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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Faida della Sanità: Antonio Genidoni rifiutò la mediazione dei Sequino. Ecco l’intercettazione

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antono genidoni

C’era stato qualcuno che si era adoperato per “mettere la pace”  e fermare la faida tra i Vastarella e i “Barbudos” alla Sanità. Ma non c’è stato niente da fare. Antonio Genidoni in particolare era molto agguerrito e parlando nella sua casa di Milano ignaro che venisse intercettato con un suo amico napoletano che era andato a trovarlo, tale Alessandro (che è corso di identificazione) spiega il perché. La conversazione è contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere lo stesso Genidoni, la mamma Addolorata Spina, la moglie Vincenza Esposito e il parente Emanuele Esposito. Ma perché i Sequino avevano provato a mediare? In primo luogo perché la guerra non conviene a nessuno  visto che si sono intensificati i controlli delle forze dell’ordine e di conseguenza sono diminuiti i traffici illeciti per le cosche e poi perché c’è un legame di parentela: la nonna di Antonio Genidoni è la sorella della mamma dei fratelli Sequino. Ma la loro pressione non è bastata. I Sequino, secondo le ultime informative delle forze dell’ordine, ora sono alleati con i Vastarella e i Mauro e si sono divisi equamente la gestione dei traffici illeciti.  Ecco cosa diceva Antonio Genidoni a tale proposito.

Genidoni: “Ma che c’azzeccano le famiglie?….Non sanno niente Alessandro… non è una cosa che stanno portando spia… perché non facevano queste scemità, credimi… se portavano spia sai che fanno… si organizzano… si organizzano e ti fanno qualche trappola, ma non si mettono a… non si mettono a fare queste scemità”.

Alessandro: «E se i Sequino dicono a Vastarella “Antonio ci ha mandato a chiamare” e quello ha detto vatteli a sentire? E ha detto “prima voi dovete fare il bordello altrimenti diamo addosso a questi qua”.

Antonio: “Che si mettono a fare… si sedevano a tavola con …incomprensibile…”

Alessandro: “Che tengono a che vedere con questo”.

Antonio: “E che tengono a che vedere con questo… incomp… che tengono il sangue a terra”.

Alessandro: “Vogliono stare quieti perché sono una banda di scemi e vogliono stare quieti e quanto più se lo possono tirare a quello più se lo tirano. Questi prima di venire da te sono andati sotto da Patrizio e hanno detto questo ci ha mandato a chiamare”.

Antonio: “Una settimana? E andavano loro Alessandro. Alessandro, successe anche il fatto di Agostino, è successo qualcosa ad Agostino o..? Ti sei scordato il fatto di Agostino? Ci ha detto che …incomp… È successo qualcosa ad Arturo? Non hanno detto nien- te… stammi a sentire, io vorrei andare a scannare adesso… adesso, ma quello ha fatto una mossa i telligente, il fatto di Agostino non gli ha detto niente perché sono quindici giorni, dice quando mai io non tengo niente a che vedere con quelli là. Quello lo butta, si passava per il c…o, quello nel dubbio lo butta, che poi che tengono da buttare là mannaggia”



CLAMOROSO: la Dda accusa l’ex portiere del Napoli, Pino Taglialatela di legami con il clan Mallardo

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Clamorosa svolta nel processo al tribunale di Napoli dove sono imputati esponenti di spicco del clan Mallardo per associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia dei beni, con l’aggravante di avere favorito l’azione della cosca di Giugliano. Come riporta il portale InterNapoli.it, sempre attento ai fatti di cronaca dell’Area Nord di nGapoli e dei comuni del Giuglianese, nel dibattimento di oggi il pm Maria Cristina Ribera ha accusato l’ex portiere del Napoli Pino Taglialatela addirittura la partecipazione associativa al clan Mallardo. L’ex giocatore azzurro è già imputato nel procedimento per intestazione fittizia di beni. Nel corso del blitz del Gico fu sequestrato un T Max a casa di Mauro Moraca genero del boss Maliardo, intestato proprio all’ex portiere del Napoli Pino Taglialatela. Il pm ha appesantito l’accusa nei suoi confronti contestandogli anche la partecipazione all’associazione camorristica ai Mallardo, con i quali il portiere è imparentato. Chiamato a testimoniare nel processo l’ex Ds del Napoli Gigi Pavarese, il quale ha smentito categoricamente che gli scatti di carriera di Taglialatela siano stati favoriti dal clan Mallardo come sostenuto dall’accusa. I difensori dell’ex giocatore hanno chiesto i termini di difesa per contestare le nuove accuse. Nel processo sono imputati, tra gli altri, Mauro Moraca e Carlo Antonio D’Alterio, rispettivamente genero e nipote di Feliciano, e Giuliano Amicone, braccio destro del boss. Stralciate, invece, le posizioni di Feliciano Mallardo e Silvio Diana, essendo le due persone decedute.

Era novembre del 2012 quando il Gico, su disposizione della DDA, eseguì l’operazione Crash che portò all’arresto di cinque persone ed al sequestro di beni mobili ed immobili per cinque milioni di euro. Grazie alle intercettazioni ambientali ed ai racconti dei collaboratori di giustizia si riuscì a ricostruire il sistema delle estorsioni messe in atto dai Mallardo, in particolare in due diverse vicende ai danni di due imprenditori edili giuglianesi. Svariate le operazioni economiche e imprenditoriali realizzate da Mauro Moraca, tra l’altro, per conto dei Mallardo. Nel corso dell’inchiesta furono eseguite anche perquisizioni negli uffici della Asl Napoli 2 Nord accertando l’infiltrazione dei Mallardo in diversi settori. Come ad esempio la partecipazione di imprese ‘amiche’ a gare pubbliche, fra cui un appalto all’ospedale Cardarelli di Napoli, l’affidamento del servizio di derattizzazione, la vendita di terreni di proprietà dell’Asl Napoli 2 nord, l’inserimento di imprese ‘amiche’ nell’elenco delle ditte accreditate dell’Asl Napoli 2 Nord, permettendo di procurare ai Mallardo ingenti profitti, da utilizzare per effettuare investimenti o per il reimpiego di soldi del clan. Vittima del racket anche un altro imprenditore che ha effettuato lavori di ristrutturazione all’interno dell’ospedale San Giuliano di Giugliano. La vittima fu costretta a sborsare la somma di 60mila euro, di cui 55mila per la costruzione di 12 unità immobiliari e 5 mila euro, appunto, per alcune ristrutturazioni edilizie eseguite presso l’ospedale di Giugliano, tra cui il reparto di Radiologia.

