La Procura di Milano ha messo sott’inchiesta 12 persone di Castellammre e comuni limitrofi coinvolti nel classico giro di truffe alle assicurazioni. Questa volta nel mirino delLa banda era finita la compagnia Axa, che ha sede appunto a Milano. La compagnia dopo aver notato una quantità elevata di incidenti, quasi sempre con le stesse modalità e gli stessi testimoni, ha presentato denuncia alla Prrcura di Milano che ha scoperto la truffa e ha notificato un avviso di conclusione indagine per dodici persone. Si tratta di Amedeo Marzullo, 29 anni stabiese di Scanzano con precedenti per droga e che dovrebbe essere l’organizzatore della truffa; Maria Maddalena Del Gaudio, 25 anni di Castellammare; Catello D’Ammora 32 anni di Castellammare; Pasquale Di Capua, 25 anni di Castellammare; Giovanni Di Palma, 27 anni di Castellammare;Rosario Massimo Schettino, 44 anni di Castellammare, Elia Artuso, 40 anni di Castellammare, Catello Mascolo, 46 anni di Santa Maria La Carità; Carlo Pastorino, 65 anni di Sant’Antonio Abate; Lucia D’Auria, 66 anni di Lettere e Dario Cascone , 55 anni di Lettere. Sono tutti accusati di truffa. Sono dieci gli episodi contestati dai pm milanesi. Gli incidenti sarebbero tutti avvenuti tra Castellammare, Pompei, Gragnano, e Santa Maria la Carità.
Truffa alle assicurazioni: 12 indagati tra Castellammare e Monti Lattari. Tutti i nomi
Caserta: arrestato anche l’ex vice sindaco Ferraro per i legami con il clan Belforte
C’è l’ex vice-sindaco di Caserta Enzo Ferraro, nonché ex assessore con la delega alla Polizia Municipale, tra le sette persone arrestate questa mattina dai carabinieri del Reparto Operativo nell’ambito dell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli sull’appalto finito all’imprenditore Angelo Grillo, ritenuto legato al clan Belforte di Marcianise e per questo già in carcere, in regime di 41bis, dalla fine del 2014. L’ordinanza è stata notificata anche allo stesso Grillo e ad alcuni suoi stretti collaboratori già coinvolti in precedenti inchieste e all’ex dirigente del dipartimento servizi sociali del comune di Caserta Giuseppe Gambardella, per il quale è stato disposto un obbligo di dimora nella stessa città. In passato è stato arrestato anche l’ex sindaco di Caserta Pio Del Gaudio, per presunti legami con imprenditore legato al clan dei Casalesi, in particolare al boss Michele Zagaria
Indagato il presidente del distretto industriale Nocera-Gragnano. Perquisizioni a Roccapiemonte
Perquisizioni stamane nella sede del distretto industriale Nocera-Gragnano da parte dei carabinieri ella sezione pg del Tribunale di Nocera. I militari su disposizione del pm Giuseppe Cacciapuoti della Procura di Nocera hanno prelevato documenti nella sede del distretto presso Palazzo Marzano a Roccapiemonte. Sono quattro le persone indagate per peculato e abuso d’ufficio e tra queste il presidente del consorzio, Aniello Pietro Torino che è anche il fratello della consigliere comunale di maggiorana a Rocca, avvocato Gerarda Torino coinvolta nell’inchiesta sulle sentenze “pilotate” nei Tribunali di Salerno e Nocera con a capo il giudice civile Mario Pagano.
Minacce del clan La Torre al pm D’Alessio della Dda di Napoli
Dopo il procuratore di Napoli Giovanni Colangelo e il sostituto della Direzione Nazionale Antimafia Cesare Sirignano, la camorra ha minacciato anche il pm antimafia partenopeo Alessandro D’Alessio. A darne notizia è Il Mattino. In un’intercettazione ambientale dello scorso mese di marzo vengono registrate le p55arole di due componenti della famiglia del boss di Mondragone (Caserta), Augusto La Torre, di volere uccidere il magistrato. Le parole sono state pronunciate nel carcere di massima sicurezza piemontese da una donna del clan e da suo nipote. I due maledicono il magistrato e si chiedono il perché del suo accanimento contro la loro famiglia. L’intercettazione fa parte di una inchiesta della Procura della Repubblica di Roma. Tutto, sempre secondo quanto riporta il quotidiano, sarebbe riconducibile alla volontà da parte di alcuni componenti della camorra casalese di far risorgere il gruppo di La Torre, il boss laureato in psicologia che in passato ha rivolte minacce all’allora pm Raffaele Cantone, attualmente presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione. Sempre da quella zona, dal litorale domizio, sarebbero giunte le minacce rivolte anche all’ex sostituto procuratore di Napoli Cesare Sirignano, ora in forze alla Direzione Nazionale diretta da Franco Roberti. Sempre secondo quanto riferisce Il Mattino, le minacce giungono alla vigilia della scarcerazione definitiva del boss Augusto La Torre, capoclan sanguinario che due anni fa incassò il consenso di molti suoi conoscenti (“Augusto ti aspettiamo”) sul un social network dove postò la sua foto.
Si consegna in carcere il baby boss Gaetano Formicola
Questa volta non è fuggito. Il baby boss Gaetano Formicola, ‘ o chiatto, dell’omonima famiglia di san Giovanni a Teduccio si è consegnato direttamente in carcere. La Cassazione infatti venerdì sera aveva reso definitiva la condanna a 6 anni di reclusione nei suoi confronti per il tentato omicidio di Alfonso D’Amico, esponente di spicco dell’omonimo clan del “Bronx”in guerra con i Formicola, avvenuto il 21 marzo del 2013. Con Formicola sono stati condannati a sette anni e mezzo di carcere anche Lorenzo Pianese e i fratelli Salvatore e Leandro Silenzio. Tutti sono accusati di tentato omicidio, minacce, porto e detenzione di armi, reati aggravati dall’articolo 7. Nei confronti di Formicola c’è anche un’altra indagine che potrebbe portare a un nuovo arresto. Ovvero quella dell’omicidio e dell’occultamento di cadavere del 18enne Vincezino Amendola avvenuto nel febbraio scorso. La dda infatti ha presentato sempre alla Cassazione la richiesta del provvedimento del Riesame con cui era stata disposta la sua scarcerazione e quella del presunto complice, il cugino Giovanni Tabasco. Entrambi accusati da un terzo componente del commando, Gaetano Nunziato che si è pentito e ha raccontato agli investigatori tutto sull’omcidio del 18enne.
