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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Arriva a Napoli il processo al narcos palermitano che prestò l’identità a Matteo Messina Denaro

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Approda a Napoli il processo a sei narcotrafficanti palermitani, già condannati in primo grado pene pesantissime, per una compravendita di droga tra Sicilia e Campania. La corte d’appello di Palermo ha annullato la sentenza di primo grado e si è dichiarata incompetente territorialmente a decidere, accogliendo l’istanza degli avvocati che era stata presentata già davanti al Gup di Palermo e respinta. Il processo arriverà a Napoli dove ripartirà dall’udienza preliminare. Per tutti gli imputati c’è ora il rischio scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Alla sbarra, tra gli altri, c’è Matteo Cracolici, arrestato con l’accusa di aver “prestato” l’identità al boss latitante Matteo Messina Denaro che, per mesi sarebbe andato in giro con i suoi documenti. Cracolici nel processo sul traffico di droga aveva avuto 19 anni di reclusione in abbreviato. Il gup aveva condannato poi i suoi coimputati Francesco Failla a 7 anni e 4 mesi, Antonino Marino a 7 anni e 10 mesi, e i napoletani Giuliano Marano a 13 anni, Francesco Greco 14 anni e 4 mesi e Francesco Battinelli 7 anni e 8 mesi. Il processo nasce da una indagine dei carabinieri che, nel 2016, portò alla scoperta di un traffico di droga fra Napoli e Palermo. Nel corso della operazione furono sequestrati 130 chili di hashish, nascosti nel doppiofondo di una macchina. Cugino della moglie di Francesco Nangano, mafioso del quartiere palermitano di Brancaccio assassinato nel 2013, Cracolici sarebbe stato tra i capi dell’organizzazione di narcos. Il collaboratore di giustizia Salvatore Grigoli lo aveva indicato come uomo di fiducia del capomafia trapanese che a Bagheria e dintorni ha trascorso una parte della sua latitanza, all’inizio degli anni Novanta. Cracolici aveva denunciato alla stazione dei carabinieri di Brancaccio, nel marzo del 1994, lo smarrimento della carta d’identità. Pochi mesi dopo Messina Denaro con il documento riuscì a imbarcarsi per la Grecia.

Cronache della Campania@2018


Strage di via D’Amelio: la procura di Caltanissetta chiede l’archiviazione di 4 poliziotti accusati di depistaggio

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Palermo. Strage di via D’Amelio: chiesta l’archiviazione per i quattro poliziotti accusati di depistaggio. La Procura di Caltanissetta ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta avviata a carico di quattro poliziotti del pool che indagò sugli attentati del ’92. La richiesta, che ora è al vaglio del gip, riguarda Giuseppe Antonio Di Ganci, Giampiero Valenti, Domenico Militello e Piero Guttadauro. I poliziotti erano accusati di concorso in calunnia: avrebbero costruito ad arte a tavolino una finta verità sulla fase esecutiva della strage imbeccando falsi pentiti come Vincenzo Scarantino e costringendoli ad accusare persone, poi rivelatesi innocenti. Della stessa accusa rispondono i funzionari di polizia Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, per cui però la Procura ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio. I tre sono sotto processo davanti al tribunale nisseno. A svelare il depistaggio dell’inchiesta, costato l’ergastolo a otto mafiosi poi rivelatisi estranei ai fatti, è stato il lavoro dei magistrati nisseni che, dopo il pentimento del boss Gaspare Spatuzza, hanno riaperto le indagini. Si è scoperto cosa accade davvero e che ruolo ebbe nell’attentato la ‘famiglia” mafiosa di Brancaccio, rimasta fuori dall’inchiesta per anni. Per la Procura, i poliziotti, depistando l’indagine e suggerendo a Scarantino e ad altri due finti pentiti “false verita’” sull’attentato, avrebbero addirittura favorito Cosa nostra: un’accusa pesantissima che si è tradotta con la contestazione ai tre imputati del reato di calunnia in concorso aggravata dall’aver favorito la mafia. Al processo, oltre a diversi familiari delle vittime della strage, si sono costituti parte civile gli otto condannati ingiustamente per l’eccidio, poi assolti in revisione, che hanno chiesto 50 milioni di risarcimento del danno. “Con l’odierna richiesta di archiviazione si avvia verso la conclusione il procedimento che ha visto ingiustamente indagati i miei assistiti: Domenico Militello, Giuseppe Di Ganci e Giampiero Valenti. Agli stessi non è mai stata contestata alcuna specifica condotta e dalle indagini eseguite non è mai emerso alcun comportamento illecito o scorretto, posto in essere durante il loro servizio nel gruppo Falcone-Borsellino”. Lo scrive in una nota l’avvocato Giuseppe Seminara che difende i poliziotti indagati. “Le gravi accuse sono state ritenute non sussistenti dalla Procura di Caltanissetta che ha richiesto l’archiviazione. – prosegue – Questi servitori dello Stato, al pari dei colleghi Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo sottoposti al processo, sono stati ingiustamente coinvolti, da inqualificabili soggetti, nelle loro calunniose dichiarazioni rivolte ad innocenti”. “Non è accettabile – conclude – che mentre questi servitori dello Stato si siano trovati e si trovino tutt’ora ingiustamente accusati, Salvatore Candura sia stato assolto e per Vincenzo Scarantino sia stato dichiarato prescritto il reato. Confidiamo nell’accoglimento della richiesta di archiviazione e nel buon esito del processo in corso”.

