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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Ecco come ‘operavano’ quelli della cricca del condono facile di Lettere. TUTTI I NOMI

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Lettere. Violazione delle normative in materia edilizia, falso ideologico e corruzione. Nella giornata di ieri i carabinieri della Compagnia di Castellammare di Stabia hanno consegnato gli avvisi di conclusione di indagine ad oltre venti indagati nell’ambito di un’inchiesta sugli abusi edilizi e ristrutturazione di ristoranti ed edifici privati. Tra le persone coinvolte ci sono anche un’ex consigliera comunale, il suo ex marito, il padre di un candidato sindaco risultato poi sconfitto, dipendenti dell’ufficio tecnico del comune di Lettere. Le indagini sono partite dopo un sopralluogo in un edificio in ristrutturazione al centro di Lettere dal quale erano state emerse alcune irregolarità sulla pratica di condono. Ne conseguirono una serie di perquisizioni ed acquisizioni di documenti negli uffici del comune, i carabinieri in quella circostanza scoprirono come alcuni documenti erano stati falsificati o addirittura distrutti.
Il giro di corruttela, secondo gli investigatori, girava attorno a Sabato Fontana, responsabile dell’ufficio Tecnico ora in pensione, e ai dipendenti Luigi Gaglione, Antonio Calabrese e Vincenzo Ruocco, dal 2007 in poi tutti impiegati nelle valutazioni degli abusi edilizi. L’arco temporale risale al periodo che va dal 2015 al 2016 quando sono state eseguite diverse acquisizioni di atti negli uffici comunali portando poi alla scoperta del sistema messo a segno nel comune di Lettere. Gli investigatori hanno rilevato come i verbali di sopralluogo, le relazioni tecniche, spesso venivano accettate proprio grazie alla scomparsa di documentazione originale. Anche per il rilascio di permessi a costruire venivano utilizzati documenti falsi. Nel corso delle indagini, era stato arrestato per concussione lo stesso Fontana, preso in flagranza mentre pretendeva il pagamento di una mazzetta da 2mila euro per evitare il sequestro di un immobile abusivo. A processo finiscono anche funzionari della Soprintendenza, uno degli episodi più eclatanti degli ultimi anni riguarda la costruzione di una piscina all’interno di una proprietà dell’imprenditore edile Antonio Passarelli. Secondo l’accusa l’area, un fondo rustico, stava per essere trasformata in una struttura ricettiva con tanto di piscina e stradina di accesso.. ovviamente autorizzata. Ecco gli indagati.
Sabato Fontana 66 anni, Vincenzo Ruocco 64 anni, Luigi Gaglione 44 anni, Guido Dello Ioio 63 anni, Antonio Calabrese 54 anni, Eugenio Abagnale 69 anni, Nicola Ruocco 48 anni, Francesco Lembo 64 anni, Giuseppe Caputo 53 anni, A.Madeja Klemmer 53 anni, Vincenzo Sorrentino 64 anni, Egidio Ruotolo 64 anni, Pasquale Acampora 45 anni, A.Madeja Klemmer 53 anni, Vincenzo Sorrentino 64 anni, Egidio Ruotolo 64 anni, Pasquale Acampora 45 anni, Raffaela D’Amora 62 anni, Aniello Passaro 36 anni, Giuseppe Del Sorbo 69 anni, Paola Cesarano 54 anni, Giuseppe Cesarano 46 anni, Daniela Muto 33 anni, Angelo Schettino 41 anni, Angela Amendola 40 anni, Maria Rosaria Fontanella 54 anni, Maria Laura Del Sorbo 39 anni, Mario Gentile 41 anni.

Cronache della Campania@2018


Strage del bus sul viadotto dell’A16, oggi la sentenza di primo grado

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E’ prevista per oggi la sentenza di primo grado sulla strage del pullman che, il 28 luglio del 2013, precipitò dal viadotto “Acqualonga” dell’A16 Napoli-Canosa, tra Nola e Avellino, dove persero la vita 40 persone che tornavano da una gita religiosa. A processo, accusati a vario di titolo di concorso in omicidio colposo plurimo, disastro colposo e omissioni nella gestione e nel controllo, sono finiti il titolare della società che gestiva il pullman, i due dipendenti della Motorizzazione Civile di Napoli (quest’ultimi accusati di falso in atto pubblico per aver tentato di falsificare il documento della revisione del pullman), e 12 tra dirigenti e dipendenti di Autostrade per l’Italia, tra cui l’amministratore delegato Giovanni Castellucci e il direttore generale Riccardo Mollo. Il 28 luglio 2013 il bus turistico, in seguito a un guasto dell’impianto frenante, sfondò le barriere bordo-ponte del viadotto autostradale finendo giù dalla scarpata dopo un volo di 30 metri. Secondo una relazione tecnica, che accusa i vertici di Autostrade per l’Italia, lo stato di degrado dei tirafondi è la causa fisica principale del fatto che la barriera non è stata in grado di contenere il bus. Non ci sarebbe stata alcuna attività di controllo né di manutenzione, nonostante il prevedibile elevato rischio. Per Autostrade invece, i tirafondi non sono stati la causa della tragedia.

Cronache della Campania@2018

Corruzione a Castel Volturno: arrestati 6 tra funzionari comunali e imprenditori

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Sono funzionari del Comune di Castel Volturno  e imprenditori le persone arrestate dai carabinieri del Reparto Territoriale di Mondragone su nell’ambito dell’indagine coordinata dalla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Sei le ordinanze emesse dal Gip per i reati di concussione e Corruzione, tre in carcere e le restanti ai domiciliari. I carabinieri della Compagnia di Mondragone hanno arrestato Carmine Noviello, 59enne di Castel Volturno, dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune; Antonio Di Bona, 53enne di Casal di Principe, addetto dell’Ufficio Tecnico; Giuseppe Russo, 62enne di Castel Volturno, tecnico comunale; Luigi Cassandra, 58enne comandante della polizia municipale; Francesco Morrone, 62enne di Castel Volturno, maresciallo della locale polizia municipale; Giuseppe Verazzo, 50enne di Gaeta, geometra privato; Rosario Trapanese, 50enne di Napoli, dirigente dell’Italian Maritime Academy Technologies (IMAT) di Castel Volturno.
Gli arrestati sono accusati a vario titolo di corruzione, concussione, falso ideologico in atto pubblico, omissione di atti d’ufficio ed indebita induzione a dare o promettere utilità.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Strage del bus: assolto l’Ad di Autostrade, 12 anni a Lametta. I familiari delle vittime : ‘Venduti, vergogna’