“Paranza dei bimbi”: arrestato anche il titolare dell’autolavaggio di Pianura dove fu violentato il 16enne col compressore
C’è anche il titolare dell’autolavaggio del quartiere Pianura di Napoli dove il 7 ottobre 2014 un ragazzo che ora ha poco più di 16 anni, venne violentato con un compressore, tra le venti persone arrestate oggi dalla Squadra Mobile della Questura di Napoli nell’operazione denominata “Car Wash” contro l’organizzazione camorristica soprannominata la “Paranza dei bimbi”. L’uomo, Salvatore Luongo, in base agli elementi emersi nel corso delle indagini, è accusato di essere un fornitore di droga al clan Sibillo, praticamente sgominato stamattina dalla Polizia di Stato. In carcere è finita anche la famiglia di Ilario Riccio, composta da moglie e due figli, che gestiva una piazza di spaccio per conto dei Sibillo. Ilario Riccio è fratello di Alessandro Riccio, in carcere perché accusato di avere ucciso un pregiudicato, Massimiliano Di Franco, un pregiudicato che si era rifiutato di spacciare per conto della “Paranza dei bimbi”.
Blitz “paranza dei bimbi”: tra gli arrestati anche il ras Vincenzo Sibillo, padre dei baby boss
Tra i 20 arrestati della cosiddetta “paranza dei bimbi” da parte della squadra Mobile di Napoli ci sono anche il ras Vincenzo Sibillo, reggente del clan e padre dei baby boss Emanuele e Pasquale Sibillo, il primo ucciso in un agguato, l’altro finito in carcere. In cella anche Daniele Napoletano, fratello del baby killer dei Sibillo, Antonio Napoletano, detto «ò nannone». E poi in carcere è finito anche Massimo Gallo, trafficante di armi del famigerato Parco Verde di Caivano, dove è stata violentata e uccisa la piccola Fortuna Loffredo. E infine Antonella Battista e Francesco Frenna, Le indagini della Squadra Mobile di Napoli, diretta dal primo dirigente Fausto Lamparelli, sono state coordinate dai sostituti procuratori della Repubblica partenopea Francesco De Falco e Henry John Woodcock, coordinati dal sostituto Filippo Beatrice. Dopo l’ala militare, quindi, quasi del tutto azzerata nell’operazione del 9 giugno 2015 (64 arresti), ora i pm Antimafia e la Polizia di Stato hanno colpito quella parte del “sistema” che gestiva i flussi di denaro. Durante le indagini è stato scoperto che la droga veniva consegnata dai pusher anche “a domicilio”. Quel primo blitz contro la “paranza dei bimbi” determinò un cruento scontro con la famiglia camorristica dei Buonerba, vicina al clan Mazzarella (quello che la paranza era riuscita a cacciare dalla “Duchesca”, da Forcella e dalla Maddalena), la quale voleva approfittare della “pulizia” fatta dalle forze dell’ordine per imporsi ed eliminare a colpi di pistola ciò che rimaneva delle famiglie Sibillo, Giuliano, Brunetti e Amirante. La Polizia di Stato mise a segno un’altra operazione, il 7 agosto 2015, durante la quale vennero assicurati alla giustizia undici componenti dei Buonerba, gruppo particolarmente feroce che aveva la sua base in via Oronzo Costa, strada che i vertici del clan volevano ribattezzare “vicolo della morte”. Il blitz di oggi, quindi, può essere considerato la terza fase dell’operazione messa in campo da Direzione Distrettuale Antimafia e Polizia di Stato per azzerare i fermenti criminali nel centro cittadino culminati in parecchi omicidi e numerose “stese”, plateali rappresentazioni di forza della camorra con colpi di pistola in aria e cortei di moto rombanti per le strade dei quartieri.
La “paranza dei bimbi” aveva realizzato una piantagione di marijuana nella chiesa sconsacrata del Santissimo Crocefisso.IL VIDEO
Lo spaccio nella zona di Forcella e della Maddalena controllato dal cartello di clan del centro storico di Napoli noto come ‘paranza dei bimbi’ e’ al centro di una inchiesta che ha portato a 20 misure cautelari. Il gip di Napoli aveva disposto il carcere per 15 indagati, a 5 aveva concesso il beneficio dei domiciliari e un indagato era destinatario di un divieto di dimora. I reati contestati sono di associazione a delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di droga. L’indagine traccia un altro spaccato dell’ascesa del cartello e della sua contrapposizione con il clan Mazzarella, cui sta sottraendo il controllo degli affari illeciti nel centro del capoluogo campano. Nel mirino dei pm le ‘piazze di spaccio’ nella zona tra via Atri, piazza San Gaetano, via San Gregorio Armeno e il Duomo. Il padre dei baby boss, dicono i pm, insieme ad Alessandra Riccio, Salvatore Cedola e Antonio Esposito controllava l’attivita’ e assicurava i rifornimenti ai titolari delle ‘piazze’ tra cio Domenico Giaquinto. Interi nuclei familiari, secondo una struttura tipica della camorra, erano coinvolti nello spaccio, e alle donne era demandato lo smistamento e approvvigionamento di cocaina, hashish e marijuana. Nel corso delle indagini, arrestati diversi corrieri. Le intercettazioni hanno permesso anche di sequestrare una piantagione di marijuana realizzata dal cartello in una chiesa sconsacrata del ‘700, quella del Santissimo Crocifisso nel rione Sanita’. Durante le indagini è stato scoperto che la droga veniva consegnata dai pusher anche “a domicilio”. Quel primo blitz contro la “paranza dei bimbi” determinò un cruento scontro con la famiglia camorristica dei Buonerba, vicina al clan Mazzarella (quello che la paranza era riuscita a cacciare dalla “Duchesca”, da Forcella e dalla Maddalena), la quale voleva approfittare della “pulizia” fatta dalle forze dell’ordine per imporsi ed eliminare a colpi di pistola ciò che rimaneva delle famiglie Sibillo, Giuliano, Brunetti e Amirante. La Polizia di Stato mise a segno un’altra operazione, il 7 agosto 2015, durante la quale vennero assicurati alla giustizia undici componenti dei Buonerba, gruppo particolarmente feroce che aveva la sua base in via Oronzo Costa, strada che i vertici del clan volevano ribattezzare “vicolo della morte”. Il blitz di oggi, quindi, può essere considerato la terza fase dell’operazione messa in campo da Direzione Distrettuale Antimafia e Polizia di Stato per azzerare i fermenti criminali nel centro cittadino culminati in parecchi omicidi e numerose “stese”, plateali rappresentazioni di forza della camorra con colpi di pistola in aria e cortei di moto rombanti per le strade dei quartieriDa quando i loro mariti, fidanzati e capi erano stati arrestati, avevano assunto un ruolo di primo piano all’interno del cartello di clan che opera al centro di Napoli. La cosiddetta ‘paranza dei bimbi’ si stava via via trasformando nella ‘paranza delle donne’. Ed e’ stato il gip del tribunale di Napoli, Dario Gallo, a firmare l’ordinanza di 380 pagine che racconta come nel gruppo formato dalle famiglie Sibillo, Giuliano, Amirante e Brunetti, che gestisce le ‘piazze’ dello spaccio di sostanze stupefacenti tra Forcella e i Decumani, abbia cambiato pelle. Tra i 20 in manette (un indagato e’ stato preso in tarda mattina, ndr.), arrestate tre donne che “avevano assunto un ruolo di spicco al pari di quello degli uomini”, scrive il gip, anche in funzione “della mutazione delle piazze di spaccio che da luoghi fissi sono diventati mobili”. Ovvero non si spaccia piu’per strada ma a casa o addirittura a domicilio. Antonella Battista, per esempio, aveva il ruolo di custode di cocaina, hashish e marijuana alle dipendente dei fratelli Sibillo. Custodiva la droga per distribuire ai ‘clienti’, c’e’ scritto nel capo di imputazione. Veronica Raia invece gestiva la droga da distribuire ai vari fornitori e infine Anna Avolio che invece era addetta alla vendita. Le sono contestati oltre trenta episodi di spaccio di sostanze stupefacenti.