Cronache della Campania@2018

Morì schiacciato dalla pressa: condannati vertici della Rieter di Pignataro Maggiore

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Morì schiacciato da una pressa nell’azienda in cui lavorava, la Rieter Automotive di Pignataro Maggiore, che fabbrica componenti per auto. Sette anni dopo il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere  ha posto un primo importante tassello alla vicenda, condannando per il reato di omicidio colposo – circostanza non comune – l’intera catena di comando aziendale, dall’amministratore delegato, l’imprenditore tedesco Andreas Gehrard Becker, per il quale e’ stato comminato un anno e mezzo di carcere, agli altri sette responsabili aziendali, ovvero Giuseppe Merola (un anno e quattro mesi), Piero Faccioli, Alfredo Ruggiero, Claudio Insero, Maurizio Esposito, Giuseppe Laudisa e Raffaele Terracciano (un anno e cinque mesi). Soddisfatto il legale Carlo De Stavola, che ha assistito nel processo la famiglia della vittima Lorenzo Borrelli- costituitasi parte civile – assieme agli avvocati Rocco Trombetti ed Elisabetta Carfora. “Dopo tanti anni dall’infortunio mortale – dice De Stavola – il processo e’ finalmente arrivato a sentenza, accertando la responsabilita’ dei vertici circa il malfunzionamento della pressa; dobbiamo ringraziare il giudice Linda Comella, che con determinazione, e nonostante un trasferimento, ha preso in mano il processo portandolo a conclusione in poco meno di due anni, dopo ritardi dovuti ai cambi di pm e giudici”. Il magistrato ha anche rinviato a giudizio civile per il risarcimento del danno. Durante il dibattimento, l’ad dell’azienda Becker si difese dicendo che Borrelli era deceduto a causa del “fuoco amico”, ovvero per errore degli altri due operai che erano con lui alla pressa; peraltro molti lavoratori sono stati chiamati a testimoniare dalla difesa degli imputati per confermare che la pressa funzionava regolarmente, circostanza non emersa, e anzi smentita dalla sentenza.

Cronache della Campania@2018

Camorra, le minacce ai pentiti e ai parenti: sgominati i clan Grimaldi, Vigilia e Sorianiello, 52 indagati. TUTTI I NOMI

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Sono complessivamente 52 gli indagati del blitz che stamane su ordine della Dda di Napoli ha sgominato i clan Grimaldi, Vigilia e Sorianiello operanti nella zona di Soccavo, Pianura e rione Traiano. Di questi 31 sono finiti in carcere o hanno ricevuto in prigione la nuova ordinanza come nel caso dei boss Ciro Grimaldi detto o’ settirò storico fondatore della cosca e dell’Alleanza Flegrea e il suo ex fedelissimo e poi scissionista Alfredo Vigilia detto Alfredo o’ niro. Nelle 694 pagine dell’ordinanza cautelare firmata dal gip Chiara Bardi del Tribunale di Napoli su richiesta del pm Francesco De Falco della Dda di Napoli viene ricostruita la storia della camorra di Soccavo e la scissione dei Vigilia e l’alleanza con i Sorianiello, a loro volta diventati autonomi dopo l’uccisione di uno dei figli del boss Alfredo o’ biondo. Centinaia di intercettazioni telefoniche e ambientali, il racconti dei pentiti Salvatore Romano muollo muollo , Pasquale Pesce e Pasquale Esposito junior hanno contribuito a delineare ruoli e allenze dei clan di Soccavo nel traffico di droga anche verso la Puglia e in modo particolare a Foggia, ma anche le estorsione e il traffico di armi.

