazione a delinquere di stampo mafioso e per gli inquirenti sono imprenditori legati alla fazione Zagaria. L’inchiesta, attraverso le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, ha permesso di ricostruire l’esistenza di un rapporto operativo tra il mondo dell’imprenditoria e la cosca, un patto criminale stretto che avrebbe consentito agli imprenditori di godere di una protezione e di una tranquillità di azione tali da permettere agli stessi di raggiungere, nell’area territoriale di competenza del clan, una posizione privilegiata. In cambio, secondo le risultanze investigative, il clan avrebbe ottenuto dai Diana “prestazioni di servizi e utilità”, dicono i pm, quali il cambio assegni e la consegna sistematica di cospicue somme di denaro necessarie ad alimentare le casse dell’organizzazione camorristica. Eseguito anche un decreto di sequestro preventivo di tutte le società , tuttora attive, a loro riconducibili, tra cui società di produzione e lavorazione materiali plastici, società immobiliari, ditte di imballaggi, esercizi commerciali, società di vendita veicoli industriali, società agricole, dislocate nell’agro aversano, nel centro cittadino casertano e a Napoli e Milano.I tre imprenditori originari di Casapesenna , ovvero Armando Diana e i nipoti Antonio e Nicola Diana, quest’ultimi figli di Mario, ucciso 30 anni fa dalla camorra e ritenuto vittima innocente, fino ad oggi erano considerati imprenditori anti-clan, tanto da aver creato una fondazione che organizza eventi anti-camorra

Cronache della Campania@2018

Camorra: anche armi da guerra e droga recuperati nel blitz contro i clan RInaldi e Mazzarella

$
0
0

Armi ma anche droga sono stati recuperati dai Carabinieri nel corso dell’operazione che ha portato all’arresto di nove esponenti dei clan Rinaldi e Mazzarella in lotta da anni nella zona Est di Napoli. Recuperati 882 grammi di cocaina, 710 di hashish, 10 di marijuana. Per quanto riguarda le armi, 5 pistole, di cui un revolver privo di matricola, una Belardelli calibro 9 provento di rapina, una Brownin calibro 7,65 rubata e altre due, una con matricola abrasa ed una senza matricola. In particolare, la mp5 e’ una mitraglietta in uso ai reparti speciali. Scoperto infine munizionamento di vario calibro.
Sono stati i carabinieri del comando provinciale ad arrestare, su mandato della Dda di Napoli (indagini degli aggiunto Borrelli e Frunzio) i presunti responsabili del delitto di Vincenzo De Bernardo, ucciso a Marigliano nel 2015. Si trattava di una vendetta trasversale, per colpire lo zio di uno dei presunti componenti del commando che uccise il 2 luglio del 2015 in via Oronzo Costa, la famigerata “Strada della morte”, il baby boss Emanuele Sibillo, all’epoca capo della Paranza dei bimbi.  Per l’omicidio De Bernardo – sono coinvolti anche il boss del rione Villa, Ciro Rinaldi detto mauè (attualmente latitante), Luisa De Stefano e Luigi Esposito detto o’ sciamarro. In risposta ci fu il ferimento di Antonio Amato, nel 2017, indicato come presunto specchiettista del delitto De Bernardo: per questa vicenda viene indicato come colui che fece fuoco proprio il figlio dello stesso De Bernardo

Cronache della Campania@2018

Diele: al via processo d’appello per l’attore, sentenza a fine marzo

$
0
0

Maglia grigia, jeans chiaro, scarpe e cappotto nero e, quando e’ andato via, cappellino di lana sul capo. L’attore Domenico Diele, oggi, per la prima udienza del processo d’appello a Salerno, era presente in aula al secondo piano del palazzo di giustizia. Il noto interprete di fiction, al termine del giudizio abbreviato conclusosi l’11 giugno dello scorso anno, e’ stato condannato a 7 anni e 8 mesi di reclusione per omicidio stradale aggravato. Per il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Salerno, Diele e’ colpevole della morte della 48enne salernitana Ilaria Dilillo che, la notte tra il 23 e il 24 giugno del 2017, fu investita e uccisa mentre percorreva, in sella al proprio scooter, l’autostrada A2 del Mediterraneo all’altezza dello svincolo di Montecorvino Pugliano, nel Salernitano. L’udienza di oggi e’ stata celebrata a porte chiuse, cosi’ come chiesto dagli avvocati dell’attore. La famiglia della vittima, ottenuto l’integrale risarcimento del danno dopo la sentenza di primo grado, ha preferito uscire dal processo. Il collegio giudicante ha rinviato le parti al prossimo 26 marzo. Non si esclude che, in quella data, si arrivi a sentenza.