Umberto Accurso si difende davanti al gip: “Sono stato accusato ingiustamente”

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“Sono stato accusato ingiustamente e non ho niente a che fare con la  camorra”, questo in sintesi il pensiero di Umberto Accurso, il giovane boss della Vanella Grassi che ieri ha respinto le accuse e ha risposto alle domande del gip nel corso dell’interrogatorio di garanzia. Accurso ha anche detto di essere “una brava persona e di essere un disoccupato” Difeso dall’avvocato Claudio Davino, Accurso quindi ha scelto di difendersi. Contro di lui anni di indagine e le dichiarazioni dei pentiti che lo accusano di essere il boss e il gestore e controllore dei traffici illeciti nella Vinella di Scampia e di essere il mandante di numerosi omicidi e in particolare i  duplici omicidi dei fratelli Matuozzo e Stanchi- Montò, ma anche di molti ferimenti e attentati. Ora il suo difensore prepara il ricorso al Riesame. Umberto Accurso è stato arrestato tre giorni fa a Qualiano dopo 4 anni di latitanza ed è sospettato anche di essere il mandante e forse uno degli esecutori dell’attentato alla caserma dei carabinieri di Secondigliano.

 

La droga lungo l’asse Marano-Vomero-Ischia veniva chiamata “sacchi di farina”. Le intercettazioni. I nomi di tutti gli arrestati

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giuseppe formigli ok

“sacchi di farina”. Cosi i trafficanti di Marano, del Vomero e di Ischia chiamavano la droga che smerciava a Napoli e Provincia.  Due holding, anzi due veri e propri supermercati in cui si poteva ordinare di tutto:cocaina, eroina, hashish e marijuana. Una delle organizzazioni aveva base a Marano e ramificazioni in Spagna, contigua al gruppo Polverino; l’altra con solide radici al Vomero e una fitta rete di insospettabili corrieri con Ischia. D’inverno si vendeva in città, d’estate sull’isola. Ma il flusso è stato interrotto dai carabinieri, coordinati dalla procura antimafia, che all’alba di ieri hanno eseguito 18 ordinanze di custodia cautelare: 13 in carcere e 5 ai domiciliari. Tra gli arrestati ci sono due personaggi di rilievo, considerati i capi dei rispettivi gruppi: Castrese Nettuno e Giuseppe Formigli detto “Peppe o’ nano”. Il primo è il padre di Vincenzo, latitante per tre anni in Spagna, da dove partiva la sostanza stupefacente, finito in manette a novembre scorso; il secondo è il figlio di Gennaro, ras storico della mala collinare negli anni in cui dominava il clan Alfano. Gli organizzatori del traffico si finanziavano, per acquistare la droga da rivendere, con furti in scuole napoletane e della provincia. Mentre  per trasportare lo stupefacente fossero utilizzate persone incensurate: uomini e donne per la maggior parte insospettabili. Personaggio principale del gruppo di trafficanti era Giuseppe Formigli, soprannominato “Peppe o’ nano”. Lui e i complici agivano in maniera scaltra, reclutando donne insospettabili che a loro volta per evitare controlli portavano loro dei bambini. In un’occasione però, due di esse sono state controllate al porto isolano e arrestate. Già a Napoli e a Pozzuoli, all’imbarco, erano tenute d’occhio dai militari. Nel corso degli arresti, ieri mattina, è stata sequestrata droga per circa 4 chili. Gli episodi di cessione di sostanze stupefacenti, sempre in gran quantità, sono diversi e tutti ricostruiti puntualmente dai carabinieri della compagnia Vomero. Il primo riguarda un viaggio compiuto da Vincenzo Baldetti di Villanova a Piombino, il 4 maggio 2014, per la consegna di 20 chili di cocaina. La droga era stata fornita da Castrese Nettuno (padre di Vincenzo, arrestato a novembre scorso dopo tre anni di latitanza in Spagna) con l’aiuto di Antonio Rusciano. Il giorno prima gli uomini dell’Arma intercettarono una telefonata tra Baldetti e un “amico di Calvizzano”, chiamato pure “il pittore”. Ecco alcuni passaggi della conversazione.

Enzo: “Pronto”.

Antonio: “Pronto”.

Enzo: “Chi è?”.

 

Antonio: “Sono quell’amico di Calvizzano”

Enzo: “Ma sei il nipote di Gennaro?”.

Antonio: “Eh”.

Enzo: “Ah, ho capito chi è, il pittore (Antonio Rusciano infatti è un imbianchino)”

Antonio: “Eh”.

Enzo: “Ho capito! Ora mi vengo a fare una camminata, in questi giorni da voi”.

Antonio: “No, ma puoi venire ora?”

Enzo: “Come..Ora vengo un attimo”.

Antonio: “Allora ti aspetto qua”.

Poi Vincenzo Baldetti parla con la compagna (non indagata) e le spiega che le serve l’auto  di famiglia perchè deve incontrare “lo zio di Marano”per un affare importante. “Devo scaricare dei sacchi di farina”, le spiegò: “Mi dovrebbe dare 1000 euro…1000 euro al mese, capito? A lavorare!”.

Giusy: “Va bene”.

Enzo: “Va bene?”.