Per poter controllare il territorio di Soccavo ai confini del rione Traiano a Napoli il clan Grimaldi minacciava i pentiti e i loro familiari affinche’ nessuno seguisse il loro esempio; controllava le attivita’ imprenditoriali ed economiche; riciclava dei soldi che incassava ogni mese. E aveva creato una cassa comune diversa da quelle di altre cosche, una sorta di ‘ufficio previdenziale’ parallelo. A controllarlo il capoclan Ciro, e sotto di lui c’era il contabile, Giuseppe Rocco, che gestiva gli aspetti economici e finanziari delle attivita’ del gruppo, mantenendone la cassa e provvedendo alla suddivisione e distribuzione delle ‘mesate’ agli affiliati. Ognuno versava la sua quota e cosi’ facendo contribuiva a rimpinguare le casse della cosca. Il contabile ogni mese pagava prima i detenuti, poi le loro famiglie, i boss, e chi non poteva piu’ ‘lavorare’ perche’ ferito o perche’ sorvegliato speciale. Un meccanismo perfetto che a un certo punto si rompe.  Il clan Grimaldi, dopo l’arresto dei boss, si sgretola e cosi’ sale alla ribalta i Vigilia, con Alfredo detto ‘o niro’ e Pasquale, poi assassinato. “Un frammento della realta’ camorristica del quartiere di Soccavo, appannaggio storicamente del clan Grimaldi, caduto in disgrazia – scrive il giudice – ricostruite in particolari le vicende che hanno portato alla nascita e all’ascesa di un nuovo sodalizio, scissosi dai Grimaldi e facente capo ai Vigilia che per salire al potere ha approfittato della detenzione dei boss dei Grimaldi. Una fazione legata al vecchio clan Grimaldi, all’epoca capeggiato da Antonio Scognamillo, tornato in carcere tra giugno 2013 e febbraio 2014. Un’altra capeggiata dai rampolli della famiglia Vigilia, diventata egemone nel quartiere negli ultimi anni e poi la compagine della famiglia Sorianiello dedita ai traffici delittuosi in materia di sostanza stupefacenti”. Antonio Scognamillo una volta in liberta’ ha riorganizzato il clan e “ha allestito un continuativo e redditizio traffico di cocaina, anche a carattere transnazionale, garantendo al clan i fondi necessari per munirsi di armi per combattere contro gli scissionisti. Questo perche’ Pasquale Vigilia ha tentato la scalato al potere, unendo attorno a se’ giovani intraprendenti e alcuni affiliati storici, intenzionati a recidere il loro legame alla famiglia Grimaldi”, spiega il magistrato. Sono stati arrestati tutti, di tutte le fazioni presenti a Soccavo: i Grimaldi innanzitutto, ma anche i Vigilia e i Sorianiello, che gestiscono la piazza di droga chiamata ’99’.