Cronache della Campania@2018

‘Questi quando scendono portano la morte sulle spalle…credimi …è finita ‘, così il boss intercettato parlava di Minichini. GLI ARRESTATI

$
0
0

” .. Questi quando scendono … portano la morte sulle spalle .. credimi .. è finita .. “. Si esprimeva così il boss di Marigliano, Luigi Esposito o’ Sciamarro nel novembre del 2015 parlando con un suo fedelissimo di Michele Minichini, o’ tigre, figlio del boss detenuto Ciro. I due commentavano l’omicidio di Vincenzo De Bernardo detto pisiello, uomo del clan Mazzarella ucciso a Somma Vesuviana l’11 novembre del 2015. Per quell’omicidio oggi i carabinieri di Castello di Cisterna grazie alle dichiarazioni di alcuni pentiti e a numerose intercettazioni ambientali e telefoniche hanno notificato 6 ordinanze cautelare ad altrettanti esponenti del clan Rinaldi del rione Villa di san Giovanni a Teduccio. Il boss Ciro Rinaldi detto mauè continua la sua latitanza e nelle 176 pagine del provvedimento firmato dal gip Egle Pilla viene indicato come il mandante di quell’omicidio e fornitore delle armi. Con lo stesso ruolo (ovvero di mandante) Luigi Esposito o’ sciamarro che partecipò anche alla fase esecutiva dell’agguato, così come Luisa De Stefano, 49 anni, detta Luisa a pazzignara, moglie del boss detenuto Roberto Schisa, e che è a capo del gruppo che controlla il traffico di stupefacenti nel rione Pazzigno insieme con la nipote Enzina Maione pure lei raggiunta dall’ordinanza cautelare perchè avrebbe dato il segnale delle presenza di De Bernardo al killer Michele Minichini che fece materialmente fuoco contro la vittima mentre era in auto con il cognato Salvatore Grimaldi in attesa delle rispettive mogli che erano in un supermercato vicino a fare la spesa.  Con lui secondo i pentiti c’erano anche due esponenti di spicco dell’ex paranza dei Bimbi che non risultano indagati in questa inchiesta. Il provvedimento cautelare ha colpito anche il 33enne Stefano Gallo residente a Scisciano, uomo di fiducia del boss Luigi Esposito o’ sciamarro che si occupò di nascondere le armi utilizzate per l’agguato (armi che poi furono sequestrate dalle forze dell’ordine prima che venissero riprese). Indagato invece Mauro Marino (arrestato nel luglio scorso e subito diventato collaboratore di giustizia) uno dei cinque pentiti che hanno contribuito a fare luce sull’agguato e sugli scenari criminali tra la zona est di Napoli e i paesi vesuviani confinanti. Il boss Rinaldi, Luisa De Stefano, Enzina Maione, e Michele Minichini erano già stati colpiti da un precedente ordinanza: il primo quale mandante, le due donne quali organizzatrici e complici e Minichini sempre come esecutore materiale del clamoroso agguato compiuto il 17 giugno del 2016 in un circolo privato al Lotto 0 di Ponticelli dove trovarono la morte il boss Raffaele “Ultimo” Cepparuolo uomo dei Barbudos del rione Sanità e l’innocente Ciro Colonna.

Dall’inchiesta emerge che il clan Rinaldi era a capo di un cartello criminale composto da alcuni gruppi camorristici, uno capeggiato anche Luisa De Stefano, ritenuta vertice del cosiddetto clan delle “pazzignane”.  Dell’alleanza faceva parte anche il gruppo di Luigi Esposito o’ sciamarro (a capo dei cosiddetti “paesani”), il quale intendeva evitare che i Mazzarella giungessero fino alla “sua” Marigliano. L’obiettivo dell’alleanza, oltre che essere finalizzato a fare affari, soprattutto con la droga, era cercare di fronteggiare le mire espansionistiche del clan rivale dei Mazzarella, che aveva intenzione di allungare le mani sui comuni della cintura vesuviana e sulla zona di Nola. L’omicidio di Vincenzo De Bernardo, avvenuto l’11 novembre del 2015, secondo quanto emerso dall’attivita’ investigativa dei carabinieri di Napoli – coordinati dalla Procura partenopea – venne messo in pratica per vendicare l’uccisione di colui che era ritenuto il capo della cosiddetta “paranza dei bambini”, il baby boss Emanuele Sibillo. A quell’agguato aveva preso parte il giovanissimo Roberto De Bernardo nipote di ‘Pisiello’ che dopo l’omicidio trovò riparo prpiro a Marigliano a casa dello zio per sfuggire alla vendetta dei Sibillo.Il cartello capeggiato dal clan Rinaldi, di cui facevano parte questi gruppi, si sciolse una volta ottenuto l’obiettivo. Nel corso delle perquisizioni i militari hanno anche recuperato e sequestrato cinque pistole, tra cui una potente pistola-mitraglietta, un giubbotto antiproiettile e un cospicuo quantitativo di hashish. Il secondo episodio criminale sui cui si e’ concentrata l’attivita’ degli investigatori riguarda il tentato omicidio di Antonio Amato, scattato il 7 settembre del 2017, perché sospettato di aver preso parte all’assassinio di Vincenzo De Bernardo con il ruolo di “specchiettista”. All’agguato fallito contro Amato prese parte anche il nipote della vittima. Per questo episodio sono finiti in carcere Roberto De Bernardo, 29enne figlio del boss ucciso Vincenzo o’ pisiello, in qualità di mandante e Daniele Baselice di 28 anni ed Enrico Mirra di 22 esecutori materiali del tentato delitto. Erroneamente Amato era ritenuto coinvolto nell’omicidio De Bernardo. L’azione fu eseguita nello stesso complesso di edilizia popolare. La vittima fu intercettata dai sicari mentre parcheggiava la propria auto in compagnia del figlio di tre anni. Dopo l’esplosione dei primi colpi d’arma da fuoco, riusci’ a salvarsi rifugiandosi dietro alcuni veicoli in sosta riportando solo una ferita a una gamba.