Giusy: “Come..”.

Enzo: “Così, paghiamo il proprietario di casa”.

 ECCO TUTTI I NOMI DEGLI ARRESTATI

AMMENDOLA GENNARO T. ANNUNZIATA 28/11/1969

BALDETTI DI VILLANOVA ALFONSO NAPOLI 06/071974

BALDETTI DI VILLANOVA VINCENZO NAPOLI 25/11/1971

BARBATO RUBEN NAPOLI 04/06/1986

FORMIGLI GIUSEPPE NAPOLI 24/03/1979

 GUARINO GIUSEPPE VILLARICCA 23/03/1977

MIGLIACCIO SALVATORE POZZUOLI 17/12/1995

MOLEA VALERIA  NAPOLI 10/02//1987

NETTUNO CASTRESE MARANO 06/10/1953

NETTUNO CIRO MARANO 27/01/1975

PERROTTA SALVATORE MUGNANO 18/11/1988

PESCE PIETRO NAPOLI 29/05/1976

RAIANO VINCENZO  NAPOLI 18/04/1976

RUSCIANO ANTONIO MARANO 01/01/1962

RUSSO SALVATORE  MARANO 27/06/1975

SCHIATTARELLA ANIELLO  MARANO 17/10/1964

SICONOLFI PASQUALINA ISCHIA 07/03/1966

SORIENTE VINCENZO SALERNO 05/09/1973(nella foto Giuseppe Formigli, “peppe ‘o nano” , capo dell’organizzazione)

Omicidio della piccola Simonetta Lamberti: la Cassazione conferma i 30 anni di carcere per Antonio Pignataro

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simonetta lamberti

Trenta anni di carcere. Ieri sera la Cassazione ha confermato la sentenza nei confronti di Antonio Pignataro unico imputato rimasto in vita nel processo per l’omicidio di Simonetta Lamberti, la bambina di 11 anni figlia del magistrato Alfonso, uccisa per errore dal gruppo dei cutoliani dell’agro nocerino il 29 maggio del 1982 a Cava de Tirreni. Dopo 34 anni anni quindi finisce l’incubo per la famiglia della piccola vittima innocente della barbarie camorristica. Obiettivo dell’agguato era  il padre di Simonetta, il magistrato Alfonso, rimasto solo ferito nell’agguato. Dopo anni di processi e sentenze annullate, a far riaprire il caso fu quattro anni fa la confessione di Pignataro, che prima a un compagno di cella e poi al sostituto procuratore antimafia Vincenzo Montemurro cominciò a svelare i dettagli di quel delitto, deciso perché le indagini di Lamberti iniziavano a dare fastidio ai clan dell’Agro nocerino legati alla Nco di Raffaele Cutolo. Gravemente ammalato (tant’è che è stato trasferito ai domiciliari) Pignataro ha raccontato di non farcela più a convivere con il rimorso di quella bambina ammazzata. Ha confessato di essere stato nella Fiat 127 che avrebbe fatto da staffetta sulla strada di Molina di Vietri, facendo rallentare l’auto del magistrato, e ha indicato in quattro persone, tutte però decedute, gli altri responsabili dell’attentato: il mandante Francesco Apicella e i sicari Gerardo Della Mura, Claudio Masturzo e Gaetano De Cesare. In virtù di questa confessione i difensori Luigi Gabola e Libero Mancusi avevano impugnato la condanna, chiedendo che al killer “pentito” fossero concesse le attenuanti generiche e che per questo la pena fosse rideterminata in modo da rendere possibile una dichiarazione di “estinzione del reato per intervenuta prescrizione”. Ma ieri la Cassazione ha messo la parola fine condannando a 30 anni Pignataro.

Castellammare: ecco come gli 007 israeliani hanno “incastrato” Antonio Somma

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antonio somma

Una presunta appropriazione indebita da 50 milioni di euro e un lodo arbitrale da due miliardi nel quale si paventa un tentativo di corruzione da 400 milioni che ha spinto il presidente del Tribunale di Milano, con una decisione unica in Italia, a ricusare il presidente del collegio arbitrale. E’ uno degli ultimi atti di una guerra tra l’assicuratore di Castellammare di Stabia, Antonio Somma e la compagnia statunitense AmTrust, quotata in borsa, e che è leader in Italia nell’assicurare il 60% degli ospedali e 40mila medici dalla responsabilità per ‘malpractice’. Una contesa economica che dura dal 2014 e nella quale gli americani della AmTrust hanno messo in campo 007 israeliani, come agenti provocatori, per scoprire i legami che Antonio Somma ha con Marco Lacchini, in grado di ‘pilotare’ l’arbitrato in suo favore.

La vicenda viaggia su una vicenda che si è divisa in due processi: uno civile quello del Lodo milanese e l’altra penale, quella per appropriazione indebita pendente dinanzi al Tribunale monocratico di Torre Annunziata e che sarà valutata tra qualche giorno. Intorno, relazioni, fiumi di danaro, interessi internazionali e lo spionaggio messo in campo dagli americani per smascherare una presunta corruzione messa in atto dall’assicuratore napoletano nei confronti del notissimo professore di economia Lacchini.

Il 3 marzo, il Tribunale civile di Milano ha ricusato Lacchini, nominato dall’ex presidente Livia Pomodoro e confermato dal subentrante Roberto Bichi. Ha rigettato, inoltre la richiesta di risarcimento di 8 milioni di euro, presentata dai legali del professore di economia aziendale, prorettore dell’Università di Cassino, ex commissario del concordato Federconsorzi, dal 2014 sindaco di Eni.

Alla base della decisione due conversazioni registrate dagli 007 della Black Cube israeliana che hanno incontrato sia Antonio Somma che Marco Lacchini. Stralci delle conversazioni e un biglietto scritto di suo pugno da Somma, sono agli atti della ricusazione, come riporta il ‘Corriere della sera’ del 16 aprile scorso.