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Assolto l’amministratore delegato di Autostrade, Giovanni Castellucci. E’ questa la sentenza di primo grado sulla strage del bus precipitato il 28 luglio del 2013, dal viadotto Acqualonga dell’A16 nel tratto irpino di Monteforte, nella quale persero la vita 40 persone. Per lui era stata chiesta una condanna a 10 anni. Il giudice monocratico del Tribunale di Avellino, Luigi Buono ha invece condannato a 12 anni il titolare dell’azienda del bus, Lametta Gennaro. Stupore e rabbia da parte dei familiari, alcuni in lacrime, dopo la lettura della sentenza dell’assoluzione dell’ad di Autostrade: “Venduti! Infami! La legge non è uguale per tutti!”, hanno urlato in aula, “Castellucci è un assassino: hanno messo fuori un assassino! Siete tutti degli assassini. Ottantatre vittime con il Ponte di Genova”.
Tanta la rabbia da parte dei familiari delle 40 vittime del bus caduto dal viadotto Acqualonga sull’A16, dopo la lettura della sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Avellino, Luigi Buono, che ha assolto l’amministratore delegato di Autostrade, Giovanni Castellucci. “E’ stato messo fuori un assassino”, ha gridato un familiare al termine della lettura della sentenza: “Vergogna, questa non è giustizia” e “dovevano pagare tutti, sono cinque anni che le nostre famiglie sono distrutte”, hanno urlato i familiari all’interno dell’aula.
Dodici anni di reclusione per Gennaro Lametta, il proprietario del bus che fu noleggiato da una comitiva di pellegrini di Pozzuoli e precipito’ dal viadotto Acqualonga, incidente nel quale morirono 40 persone. E’ la condanna piu’ grave inflitta dal giudice monocratico di Avellino, Luigi Buono, nel processo per la strage del viadotto di Acqualonga nel 2013, che ha riconosciuto per lui l’omicidio colposo plurimo, il disastro colposo e il falso per la revisione del bus. Otto anni di reclusione sono stati inflitti alla funzionaria della Motorizzazione civile di Napoli, Antonietta Ceriola, mentre il collega Vittorio Saulino e’ stato assolto. Tra i dirigenti di Autostrade per l’Italia, assieme all’ad Giovanni Castellucci, sono stati assolti anche Riccardo Mollo, Giulio Massimo Fornaci, Antonio Sorrentino, Michele Maietta e Marco Perna. Condannati a 5 anni di reclusione per disastro colposo e omissione in atti d’ufficio l’ex direttore di tronco Michele Renzi, Paolo Berti, Bruno Gerardi, Gianni Marrone. Sei anni di reclusione per Nicola Spadavecchia e Gianluca De Franceschi. I parenti delle vittime hanno bloccato l’aula e chiedono di incontrare il giudice, contro il quale si sono scagliati verbalmente con veemenza.

Cronache della Campania@2018

Anche prestazioni sessuali in cambio di licenze edilizie al comune di Castel Volturno

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ìL’ufficio comunale usato come alcova per prestazioni sessuali, ‘contropartite’ per il rilascio di autorizzazioni amministrative e permessi a costruire. E’ quanto emerso dall’indagine della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) che ha portato oggi agli arresti sei persone, tra cui il dirigente dell’Utc del Comune di Castel Volturno, Carmine Noviello e il dipendente Antonio Di Bona, il primo ritenuto figura centrale di un “consolidato sistema corruttivo” che per anni avrebbe caratterizzato la prassi amministrativa del comune del litorale domizio, noto soprattutto per il degrado socio-ambientale legato alla presenza di almeno 15mila immigrati clandestini. Per la Procura guidata da Maria Antonietta Troncone – sostituti Quaranta e Giacomo Urbano – e i carabinieri del Reparto Territoriale di Mondragone, che hanno iniziato ad indagare nel 2016 sulla base della denuncia di un cittadino che aveva chiesto un’autorizzazione sismica per un complesso residenziale, Noviello e Di Bona, finiti in carcere, avrebbero ottenuto negli anni, in modo sistematico, soldi e favori per rilasciare atti e permessi; gli inquirenti hanno intercettato i due in ufficio, scoprendo che in qualche circostanza, Di Bona in particolare, si e’ fatto pagare “in natura”, anche in Comune, da persone che chiedevano il suo intervento per vicende edilizie. Al momento non risulterebbe invece indagato il sindaco di Castel Volturno, Dimitri Russo. “Stiamo facendo altre verifiche sull’attuale vertice dell’amministrazione” ha tagliato corto il Procuratore.  Il gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Ce) ha emerso un’ordinanza di custodia cautelare, eseguita dai carabinieri della Compagnia di Mondragone (Ce), nei confronti di sette soggetti, ritenuti responsabili, dei reati di corruzione, concussione, falso ideologico in atto pubblico, indebita induzione a dare o promettere. Il provvedimento e’ scaturito da una articolata attivita’ di indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che ha permesso di individuare un sistema di corruzione all’interno dell’ufficio tecnico del comune di Castel Volturno, nel casertano, dove permessi e autorizzazioni sarebbero stati rilasciati su base di scambi di favori tra dipendenti pubblici, imprenditori e professionisti. In particolare, sono stati arrestati: Carmine Noviello, dirigente dell’ufficio tecnico; Antonio Di Bona, funzionario dello stesso ufficio; Giuseppe Russo, tecnico comunale; Luigi Cassandra e Francesco Mormone, rispettivamente comandante e maresciallo della polizia municipale di Castel Volturno; Giuseppe Verrazzo, geometra privato; l’imprenditore Rosario Trapanese, vertice dell’Italian Maritime Academy Technologies con sede a Castel Volturno Pineta Mare. L’indagine e’ partita a settembre 2016 in seguito alla denuncia di un cittadino che ha segnalato come la documentazione prodotta presso il competente Ufficio del Genio Civile, per l’acquisizione dell’autorizzazione sismica, per un complesso denominato residenziale denominato “Le anfore” in via Domitiana a Castel Volturno, non fosse corrispondente allo stato dei luoghi e non riportasse le reali caratteristiche e consistenze costruttive e funzionali dell’immobile. La Procura ha pertanto avviato un’attivita’ di intercettazione e notificato gli avvisi di garanzia ai sette, al termine di tutti gli accertamenti. Le attivita’ investigative parallele hanno permesso immediatamente di far emergere la figura di Verrazzo, che in passato aveva collaborato come tecnico esterno e con contratto a termine con l’Utc di Castel Volturno. E’ venuto alla luce, dalle intercettazioni, un sistema corruttivo di cui, secondo gli investigatori, era protagonista Noviello. “Le intercettazioni – ha spiegato in un comunicato il procuratore di Santa Maria Capua Vetere – risultavano sconcertanti tanto da paventare un consolidato sistema corruttivo nonche’ una gestione dell’Ufficio improntata a logiche di gestione clientelare”. I sette, seppur non operando in maniera associativa, agivano, secondo gli inquirenti, ognuno per raggiungere vantaggi di tipo strettamente personale favorendo determinati soggetti.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Sentenza strage del bus, i legali degli imputati: ‘Ricorreremo in Appello’