La ‘guerra’ tra i clan Rinaldi e Mazzarella che ancora oggi crea fibrillazioni in una larga parte di Napoli e’ nata nel 2015. A ricostruire le origini di una contrapposizione armata con agguati, omicidi e ‘stese’,l’indagine dei carabinieri su che ha portato a due misure di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Napoli, Egle Pilla a carico di 9 indagati ritenuti affiliati ai due gruppi di camorra attivi nella zona Orientale di Napoli e in provincia. Nel 2015, l’area compresa tra Somma Vesuviana e Marigliano era contraddistinta da un acceso antagonismo tra alleati dei Mazzarella e un gruppo locale, chiamato dei Paesani, legato ai Rinaldi. E’ lo scenario nel quale viene pianificato ed eseguito da sei degli indagati l’omicidio di Vincenzo De Bernardo, detto o’pisell, esponente di spicco dei Mazzarella, che dopo un periodo di detenzione, tornato in liberta’ l, si era trasferito a Somma Vesuviana con l’intenzione di assumere il controllo del territorio.Il suo nome era nella lista della morte. Doveva essere ucciso perche’ l’omicidio di Emanuele Sibillo, boss della paranza dei bambini di Forcella, ucciso a tradimento il 2 luglio del 2015 dal gruppo Buonerba, in buoni rapporti con i Mazzarella, reclamava vendetta. Prima ancora che i pm arrestassero mandanti ed esecutori, il 11 novembre di tre anni fa a Somma, nel.parco Fiordaliso, a 20 chilometri dal centro di Napoli dove il baby boss era stato finito, cadde vittima di agguato De Bernardo, zio di Roberto, sicario di Emanuele Sibillo, che aveva anche ospitato suo nipote dopo l’agguato mortale. Ciro Rinaldi, boss di San Giovanni a Teduccio, nemico storico dei Mazzarella e legato ai Sibillo per il controllo del centro di Napoli, decreto’ quella morte e con l’appoggio dei gruppo Minichini e in particolare di Luisa De Stefano, ‘la pazzignana’ e di Luigi Esposito, del gruppo Paesano della zona di Marigliano. A proprosito di Michele Minichini,  il neo pentito Mauro Marino nel corso di un recente interrogatorio datato ottobre 2018 lo definisce: “un tumore, perche’, quando ti viene addosso non hai scampo”. Il boss Rinaldi e’ latitante ed e’ secondo la procura tra i ricercati piu’ pericolosi e piu’ influenti sui quali si stanno concentrando gli sforzi investigativi di questi mesi.

(nella foto da sinistra Emanuele Sibillo, Vincenzo De Bernardo, Michele Minichini. Luigi Esposito)

Cronache della Campania@2018


Il pentito: ‘Gli imprenditori anti clan facevano parte del ‘cerchio magico’ del boss Zagaria’

$
0
0

Gli imprenditori antimafia Armando, Nicola e Antonio Diana, arrestati oggi con l’accusa di essere vicini al clan dei Casalesi, facevano parte del cosiddetto “cerchio magico”, nel quale c’erano gli imprenditori per i quali il boss Michele Zagaria “avrebbe potuto scatenare una guerra”. A riferirlo, nel corso di un interrogatorio reso il 5 febbraio del 2016, e’ Massimiliano Caterino, il primo collaboratore di giustizia a parlare del boss, per lungo tempo suo uomo di fiducia in quanto incaricato di “difendere le ragioni degli imprenditori amici di Zagaria, che si trovavano ad operare in zone di influenza di altre famiglie del clan o addirittura di altri clan”. Massimiliano Caterino parla anche degli “ottimi rapporti” tra la famiglia Zagaria e Armando, Nicola e Antonio Diana e dei contributi versati nelle casse del clan. “Mi recavo periodicamente, precisamente tre volte all’anno…a ritirare i soldi che i Diana versavano a Michele Zagaria. Si trattava generalmente di una somma che ricordo all’ammontare a circa 15mila euro che io provvedevo a consegnare a Zagaria Michele”. Zagaria perorava le ragioni di questi imprenditori, spiega Caterino, un atteggiamento che teneva “per gli imprenditori suoi amici, cioe’ quelli per i quali metteva a disposizione il proprio prestigio e la propria forza per la loro affermazione imprenditoriale e che ovviamente, a loro volta, versavano cospicue somme di denaro”.  Da imprenditori antimafia a soggetti collusi con il clan dei Casalesi: è stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno per le associazioni antimafia l’indagine della Dda di Napoli che oggi ha portato agli arresti domiciliari per concorso esterno in camorra, il 77enne Armando Diana e i nipoti Antonio e Nicola Diana, fratelli gemelli di 51 anni. Le misure cautelari emesse dal gip sono state eseguite dalla Squadra Mobile della Questura di Caserta. Antonio e Nicola sono figli di Mario, imprenditore edile ucciso nel 1986 dalla camorra e ritenuto vittima innocente, in quanto si sarebbe opposto – come accertato nella sentenza definitiva – alle richieste economiche delle cosche casalesi allora in ascesa; nel nome del papa’, i gemelli Diana hanno creato una Fondazione che organizza eventi anti-camorra e ogni anno assegna delle borse di studio a giovani svantaggiati. Fino ad oggi, dunque, i Diana erano considerati imprenditori anti-clan; peraltro Antonio Diana e’ cognato del collaboratore di giustizia Michele Barone, ex fedelissimo del boss Michele Zagaria, ma neanche questa vicinanza aveva mai scalfito il ruolo di veri e propri testimonial della legalita’; piu’ volte i Diana, soprattutto Antonio, hanno denunciato l’illegalita’ diffusa nel Casertano e l’ingerenza della camorra nell’imprenditoria. Nel 2010 Legambiente nomino’ Antonio Diana ambientalista dell’anno. Nella loro azienda, i Diana hanno anche assunto Massimiliano Noviello, figlio di Domenico, imprenditore ucciso nel 2008 dai killer dell’ala stragista dei Casalesi guidata da Giuseppe Setola perche’ aveva denunciato e fatto arrestare gli estorsori della camorra. Non solo, tra i dipendenti dei Diana figura anche il carabiniere che arresto’ il sanguinario killer della fazione Bidognetti. Una posizione rilevante sul piano socio-economico e culturale che l’indagine della Dda di Napoli (coordinata dal procuratore aggiunto Luigi Frunzio e dai sostituti Alessandro D’Alessio e Maurizio Giordano) ora mette in discussione. Per gli inquirenti i tre imprenditori avrebbero stretto gia’ dagli anni ’90 un patto criminale con i Casalesi, in particolare con il gruppo del boss Michele Zagaria, originario di Casapesenna come i Diana. Il patto avrebbe permesso ai Diana di godere di una protezione e di una tranquillita’ operativa tali da permettere loro di raggiungere una posizione imprenditoriale privilegiata; in cambio il clan avrebbe ottenuto dai Diana prestazioni di servizi e utilita’, quali il cambio di assegni e la consegna sistematica di cospicue somme di denaro, necessarie ad alimentare le casse dell’organizzazione di Zagaria. Per gli inquirenti i Diana versavano somme al clan, non tangenti ma corrispettivo per i servigi resi. Come quando, proprio grazie all’intervento del clan, riuscirono ad evitare una richiesta di pizzo proveniente dalla famiglia camorristica Russo. Contestualmente alla notifica delle ordinanza, gli investigatori della Squadra Mobile hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo di tutte le societa’, tuttora attive, riconducibili ai Diana, dislocate nell’agro aversano, nel capoluogo Caserta e nelle citta’ di Napoli e Milano.