Lacchini avrebbe dovuto dirimere un contenzioso tra l’AmTrust americana e le società Trust Risk del broker napoletano (noto anche nello sport come proprietario della Bivans, la più importante scuderia di cavalli trottatori) iniziato nel 2014. AmTrust accusa Somma di aver in anticipo trattenuto 50 milioni di euro di future provvigioni. Per questo Somma è stato rinviato a giudizio, su richiesta del pm Rosa Annunziata della Procura di Torre Annunziata, dinanzi al giudice monocratico Della Ragione, per appropriazione indebita ed è stato anche radiato dall’Autorità di controllo Ivass.

Antonio Somma però impugna la rottura contrattuale con gli americani e reagisce calcolando in due miliardi di euro il danno ricevuto e fa causa alla AmTrust, in due arbitrati da un milione di euro ciascuno a Milano.

Ciascuna delle due parti nomina un arbitro, e insieme chiedono che a nominare il terzo, cioè il presidente del collegio: indicato da due presidenti del tribunale che si sono succeduti in Marco Lacchini. A marzo, però, arriva il colpo di scena. L’agenzia di investigazioni private israeliana Black Cube deposita delle indagini difensive commissionate dagli americani. Gli 007 israeliani si fingono, a febbraio scorso, manager interessati a fare affari con Somma. Si incontrano con il broker napoletano prima all’Hotel de la Minerve di Roma poi al ristorante Sapori di mare e registrano la conversazione. Somma afferma che è ‘sicuro’ che nei due arbitrati ‘avrebbe ottenuto decisioni favorevoli per 400-500 milioni di euro’ grazie al fatto che ‘era in grado di controllare i collegi arbitrali’. Somma sostiene con gli israeliani che ha una ‘relazione di natura pecuniaria con uno degli arbitri’ e lo identifica nel presidente Lacchini. Millantato credito o verità gli agenti israeliani gli credono, anche perché Somma mette nero su bianco la percentuale che avrebbe poi pagato a Lacchini. Sfregando il pollice con il medio nel gesto che esprime il concetto di danaro – sostengono gli uomini della Black Cube – somma scrive su un foglietto 10%. Quel foglio è agli atti dell’arbitrato e potrebbe essere una prova calligrafica di quanto sostiene in giudizio la AmTrust americana. Ma gli israeliani fanno di più: incontrano Lacchini. Si presentano come accademici per proporgli un incarico come docente in un paese del Golfo Persico. Nel corso della conversazione, Lacchini – parlando in generale degli arbitrati, quindi non di quello che interessa Somma – afferma di poter garantire una decisione favorevole quando si trova presiedere il collegio, e di poter in ogni caso influenzare le decisioni (anche solo come membro del collegio) nel caso si fosse presentato un contesto favorevole. Tanto è bastato affinché il 3 maggio scorso, Lacchini fosse ricusato dal giudice civile di Milano Laura Cosentini. Lacchini naturalmente si difende. Ad assistere nel Lodo, Antonio Somma è l’ex giudice, noto giurista e avvocato famoso per aver assistito in più occasioni la Fininvest, Romano Vaccarella.

La vicenda civilistica ha ripercussioni anche nell’ambito di quella penale, pendente dinanzi al giudice monocratico Luca Della Ragione. Nel processo che si celebrerà nei prossimi giorni, Somma è difeso attualmente dall’avvocato Carlo Enrico Paliero, subentrato al professore Vincenzo Maiello per una questione di opportunità.

Della Ragione che a gennaio ha dissequestrato 8 dei 32 milioni fatti sequestrare dal pm Rosa Annunziata ad Antonio Somma è stato allievo e ex collaboratore della cattedra di Maiello all’Università Federico II. L’avvocato Paliero si è espresso – parlando con il giornalista del Corriere della sera – sul processo per appropriazione indebita pendente a Torre Annunziata: “Sono accuse false, interpretazioni manipolative di dichiarazioni mai rese nei termini esposti da AmTrust, e supportate da indagini la cui legittimità stiamo vagliando nel sospetto possano essere state condotte abusivamente”.

Ercolano: l’ex “Lady camorra”, oggi pentita, Antonella Madonna protagonista de “Le camorriste” su Sky

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antonella madonna

Non può certo paragonarsi a Pupetta Maresca, attrice in “Delitto a Posillipo” e “Londra chiama Napoli” e a cui Canale 5 qualche anno fa ha dedicato una fiction interpretata da Manuele Arcuri, ma Antonella Madonna, la ex “lady camorra” di Ercolano, oggi pentita conoscerà anche lei la notorietà televisiva. L’ex moglie del boss Natale Dantese, mandante ed esecutore materiale di numerosi omicidi, come la stessa Madonna, nella sanguinosa faida di camorra di Ercolano. tra gli Ascione-Papale e i Birra-Iacomino ai quali apparteneva, sarà la protagonista della prima puntata de “Le camorriste”, la speciale serie televisiva che a fine mese andrà in onda su Sky. Antonella Madonna racconterà in prima persona la sua storia criminale, dall’amore nato nei vicoli di Pugliano con Natale Dantese fino all’ascesa e poi la caduta all’interno del clan. Con l’arresto del marito “lady camorra” era diventata un punto di riferimento di tutti gli affiliati. Dava ordini, decideva a chi imporre il pizzo, le strategie difensive, il traffico di droga, gli omicidi, comandava insomma. Era una vera donna boss. Ma un giorno si innamorò di un marittimo e cominciarono le fughe d’amore negli alberghetti di provincia. Ma “radio vicolo” scoprì ben presto la tresca che non le fu perdonata. Un giorno mentre si trovava in un albergo della provincia di Napoli insieme con il suo compagno fecero irruzione i “guaglioni” del clan che pestarono a sangue entrambi e le presero le chiavi di casa in segno di disprezzo. E così che Antonella Madonna capì che la sua carriera criminale era finita. Andò dai carabinieri e decise di pentirsi. Raccontò tutto. di li a qualche mese scattarono decine di manette per boss e affiliati. L’odio del clan nei suoi confronti divenne sempre più grande fino ad offrire 50mila euro a un pentito per farla ammazzare nella sua località protetta. Oggi grazie alla collaborazione di Antonella Madonna decine di persone dei due clan in lotta a Ercolano sono stati condannati. E la città è un po più libera dai poteri criminali.