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“Ricorreremo in Appello perche’ siamo convinti che Lametta non abbia alcuna responsabilita’”. Accoglie cosi’ la sentenza di condanna a 12 anni di reclusione l’avvocato Sergio Pisani, che ha difeso in questi 5 anni e mezzo il principale imputato nel processo per la strage del viadotto Acqualonga sulla A16. Gennaro Lametta e’ stato infatti riconosciuto colpevole dal tribunale di Avellino di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e per il falso nella revisione del bus precipitato dal viadotto autostradale. “Quell’incidente ha causato 40 vittime – prosegue Pisani – perche’ e’ mancata la manutenzione alle barriere, che Autostrade per l’Italia avrebbe dovuto assicurare”. Di tutt’altro tenore la reazione del legale del funzionario della Motorizzazione Civile di Napoli, Vittorio Saulino, assolto con formula piena dalle accuse di disastro colposo, omicidio colposo plurimo e falso per la revisione del bus. Saulino, a differenza della collega Antonietta Ceriola, condannata a 8 anni di reclusione, non era presente nei giorni in cui veniva confezionato ad hoc il documento e la sua firma e’ stata falsificata. “Ho avviato il mio assistito – racconta l’avvocato Antonio Rauzzino – e non riusciva a parlare per la gioia. Siamo pienamente soddisfatti, soprattutto perche’ il giudice non solo ha accolto la nostra ricostruzione dei fatti, ma ha addirittura trasmesso gli atti alla procura di Napoli per le false testimonianze a carico del mio assistito”. Nella sentenza, il giudice Luigi Buono ha infatti ordinato la trasmissione degli atti relativi al direttore della Motorizzazione Civile di Napoli che durante il dibattimento, chiamato a testimoniare, ha riferito di aver raccolto da Saulino la confessione di una sua precisa responsabilita’ nella falsificazione della revisione e di aver stilato un rapporto inviato poi alla procura della repubblica. Alle dichiarazioni del direttore non e’ stato trovato riscontro e si procedera’ per falsa testimonanza.

Cronache della Campania@2018

Strage bus, Di Maio:”Capisco la rabbia, toglieremo le concessioni ad Aspi”. Salvini: “Qualcuno deve pagare”

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Avellino. “Le sentite queste grida? Sono quelle di chi si sente dire dallo Stato che non esiste un colpevole per la morte di suo figlio, sua figlia, sua mamma, suo papà, suo fratello, sua sorella. Morirono in 40 precipitando giù da un cavalcavia con un pullman in provincia di Avellino. Quel guard-rail di Autostrade poteva reggere invece di essere tranciato come carta velina? Secondo molti esperti e periti che hanno preso parte al processo, si’! Secondo i giudici invece, Autostrade per l’Italia non ha colpe. E’ incomprensibile. Ma il mio non è un attacco ai giudici”. Lo ha scritto su Facebook il vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, che pubblica un video che documenta le proteste dei parenti delle vittime dopo la lettura della sentenza sulla strade del 28 luglio 2013. “Il grido di dolore delle famiglie delle vittime di Avellino dopo l’assoluzione dell’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Giovanni Castellucci lo capisco e mi fa incazzare – aggiunge Di Maio -. Per essere chiari: io ce l’ho con la feccia politica che in questi anni ha firmato ad Autostrade contratti capestro che li solleva da ogni responsabilità, dandogli tutte le garanzie economiche e legali del caso. E’ dalla caduta del Ponte Morandi che come Governo stiamo lavorando per togliere le concessioni ad Autostrade. Più ci leggiamo le carte, più capiamo che ai Benetton era stata garantita impunità e profitti sicuri come a nessuno mai nella storia di questo Paese. Ma ce la faremo a spuntarla. Non so quanto tempo ci vorrà, ma le autostrade ce le riprendiamo! Non dimentico la promessa fatta ai familiari delle vittime del crollo del Ponte Morandi di Genova: toglieremo la concessione ad Autostrade per l’Italia. Chi sbaglia paga e deve essere messo in condizioni di non nuocere più – conclude Di Maio -. Un abbraccio alle famiglie delle vittime di Avellino e del Ponte Morandi”. Anche il vicepremier-Ministro dell’Interno Matteo Salvini ha commentato in diretta Facebook la sentenza del tribunale di Avellino sottolineando che il provvedimento ‘assolve qualcuno che ha la responsabilità dei morti’. Poi ha aggiunto: “Devo leggere le motivazioni e non commento le sentenze, ma qualcuno deve pagare per quei morti”.