Cronache della Campania@2018

Giugliano: la nuova ordinanza al ras Napolitano prima dell’imminente scarcerazione

$
0
0

Giugliano. Il ras Francesco Napolitano, detto o’ napulitan, raggiunto ieri da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, era in procinto di essere scarcerato e, verosimilmente, avrebbe potuto riprendere in mano le redini del clan, secondo gli inquirenti. La Direzione Investigativa Antimafia di Napoli ha notificato nelle carceri di Parma e di Voghera due misure cautelari Francesco Napolitano e a Michele Olimpo, detto o’ bumbularo rispettivamente, reggente ed elemento di vertice del clan Mallardo, con l’accusa di essere responsabili, in concorso, dell’omicidio di un affiliato, Mario Di Lorenzo, avvenuto il 12 ottobre del 1996 a Giugliano in Campania. Secondo gli inquirenti, decise di far uccidere Di Lorenzo a causa delle reiterate violazioni delle regole interne del clan. Grazie a questa nuova accusa ora, pero’, resta in carcere. Olimpo, invece, secondo gli investigatori, sarebbe stato, l’esecutore materiale dell’omicidio, insieme con un altro affiliato, Filippo Caracallo, che ebbe il ruolo di ‘specchiettista’. Caracallo, nel 2018, divenne successivamente collaboratore di giustizia e ha contribuito a fare luce sull’omicidio. Sono state le dichiarazioni di Caracallo, infatti, che hanno consentito di ricostruire la dinamica dell’omicidio, oltre che le attivita’ di indagine della DIA e della Direzione Distrettale Antimafia partenopea. La decisione di Caracallo di pentirsi sarebbe stata legata ai timori di essere ucciso. A destare in lui il sospetto fu una “strana” convocazione ricevuta Olimpio in quale, effettivamente, temeva che Caracallo potesse parlare.  Olimpio, preoccupato del possibile pentimento di Caracallo, aveva deciso di parlargli convocandolo a Busano in provincia di Torino dove all’epoca si trovava ai domiciliari. Proprio il giorno della convocazione, lo stesso Caracallo si era presentato ai carabinieri di Giugliano manifestando la sua volonta’ di collaborare con la giustizia nell’aprile 2018. Le sue dichiarazioni hanno trovato riscontro con le altre attivita’ d’indagine svolte. Olimpio e’ attualmente detenuto nel carcere di Voghera, condannato a 30 anni per l’omicidio di Luigi Giglioso, luogotenente di Giovanni Alfano, all’epoca a capo del sodalizio criminale egemone nel quartiere Posillipo, commesso a Napoli il 18 settembre del 1997.