Il pentito Giordano: “Ai clan Fabbrocino, D’Avino e Panico 250mila euro per ogni stazione della Circum della nuova linea”

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Per ogni nuova stazione della Circumvesuviana le ditte dovevano pagare una tangente al clan Fabbrocino di 250mila euro. Lo ha raccontato alla Dda di Napoli, Carmine Giordano il pentito della cosca del “gravunaro”. Alcuni passi del suo racconto sono contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare che nei giorni scorsi ha colpito con 21 arresi i clan D’Avino e Anastasio nei comuni di Somma Vesuviana, Sant’Anastasia, Casalnuovo, Castello di Cisterna e Pomigliano. Il pentito ha spiegato ai magistrati: “…Ho avuto rapporti con i Fabbrocino per la vicenda relativa alle estorsioni per la linea veloce della Circumvesuviana che doveva passare per i comuni di Sant’Anastasia, Somma Vesuviana, san Giuseppe Vesuviano fino a Sarno”. Secondo il pentito si sarebbe dovuto tenere un summit tra i Panico e i Fabbrocino alla sua presenza visto che era il referente dei Fabbrocino per i comuni di Somma e sant’Anastasia. Il summit in un bar della zona vesuviana però saltò perché il ras del clan Fabbrocino della zona fu impossibilitato a partecipare. Il pentito Giordano poi racconta: “…io avrei dovuto raccogliere le estorsioni epr conto di fabbrocino e allora si parlava di una cifra ingente, circa 500/600mila euro per le sole fermate di Somma e Sant’Anastasia.Anche il clan D’avino era a conoscenza di questa trattativa”. estorsione della quale Giordano non ne seppe più nulla perché nel frattempo era passato con il clan Sarno di Ponticelli.


Marcianise: indagato l’ex sindaco Pd, Filippo Fecondo, avrebbe ricevuto voti dai casalesi

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Avrebbe ricevuto sostegno elettorale dalla camorra alle consultazioni comunali del 2001 e del 2006 l’ex sindaco Pd di Marcianise Filippo Fecondo. E’ quanto ipotizza l’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli (sostituto procuratore Luigi Landolfi) che ha indagato l’ex primo cittadino per concorso esterno in associazione camorristica e ha inviato i carabinieri del Nucleo Operativo di Caserta al palazzo municipale di Marcianise per acquisire atti e documenti relativi alle operazioni elettorali sotto accertamento. Determinanti per l’avvio dell’indagine le dichiarazioni di ex esponenti di spicco del clan Belforte di Marcianise, oggi collaboratori di giustizia, come l’ex reggente Michele Froncillo, Bruno e Claudio Buttone.

Il pentito accusa: “Ciro Contini aveva la stanza delle torture”

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ciro contini in manette

Aveva la stanza delle torture Ciro Contini nella quale seviziava tutti quelli che non gli pagavano le quote della droga. Lo ha raccontato ai magistrati della Dda di Napoli il pentito Bruno Esposito sfuggito ad una esecuzione lo scorso gennaio perché è riuscito a rifugiarsi all’interno del commissariato San Carlo all’Arena a Capodichino. Ecco il suo verbale. “Mi feci portare da Ciro Contini 64 chilogrammi di cocaina, acquistati da lui perché intende- vo spacciarla a dettaglio. Lui attualmente è il capo del can Sibillo. L’ho conosciuto tramite Giovanni Licciardi che a sua volta mi fu presentato due anni fa da un mio parente acquisito, Giuseppe De Rosa, affiliato al clan Botta, che opera nel rione Amicizia. Circa due mesi fa Giovanni Licciardi mi presentò Ciro Contini e cominciai a lavorare con lui. Ho acquistato da Contini della cocaina che poi ho rivenduto a Casavatore e nel Nolano. Pagavo 44 euro a grammo. Mi sono rifornito da Ciro Contini due volte: la prima volta ho acquistato duecento grammi e la seconda 64 grammi di cocaina. Ho eseguito con Contini anche altri reati. La settimana scorsa mi ha contattato al cellulare e mi ha detto di andare a casa sua. Mi sono recato da lui che abita in una traversa di Capodichino al terzo piano. Mi chiese di contattare un tale Emanuele di cui non ricordo il cognome e che abita a Casoria perché intendeva fare una riunione con lui. Fissammo l’appuntamento per la sera stessa nello scantinato della mia abitazione, i due si accordarono e decisero di gestire assieme la zona di Casoria. Quel giorno nello scantinato Contini lasciò un trolley con all’interno delle armi che chiamava con il nome delle mie figlie, poi si riprese la borsa. Risolto questo problema mi ha parlato di un altro problema: un mio cliente di Nola, a nome Pietro, acquirente di stupefacenti che poi rivendeva al dettaglio, aveva acquistato da me 110 grammi di cocaina della partita di 200 che avevo acquistato da Contini. Pietro mi doveva versare 5.500 euro in tutto, ma mi ha pagato solo una parte ed è rimasto debitore di 3.400 euro. Ciro ha chiamato Pietro e lo ha minacciato gravemente: se non lo avesse pagato lo avrebbe ucciso e gli avrebbe violentato la figlia. Pietro mi ha richiamato e mi ha detto che non avrebbe pagato per le gravi minacce subite. Io ero legato a Pietro come il cane con il padrone,ha preteso che andassi con altri suoi uomini a fare un pestaggio ad un pusher di piazza Bellini, perché spacciavano senza la sua autorizzazione. Pietro allora si è rivolto ad un esponente dei Moccia per tendermi una trappola. Mi hanno invitato da un barbiere a Casoria e poiché sapevamo che i Moccia non volevano la droga a Casoria, l’ho detto a Ciro e siamo andati all’appuntamento. Lui si è armato e si è fatto scortare da due scooter. Lui ha fatto irruzione nel locale, ha picchiato tutti ed è andato via. Poi c’è stato il sequestro delle armi nel mio scantinato e conti- ni ha pensato che fosse stato mio fratello a contattare i carabinieri. Contini mi ha cercato e sono andato da lui: mi ha puntato un coltello alla gola e mi voleva portare nella stanza delle torture di cui mi ha sempre parlato. Sono riuscito a scappare e sono corso dalla polizia al commissariato San Carlo all’Arena”.