Cronache della Campania@2018

Strage bus, Autostrade: “La colpa è delle condizioni del bus”. Il legale: “Ricorso contro le condanne dei tecnici di Aspi”

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Avellino. La sentenza per la strage del bus non soddisfa neppure la società Autostrade e i suoi legali. Autostrade per l’Italia (gruppo Atlantia) in un comunicato scrive che, “nel ribadire nuovamente la più profonda e sentita vicinanza ai parenti delle vittime, esprime rammarico in merito alla sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Avellino nei confronti delle strutture tecniche della Direzione di Tronco di Cassino nella sentenza per la strage del bus sull’A16 del 2013”. I legali dei dirigenti e dei funzionari coinvolti, si legge in una nota di Aspi, si riservano la lettura delle motivazioni per ricostruire il percorso logico-giuridico seguito dal Giudice, a fronte delle solide argomentazioni difensive proposte dagli imputati nel corso del dibattimento che hanno dimostrato la correttezza del loro operato. Autostrade per l’Italia ribadisce, poi, che nel corso del dibattimento e’ emerso con chiarezza che la causa dell’incidente è riconducibile alle disastrose condizioni del bus – che viaggiava con un milione di chilometri, non aveva meccanica in ordine, non era mai stato sottoposto a revisione e aveva gli pneumatici usurati e non omologati, oltre che il sistema frenante non funzionante – e alla condotta dell’autista.
Giorgio Perroni, difensore di Autostrade per l’Italia commenta la sentenza e annuncia ricorso in appello contro le condanne: “La sentenza sconfessa l’ipotesi  accusatoria in cui erano indagati tutti i vertici apicali della società, addirittura l’amministratore delegato per cui era stata  chiesta, senza alcun fondamento e dopo che la difesa aveva dimostrato ampiamente la correttezza del suo operato, una pena di 10 anni di reclusione” ha detto l’avvocato. “Per valutare una sentenza – afferma il legale di Aspi – bisogna sempre considerare la richiesta di condanna, che era di 10 anni di reclusione  per tutti i 12 imputati di Autostrade per l’Italia. La sentenza è andata in modo completamente diverso: sei assoluzioni e sei condanne, con pene sono state dimezzate rispetto alle richieste della Pubblico Ministero”. “Dopo la lettura del dispositivo il primo pensiero va a chi, a mio avviso, è stato ingiustamente condannato. Cercheremo di ribaltare questo verdetto in appello – annuncia Perroni – e siamo sicuri di ottenere l’assoluzione di chi è stato condannato oggi”.

Cronache della Campania@2018


Strage bus, i parenti delle vittime: “Sentenza ingiusta, sono assassini ci hanno tolto tutto”

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Aspre le proteste dei familiari delle vittime della strage del bus caduto nella scarpata ad Avellino, dopo l’assoluzione dell’amministratore delegato di Autostrade, Giovanni Castelluccio.”Sono assassini, ci hanno tolto tutto” “Ci hanno tolto tutto, ormai non abbiamo più nulla, loro possono fare tutto grazie al potere e noi restiamo le uniche vittime”. Queste alcune delle parole pronunciate dai familiari. Giuseppe Bruno nell’incidente del 28 luglio 2013 ha perso i genitori e non ha mai mancato un’udienza del processo a carico dei dirigenti di Autostrade per l’Italia, dei funzionari della Motorizzazione Civile di Napoli e del proprietario del Bus, Gennaro Lametta. La sua rabbia è esplosa assieme a quella degli altri familiari presenti nell’aula del tribunale di Avellino. “E’ una sentenza profondamente ingiusta – dice – ci aspettavamo la condanna dell’amministratore delegato di Autostrade. E’ lui il vero responsabile. Ci sono stati altri morti, dopo i nostri. A chi dobbiamo chiedere conto della manutenzione?”. Nessuno dei familiari si e’ costituito parte civile nel processo e tutti hanno accettato i risarcimenti proposti da Aspi.
“I morti siamo noi”, ha urlato Clorinda Iaccarino, sopravvissuta a quel volo di 25 metri dal viadotto. Piange e si dispera, perché ha perso il marito e le figlie di 20 e 16 anni. Si dice “miracolata” perchè è viva, “ma la mia vita è finita. Solo la giustizia divina mi resta”. Sono stati in molti a urlare “ottantatré”, il numero delle vittime della strage in A16 e di quella per il crollo del ponte di Genova.
“Desidero esprimere la massima solidarietà ai parenti delle vittime della strage di Avellino, il vostro dolore è anche il nostro. Siamo sorpresi per questa sentenza e attendiamo di leggere le motivazioni, intanto andremo avanti insieme ai familiari, dando loro il massimo sostegno qualora decidessero di andare in Cassazione”, così Alessandro Amitrano, deputato campano del MoVimento 5 Stelle, commentando la sentenza di assoluzione in primo grado dell’ad di Autostrade Giovanni Castellucci, nel corso del processo sulla strage di Avellino. “Su Avellino chiediamo da troppo tempo la verità, la meritano le famiglie delle 40 persone che hanno perso la vita e non li lasceremo da soli. Questa vicenda non si può concludere senza che siano emerse fino in fondo le responsabilità”, conclude Amitrano.

Cronache della Campania@2018

Casavatore, il Tar conferma lo scioglimento per camorra del Comune

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Casavatore. Il Tar del Lazio rigetta il ricorso degli ex amministratori del Comune di Casavatore sciolto per camorra nel gennaio del 2017. Il tribunale amministrativo del Lazio non ha rilevato illegittimità nel provvedimento con il quale era stato sciolto il consiglio comunale dell’importante centro della Città metropolitana di Napoli, per la ritenuta esistenza di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata. Il Tar del Lazio ha respinto il ricorso proposto dagli ex amministratori, con in testa l’ex sindaco Lorenza Orefice. Con l’impugnativa i ricorrenti rappresentavano come il provvedimento di scioglimento avrebbe a loro avviso acriticamente recepito il contenuto della relazione prefettizia, a sua volta inficiata da un’erronea ricostruzione dei fatti. Per il Tar, “in punto di fatto è opportuno considerare come la proposta di scioglimento formulata dal Ministero dell’interno e che del decreto presidenziale impugnato costituisce parte integrante, presenta una motivazione dettagliata, che si basa su più nuclei argomentativi. Tra questi, in primo luogo e con particolare evidenza, è menzionato il fatto che, all’esito di un’attività investigativa condotta dalla locale stazione dei Carabinieri e dalla Compagnia di Casoria, la Procura di Napoli ha emesso un avviso di conclusioni delle indagini”. I fatti contestati “e il, conseguentemente, altissimo rischio di permeabilità della giunta da parte della locale criminalità organizzata connessa alla ricostruzione posta a base dell’avviso di conclusioni indagini, costituiscono dunque motivazione sufficiente dello scioglimento”. Tutti gli elementi raccolti, quindi, messi in evidenza “dalla relazione prefettizia, sulla base dell’istruttoria condotta dalla Commissione d’accesso, sono dal Collegio ritenuti sintomatici di situazioni di condizionamento e di ingerenza, nella gestione dell’ente comunale, nonché rilevanti, in quanto produttivi di una azione amministrativa inadeguata a garantire gli interessi della collettività locale”.