(Nella foto antonella battista)
Barano d’Ischia: iniziato il processo a carico della consigliera regionale Di Scala e gli altri 4 imputati
E’ cominciato oggi, davanti al Tribunale di Napoli, il processo a carico di 12 persone coinvolte nell’inchiesta “Free Market”. Tra gli imputati ci sono il consigliere regionale della Campania, Maria Grazia Di Scala (Fi), coinvolta per vicende legate alla sua attività professionale di avvocato; il sindaco di Barano Paolino Buono; il tenente della polizia municipale di Barano, Antonio Stanziola; il comandante della polizia municipale di Barano, Ottavio di Meglio; l’ex gestore di una struttura alberghiera situata ai Maronti, la “Casa Bianca”, Raffaele Piro. L’inchiesta “Free Market” riguarda presunte irregolarità nella gestione di fiere e mercati nel comune di Barano, nonché il tentativo dell’imprenditore Piro di acquisire la pensione Casa Bianca che si trova sulla spiaggia dei Maronti. Il Tribunale ha ammesso la nuova costituzione di parte civile di Maddalena Migliaccio (proprietaria della “Casa Bianca”) contro Stanziola, Piro e Maria Grazia Di Scala. I giudici hanno respinto le eccezioni della difesa dello Stanziola e lasciato quindi inalterato il regime degli arresti domiciliari cui è sottoposto il tenente della Municipale di Barano. Il Tribunale si è riservato, su richiesta di alcune difese, di disporre perizia sulle risultanze delle intercettazioni. Prossima udienza il 16 giugno.
Il Riesame conferma il carcere per il presunto assassino della piccola Fortuna
Il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la custodia in carcere di Raimondo Caputo, accusato di aver violentato e ucciso la piccola Fortuna Loffredo, la bimba di sei anni morta nella caduta dell’ottavo piano dell’edificio del Parco Verde di Caivano. Le motivazioni saranno depositate nei prossimi giorni. Il Tribunale ha condiviso l’impianto accusatorio della Procura di Napoli Nord, diretta da Francesco Greco, fondato in particolare su una serie di intercettazioni ambientali in abitazioni dello stesso palazzo. A parlare dei presunti abusi e dell’omicidio sono state due bimbe che hanno poi confermato, con l’assistenza di una psicologa, il racconto agli inquirenti. Domani le stesse bimbe saranno nuovamente ascoltate nell’ambito di un incidente probatorio, la procedura che alla presenza anche dei legali della difesa e delle parti lese serve ad acquisire la prova in vista dell’eventuale dibattimento.
Appalti, camorra e tangenti a Caserta: ecco il sistema dell’imprenditore Grillo. I retroscena dell’arresto del vicesindaco Ferraro
Caserta. “Alle elezioni dobbiamo appoggiare Pio Del Gaudio”. Parlano così, accordandosi sul sostegno elettorale da assicurare prima delle comunali del 2011, Enzo Ferraro e l’imprenditore Angelo Grillo, entrambi raggiunti questa mattina da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Napoli per i reati di turbativa d’asta, falso e corruzione aggravati dall’aver agevolato il clan camorristico dei Belforte, operante a Marcianise e nei comuni limitrofi, tra cui il capoluogo Caserta. I due, emerge dalle indagini di carabinieri e Dda, vengono intercettati nell’auto di Grillo in un periodo precedente alla tornata elettorale del 2011, quella vinta da Del Gaudio che “ricompensò” poi Ferraro assegnandogli la carica di vice-sindaco e di assessore alla Polizia Municipale. I due parlano di sostegno elettorale, e concordano di dover appoggiare decisamente Del Gaudio; questi, che non risulta indagato in tale vicenda, lo scorso anno è stato però tratto in arresto per presunti legami con il clan Zagaria – è attualmente in attesa della fissazione dell’udienza preliminare – con l’altro uomo forte del Pdl a Caserta, l’ex consigliere regionale Angelo Polverino, coinvolto peraltro in numerose inchieste sugli appalti finiti a Grillo.
“Se vinco mangiano tutti”. Era questo il motto di Angelo Grillo, l’imprenditore considerato organico al clan Belforte, già detenuto e da questa mattina raggiunto da un’altra ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Napoli Isabella Iaselli per corruzione. Grillo ha pagato tangenti al vicesindaco di Caserta, Vincenzo Ferrante, ora arrestato. A raccontare ciò che Grillo diceva, senza temere di essere intercettato, è uno dei suoi collaboratori, Elpido Baldassarre; che dal 12 gennaio 2015 ha deciso di iniziare a parlare con i pm della Dda e svelare il sistema Grillo. Un insieme di società nascoste grazie ad una serie di prestanome. C’erano soci e dipendenti tutti inquadrati e incensurati, con societàpulite che partecipavano a gare d’appalto pilotate in loro favore. Quello che hanno scoperto gli investigatori è un flusso continuo di tangenti che secondo l’accusa partivano da Grillo e arrivano nelle tasche non solo di politici ma anche di dipendenti pubblici.
Il 14 aprile 2014 a parlare è Alessandra Ferrante, altra collaboratrice di Grillo: “Un giorno Assunta Mincione mi disse che a settembre del 2013 Enzo Ferraro, il vicesindaco di Caserta prese una tangente di 2.000 euro da Gaetano Barbato un dipendente di Voglia di Vivere. Ho saputo di questa tangente perchè un giorno Mincione si lamentò dicendo che loro prendevano mille euro al mese e Ferrante in un minuto ne aveva guadagnato 2.000. Lei mi raccontava che quei soldi non erano un caso isolato ma che si verificava di dover spesso dare soldi a Ferraro per avere il pagamento delle fatture relative all’appalto del trasporto dei disabili. So anche che oltre ai soldi aveva ricevuto anche viaggi a Sharm el Sheik”. Anche Mincione nel febbraio scorso ha iniziato a parlare con i pm: “Quei soldi li ho consegnati io”. Ma c’è di più. Agli atti dell’inchiesta anche altre accuse e finanziamenti illeciti per campagne elettorali. E un verbale della Ferrante dell’aprile 2014 a squarciare il velo su quanto Grillo aveva escogitato per ottenere gli appalti. “Nel periodo delle elezioni fu molto impegnato, e per evitare contatti diretti tra Ferraro e Grillo, la campagna elettorale di Pio Del Gaudio e soprattutto di Enzo Ferraro, fu finanziata per il tramite di Gaetano Barbato e della sua amante – dice – in particolare Grillo finanziava le cene elettorali che avvenivano a Caserta. Grillo consegnava i soldi a Barbato che li portava a Enzo Ferraro senza che Grillo figurasse e non partecipava neanche alle cene. Dopo le elezioni di Pio Del Gaudio a sindaco di Caserta e la nomina di Enzo Ferraro quale vicesindaco, Grillo ha ricevuto aiuti che gli hanno consentito di aggiudicarsi appalti gestiti dal Comune”.