(nella foto grande il ras Francesco Napolitano, nei riquadri Michele Olimpo e il pentito Filippo Caracallo)

Cronache della Campania@2018

Inchiesta sui titoli di insegnamento fasulli: nel mirino 200 insegnanti di sostegno

$
0
0

Maestre e professori assunti diciannove anni fa in Campania e adesso sotto accertamento per un titolo sospetto che li ha abilitati all’insegnamento degli alunni disabili. Nel mirino sono finiti quegli insegnanti assunti per il sostegno e poi passati a insegnare, negli anni, altre materie come italiano, inglese o matematica. Questo il quadro emerso dalle indagini amministrative avviate dall’Ufficio scolastico della Campania nell’ambito dello scandalo sui titoli di sostegno usati come scorciatoia per essere immessi in ruolo più velocemente. “Sono indagini mirate, verifiche di titoli con indicazioni del giorno dell’esame di abilitazione e la data di iscrizione ai corsi abilitanti sul sostegno che si svolgevano presso scuole ed enti privati”, confermano dall’Ufficio scolastico regionale a guida di Luisa Franzese.
A seguito della denuncia di due enti di formazione privati nel salernitano e l’inchiesta avviata a carico di tre docenti accusate di aver prodotto titolo di sostegno falso, come riporta Il Mattino, l’amministrazione scolastica avvia accertamenti sulle pratiche di immissione in ruolo sulle cattedre di sostegno agli inizi degli anni 2000. Almeno cinquecentododici docenti che tra il 1998 e il 1999 furono assunti in tutta la regione perché in possesso di un’abilitazione proprio sul sostegno, sono ora finiti sotto la lente d’ingrandimento. A far scattare le indagini amministrative è stata la scoperta di titoli di abilitazione al sostegno fasulli che facevano riferimento al periodo scolastico precedente all’anno 2000 e non si escludono altri casi simili. Sotto indagine potrebbero finire insegnanti di ruolo, quindi titolari da più di diciannove anni e ormai cinquantenni. “Prima ai corsi abilitanti privati si accedeva per fare la maestra di sostegno anche a 20 o 21 anni”, spiega un funzionario del Provveditorato di Salerno, sede in cui, il 2 dicembre scorso, è stato appiccato il rogo doloso nei locali archivio dell’ufficio. È stato quell’attentato incendiario ad accendere i riflettori anche della Procura della Repubblica di Napoli, che indaga su un giro di falsi titoli abilitativi.

Cronache della Campania@2018

Gragnano, ‘la maestra mi colpiva con i libri in testa’: il racconto choc dei bimbi maltrattati a scuola

$
0
0

“Se non capivo le spiegazioni, qualche volta la maestra mi colpiva con i libri in testa”, è parte del racconto di uno bambini, vittime delle vessazioni di due maestre del plesso “Roncalli – Siani” della scuola elementare Ungaretti di Gragnano, arrestate nel 2015 e finite sotto processo. Il piccolo testimone è stato ascoltato nell’aula del Tribunale di Torre Annunziata a porte chiuse alla presenza della madre e dell’avvocato Attanasio, come disposto dal giudice monocratico, Gabriella Ambrosino, nella prima vera udienza del processo
Gli episodi di violenza sarebbero avvenuti nella sede distaccata della scuola elementare, che accoglieva un’unica classe, una terza, e a processo per maltrattamenti aggravati ai danni di due minori, sono finite la maestra prepensionata Elisa B. (sessant’anni) e l’insegnante di sostegno Maria Laura R. (trent’otto anni). In aula erano presenti cinque parti civili (genitori degli alunni matrattati) costituite su undici parti offese individuate dalla Procura.
Il dibattimento è partito dalla vittima principale, le cui violenze subite sono anche registrate in alcuni video. Alle domande del pm e degli avvocati, il bambino, come riporta Il Mattino, si è mostrato sicuro dei suoi ricordi, purtroppo già esternati in sede di denuncia e confermati alla presenza di un sostegno psicologico. “Colpi sulle mani, strattonamenti, tirate di orecchie, schiaffi in faccia, scappellotti dietro la nuca e libri in testa”, era ciò che il bimbo doveva subire dalla maestra, soprattutto quando sbagliava le operazioni di matematica. Rimproveri e qualche schiaffo – ha raccontato – venivano riservati anche ad altri amichetti. In particolare a un’altra bimba, autistica, seguita dall’insegnante di sostegno, che subiva un trattamento molto simile al suo. In seguito alla denuncia dei genitori, i carabinieri di Gragnano avevano installato una telecamera in quell’aula, per monitorare ciò che accadeva. Prima della denuncia, però, il piccolo raccontava a casa di essere così terrorizzato da non voler più andare a scuola. La madre in aula ha raccontato che suo figlio è stato vittima di “schiaffi, strattonamenti e insulti” davanti ai compagni di classe, tanto che “non dormiva più la notte e aveva paura”.

Cronache della Campania@2018

Imprenditori antimafia arrestati nel Casertano: venerdì gli interrogatori

$
0
0

Si terranno venerdi’ prossimo gli interrogatori di garanzia dei fratelli gemelli Antonio e Nicola Diana e dello zio Armando, imprenditori di Casapesenna  arrestati ieri dalla Squadra Mobile di Caserta perche’ ritenuti vicini al clan guidato da Michele Zagaria. I tre indagati, noti in questi anni come imprenditori antimafia, dovranno difendersi da una grave accusa, quella di concorso esterno in associazione camorristica, per aver – sostengono gli inquirenti della Dda di Napoli – stretto un patto criminale, gia’ negli anni ’90, prima con il boss Vincenzo Zagaria, poi con Michele Zagaria, con lo scopo di assicurarsi la protezione del clan e crescere cosi’ imprenditorialmente; la stessa azienda di riciclo della plastica ubicata a Gricignano, secondo quanto emerso, sarebbe stata acquistata dai Diana al Tribunale Fallimentare di Bologna grazie all’interessamento dei Casalesi. In cambio – ipotizza la Dda – i Diana avrebbero cambiato piu’ volte gli assegni del clan, provenienti da imprenditori sotto estorsione, versando inoltre nelle casse della cosca cospicue somme di denaro.