Cronache della Campania@2018

Camorra di esportazione: in 52 del clan Terracciano a processo a Firenze

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Cominciato oggi all’aula bunker di Firenze il processo di camorra al clan Terracciano, operativo a Prato negli anni 2000. E’ uno dei processi con piu’ imputati, dove sia contestata l’accusa di 416 bis (associazione mafiosa), celebrati in Toscana. Alla sbarra 52 imputati, rinviati a giudizio grazie a indagini della Dda di Firenze e della guardia di finanza avviate nel 2007 per una articolata serie di episodi criminali. Il clan, in un clima di intimidazione e omerta’ instaurato a Prato e nei territori di pertinenza, avrebbe mirato a controllare a fini di riciclaggio aziende commerciali affidate a prestanome locali e tenute sotto mira da fiancheggiatori, poi sequestrate nel corso dell’inchiesta. Il processo vede 16 imputati per il 416 bis, l’associazione a delinquere di stampo mafioso, anche armata, con reati fine come usura, estorsione, scommesse clandestine, sfruttamento della prostituzione, riciclaggio, locali notturni, ristorazione, commercio, abbigliamento, automobili, societa’ immobiliari. Per gli altri imputati viene contestato il concorso nei reati in cui il clan si era specializzato. Al processo figurano imputati di spicco, tra cui Giacomo Terracciano, 67 anni, e Carlo Terracciano, 70, originari di Pollena Trocchia in provincia di Napoli, considerati i vertici della camorra a Prato; il cassiere e ‘specialista finanziario’ del clan Francesco Lo Ioco, 67, di Nicosia (Enna); Pasquale Ascione, 49, guardia del corpo e personaggio dato in ascesa nel clan, fino alle indagini. I Terracciano imponevano il loro ruolo nella ‘mala’ in Toscana anche esaltando i loro trascorsi nella Nuova Famiglia del clan Cutolo. Prossima udienza l’11 aprile, sempre all’aula bunker di Firenze.

Cronache della Campania@2018

Incidente mortale a Benevento, salgono a tre gli indagati per la morte di Carminuccio Tuccino

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Benevento. Travolsero un 56enne uccidendolo e rimasero ferite due donne tra le quali la madre della vittima: salgono a tre gli indagati per la morte di Carminuccio Tuccino Polvere, avvenuta sulla statale 372 alla periferia di Benevento il 2 gennaio scorso. Il pm della Procura di Benevento, Francesco Sansobrino, insieme con il decreto di convalida del sequestro dei mezzi ha notificato anche un’informazione di garanzia nei confronti del conducente della vettura coinvolta nel primo tamponamento. L’incidente era avvenuto sul raccordo che collega la Telesina al casello autostradale di Castel del Lago, tra la vettura, un Fiat doblò, a bordo del quale viaggiava la vittima e la madre di 76 anni, che era stata tamponata leggermente da una Fiat Punto guidata da una donna di 43 anni di Alife, in provincia di Caserta. L’uomo, sceso per constatare i danni, era stato poi travolto da un tir, sopraggiunto poco dopo. Prima della collisione mortale un fuoristrada era piombato sulle due auto incidentate. Nell’incidente erano rimaste ferite anche la madre di Tuccino Polvere e la conducente del fuoristrada.

Cronache della Campania@2018

Morte della ballerina di Melito, la Procura presenta Appello contro la condanna ‘mite’ all’ex fidanzato

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Il pm Valeria Palmieri della Procura di Napoli Nord ha presento Appello contro la sentenza di primo grado che ha condannato a 4 anni e otto per omicidio stradale Giuseppe Varriale, il 26enne di Mugnano accusato dell’omicidio della sua ex fidanzata, la ballerina Alessandra Madonna. La pubblica accusa, per quella morte, aveva chiesto la condanna a 30 anni per omicidio volontario. Secondo il gup Antonino Santoro che a novembre aveva emesso la sentenza nel processo che si era celebrato con rito abbreviato: “L’intenzione di fondo dell’imputato era quella di allontanarsi velocemente da quella discussione e non quella di percuotere o ledere la ragazza”, così come riportato nelle 38 pagine delle motivazioni. E ora il pm ha presentato Appello perché: “La condotta di Giuseppe Varriale sulla base degli elementi probatori raccolti, può dirsi sorretta dal dolo eventuale. L’aver agito, accettando l’eventualità dell’evento morte come prezzo eventuale dell’obiettivo perseguito, consente di ricondurre il caso concreto nella fattispecie dell’omicidio volontario… Infine qualora dovesse essere riconosciuta la colpa e non il dolo, che sia applicata l’aggravante dello stato di ebbrezza”.  Il pm, tra l’altro in subordine, ha chiesto che la condotta dell’imputato possa essere assumibile nella fattispecie dell’omicidio preterintenzionale.

Cronache della Campania@2018

Pagarono la squillo con soldi falsi: assolti

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Assolti i due clienti di una prostituta che cercarono di pagare una prestazione sessuale con una banconota falsa. La donna li denunciò per rapina a mano armata e violenza. I due clienti finirono agli arresti domiciliari poi dopo il rito abbreviato sono stati assolti. Il fatto è avvenuto lo scorso giugno, la protagonista in assoluto è una prostituta che svolgeva la sua attività in un’abitazione nel cuore di Aversa. I militari accolta la denuncia della prostituta si adoperarono anche per una perquisizione domiciliare dei due accusati di aver rubato un computer e due collanine armati di pistola. Il pm aveva chiesto per loro sette anni di carcere sostenendo che i due si erano recati in casa non in cerca di una prestazione sessuale ma per rubare. Gli imputati si sono difesi dicendo che la donna si era rifiutata di concedersi dopo aver costatato la falsità di una banconota. Dopo averli messi alla porta andò a denunciare. Ieri il Tribunale di Napoli ha assolto i due.