“In cambio degli appalti vinti io ho versato il 10 per cento dell’importo totale della gara a titolo di tangente a Pino Gambardella ed Enzo Ferraro, i quali si dividevano le tangenti”. E’ l’imprenditore del clan Belforte Angelo Grillo, già detenuto per una indagine su appalti pilotati nelle Asl di Caserta, il 12 maggio 2015 a raccontare ai pm della Dda di Napoli del sistema che gli aveva consentito di aggiudicare l’appalto per la gestione del servizio trasporto sociale per i cittadini con disabilita’ alla ditta ‘Voglia di Vivere’ che faceva capo a lui. L’affidamento del servizio pulizia e facchinaggio per il complesso monumentale del belvedere di San Leucio per un anno e per un importo di 58mila euro, nell’anno 2012, e il servizio custodia non armata del complesso per il valore di 80mila euro, sono altre due gare nel mirino dei pm. “Fu Ferraro a presentarmi Pino Gambardella ed io ho prima ricevuto in subappalto il servizio disabili che ho gestito con la mia ditta. Poi qualche anno dopo – continua Grillo – la gara l’ho vinta io”. Ma chi è in realta’ Angelo Grillo? “E’ un imprenditore nel settore dell’immondizia e delle pulizie ospedaliere e lui quanto doveva vincere gli appalti si rivolgeva a noi per qualche aiuto e in cambio ci dava una parte degli utili, anche se dovevamo insistere molto in quanto Grillo è stato sempre molto tirato di soldi”, dice il boss Salvatore Belforte, che il 12 marzo 2015 parla del ruolo svolto per conto del clan dell’imprenditore arrestato. “Lo conosco da tanti anni in quanto anche lui è di Marcianise e abitava nella zona della Madonna della Libera. Lui aumentava il suo volume d’affari grazie alle conoscenze politiche che aveva. Riusciva ad ottenere molti favori anche al comune di Caserta”.
Ercolano: le mogli dei boss in carcere dietro il traffico di droga davanti al Mav
Era stato prima il pentito Ciro Gaudino a spiegare agli inquirenti che il clan Aascione -Papale aveva messo in piedi un fiorente traffico di cocaina al centro di Ercolano grazie a volti nuovi per rivolgersi ai giovani della movida ercolanese e poi partita l’inchiesta sono stati alcuni clienti “pizzicati” e denunciati a raccontare tutto. A quel punto i carabinieri della compagnia di Torre del Greco che ieri mattina hanno smantellato la banda, che era controllata dalle mogli dei boss in carcere, con sette arresti hanno chiuso. I militari erano riusciti anche a piazzare delle telecamere a infrarossi nei pressi del Mav di Ercolano dove avveniva il fiorente spaccio di droga. E così in manette sono finiti, Salvatore Infante, Giovanni Coppola, Pasquale Formicola, Luciana Saracino, mentre sono stati disposti i domiciliari per: Giuseppe Acampora, Francesco Zolfo e Michele Infante. Dalle indagini è emerso che la banda di spacciatori era gestita sul campo da Salvatore Infante, nipote di Giuseppe Infante, uomo del clan Birra, ucciso nel 2001 nell’ambito della sanguinosa faida di camorra proprio dagli Ascione-Papale al quale lui ora si era legato e Francesco Zolfo. Mentre Giovanni Coppola era il corriere e l’intermediario con i rifornitori, ovvero colui che andava a vico Moscardino a prelevare le dosi di sostanza stupefacente da rivendere.Michele Infante invece si occupava del recupero dei crediti dagli acquirenti oltre che dello spaccio. Mentre i pusher erano Pasquale Formicola e Luciana Saracino.







Napoli: i cugini Di Meglio dei Quartieri Spagnoli in carcere 16 anni da innocenti. Il pm: “Prova falsa confezionata dal figlio della vittima”
Sedici anni di carcere da innocenti e da ieri “quasi liberi”. E’ l’incredibile storia dei cugino omonimi Umberto Di Meglio dei Quartieri Spagnoli uno noto come “o sfregiato”, l’altro come “‘o magone”. Sono stati in carcere per sedici anni perché accusati di esser i killer di Francesco Di Biasi detto “’o patriarca”, padre dei “Faiano”, da sempre in guerra con il clan Mariano, i “Picuozzi” ucciso il 30 marzo del 1999. I due si sono sempre professati innocenti e ora che il Tribunale li ha “tecnicamente” scarcerati con un provvedimento di sospensione della pena, uno dei due, Umberto “‘o magone” non è voluto tornare a casa e ha annunciato lo sciopero della fame perché vuole uscire da libero ma nel frattempo si dovrà attendere che Corte d’Appello di Roma si pronunci sul processo di revisione. Dopo sedici anni con tutta una serie di racconti contrastanti da parte dei numerosi pentiti dei Quartieri Spagnoli e della Sanità si è riusciti dunque a fare luce sull’omicidio. A gennaio la svolta decisiva: il giudice per le udienze preliminari di Napoli, ha riconosciuto come colpevole un altro esecutore materiale, diverso da chi fino ad ora era stato considerato dai giudici il killer di Biasi. Nicola Di Febbraro, detto “Nicolino”, capo degli ex Misso del rione Sanità, poi scissionista nella faida con i Torino, ha incassato trent’anni di reclusione ed ha anche confessato di essere stato l’esecutore materiale. “Sono stato io ad ammazzare Di Biasi”. Mettendo la parola fine sulla vicenda. Eppure già altri pentiti aveva raccontato com era avvenuto l’omicidio ma non erano stati creduti perché come ha scritto il pm Henry Jhon Woodcock, che Giuseppe Di Biasi, figlio di Francesco Di Biasi, ha mentito: “che con ancora il cadavere del padre a terra ha pensato di fare accusare due persone estranee all’agguato”. E poi al termine del processo ha chiesto la condanna di Nicola Di Febbraro, l’ex boss del rione Sanità che ha confessato di essere l’autore dell’omicidio ed ha incassato trent’anni di carcere. ma prima che lui confessare due pentiti in maniera particolare avevano già spiegato tutto.Il primo è Michelangelo Mazza che ha raccontato: “Per quanto riguarda l’omicidio del padre dei Di Biasi, so solo che è stato fatto da Nicola Di Febbraro quale componente del gruppo di fuoco di Ettore Sabatino. A parlare con me sono stati lo stesso Di Febbraro e Salvatore Torino in un’occasione in cui io chiesi come mai fosse stata ammazzata una persona anziana, ma si parlava in maniera generica e mi fu risposto che in ogni caso era una persona che si prestava per le attività dei figli,come ad esempio in qualche filata”. L’altro pentito Pasquale Amatrudi era stato ancora più dettagliato: “…Anche di questo omicidio mi ha parlato Faustino Valcarenghi sempre nel periodo di comune detenzione al padiglione Genova di Poggioreale. L’omicidio fu commesso per vendicare la morte di Domenico Russo detto “Mimi dei cani”. A commettere l’omicidio furono lo stesso Valcarenghi e Nicola Di Febbraro. Fu quest’ultimo materialmente a sparare dall’esterno del basso attraverso la finestra colpendo Di Biasi Francesco. Valcarenghi mi precisò che nell’occasione fu utilizzata un pistola munita di silenziatore. Non mi fece invece alcun riferimento al mandate del delitto. I due appartengono al gruppo di fuoco di Ettore Sabatino e non avrebbero mai agito senza l’incarico di quest’ultimo. I due Di Meglio sono innocenti”.