Cronache della Campania@2018

In casa un vero e proprio supermercato della droga: condannato a 6 anni e 4 mesi

$
0
0

Aveva trasformato un’abitazione presa in fitto a Marcianise in un vero e proprio supermercato della dorga. Per questo motivo il giudice Sergio Enea ha condannato Giuseppe Palmieri, 31enne di Caivano, a 6 anni e 4 mesi di reclusione oltre a 26mila euro di multa.
La sentenza è stata pronunciata nella serata di ieri al termine del processo celebrato con rito abbreviato al tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il giudice ha escluso l’aggravante della recidiva ed applicato la riduzione per il rito scelto. Lo scorso luglio quando i carabinieri hanno arrestato Palmieri, insieme con una donna la cui posizione è stata stralciata, in seguito ad un blitz presso l’abitazione dei due. Nel corso dei controlli vennero trovati oltre 4 chili di hashish e 7 grammi di cocaina, oltre a un bilancino, tre telefoni cellulari e 290 euro ritenuti provento di attività illecita.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Castellammare, pizzo del 5% su lavori e ai commercianti: chiuse le indagini per 29 del clan D’Alessandro

$
0
0

Castellammare. Nella giornata di ieri sono stati notificati gli avvisi di conclusione indagini a 29 persone indagate nell’ambito di un’inchiesta che vede esponenti del clan D’Alessandro effettuare estorsioni ad imprese edili e ristoratori. L’inchiesta coordinata dalla Dda di Napoli riguarda episodi che vanno dal 2006 al 2009. Dalle tangenti incassate per i lavori privati, il racket ai danni della ditta che gestiva la sosta a pagamento in città, il pizzo ai ristoranti e persino alle ditte di pulizia. Inoltre i costruttori che dovevano eseguire i lavori dovevano versare al clan una tassa fissa pari al 5% dell’importo del lavoro su ogni cantiere appaltato. Risultano indagati: Vincenzo D’Alessandro (43enne di Castellammare di Stabia), Paolo Carolei (48enne di Castellammare di Stabia), Renato Cavaliere (47enne di Castellammare di Stabia), Giuseppe Somma (47enne di Castellammare di Stabia), Gennaro Pasqua (32enne di Castellammare di Stabia), Guglielmo Coppola (61enne di Castellammare di Stabia), Nunzio Bellarosa (31enne di Castellammare di Stabia), Gianluca Somma (36enne di Castellammare di Stabia), Diego Guida (35enne di Castellammare di Stabia), Ferdinando Gargiulo (37enne di Castellammare di Stabia), Pasquale D’Alessandro (49enne di Castellammare di Stabia), Teresa Martone (73enne di Castellammare di Stabia), Lorenzo Buonocore (33enne di Castellammare di Stabia), Vincenzo Ingenito (42enne di Castellammare di Stabia), Antonino Sansone Esposito (55enne di Castellammare di Stabia), Antonio Occidente (46enne di Castellammare di Stabia), Michele D’Alessandro figlio di Luigi (41enne di Castellammare di Stabia), Luigi Maresca (45enne di Castellammare di Stabia), Giovanni Somma (43enne di Castellammare di Stabia), Maria Concetta Amendola (38enne di Castellammare di Stabia), Salvatore Belviso (36enne di Castellammare di Stabia), Carmine Barba (40enne di Castellammare di Stabia), Vincenzo Polito (64enne di Castellammare di Stabia), Caterina Polito (36enne di Castellammare di Stabia), Salvatore Esposito (40enne di Castellammare di Stabia), Armando De Martino (38enne di Castellammare di Stabia), Giorgio Amodio(55enne di Castellammare di Stabia).

 

(nella foto i due boss Enzuccio D’Alessandro e Paolo Carolei e il pentito Renato Cavaliere)

Cronache della Campania@2018


Scrisse ‘Forza Vesuvio’ su Fb, i giudici assolvono l’ex consigliera della Lega: “Solo ignoranza”

$
0
0

Monza. “Un luogo comune intriso più di ignoranza che di dato ideologico”. I giudici della Corte d’Appello di Milano, motivano più o meno in questi termini l’assoluzione di Donatella Galli, l’ex consigliera provinciale di Monza della Lega Nord, condannata in primo grado a 20 giorni di reclusione e poi assolta a novembre scorso, per aver pubblicato su Facebook nel 2012 il post “Forza Etna, forza Vesuvio, forza Marsili”, augurandosi “una catastrofe naturale nel centro-sud Italia”. Secondo i giudici che hanno depositato le motivazioni della sentenza l’imputata ha usato in forma “sgradevole e rozza” un “luogo comune intriso più di ignoranza che di dato ideologico”, senza mettere in atto, però, alcuna “condotta propagandistica”. Galli era accusata, in particolare, di aver propagandato “idee fondate sulla superiorità razziale ed etnica degli italiani settentrionali rispetto ai meridionali” e di “discriminazione razziale ed etnica”. Il processo era scaturito dalla denuncia dell’avvocato Sergio Pisani, parte civile in qualità di presidente della Ottava Municipalità di Napoli. Per la Corte, tuttavia, come si legge nelle motivazioni, “l’imputata si è limitata a lasciare un commento ad un post altrui” nel quale era pubblicata una “fotografia dell’Italia ‘dimezzata’”. E ha dato sì un “individuale e soggettivo contributo” ad un “luogo comune intriso” di ignoranza, ma la sua non fu propaganda di idee razziste. Secondo la Corte (Ondei-Puccinelli-Nunnari), tra l’altro, c’è “identica rozzezza e sgradevolezza” negli “slogan beceri” che si sentono negli stadi con “invocazioni verso i vulcani presenti al Sud” contro le “popolazioni residenti nel Meridione”, ma anche questi slogan hanno “scarsa attitudine alla ‘propaganda’ ideologica”.