Cronache della Campania@2018

Attentati ai parchi eolici, in 4 tornano in carcere

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Erano stati rimessi in liberta’ da una sentenza del Tribunale del Riesame di Napoli, ma la Corte di Cassazione ha annullato quel provvedimento disponendo le precedenti misure cautelari per quattro persone accusate di tentata estorsione continuata in concorso e danneggiamento nei confronti di societa’ che gestiscono parchi eolici nei comuni di Bisaccia e Lacedonia nell’Avelinese. I quattro, tutti residenti nei due centri irpini, con eta’ tra i 19 e i 35 anni, erano stati arrestati nel luglio dell’anno scorso perche’ ritenuti responsabili di attentati anche incendiari nei confronti di turbine e pale eoliche a cui facevano seguito richieste di denaro ai titolari delle societa’ per evitare guai peggiori. Le indagini, cominciate nell’estate del 2017 erano state avviate dai carabinieri della Compagnia di Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino) che stamattina hanno provveduto a notificare la misura cautelare degli arresti domiciliari agli indagati.

Cronache della Campania@2018


Camorra, torna libero dopo 10 anni il boss degli Scissionisti, Giuseppe Bastone

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Napoli. Torna libero dopo 10 anni di detenzione il boss Giuseppe Bastone, 38enne di Scampia, uno dei protagonisti della scissione degli Amato-Pagano insieme con il fratello Antonio. Secondo il racconto dei pentiti i due fratelli avevano un canale privilegiato con i narcos colombiani per l’importazione della cocaina in Italia. E per questo che il loro ruolo all’interno del gruppo degli ‘Scissionisti’ è sempre stato di primo piano. Fu arrestato il 5 agosto del 2009 all’interno del suo bunker a Scampia.
Latitante dal 2008, venne scoperto in un rifugio sotterraneo in via Labriola al quale si accedeva attraverso una botola posta al di sotto delle scale e oltrepassando una pesante porta d’acciaio. Per raggiungerlo bisognava percorrere un cunicolo lungo oltre 200 metri, talmente stretto che per percorrerlo era necessario procedere distesi, e che fungeva anche da via di fuga perché spuntava in aperta campagna. All’interno della stanza c’erano televisore, frigorifero e anche un lettore dvd. Nel 2014 era stato scarcerato e posto agli arresti domiciliari ma in breve tempo fece perdere le sue tracce. I carabinieri nel marzo del 2015 lo rintracciarono in una clinica di Torino dove si era fatto ricoverare per accertamenti. Ora dopo altri tre anni di carcere è stato definitivamente scarcerato.

Cronache della Campania@2018

Estorsioni per conto dei Casalesi a Trieste: il Riesame conferma il carcere

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I giudici del tribunale del Riesame di Trieste hanno confermato l’ordinanza di custodia cautelare emessa il 7 dicembre scorso nei confronti dell’ imprenditore Francesco Salvatore Paolo Iozzino e del broker Fabio Gaiatto, arrestati dalla Dia di Trieste nell’ ambito dell’operazione “Piano B” conclusasi con l’arresto di 7 persone in Italia. I magistrati del Riesame non hanno confermato due circostanze aggravanti, e hanno annullato l’ordinanza di custodia a carico di Gaiatto in relazione a un singolo evento contestato. Iozzino, di 56 anni, di Legnano ma residente a Resana in provincia di Treviso, e Gaiatto, imprenditore di Portogruaro, erano stati arrestati in esecuzione dell’ordinanza di custodia insieme con altre cinque persone. Secondo l’accusa, i due avrebbero partecipato, a vario titolo, a estorsioni commesse in Croazia e pianificate in Italia, aggravate dal metodo mafioso e dalla transnazionalita’ del reato e finalizzate a favorire gli interessi del clan camorristico campano dei Casalesi.

Cronache della Campania@2018

Cadavere bruciato nell’auto: ergastolo al killer

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La Cassazione ha messo la parola fine al processo per il violento delitto avvenuto il 27 maggio 2014 in una villetta di Pescopagano a Mondragone, confermando la pena all’ergastolo per Giuseppe De Filippis, 47 anni, e quella a quindici anni per Nino Capaldo, 52 anni. In questi giorni sono state rese note le motivazioni con le quali gli ermellini hanno respinto i ricorsi dei due imputati.
L’omicidio avvenne quattro anni e mezzo fa. De Filippis e Capaldo avevano convocato la vittima, Edokpa Gowin detto “Nokia”, a Mondragone dove gli doveva essere consegnata una partita di droga già pagata. Ma il corriere arrivò senza la ‘merce’, affermando che era nascosta a casa della sorella. Si avviarono insieme per prenderla, ma ad un tratto lo straniero tentò di scappare. Fu bloccato e riportato nella villetta di Mondragone, dove fu prima pestato e poi ucciso con due colpi di pistola: uno al petto, l’altro in testa. Poi il cadavere fu portato insieme con l’auto nelle campagne di Villa Literno dove fu dato alle fiamme. I giudici del tribunale di Santa Maria Capua Vetere decretarono la pena dell’ergastolo a De Filippis e 15 anni a Capaldo. Pena confermata anche in Appello e sulla quale adesso è stata messa la parola fine dalla Cassazione. Gli ermellini, infatti, non hanno accolto i ricorsi degli avvocati difensori degli imputati, ritenendoli non fondati.
Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Mazzette per pilotare le indagini: arrestati 2 magistrati, e spunta di nuovo Tiziano Renzi