Il pentito racconta la faida di Scampia: “Tripicchio fu ammazzato dagli Abete-Abbinante”

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il luogo omcidio e tripicchio

“Roberto Manganiello mi disse che anche l’omicidio di Rosario Tripicchio proveniva dagli Abete-Abbinante. Non so da chi lo aveva saputo e non mi riferì chi aveva sparato. Tripicchio era affiliato agli Amato-Pagano: faceva droga al Lotto G e che io sappia non era un killer”, a parlare è Gianluca Giugliano, ex affiliato ai Marino delle Case Celesti. Gli investigatori stanno cercando riscontri alle sue parole. Dopo aver risolto il caso del du- plice omicidio Stanchi-Montò, gli inquirenti puntano a risalire a mandanti ed esecutori dell’agguato mortale a Rosario Tripicchio, avvenuto il 5 gennaio 2012.  Ecco cosa dice ancora il pentito Gianluca Giugliano: “So, per averlo saputo da Roberto Manganiello, quando facemmo pace nel febbraio- marzo 2012, che anche l’omicidio di Rosario Tripicchio veniva dalla mano delle famiglie Abete e Abbinante. Arcangelo Abete allora era detenuto e reggenti erano Arcangelo Abbinante e Mariano Abete. Non so da chi Manganiello seppe di questo omicidio e non mi disse chi aveva sparato. Al 5 gennaio il Lotto G era della Vanella Grassi e dei Leonardi”. Ma prima di Giugliano c’era stato Giovanni Illiano, un altro pentito di Scampia che aveva dato indicazioni agli investigatori sull’omicidio Tripicchio. Ecco cosa disse il pentito: “Rosario Guarino  mi chiese, quasi a capire cosa ne pensassi; che ne pensi di Rosario? intendendo Rosario Tripicchio. Io risposi, Rosario è un bordellista. Al che Guarino disse: Rosario a bell e’ buono more. Guarino disse: non incontriamoci più qui la prossima volta vengo io giù da te, intendendo a via Regina Margherita da mia suocera. Finito l’incontro, uscimmo e comparve improvvisamente Mennetta Antonio. Ci abbracciammo e baciammo e quello disse: questa è casa tua. Mi chiusi in casa. Il giorno prima che morisse Stanchi Raffaele, Guarino Rosario venne a casa di mia suocera e mi disse: Domani ci incontriamo, non uscire di qui se non vengo io. Tripicchio era già morto”.

Rosario Tripicchio fu ammazzato mentre tornava a casa, in via San Vito a Giugliano. Aveva appena parcheggiato l’autovettura che nell’oscurità comparvero i killer, rendendogli inutile ogni tentativo di scappare. Il 31enne aveva lasciato l’abitazione di Scampia dopo la rivolta dei clan napoletani contro gli Amato-Pagano, cui invece lui era rimasto fedele.

(nella foto il luogo dell’omicidio e nel riquadro la vittima rosario tripicchio)

Tentato omicidio: la Cassazione manda in carcere il baby boss Formicola e 3 suoi complici

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gaetano formicola

Dovrà scontare sei anni di carcere il baby boss di san Giovanni a Teduccio, Giovanni, Formicola ‘o chiatto, indagato a piede libero dopo una clamorosa decisione del Riesame il mese scorso insieme con il cugino Giovanni Tabasco “birillo” dell’omicidio e occultamento di cadavere del 18enne Vincenzino Amendola. Questa volta, a meno che non si siagià reso uccel di bosco di nuovo come quando due mesi scappò perché inseguito dall’ordinanza di custodia cautelare per l’omicidio di Amendola, appunto (fu arrestato nella campagna di Viterbo dopo 20 giorni di latitanza), in carcere ci dovrà andare per davvero perchè la sentenza è definitiva ed è stata emessa l’altra sera dalla Cassazione. Gaetano Formicola è accusato del tentato omicidio di Alfonso D’Amico, esponente di spicco dell’omonimo clan del “Bronx”in guerra con i Formicola, avvenuto il 21 marzo del 2013. Con Formicola sono stati condannati a sette anni e mezzo di carcere anche Lorenzo Pianese e i fratelli salvatore e Leandro Silenzio. Tutti sono accusati di tentato omicidio, minacce, porto e detenzione di armi, reati aggravati dall’articolo 7.