Cronache della Campania@2018

Bimba morta in piscina nel Sannio, gip dispone indagini su genitori

$
0
0

Se sia stato un omicidio o un incidente lo stabiliranno le indagini, ma questa volta gli inquirenti non dovranno tralasciare i rapporti all’interno della famiglia della vittima. A queste conclusioni e’ giunto il gip del tribunale di Benevento Flavio Cusani in ordine alla morte di Maria Ungureanu, la bimba di 9 anni trovata morta in una piscina di San Salvatore Telesino il 19 giugno 2016. Oggi l’udienza per decidere sull’archiviazione delle indagini a a carico di Daniel e Cristina Ciocan, fratello e sorella indagati fin dall’inizio per concorso in omicidio. L’autopsia e una serie di altri riscontri hanno convinto la stessa procura a chiedere l’archiviazione per entrambi, concessa dal gip solo per Cristina Ciocan. Il gip ha pero’ disposto che vengono svolte indagini anche sui genitori della bambina, una coppia di romeni che si era trasferita da qualche anno nel piccolo centro sannita. Maria si era ricongiunta alla famiglia soltanto da pochi mesi e Daniel Ciocan era un amico dei genitori che frequentava spesso casa Ungureanu. Anche nel pomeriggio del 19 giugno di tre anni fa Daniel aveva incontrato la bimba in paese e l’aveva accompagnata con la sua auto, per poi lasciarla prima di recarsi a Telese Terme dalla sorella Cristina. A suo carico non sono mai stati trovati riscontri tali da consentire una misura cautelare, gia’ rigettata dal gip, e la stessa procura di Benevento propende per una morte accidentale. Restano da verificare eventuali responsabilita’ a carico dei genitori che non avrebbero sorvegliato a dovere la bambina.

Cronache della Campania@2018

Corruzione per il trasporto disabili: condannato Ferraro, ex vicesindaco Caserta

$
0
0

Caserta. Corruzione: il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha condannato l’ex vice-sindaco di Caserta Enzo Ferraro a sette anni di carcere per corruzione ma con l’esclusione dell’aggravante mafiosa, contestata inizialmente dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Ferraro era finito ai domiciliari per la vicenda legata all’appalto dei trasporti disabili. Il pm aveva chiesto in sede di requisitoria 12 anni dei carcere. Con Ferraro è stato condannato anche l’imprenditore Angelo Grillo, ritenuto vicino al clan Belforte di Marcianise, al quale i giudici hanno inflitto 8 anni di carcere a fronte dei sei richiesti dalla Procura antimafia; sei anni e mezzo sono stati comminati all’ex dirigente del Comune di Caserta Pino Gambardella, quattro ad Assunta Mincione, segretaria di Grillo. Sono stati assolti, invece, Pasquale Valente e Paola Mincione. Per l’accusa Ferraro avrebbe intascato denaro per pilotare l’affidamento dell’appalto pubblico per il trasporto dei disabili, finito proprio a Grillo. In primo grado con la formula del rito abbreviato, celebrato nel 2017, era stato condannato Gaetano Barbato, politico casertano, ritenuto il tramite tra l’imprenditore Angelo Grillo a quattro anni di reclusione per corruzione e turbativa d’asta. Otto mesi di reclusione invece per Elpidio Baldassarre che rispondeva di turbativa d’asta. Assolti, invece Tony Finelli e Alessandra De Rosa. Il riesame aveva cancellato il capo di imputazione per corruzione nei confronti di Enzo Ferraro. Ora si attendono le motivazioni della sentenza.

Cronache della Campania@2018

Caserta, il ‘doppio gioco dei Diana’ svelato dai pentiti: Armando aiutò la mamma del boss a curarsi in Francia