Duplice omicidio della Tangenziale, il dj Mormile in aula: “Non ricordo…”. Ma in un video si vede che litiga con la fidanzata in auto
“Non ricordo….so che non ci si mette alla guida ubriachi ma..”. Poche parole ma ancora nessuna ammissione, ne una richiesta di perdono. E’ comparso di nuovo in aula ieri Nello Mormile, il dj 30enne di Pozzuoli accusato di aver guidato contromano in Tangenziale per circa cinque chilometri dopo una serata trascorsa in un locale a Pozzuoli e di aver causato l’incidente in cui sono morti la sua fidanzata Livia Barbato, 21enne di Fuorigrotta, e Aniello Miranda, imprenditore 48enne di Torre del Greco. Ieri si è svolta la seconda udienza del processo con il rito abbreviato davanti al giudice Rosa De Ruggiero del Tribunale di Napoli. Nello è imputato per duplice omicidio volontario aggravato dalla ridotta difesa delle vittime. Ieri ha chiesto e ottenuto di essere interrogato in aula rispondendo anche alle domande del giudice e degli avvocati di parte civile. Ha spiegato anche se non nei dettagli cosa sarebbe accaduto quella sera spiegando che i drink che aveva bevuto gli erano stati offerti nella discoteca e che quando uscirono dal locale Livia “volle sedersi sui sedili posteriori per riposare”. E ancora: “La mia sofferenza è nulla rispetto a quella degli altri”. Ma soprattutto i “Non ricordo” sul perché di quella manovra folle e dell’inversione a U sulla Tangenziale. In aula sono stati ivisti i filamti delle telecamere di sorveglianza della Tangenziale e in uno si vede l’auto di Mormile che, viaggiando in direzione Pozzuoli e prima della inversione a U, accosta a destra per poi ripartire come se nell’abitacolo i due stessero litigando. Ma su questo il dj non ha risposto. Prossima udienza agli inizi di giugno per le conclusioni del pubblico ministero e per quelle delle parti civili.
Quarto, i pentiti raccontano: “Amelio doveva essere solo gambizzato per volere del boss Polverino”
Doveva essere una lezione, una gambizzazione e invece si trasformò in omicidio. E’ stato Gaetano D’Ausilio, il pentito del clan Polverino di Marano, a svelare agli investigatori tutti i retroscena dell’omicidio dell’imprenditore edile di Quarto, Enrico Amelio, ucciso il 10 ottobre del 2006. Secondo il racconto del pentito Gaetano D’Ausilio, alla base dei provvedimenti emessi ieri il killer che sparò 4 volte contro l’imprenditore edile sarebbe stato Claudio De Biase, mentre gli specchiettisti che attirarono nella trappola al Corso Italia quel martedì sera di 10 anni fa Amelio sarebbero stati Salvatore Liccardi “Pataniello” e lo stesso Gaetano D’Ausilio.Enrico Amelio era andato a trovare lo zio Leonardo, quando fu avvicinato nei pressi della scuola media statale “Piero Gobetti”: il killer arrivò a pochi passi da lui e sparò tre colpi alla gamba destra e uno solo alla gamba sinistra. Quella pistolettata, però, recise la femorale e l’imprenditore morì dopo un’ora di agonia nella rianimazione dell’ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli. I provvedimenti sono stati notificati al capoclan Peppe Polverino «O’ Barone», a Salvatore Simioli, a Salvatore Cammarota e ai presunti luogotenenti del clan a Quarto, Salvatore Liccardi, alias «Pataniello», Gaetano D’Ausilio (oggi collaboratore di giustizia) e Claudio De Biase. dalle indagini è emerso che Enrico Amelio fu ucciso perché un suo zio materno, Leonardo Tartaglia Carandente, era intenzionato ad acquistare alcuni fondi in via Marmolito, nella zona quartese a tutti nota come la Macchia, sui quali anche i Polverino avevano mostrato interesse. Era un affare da tre milioni di euro che faceva gola ai Polverino che non tollerarono l’intromissione della famiglia del costruttore.






Paranza dei bimbi: il baby boss Sibillo tentò di uccidere Alessandro Riccio per la piazza di spaccio della Maddalena
Il ferimento di Alessandro Riccio esponente di spicco della “Paranza dei Bimbi” avvenuto il 27 marzo 2015 nei pressi di via dei Tribunali fu deciso dallo stesso clan per una lite sorta sulla divisione delle piazze di spaccio. In modo particolare quella della Maddalena. Lo scontro avvenne tra Ciro Brunetti, detto Ciro Ciro sodale di Riccio nella gestione del traffico degli stupefacenti e la famiglia Amirante. A compiere il tentato omicidio nei confronti di Riccio fu lo stesso baby boss Emanuele Sibillo, ucciso poi in un agguato il 2 luglio scorso a Forcella. La storia è venuta fuori dall’indagine “Car Wash” che ieri ha portato in carcere 20 esponenti dei quattro clan che fanno parte della “Paranza dei bimbi”. Lo si evince da un’intercettazione telefonica contenuta nell’ordinanza firmata dal gip Gallo. Due degli arrestati di ieri ovvero Francesco Frenna e Gennaro Improta il 28 marzo del 2015 ovvero il girono dopo l’agguato ad Alessandro Riccio così parlavano al telefono. Tra l’altro Alessandro Riccio, che fu poi arrestato e condannato per questo, aveva anche cercato di rispondere al fuoco ma la sua pistola si inceppò.
.. FRENNA: che dici … com’è .. spararono ad Alessandro(RICCJO) …
GENNARO: è Manuele (Emanuele Sibillo, ndr) è stato … –
FRENNA: e perchè lo voleva uccidere? –
GENNARO: io mo sono andato … pure mo volevo andare pure là … l’infamone ha detto non andare perché stanno un sacco di guardie … dice che … ieri sera .. lui stava vestito da postino …
FRENNA: chi ?