(nella foto gaetano formicola)

Un altro magistrato della Dda minacciato dai clan della camorra. Mercoledì assemblea di tutti i pm del pool

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manifestazione-colangelo-2

C’è un altro magistrato della Dda di Napoli minacciato dai clan della camorra. Come scrive Il mattino oggi in edicola si tratta di Cesare Sirignano, magistrato per dieci anni impegnato nel pool anticamorra di Napoli, autore delle indagini che hanno disarticolato i clan di Gomorra nel Casertano, fino a passare dallo scorso luglio nei ranghi della Procura nazionale antimafia, guidata dal procuratore nazionale Franco Roberti. Ma in cosa consistono le minacce nei confronti del pm Sirignano? Massimo riserbo sul nuovo filone investigativo, riflettori puntati sulla camorra di Castelvolturno, su un boss che avrebbe manifestato il proprio odio nei confronti del magistrato. Odio corredato da minacce, in uno scenario che in questi mesi è stato oggetto di indagini penali e di valutazioni in sede di comitato per l’ordine pubblico. Intanto dopo la vicenda Colangelo mercoledì pomeriggio in Procura è prevista un’assemblea alla quale saranno presenti i cento pm, con i loro aggiunti, al cospetto dello stesso Giovanni Colangelo: si parlerà di piano organizzativo, ma centrale sarà la questione sicurezza, anche per valutare le eventuali risposte da parte del comitato per l’ordine pubblico di Napoli. Due le aree e i gruppi di lavoro particolarmente esposti in questo periodo, come quello che si occupa di Secondigliano e rione Sanità, ma anche quello che indaga sulle ultime evoluzioni della camorra casalese.

Droga dalla Spagna: 14 condanne e 7 assoluzioni per il clan Polverino. Condannato a 17 anni Raffaele Vallefuoco

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GNA - (intranet) 2 foto arresto giuseppe polverino

Si è concluso con 14 condanne e 7 assoluzioni il processo per traffico e spaccio di marijuana gestito dal clan Polverino, attivo a Marano e nell’hinterland settentrionale di Napoli. Il Tribunale ha accolto gran parte delle richieste del pm della Dda Henry John Woodcock, che aveva proposto per gli imputati accusati di spaccio di marijuana pene più lievi di quelle solitamente inflitte per questo reato. Nel corso della requisitoria infatti Woodcock aveva evidenziato, tra l’altro l’opportunità di legalizzare le droghe leggere, sottolineando sia i costi in termine di vite umane (i numerosi omicidi per il controllo delle piazze di spaccio di hascisch e marijuana) sia per la repressione di tale attività. Il pm aveva affermato inoltre che esse rappresentano ‘una fonte di arricchimento e un serbatoio di manovalanza” per la criminalità, producendo inoltre ”alti costi per lo Stato”. Con la sentenza di oggi i giudici hanno accolto l’impostazione dell’accusa: oltre a condanne pesanti per i presunti promotori del traffico di droga (17 anni e sei mesi per Raffaele Vallefuoco, che era stato arrestato in Spagna nel 2012 insieme con il boss Giuseppe Polverino) , hanno emesso nei confronti di otto spacciatori condanne varianti dai quattro anni e mezzo ai due anni e 10 mesi di reclusione, assolvendone sette.

(nella foto raffaele vallefuoco)

Da “Gomorra” ai nuovi “Baby boss”: chi c’è dietro il tentativo di attentato al Procuratore Colangelo?

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colangelo

Chi c’è dietro il tentativo di attentato al procuratore capo di Napoli, Giovanni Colangelo? Da giorni ormai gli investigatori di Napoli e Bari ma anche della direzione antimafia nazionale stanno tracciando un quadro completo e aggiornato della situazione criminale a Napoli e provincia anche alla luce degli ultimi avvenimenti napoletani. Ci si interroga sul perché e soprattutto su chi aveva organizzato un gesto così plateale contro lo Stato. Le analisi fatte dagli investigatori in questi giorni sono tutte corrette anche perché il panorama criminale napoletano sta subendo dei cambiamenti radicali. Da “Gomorra” del 2004 alla situazione attuale tra Secondigliano, Scampia, Melito e Mugnano, oltre alle altre cittadine a nord di Napoli sotto l’influenza dei Di Lauro e degli “scissionisti” c’è stata un’ecatombe: tra omicidi e ferimenti i fatti di sangue sono stati circa 150. Un numero impressionante, provocato soprattutto dalla prima faida, con 73 vittime. Ma anche l’ultima è stata terrificante per certi versi ancora più da brividi se si pensa alla seconda “avotata” della “Vanella Grassi”: prima schieratasi con gli Abete-Abbinante- Notturno- Aprea e poi con gli Amato-Pagano. Una “girata” decisiva per il predominio con i nemici, tanto da ottenere nella divisione finale nei territori da utilizzare per le piazze di droga un risultato migliore degli altri. Nel frattempo anche i Di Lauro hanno riconquistato posizioni e per il momento la tregua, da considerare oggi una duratura pace, non sembra essere scalfita. E ora dopo la stagione dei pentiti e degli arresti c’è una situazione di fibrillazione in tutti i quartieri di Napoli. I 32 morti di camorra dall’inizio dell’anno, le decine si feriti, e le tantissime “stese” e attentati fino a quello clamoroso della caserma dei carabinieri a Secondigliano ne sono la testimonianza evidente. Le nuove leve, i cosidetti baby boss della camorra 2.0 o social, che comunque non sarebbero capaci di organizzare un attentato di tipo stragista come quello ordito contro Colangelo, hanno sete di potere e le loro manifestazioni di forza rischiano di non risparmiare neanche le vittime innocenti con le vendette trasversali. Gli arresti dei Lo Russo, dei Mallo, dei Genidoni-Esposito e quello del super latitante Umberto Accurso hanno segnato dei punti a favore della lotta alla camorra. Ma c’ è ancora l ‘altro “fantasma” da catturare: Marco Di Lauro, l’ultimo dei figli di Ciruzzo ‘o milionario colui che inventato il sistema “Gomorra”. E ora tutti sono chiamati a fare quadrato per arginare la nuova, pericolosa e preoccupante avanzata della camorra.