 GLI INDAGATI

1 AMMENDOLA Gennaro, nato a Torre Annunziata il 28/1/1969;
2 BELLOPEDE Antonio nato a Napoli il 19/12/1996;’ IN CARCERE
3 BILOTTA Fabio, nato a Napoli il 19/05/1986;
4 BILOTTA Gianluca, nato a Napoli il 15/04/1981, detto “Luchetto”;
5 BORDINO Elena, nato a Napoli il 13.11.1969; IN CARCERE
6 CALAFIORE Umberto, nato a Napoli il 03/0511993; IN CARCERE
7 CARUSO Vincenzo, nato a Napoli il 05.03.1964;
8 CHIAIESE Marco, nato a Napoli il 12/09/1992; AI DOMICILIARI
9 CIOTOLA Mariano, nato a Napoli il 28/08/1993; IN CARCERE
10 CIOTOLA Walter, nato a Napoli il 25/03/1996; IN CARCERE
11 CORTEGGIANO Fortunato, nato a Napoli il 04102/1991,detto “à corteccia IN CARCERE
12 DE ROSA Silvio, nato a Napoli il 23/0211991, detto “a monet”; IN CARCERE
13 DELLA CORTE Gennaro, nato a Napoli il 13/06/1975, detto “à cuneglia”; IN CARCERE
14 DI NAPOLI Antonio, nato a Napoli il 30/06/1994, detto “popolin”; IN CARCERE
15  DIANA Luigi, nato a Napoli il 23/12/1990; IN CARCERE
16  DIANA Giuseppe, nato a Napoli il 02/08/1996; IN CARCERE
17 ESPOSITO Giorgio, nato a Napoli ill4/!2/1991, detto “maffettone”; AI DOMI
18 FENDERICO Carmine, nato a Napoli il 07/04/1990; IN CARCERE
19. GIAQUINTO Gennaro, nato a Napoli il 12/03/1981, detto o’micione”; IN CARCERE
20. GRANILLO Ciro, nato a Napoli il 14.03.1991, di GRIMALDI Ciro detto “ò settirò” e di GRANILLO Maria;
21. GRANILLO Giuseppe, nato a Napoli il 31/03/1965;
22. GRANILLO Salvatore, nato a Napoli il 29.12.1972, di Antonio e TORQUATO Gaetanina;
23. GRANILLO Salvatore, soprannominat “Cocò”, nato a Napoli il 15.11.1993;
24. GRIMALDI Ciro, nato a Napoli il 26.10.1959, soprannominato “ò settirò”;
25. GRIMALDI Rosario, nato a Napoli il 03/09/1965;
26 IVONE Gaetano, nato a Napoli il 11/03/1978, soprannominato “ò nano”·,
27 LICCARDI Gennaro, nato a Napoli il 18/09/1973, soprannominato “ò cinese)’;
28 MAUTONE Cesare, nato a Napoli il 12/02/1990, detto “ò pesiello”; IN CARCERE
29 MAZZIOTTI Francesco, nato a Napoli il 16.12.1983; IN CARCERE
30. MAZZIOTTI Giuseppe, nato a Napoli il 28/08/1987, detto “peppa pig”; IN CARCERE
31 MAZZIOTTI Salvatore, nato a Napoli il 01/05/1958, detto “turì”; IN CARCERE
32 MENNONE Vincenzo, nato a Napoli il 26/10/1989, detto “menno’; IN CARCERE
33. MONACO Cristian, nato a Napoli il 21104/1992, detto “melell”·, IN CARCERE
34 MONFRECOLA Ciro, nato a Napoli il 30/04/1954, detto “ò pompiere’; IN CARCERE
35 PAOLILLO Salvatore, nato a Napoli il 14/12/1981, detto “ò ntè”; IN CARCERE
36. PERSICHINO Eduardo, nato a Napoli il 01/10/1987, detto “à struttur”; IN CARCERE
37. PICCINELLI Maria, nato a Napoli il 02/12/1970;
38. PIPOLA Giuseppe, nato a Napoli il 04/07/1992; IN CARCERE
39. PUGLIESE Renato, nato a Napoli il 30.01.1986;
40 ROCCO Giuseppe, nato a Napoli il 25.11.1977;
41. SCOGNAMILLO Antonio, soprannominato “Tonino ò parente”, fu Scognamillo Pasquale, nato a Pozzuoli il 09.10.1968;
42 SORIANIELLO Simone, nato a Napoli il 15/05/1994;  IN CARCERE
43 SORRENTINO Alfonso, nato a Napoli il 05.08.1976, soprannominato “ò buttafuori”;
44 SPIRITOSO Mario, nato a Foggia il 22/08/1983;
45 SPIRITOSO Antonio Pio, nato a Foggia il 20/11/1974;
46 TESTA Salvatore, nato a Napoli il 17/12/1991, soprannominato “ò Ti u T’;
47 TORTORA Alessandro, nato a Napoli il O 1/11/1993, detto ”giraffa’; IN CARCERE
48 VIGILIA Alfredo, nato a Napoli il 27.12.1967, detto “Alfredo ò nir”·, IN CARCERE
49 VIGILIA Alfredo Junior, Napoli il 30.4.1994, detto “Alfredino ò chiatt”; IN CARCERE
50 VIGILIA Antonio, nato a Napoli il 13.11.1969,detto “Antonio ò stuort”·, IN CARCERE
51. VIGILIA Luigi, nato a Napoli il 04/10/1989, noto “Gino Gigino”; IN CARCERE
52. VIGILIA Pasquale, nato a Napoli il 08.05.1988, detto “Lino”. IN CARCERE

(nella foto i due boss Alfredo Vigilia o’ niro e Alfredo Sorianiello o’ biondo)

Cronache della Campania@2018

Napoli, rapina mortale alla Pignasecca: il gip conferma il carcere per il bandito

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Il giudice per le indagini preliminari di Napoli, Paola Piccirillo ha convalidato il fermo per Luigi Del Gaudio, l’uomo di 45 anni sospettato di aver tentato una rapina, armato di pistola, nella salumeria ‘Pietruccio’, alla Pignasecca, quartiere popolare di Napoli. Il gestore del locale, Antonio Ferrara, 64 anni, e’ morto d’infarto durante le fasi concitate del ‘colpo’. Due giorni fa l’uomo, dei Quartieri Spagnoli, si e’ consegnato alla polizia. Il pm Ida Frongillo aveva chiesto la convalida del fermo per tentata rapina, armi, e omicidio conseguente ad altro reato. Del Gaudio ha reso un’ampia confessione al pubblico ministero. L’altro giorno i funerali in chiesa alla Pignasecca di Antonio Ferrara e l’abbraccio tra il figlio Pietro, che fa il carabiniere, e il figlio del bandito che ha chiesto perdono.