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Millantando che avrebbe pilotato un solo processo, il giudice tranese Michele Nardi, ora pm a Roma, tento’ di farsi consegnare da un imprenditore pugliese due milioni di euro. Somma che non ottenne perche’ ritenuta dalla vittima troppo elevata. In precedenza lo stesso magistrato, per insabbiare altri procedimenti giudiziari, aveva gia’ ottenuto dallo stesso imprenditore, Flavio D’Introno, lavori di ristrutturazione di una casa romana (per 130mila euro), di una villa (per 600mila euro), un Rolex Daytona in oro da 34mila euro, due diamanti da un carato ciascuno (da 27mila euro ognuno) e un viaggio a Dubai. Secondo la Procura di Lecce, Nardi era il capo dell’associazione per delinquere che a Trani pilotava le sentenze penali e tributarie e insabbiava le indagini a carico di ricchi imprenditori assieme al collega pm Antonio Savasta, ora giudice a Roma. Nardi e Savasta oggi sono stati arrestati e condotti in carcere con le accuse di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso per fatti commessi tra il 2014 e il 2018. Con loro ha varcato le porte del penitenziario di Lecce l’ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro, ritenuto complice di Savasta. Sono stati invece interdetti dalla professione due avvocati pugliesi (Simona Cuomo e Vincenzo Sfrecola), ritenuti intermediari, e l’imprenditore fiorentino Luigi Dagostino, che in passato ha avuto rapporti d’affari con il papa’ dell’ex premier Matteo Renzi. Savasta da anni e’ al centro di indagini penali e disciplinari, proprio per questo nel 2015 tento’ di ottenere un incarico fuori ruolo a Roma, per allontanarsi dai ‘pettegolezzi’ tranesi. In aiuto di Savasta intervenne l’imprenditore Dagostino che – secondo la Procura di Lecce – procuro’ al pm un incontro a Palazzo Chigi con l’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti. Questo incontro, che Savasta sollecito’ a Dagostino tramite l’avvocato Sfrecola, avvenne il 17 giugno 2015. Per questo fatto, Savasta, Sfrecola e Dagostino sono indagati per corruzione in atti giudiziari. Tutti e tre, infatti, parteciparono all’incontro con Lotti e in cambio Savasta, che indagava su Dagostino per un giro di presunte fatture false, omise volutamente – secondo l’accusa – approfondimenti sul conto dell’imprenditore fiorentino che era il vero beneficiario degli utili del raggiro. Ma chi riusci’ a portare Savasta a Palazzo Chigi? Secondo le indagini sarebbe stato proprio Tiziano Renzi, il padre dell’ex presidente del Consiglio, Matteo. A confermarlo ai pm di Firenze (che hanno indagato sulla vicenda prima di trasmettere gli atti a Trani) e’ stato lo stesso imprenditore. Interrogato nell’aprile 2018, Dagostino ha riferito di aver chiesto a Tiziano Renzi di incontrare Lotti perche’ il pm Savasta aveva in mente un disegno di legge sui rifiuti a Roma. Sul punto e’ stato successivamente sentito due volte lo stesso Lotti, ad aprile e a maggio 2018. “Ho una conoscenza superficiale di Antonio Savasta – ha spiegato Lotti ai pm – sicuramente me l’hanno presentato ma non ricordo chi ne’ in quale occasione”. Lotti dice di non ricordare l’argomento dell’incontro ma “di regola Dagostino – aggiunge – mi parlava di suoi interesse a Firenze e delle sue attivita’ riguardanti il the Mall e sul fatto che voleva costruire un centro commerciale in Puglia, a Fasano”. Ma per capire l’ampiezza dell’indagine sul malaffare tranese coordinata dal procuratore di Lecce, Leonardo Leone de Castris, basta dare un’occhiata ai beni per due milioni di euro sequestrati agli indagati. Al magistrato Nardi sono stati sequestrati 672mila euro, tra cui un Rolex e diamanti; all’altro magistrato Antonio Savasta 490.000 euro; altri 436mila sono stati sequestrati rispettivamente all’ispettore Di Chiaro e all’avvocatessa Cuomo. Dagostino e Sfrecola sono stati privati ‘solo’ di 53mila euro. La magistratura leccese ha ritenuto di dover disporre il carcere per i due magistrati “tenuto conto del concreto pericolo di reiterazione di condotte criminose e del gravissimo, documentato e attuale rischio di inquinamento probatorio”.

Cronache della Campania@2018

Operazione ‘Olimpo’: l’emissario fece la ‘cresta’ sulla quota del pizzo da versare al clan. LE INTERCETTAZIONI