GENNARO: Alessandro …
FRENNA: voleva uccidere a Manuele … ?
… GENNARO: sotto il lato di Linuccio (SIBILLO Pasquale, ndr) … vestito da postino … dice che lo videro da sopra … da dentro alle telecamere … mo Alessandro non lo sapeva … ha detto che si è inceppata la pistola … mo lo ha colpito uno qua (mostra il punto con il gesto) e uno qua … gli ha colpito …. ….. omissis …….. :
… FRENNA: ah .. si voleva mangiare a Linuccio? (ovvero uccidere Pasquale Sibillo, ndr)
GENNARO: non lo so a chi …
FRENNA: e quelli si chiarirono?.
GENNARO: è … dice perché si vogliono prendere la Maddalena …
FRENNA: Ciro Ciro e …
GENNARO: Alessandro e Ciro Ciro …
FRENNA: quelo ieri Ciro Ciro stava là ?
GENNARO: è dice che stavano là … che ti devo dire …
FRENNA: è nm ora li arrestano a tutti quanti .. hai sentito il telegiornale che ha detto? mamma mia ..
GENNARO: hai capito?
FRENNA: te lo ha detto Gino (DE CRESCENZO Luigi) a te questo fatto? .
GENNARO: ma a quello è meglio che lo prendono .. perché quello è pericoloso (alludendo a Riccio Alessandro, ndr)… –
FRENNA: Alessandro … è … –
FRENNA: ah..e sentì e mò sta il bordello anche con Ciro Ciro? –
GENNARO: e penso di si, non lo so ò’parè ..
FRENNA: e tu non hai detto, quello ieri c’èra Ciro Ciro là? – Gennaro: te l’ho detto quando andai a fare il servizio che lo acchiappai là …. si vogliono prendere la Maddalena Alessandro e Ciro Ciro te lo dico io ..• questo è .. si vogliono prendere la Maddalena … ma sta il bordello dice pure con Amirante … con Lello Amirante
RENNA: hanno fatto una cosa con CiroCiro …
GENNARO: no … hanno litigato loro contro a CiroCiro … Amirante … Lello Amirante e questi qua .. il padre Enzuccio …
FRENNA: mo li arrestano a tutti quanti … mamma mia ..




Clan Lo Russo: chiesto un secolo e mezzo di carcere. Dodici anni per il boss Antonio Lo Russo
La Dda ha chiesto quasi un secolo e mezzo di carcere per il boss Antonio Lo Russo, figlio del pentito Salvatore, e 15 dei suoi affiliati. Tutti accusati a vario titolo di associazione di tipo mafiosa, traffico di droga, contrabbando e favoreggiamento per aver coperto a latitanza del ras di Miano che sfuggiva ad un ordine di arresto. Il blitz a Miano, e al rione Sanità scattò nel gennaio dello scorso anno e portò in carcere 16 persone, tra cui i fedelissimi che eseguivano gli ordini del capo latitante. Il boss Antonio o Russo fu catturato a Nizza in Francia dopo una lunga fuga passando dalla Polonia, a Foggia e poi in provincia di Caserta e a Milano fino ad arrivare in Francia. Antonio Lo Russo, figlio del capoclan dei “capitoni” poi pentito era diventato famoso per la sua foto che lo ritraeva a bordo campo durante una partita del Napoli è ritenuto il capo promotore del gruppo criminale che riusciva a guidare anche dai suoi nascondigli segreti. Le telefonate a carico dei sodali che raccoglievano le direttive di Antonio Lo Russo furono intercettate dalla Dda, come furono registrate anche le conversazioni dalle quali emergeva uno strappo interno alla cosca, con lo zio del capoclan Mario che approfittando della lontananza del nipote cercava di prendere in mano le redini dell’organizzazione.
QUESTE LE RICHIESTE DI CONDANNA
ANTONIO LO RUSSO 12 ANNI
CARLO DAVIDE 20 ANNI
PASQUALE TORRE 20 ANNI
CLAUDIO ESPOSITO 18 ANNI
LUIGI FORINO 10 ANNI
GIOVANNI CAMPAIOLA 10 ANNI
UMBERTO RUSSO 9 ANNI
ALFREDO MERCOLINO 8 ANNI
CRESCENZO PALMA 8 ANNI
ANTONIO BRIANTE 4 ANNI
LUIGI CAPONE 4 ANNI
ANTONIO CENNAMO 4 ANNI
EMANUELE D’ANDREA 4 ANNI
MASSIMO GISINI 4 ANNI
GERARDO POTENZA 4 ANNI
BRUNO VITALE 3 ANNI














Pedofilia al Parco Verde: bimbe accusano Caputo. Tensione fuori al Tribunale con i parenti dell’uomo. I genitori di Fortuna accusano
Napoli. Bimba uccisa e pedofilia al Parco Verde di Caivano: si è appena concluso l’incidente probatorio per sentire – in audizione protetta – le figlie della compagna di Raimondo Caputo, accusato di aver ucciso la piccola Fortuna Loffredo. Hanno giocato, raccontato dei momenti terribili vissuti con il patrigno Raimondo Caputo, e ancora giocato, senza forse neanche accorgersi che stavano sostenendo un interrogatorio che poi confluirà come elemento di prova a tutti gli effetti nel processo. Si è svolto senza intoppi la prima parte dell’incidente probatorio – durato circa due ore – al Tribunale di Napoli Nord ad Aversa che ha visto sfilare come testimoni chiave del caso di Fortuna Loffredo due delle tre figlie della compagna di Raimondo Caputo, accusato di aver violentato e ucciso la piccola il 24 giugno 2014 a Parco Verde di Caivano. “E’ stata un’esperienza drammatica – dice l’avvocato Angelo Pisani, legale del papà e dei nonni di Fortuna – ma la Procura della Repubblica ha fatto un lavoro eccezionale facendo sentire le bimbe a proprio agio. Non credo si siano accorte di ciò che stava avvenendo intorno a loro”. I familiari di Fortuna, così come l’indagato Raimondo Caputo, la compagna madre delle bimbe testimoni, il Gip e i pm, erano in una stanza con dei monitor per sentire le testimonianze delle bambine, che invece sono state sentite, una alla volta, in un’altra stanza protetta da una vetrata dalla psicologa nominata dal Tribunale che ha posto le domande depositate nei giorni scorsi dalle parti. Con loro le piccole avevano giochi di società, fogli per disegnare e peluche. Ad un certo punto l’esame di una delle due è stato sospeso perché faceva caldo ed è stato deciso che proseguirà domani, quando sarà sentita anche la terza figlia, che era l’amichetta del “cuore” di Fortuna.