 


Napoli: la Dda ha presentato ricorso in Cassazione contro la scarcerazione dei due presunti killer di Vincenzino Amendola

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i tre killer di amendola

Il pm della Dda di Napoli Antonella Fratello ha presentato il ricorso in Cassazione contro la scarcerazione del baby boss Gaetano Formicola ‘o chiatto e del cugino Giovanni Tabasco ‘o birillo. I due sono accusati di essere gli esecutori materiali dell’omicidio del 18enne Vincenzino Amendola ucciso il 5 febbraio scorso e il cui corpo fu ritrovato dopo 14 giorni grazie alla collaborazione di Gaetano Nunziato, altro componete del commando di morte. Formicola e il cugino erano stati arrestati dopo circa un mese di latitanza nelle campagne del viterbese ma dopo 15 giorni di carcere i due furono messi in libertà dal Tribunale del Riesame che ha ritenuto poco credibile il neo collaboratore Nunziato e perché non ci sarebbe stato un movente per l’omicidio. Secondo quanto si è sempre sostenuto nel corso dell’indagine  Vincenzo Amendola, il cui corpo fu sotterrato in un terreno vicino al laghetto di San Giovanni a Teduccio, avrebbe pagato con la vita il vanto che si faceva in giro di avere una relazione con la mamma di Gaetano Formicola. Tutte cose raccontate agli investigatori da Gaetano Nunziato, amico del cuore, di Amendola che dopo aver partecipato all’omicidio per il timore di fare la fine dell’amico decise di pentirsi facendo ritrovare il suo cadavere. Ora a distanza di 3 mesi dall’accaduto la Dda di Napoli torna alla carica e chiede alla Cassazione di annullare il provvedimento di scarcerazione del Riesame e naturalmente  qualora la suprema Corte accogliesse il ricorso del pm gli atti torneranno di nuovo al Riesame che dovrà poi confermare la validità della prima ordinanza di custodia cautelare per i due.

Portici, il sindaco magistrato annuncia: “Per me imputazione coatta per abuso ufficio”

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nicola marrone

“Sono appena venuto a conoscenza di un provvedimento di formulazione di richiesta di imputazione coatta nei miei confronti da parte del Gip per abuso d’ufficio – legato alla nomina effettuata nel 2013 del Nucleo di Valutazione su proposta dell’assessore al Personale – precisando che il pm aveva richiesto l’archiviazione”. Lo rende noto in un comunicato il sindaco di Portici, Nicola Marrone, che esprime “completa fiducia nell’operato della magistratura, considerato che la Giunta ha approvato un atto corredato di parere tecnico da parte del Dirigente e avallato dal Segretario generale circa la correttezza procedurale”. Marrone, magistrato, 53 anni, è stato eletto sindaco nel 2013 alla guida di una coalizione ‘anomala’ di cui facevano parte Sel, Verdi, Idv, Udc e alcune liste civiche.  Il Nucleo di valutazione è l’organismo, previsto per tutte le pubbliche amministrazioni, che valuta l’operato dei dirigenti.

Penisola sorrentina, inquinamento e truffa alla Gori: tutti assolti i vertici della Demetra

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aula tribunale

Violazione delle norme ambientali e truffa ai danni della Gori: cancellate le accuse e le condanne per i vertici della Demetra Service di Piano di Sorrento, Pasquale Ciampa e Raffaele Magno, presidente e amministratore della società che smaltiva fanghi. I giudici della Corte d’Appello di Napoli hanno accolto la tesi della difesa ed hanno assolto ‘perché il fatto non sussiste’ i due condannati a cinque anni. Confermata la sentenza di assoluzione per i sei dipendenti della società già assolti in primo grado dai giudici del Tribunale di Torre Annunziata, accusati di aver scaricato i liquami destinati a centri specializzati nelle vasche della sede dell’azienda. A 9 anni dal sequestro e dall’inchiesta arriva l’assoluzione per le irregolarità nello smaltimento dei fanghi e la truffa ai danni della Gori, per conto della quale la Demetra svolgeva il servizio di smaltimento dei fanghi dei depuratori. La Gori si era costituita parte civile nel processo avviato dalla Procura oplontina. L’azienda – secondo l’accusa – avrebbe scaricato nelle fogne comuni parte dei fanghi provenienti dagli impianti di depurazioni. I fanghi sostenne l’accusa erano raccolti illecitamente nelle vasche della sede dell’azienda o scaricati in mare nei pressi di Punta Gradelle. Le accuse sono cadute nel processo di Appello, dove i giudici hanno cancellato le pesanti condanne di primo grado. 

Giudici distratti: esce per scadenza dei termini Valerio Nappello, ras dei Lo Russo

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valerio nappello

Giudici distratti e tre del clan Lo Russo di Miano accusati di tentato omicidio usufruiscono della scadenza dei termini di custodia cautelare. Anche se uno solo ieri ha lasciato il carcere di Poggioreale. Si tratta de ras Valerio Nappello, considerato il braccio destro di Antonio Lo Russo, figlio del boss pentito Salvatore, che va ai domiciliari dove deve scontare una condanna per associazione camorristica. Gli altri due sono Luciano Pompeo e Carlo Lo Russo detto “Lellè”. I tre erano imputati per il tentato omicidio di Giovanni Lista avvenuto nel marzo del 2014 per contrasti sentimentali all’interno stesso della cosca.

 

Caserta: regali del clan Belforte agli amministratori per favorire l’imprenditore Angelo Grillo. Sette arresti

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I carabinieri di Caserta, nelle province di Caserta, Sassari e Trento, stanno dando esecuzione a una misura cautelare emessa dall’ufficio gip di Napoli nei confronti di 7 indagati per turbata liberta’ degli incanti, corruzione, truffa e trasferimento fraudolento di beni, reati commessi con l’aggravante del metodo mafioso. L’indagine, che costituisce un nuovo filone dell’inchiesta che l’anno scorso ha svelato gli interessi del clan Belforte sugli appalti nella Sanita’ casertana grazie all’imprenditore Angelo Grillo, ha consentito, tra l’altro, di accertare gravi responsabilita’ a carico di due ex amministratori pubblici del Comune di Caserta, che, in cambio di denaro e altre regalie, favorivano l’aggiudicazione di una gara d’appalto per la gestione del servizio di trasporto disabili, a una ditta riconducibile a Grillo.

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