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Il Costruttore Giuseppe Passarelli con il quale la società PolGre, i cui azionisti erano i Polese e Adolfo Greco, aveva stipulato un contratto di permuta per la riqualificazione dell’ex area industriale Cirio aveva interessi immobiliari nel Beneventano. Passarelli doveva delle somme di danaro ad alcuni camorristi beneventani, appartenenti al Clan Sparandeo, e si serviva di Vincenzo Di Vuolo, detto ‘Terra Terra’, e uomo di fiducia di Liberato Paturzo detto Cocò (l’imprenditore del clan D’Alessandro) è quanto si legge nelle oltre ottocento pagine dell’informativa che poi ha portato all’operazione “Olimpo”. Passarelli doveva dare dei soldi a Benevento, non avendo onorato il suo impegno la cifra era lievitata di Cinquemila euro.
Vincenzo: “Hanno avuto un problema a Benevento!”
Moglie di Vincenzo: “Che problema hanno avuto?
Vincenzo: “ L’ingegnere (incomprensibile) … non ha pagato mo vuole trovando altri soldi. Mo
domani mi manda 5.000 euro, … dopodomani mi manda 5.000 euro e si deve andare a Benevento! (breve pausa) Non mi ci devo mettere in mezzo? No, rispondimi!”
Moglie di Vincenzo: “Ma perché poi ti vengono a chiedere questo piacere a te!?”
Vincenzo: “Gina mi comandano a me, io ci vado a duecento orario, … ma non esiste proprio, stiamo parlando di un cristiano che voglio bene, un cristiano che mi ha dato 7. 000 euro in due mesi. Ecco questi sono i compagni li vedi? Ha detto Enzo mo solo tu mi puoi risolvere il problema…”
Da questa conversazione tra Vincenzo Di Vuolo e la moglie Gina si evince la conferma della dipendenza economica di quest’ultimo da Passarelli. Di Vuolo, infatti, affermava che in due mesi aveva percepito dal costruttore 7mila euro, verosimilmente – si legge – per la risoluzione di vicende simili, non sussistendo alcun altro tipo di prestazione professionale che il Di Vuolo aveva mai svolto per quegli imprenditori. Dieci minuti dopo Vincenzo Di Vuolo chiamava la persona con la quale aveva appena avuto l’incontro e gli raccomandava di portare altri soldi da dare al misterioso creditore in quanto voleva definire una volta per tutte la vicenda. L’analisi della conversazione permetteva di ipotizzare che, verosimilmente, vi era stato ed era ancora in corso un pagamento di denaro cadenzato in più tranche.
Vincenzo: “… geometra sono Vincenzo, … vi volevo chiedere una cortesia, dopodomani che ci vediamo, mi sentite? Se cortesemente mi portate pure le … , come vi devo dire, le … tf:.
totale versato dei preventivi che hanno fatto, no? Avete capito, che in modo io vedo
se ci fanno un poco di sconto sistemato e pulito e vediamo di chiuderla questa
fatica. Avete capito, diciamo tutti gli anticipi fattura per fattura che in modo io gli
porto i dettagli e vediamo di chiuderla, va bene? Anche questo mi serve, ci vediamo
il 27, … buonasera, buonasera, buonasera. (Si rivolge a sua moglie) Io magari ci
vado e speriamo che non se li (incomprensibile)”.
Moglie di Vincenzo: “… vuol dire che …”
Vincenzo: “… no, dimmi come faccio a non andarci! Se mi dici come faccio! Anche se
dopodomani da qua me ne devo andare alle cinque”
Vincenzo: “… perché poi te lo spiego dopo, … se io riesco e vedo di chiudere a zero e me li da a me io me li butto nel “secretè”. ‘… ho chiuso come dicevate voi però mandategli
un pensiero a Pasqua, a pasqua prendetene cinque e glieli mandate’, … hai capito?”
Di Vuolo insieme alla moglie, alla figlia minore parte alla volta di Benevento. Di Vuolo nel dialogo con i camorristi sanniti avrebbe fatto leva sulla circostanza che vi erano stati già altri pagamenti e, soprattutto, sul nome di “Michele” persona indicata da Di Vuolo Vincenzo quale persona interessata alla definizione della vicenda. In realtà il Vincenzo farà da intermediario in un’estorsione subita dal Passarelli ad opera del clan Sparandeo di Benevento per la costruzione del cosiddetto “Palazzo Passarelli”, un complesso residenziale al centro della città sannita. Il clan locale cosiddetto facente capo a Saverio Sparandeo, aveva richiesto una rilevante somma di denaro a titolo di estorsione. Passarelli, fino all’intervento di Di Vuolo, aveva pagato con più rate circa 60mila euro. Vincenzo Di Vuolo, spacciandosi per un portatore di interessi del clan D’Alessandro, voleva evitare l’ulteriore pagamento appropriandosi, all’insaputa dell’ingegnere, della somma di denaro ricevuta da quest’ultimo. Durante il viaggio Di Vuolo confidava alla moglie di aver ricevuto dal geometra la somma di 7.300 euro così ripartiti: 5.000 euro destinati allo Sparandeo e 2.300 euro a lui. L’atto di generosità dell’ingegnere nell’avergli voluto corrispondere 2.300 euro per l’intermediazione svolta, lo faceva tentennare dal suo iniziale intento di intascare indebitamente l’intera somma nel caso fosse riuscito ad evitare il pagamento dell’estorsione, salvo poi ripensarci. Intanto la famiglia, in auto, stava quasi per arrivare a Benevento ed iniziavano i primi contatti finalizzati a comprendere esattamente il luogo dell’incontro. Vincenzo Di Vuolo chiamava un geometra il quale gli comunicava il luogo dell’appuntamento.
Saverio Di Vuolo: “Che parte di Benevento?”
Vincenzo: “… vuoi trovando la via?”
Saverio Di Vuolo: “… no a che parte, … si dimmi la via”
Vincenzo: “… mo mi faccio dire la via dal geometra … geometra scusate, la via qual è?”
Poco dopo le 14 Vincenzo Di Vuolo scendeva dall’auto mentre la moglie e i figli restavano in macchina in attesa del suo ritorno. Saverio Sparandeo era nella sua abitazione. Li vi erano alcuni poliziotti che monitoravano la scena, nonostante l’insufficienza di personale decidevano di intervenire. Di Vuolo riesce a scappare perché l’immobile però era protetto da più porte blindate, ubicate anche sul retro, che ne impedivano l’immediato accesso. L’operazione di Polizia era seguita dai familiari di Di Vuolo che dall’auto riuscivano ad osservare quanto stava accadendo.
Saverio Di Vuolo: “Eccola la “Grande Punto”
Moglie di Vincenzo: “… stai zitto”
Saverio Di Vuolo: “… la Grande Punto eccola!”
I presenti nell’abitacolo individuavano l’auto civetta generalmente in uso alle forze di Polizia e resisi conto di quanto stava accadendo si adoperavano per recuperare Vincenzo Di Vuolo.
Moglie di Vincenzo: “…mannaggia la Madonna! Non li guardiamo Saverio”
Saverio Di Vuolo: “… io guardo ma non me ne faccio accorgere”
Moglie di Vincenzo: “…Gesù Cristo mio”
Saverio Di Vuolo: … vedi come vanno piano piano? Quello calvo vedi?
Moglie di Vincenzo: … ecco tuo padre, vedi?
Di Vuolo riesce a scappare gettando via le banconote da consegnare poi utilizza la figlia minore per recuperare il denaro abbandonato durante la fuga su un prato.
Vincenzo: “…dobbiamo prendere i soldi da là terra! Ho saltato da sopra quel muro eccolo.  devi fare la pipì a papino? Gina con la scusa che deve fare la pipì OMISSIS…”
Moglie di Vincenzo: “…questo pure vedi”
Vincenzo: “…no Gina, … noo questo è uno scemo!”
Saverio Di Vuolo: “… mamma mettili nelle mutande i soldi”
Vincenzo: “…no aspetta Gina, la bambina deve fare la pipì”
Figlia: “… no”
Vincenzo: “… dai fai la pipì a papino dai! Scendi presto …”
Figlia: “… io non la devo fare!”
Vincenzo: “…prendili  stanno qui terra vedi, prendili a papa! Devi fare la pipì a papino? Scendi va bene … fai la pipì vieni qua vieni … fai veloce! Dai fai la pipì a papino! Gina eccoli la, … vedi OMISSIS”
Moglie di Vincenzo: “… prendili vai vai!
Vincenzo: “…guarda la guarda, … stiamo ancora a … Eccoli OMISSIS, .. .fai pipì eccoli, … là dentro l’erba vedi, là vedi, la vedi!! Dammi qua. Hai fatto la pipì? Andiamo, scappiamo da qua!”
Moglie di Vincenzo: “Li ha presi? Tutti quanti ci stanno?”
Vincenzo “Mettili sotto le tette Gina, sotto le tette…Se ti dicono perché li tieni in petto, per paura che se ti li rubano dici”
Moglie di Vincenzo: “…Eh…si vedono pure da fuori”
Vincenzo: “…Ce ne dobbiamo scappare da qua…”.

13. continua

(nella foto Vincenzo Di Vuolo detto terra terra)

Cronache della Campania@2018

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