“Ho visto la compagna di Caputo che guardava le figlie dal monitor mentre raccontavano fatti orrendi. Lei le può ancora guardare mentre io Fortuna non la tengo più, però non le potrà più rivedere”. Cosi Pietro Loffredo, padre della piccola Fortuna, all’uscita del tribunale di Napoli Nord appena concluso l’incidente probatorio. “Sono molto turbato – ha detto il padre della piccola Chicca – quello che ho sentito. Sentire quelle cose da due bambine è stato terribile. Ho incrociato una sola volta lo sguardo di Caputo perchè l’ho fissato a lungo”. In merito a come si è svolto l’interrogatorio l’uomo ha elogiato il modo e la delicatezza con cui è avvenuto: “le bambine hanno giocato e sono state interrogate da una bravissima psicologa che le ha messe a loro agio e non credo si siano accorte di nulla”. I parenti di Caputo, arrivati dinanzi al Tribunale di Napoli Nord hanno invece difeso l’indagato e inveito contro le troupe di giornalisti giunti per raccontare quanto stava accedendo in aula. “Mio nipote doveva venire da Napoli al Parco Verde per inguaiarsi. Lui si droga, ruba, ma non è un pedofilo. Noi queste cose non le conosciamo nemmeno, mio nipote è un povero scemo. Devono trovare il vero colpevole”. Ha detto una zia di Raimondo Caputo che ha urlato contro i giornalisti mentre Caputo a bordo del cellulare delle guardie penitenziarie lasciava il tribunale. “Prendete il vero colpevole, mio nipote è innocente”, ha concluso la donna.
“Ho provato a guardare negli occhi Domenico Raimondo e la sua compagna per vedere la loro reazione, ma non mi hanno proprio guardata: hanno fatto finta che non esistessi. Li odio ancora di più. Ho ascoltato cose che mi hanno lasciata sconvolta”. Ha detto Domenica Guardata, mamma di Fortuna, all’uscita del tribunale. La criminologa Roberta Bruzzone, consulente del padre e dei nonni della piccola Fortuna, ha commentato l’audizione protetta: “Siamo soddisfatti di come è andato: è stato un primo accertamento chiave. Domani continueremo, ma per ovvie ragioni non posso dire di più”.
“Abbiamo ascoltato solo una delle due bambina, l’altra era stanca e continueremo domani”. Ha detto l’avvocato Salvatore Di Mezza, legale di Raimondo Caputo e della compagna, all’uscita da tribunale “Il mio assistito – ha detto il legale – è rimasto sbalordito dalle accuse che la bambina ha fornito perchè si ritiene innocente”.
“Sulla morte di mia figlia – ha detto la donna – non è stata ancora fatta piena luce, spero oggi venga fuori la verita’: voglio giustizia. Avrei preferito avere mia figlia anche su una sedia a rotelle, ma non morta”. Ha detto la mamma di Fortuna. Su Raimondo e la compagna, invece, la donna è chiara: “non li perdonerò mai, soprattutto lei che è una mamma. Provo molto odio”.
Ecco tutti i retroscena dell’omicidio Matuozzo nelle dichiarazioni del pentito Pacciarelli
È un fiume in piena il pentito Mario Pacciarelli, personaggio molto vicino al clan della “Vanella Grassi” e ai fratelli Accurso. Le sue dichiarazioni hanno accompagnato in carcere il boss Umberto Accurso arrestato la scorsa settimana. Il collaboratore di giustizia ha raccontato ai pm della Dda di Napoli una serie di retroscena su alcuni fatti di sangue rimasti inediti fino a poco tempo fa e soprattutto il clima che si respirava all’epoca delle terza faida di Scampia. Ma soprattutto ha spiegato nei dettagli come fu ucciso l’amico fraterno del boss Umberto Accurso, quel Carlo Matuozzo, il cui corpo non è mai stato ritrovato e che era stato in vacanza con le rispettive famiglie insieme con il capo della Vinella per 15 giorni in Spagna. Carlo Matuozzo fu ucciso perché trafficava in droga in proprio e non aveva ubbidito all’ordine dei fratelli Accurso di smetterla, anche perché stava danneggiando i Licciardi con i quali i ras della “Vinella” avevano appena stretto un accordo. Ma per mascherare il vero motivo dell’omicidio, i boss Antonio e Umberto misero in giro la voce che il 28enne fosse un confidente della polizia. Non era vero, però la falsa notizia confuse le idee negli ambienti di malavita di Secondigliano. In particolare a Miano, dove la vittima gestiva l’attvità con l’aiuto di fedelissimi che poi lo tradirono. “Ci trattava come schiavi”, dissero dopo la sua morte.. Carlo Matuozzo fu ucciso in un appartamento nella disponibilità dei Leonardi, dopo essere stato prelevato da Umberto Accurso con la scusa di incontrare un grande narcotrafficante. Appena entrò, il 28enne fu preso alle spalle ed ebbe appena il tempo di gridare: “Umberto, lo sanno tutti che sto con te”. La sua sorte era però segnata e anche se la pistola si inceppò, fu ammazzato a coltellate. Il cadavere fu bruciato in una discarica da Ciro Milone ed Emanuele Di Gennaro (poi assassinati dalla stessa “Vinella” perché sapevano troppo) e gettato tra i rifiuti, tanto che non è mai stato trovato.Ecco alcuni passaggi sul retroscena dell’omicidio, nell’interrogatorio reso da Mario Pacciarlli: “Carlo Matuozzo suggerì di vendere droga al minuto dietro casa sua, non a piazza; questa cosa fu approvata da Umberto Accurso, che era il vero capo in quel momento; i Leonardi ed i Marino poterono solo approvare. Per uno o due mesi si vendette droga alla spicciolata dietro “Mianella”. La cosa venne all’orecchio dei Licciardi, che mandarono a chiamare Umberto e gli dissero che non si doveva vendere droga in quella zona. Accurso disse a Carlo Matuozzo di fermarsi un pò, ma costui era contrariato perché doveva mantenere i suoi ragazzi. Umberto non si applicava più di tanto, sino a che non uscì Antonio Accurso, il fratello, che volle vedere i conti portati da Matuozzo e disse che questa cosa della vendita alla spicciolata non gli stava bene, perché sottraeva clienti alla piazza di spaccio della “Vinella” e chiese ai Matuozzo di chiudere anche per rispetto alla Massseria Cardone Carlo rispose: “come faccio a chiudere, ho un tot a terra”, intendendo che aveva un certo quantitativo di droga da smerciare. Gli fu consentito di smerciare quello che aveva e poi doveva chiudere. Ma Matuozzo prese tempo, avendo sempre roba, e costituì una vera e propria piazza di spaccio. C’è da dire che Antonio e Umberto Accurso ven- nero a sapere questo fatto da presunti fedelissimi di Carlo Matuozzo, che rivelarono loro la creazione della piazza di spaccio nonostante le indicazioni contrarie. In particolare furono “Geremia” e Ciro Castiello detto “Barbetella”, che rivelarono agli Accurso che Matuozzo faceva an- che fuori sacco, ossia traffici che non comunicava alla “Vinella. Gli Accurso la presero male…Io parlai con Fabio Di Natale e Ciro Castiello e quest’ultimo disse: ora sto proprio bene, sto con Umberto Accurso e finalmente quel cornuto è morto. Quindi io suppongo che Antonio Accurso e Umberto Accurso siano i mandanti del duplice omicidio di Carlo Matuozzo e di Antonio Matuozzo. E che quest’ultimo sia stato ucciso da Fabio Di Natale e Ciro Castiello “.