$
0
0

Caserta. Il ‘doppio gioco’ degli imprenditori Diana, divisi tra legalità e camorra è stato svelato dai collaboratori di giustizia. Emerge dalle carte dell’inchiesta che ieri ha portato all’arresto ai domiciliari di Armando Diana, fratello di Mario, e dei nipoti Antonio e Nicola, per collusione con la camorra.
Sono stati i collaboratori di giustizia, una volta vicini a Zagaria, come Massimiliano Caterino, a parlare dei Diana quali imprenditori collusi, descrivendoli come componenti di un vero e proprio “cerchio magico” formato da operatori economici al servizio del boss e del clan. Caterino è stato il primo tra i collaboratori a parlare del presunto “doppio gioco” dei Diana. Nicola Diana, dopo alcune dichiarazioni del pentito, il 29 febbraio 2016, si presenta spontaneamente ai pm, prima “ostentando – si legge nell’ordinanza di arresto firmata dal Gip Miranda – il loro impegno per le legalità”, quindi ammettendo di “aver pagato negli anni con somme di 30mila euro Michele Zagaria in quanto vittime di richieste estorsive”. Il Gip bacchetta Diana per non aver mai denunciato le estorsioni subite. Caterino riferisce che Armando Diana, fratello di Mario, avrebbe anche aiutato la mamma di Michele Zagaria quando quest’ultima ebbe bisogno di cure mediche in Francia, facendola soggiornare presso una famiglia di amici. Un rapporto talmente stretto che quando il clan Russo, vicino agli Schiavone, mandò i propri uomini a chiedere il pizzo ai Diana, dovette fermarsi. Ma anche i pentito non sono pienamente concordi sul ruolo dei Diana nell’ambito del clan dei Casalesi. L’ex boss oggi pentito Antonio Iovine, dopo aver accusato il padre dei gemelli, Mario, ucciso nel 1986 e ritenuto in una sentenza definitiva vittima innocente del clan, di essere stato fino alla morte uno degli imprenditori “amici del clan”, dice che i figli Antonio e Nicola non erano soci di Zagaria, ma pagavano 30mila euro l’anno “per stare tranquilli”. Un altro pentito, Michele Barone, fratello della moglie di Antonio Diana ed ex fedelissimo del boss, difende i parenti acquisiti. “Antonio e Nicola Diana – racconta – non hanno mai avuto rapporti nè hanno mai versato somme a Michele Zagaria”; Barone riferisce solo di un “regalo” di 20mila di euro, ovvero una tangente, versato dai Diana a Zagaria, con i soldi che però non furono mai consegnati al boss ma trattenuti da Barone, che per questo fu anche picchiato da Zagaria. Il racconto di Barone, cognato di Antonio Diana, non viene però ritenuto attendibile dal Gip.
Venerdì si terranno gli interrogatori di garanzia dei tre arrestati i fratelli gemelli Antonio e Nicola Diana e dello zio Armando, imprenditori di Casapesenna. I tre indagati, noti in questi anni come imprenditori antimafia, dovranno difendersi dalla grave accusa di concorso esterno in associazione camorristica, per aver stretto un patto criminale, già negli anni ’90, prima con il boss Vincenzo Zagaria, poi con Michele Zagaria, con lo scopo di assicurarsi la protezione del clan e crescere così imprenditorialmente. I Diana hanno un’azienda di riciclo della plastica ubicata a Gricignano che, secondo quanto emerso, sarebbe stata acquistata dai Diana al Tribunale Fallimentare di Bologna grazie all’interessamento dei Casalesi. In cambio – ipotizza la Dda – i Diana avrebbero cambiato più volte gli assegni del clan, provenienti da imprenditori sotto estorsione, versando inoltre nelle casse della cosca cospicue somme di denaro.
Intanto la Fondazione Mario Diana, in una nota, esprime fiducia nella magistratura. “La Fondazione Mario Diana, in relazione alla vicenda giudiziaria che ha coinvolto il proprio presidente e vice presidente, conferma piena fiducia nella magistratura e nel corso della giustizia ed esprime solidarietà e vicinanza alle famiglie di Antonio e Nicola Diana”. Si legge nel comunicato. La Fondazione fondata dagli imprenditori Antonio e Nicola Diana, finiti ieri agli arresti domiciliari aiuta anche ragazzi svantaggiati, ed è intitolata al papà dei due imprenditori, Mario, ucciso nel 1986 dai Casalesi e riconosciuto da una sentenza irrevocabile come vittima innocente del clan. “La Fondazione – prosegue la nota – confida nel celere accertamento della verità e conferma il proprio impegno nel sostenere e proseguire le attività e le iniziative programmate nell’ambito della formazione dei giovani e della sostenibilità e tutela ambientale a beneficio della comunità in cui opera. Ringraziamo enti, associazioni e persone semplici che, attraverso i loro messaggi e la loro vicinanza, hanno espresso fiducia e stima nell’operato della Fondazione. Assieme a loro vogliamo continuare ad essere un segno di speranza per il nostro territorio”.

 

Cronache della Campania@2018

Consigliera leghista assolta per il post ‘Forza Vesuvio’, l’avvocato Pisani: “Sono senza parole, è molto triste”

$
0
0

Napoli. “Sono senza parole, è tutto molto triste e incredibile, ci vuole grande forza per andare avanti”. Commenta così l’avvocato Angelo Pisani del foro di Napoli le motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Appello di Milano ha assolto l’ex consigliera provinciale di Monza in quota Lega Nord, Donatella Galli, che era stata condannata in primo grado a venti giorni di reclusione e poi assolta, lo scorso novembre, per aver pubblicato su Facebook nel 2012 un post con su scritto “Forza Etna, forza Vesuvio, forza Marsili”. “Sapevo, come s’insegna anche ai bambini, che la legge non ammette ignoranza – dice Pisani -. Ma non ci fermeremo davanti a questa sentenza, solleciteremo la procura generale a ricorrere in Cassazione e cercheremo giustizia in ogni sede giudiziaria per la tutela dei fondamentali principi e valori del nostro ordinamento e soprattutto della nostra vita”. Pisani aveva querelato il consigliere leghista all’indomani del post apparso su Facebook. Secondo i giudici della Corte d’Appello, Donatella Galli, ha utilizzato solo un “luogo comune intriso più di ignoranza che di dato ideologico”, senza mettere in atto alcuna “condotta propagandistica”.

Cronache della Campania@2018

Viewing all 6090 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>