(nella foto il luogo dove fu ritrovato il cadavere di Antonio Matuozzo, e nei riquadri da sinistra il boss Umberto Accurso e Carlo Matuozzo)
Camorra, allarme attentati: la Procura di Napoli ha chiesto la Protezione per Colangelo e altri tre magistrati
“Non posso dire se siano emerse altre minacce. Posso dire che la procura ha avanzato quattro richieste di misure di protezione sulle quali si pronunceranno gli organi competenti”. Lo ha detto, rispondendo ai giornalisti il procuratore aggiunto e coordinatore della Dda di Napoli Giuseppe Borrelli, al termine dell’assemblea dei pm partenopei sulla questione sicurezza. Negli ultimi giorni erano emersi due casi di minacce, oltre il progetto dell’attentato al procuratore Colangelo. Il procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso ha affermato che ”la procura non defletterà un attimo dall’azione incisiva di contrasto alla criminalità”. Alla domanda se vi siano altri pm che hanno subito minacce, Fragliasso ha risposto: ”Assolutamente sì: c’è una generalizzata esposizione al rischio di tutti i magistrati della procura”.”E’ stata espressa solidarietà al procuratore Colangelo vittima di un vile tentativo da parte delle organizzazioni criminali di colpirlo nella sua personale attività di organizzatore e nella sua posizione di simbolo dell’attività della procura della Repubblica”, ha spiegato ancora il procuratore aggiunto e coordinatore della Dda Giuseppe Borrelli – ”I magistrati della procura di Napoli – ha aggiunto – continueranno a fare il loro dovere nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata. Nel solo mese di maggio sono state eseguite 260 ordinanze di custodia cautelare, dalla Dda di Napoli, sono stati colpiti tutti i clan camorristici operanti in città, nel Casertano e nel Nolano. Tutto questo nelle condizioni consolidate da molto tempo di notoria carenza di mezzi e di risorse, di personale amministrativo”. ”Quanto alle autovetture, che servono anche a trasportare i magistrati nei tribunali dove si svolgono le udienze – vi rendete conto non possono andarvi in motorino – posso dire che abbiamo un parco auto con 8 vetture non circolanti su un totale di 21 vetture. Solo di recente vi è stata l’assegnazione, che abbiamo visto con piacere, di cinque nuove vetture blindate. Prendiamo atto di questa rinnovata attenzione verso le esigenze del distretto di Napoli”. ”I sostituti – ha spiegato Borrelli – si sono rammaricati del fatto di aver dovuto operare negli ultimi tempi nelle condizioni in cui si sono trovati ad operare. Fermo restando che l’impegno dei magistrati è da considerarsi separato dalle questioni concernenti anche la sicurezza dei magistrati stessi, tuttavia i magistrati auspicano di poter svolgere la loro attività in condizioni di sicurezza. Ci sono state evidentemente, inutile nasconderselo,in passato delle criticità, queste criticità sembrano in via di superamento, ma non ancora superate. I magistrati hanno auspicato nel corso dell’assemblea un cambiamento nella sensibilità alle esigenze della sicurezza’
Solidarietà al procuratore Giovanni Colangelo e ai colleghi minacciati dalla criminalità, un invito a valutare i rischi che corrono i magistrati coinvolti ”in situazioni di potenziale pericolo”, e l’auspicio che le autorità di governo si facciano carico ”della situazione segnalata, superando un approccio burocratico al tema della sicurezza dei magistrati e, nel contempo, impegnandosi per stanziare nell’immediato i necessari fondi”. E’ quanto si esprime in un documento – inviato ai ministri dell’Interno e della Giustizia e al Csm – redatto dai magistrati della procura di Napoli al termine dell’assemblea sul tema della sicurezza convocata in seguito alla scoperta del piano per attentare alla vita del procuratore e alle notizie su minacce indirizzate dalla camorra ad alcuni pm che si occupano di criminalità organizzata. ”I magistrati della Procura della Repubblica di Napoli, nel ribadire compatti piena solidarietà al Procuratore Colangelo ed agli altri colleghi ancor più recentemente destinatari di notizie riguardanti progetti di attentati ai loro danni, intendono rappresentare alle Autorità in indirizzo – si legge nel documento – il problema della sicurezza e delle forme di tutela dei magistrati di questo Ufficio, già oggetto di ripetute segnalazioni ai competenti organi provinciali in tema di sicurezza pubblica, fin qui rimaste inevase”. ”Infatti, a seguito delle allarmanti notizie prima citate, nonché a causa dell’incremento degli omicidi e gravi delitti attribuibili negli ultimi mesi alle numerose associazioni camorristiche operanti nel distretto – scrivono i magistrati della procura -, emerge con chiarezza la sovraesposizione dell’intera Procura di Napoli impegnata a fronteggiare numerose e temibili organizzazioni criminali. Occorre, a nostro avviso, ribadire il principio che, per garantire un’efficace prevenzione dei rischi gravanti sui magistrati impegnati in indagini di criminalità organizzata, è necessario e urgente un effettivo monitoraggio dell’esposizione a rischio di coloro che, addetti alla trattazione di procedimenti di criminalità mafiosa o di grave allarme sociale, si trovano coinvolti in situazioni di potenziale pericolo oggettivamente deducibili da elementi informativi concreti, nonché dalla oggettiva sovraesposizione derivante dal costante impegno nei confronti delle organizzazioni criminali più temibili, impegno attestato dai significativi esiti dei processi nel distretto e dalle scomposte reazioni registrate in ambito criminale”. ”Non è, infatti possibile né appare conforme alla ratio della normativa vigente – affermano i pm – disporre interventi di tutela solo dopo la scoperta di progetti di attentati, in stadio più o meno avanzato, poiché tale impostazione appare legata a scoperte spesso casuali e perciò è da ritenersi inefficace. Né tantomeno è condivisibile l’adozione di forme di tutela ‘provvisorie’, cioè legate alla mera celebrazione di un determinato processo, proprio per la strategia di lungo periodo della gran parte delle organizzazioni di tipo mafioso. D’altra parte, l’impostazione qui condivisa di massima prevenzione dei rischi pare già trovare accoglimento nei sistemi di tutela dei colleghi della DNA e di altre DDA. Si auspica che le Autorità in indirizzo sapranno in concreto farsi carico della situazione segnalata, superando un approccio burocratico al tema della sicurezza dei magistrati e, nel contempo, impegnandosi per stanziare nell’immediato i necessari fondi”.