Cronache della Campania@2018

Incendio di capannoni al Cis di Nola: prosciolti i quattro imputati

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Il Gup del Tribunale di Nola, Sepe, al termine di una lunga Camera di Consiglio ha prosciolto i fratelli Antono, Angelo e Massimo Pagano unitamente al loro datore di lavoro Iervolino Aniello (titolare della società Giam Srl ubicata presso il Cis di Nola). Gli stessi erano stati accusati in concorso di “incendio doloso finalizzato alla truffa assicurativa”.
Circa 2 anni fa, e precisamente il 25 gennaio del 2017 alcuni capannoni siti presso l’isola 1 del Cis di Nola venivano coinvolti in un incendio. A seguito degli accertamenti svolti dagli investigatori l’incendio veniva ritenuto di natura dolosa ed identificati quali responsabili i fratelli Pagano unitamente al loro datore di lavoro; difatti il pm procedente chiedeva ed otteneva verso quest’ultimi l’ applicazione di misure cautelari (arresti domiciliari).
I difensori dei fratelli Pagano ( gli avvocati Federico Bonagura e Giovanni Vecchione entrambi di Palma Campania) unitamente ai difensori di Iervolino (avvocati Antonio Tomeo e Luca Capasso) tutti del foro di Nola, facevano chiarezza sull’intera vicenda processuale smontando (in fase di udienza preliminare) l’intero impianto accusatorio della Procura di Nola. I quattro sin dall’inizio delle indagini, si sono sempre dichiarati estranei  e ora è arrivata il proscioglimento da parte del Tribunale.

Cronache della Campania@2018

Il prof di musica molestava gli alunni: chiesti sei anni di carcere

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E’ prevista per il 13 febbraio la sentenza che deciderà le sorti del professore di musica accusato di molestie sessuali nei confronti di alcuni alunni e per il quale il pm ha chiesto sei anni di reclusione. La vicenda venne alla luce lo scorso anno quando al professore furono dati gli arresti domiciliari con l’accusa di violenza sessuale su minori: fino a quel momento i ragazzi commentavano tra loro quegli atti sessuali (palpeggiamenti) tra di loro e solo a scuola. Ma a far scoprire le presunte tendenze pedofile dell’insegnante di scuola media – quarantaquattr anni, residente ad Eboli e originario di un comune dell’Alto Sele – fu un sedicenne avvicinato dal professore mentre entrambi erano a bordo di un autobus che da Eboli li conduceva a Campagna. Dopo la denuncia di quell’alunno, ne sono giunte altre quattro. Il ragazzo non fu in grado di dire il nome dell’uomo che lo aveva molestato ma lo riconobbe in mezzo ad una serie di foto che gli vennero mostrate dai carabinieri. I militari scoprirono anche altre quattro presunte vittime (ex alunni di scuola media) che raccontarono quando il professore, durante una lezione, avvicinandosi al banco avrebbe appoggiato una mano sulla coscia fino a risalire ai genitali.

Cronache della Campania@2018

Fece arrestare il marito per violenze, ma era falso: ‘Volevo salvarlo dalla droga’

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Il tribunale di Nocera Inferiore assolve un ragazzo di ventinove anni accusato di violenza sessuale, estorsione e lesioni nei confronti della moglie. Accuse che gli erano costate prima un divieto di dimora, poi anche il carcere. Ma quando è toccato alla presunta vittima testimoniare, è emerso che la moglie aveva denunciato il marito solo per salvarlo dalla tossicodipendenza. I fatti si riferiscono allo scorso anno, ma avrebbero avuto una evoluzione nel marzo 2018, quando la donna presentò una denuncia contro il marito. Ai carabinieri raccontò di essere stata picchiata più volte dall’uomo e costretta a consegnare denaro che serviva per comprare la droga, dichiarò di essere stata obbligata a consumare rapporti sessuali con la forza. Una violenza cui la stessa aveva acconsentito – stando alla denuncia – per evitare di essere picchiata. I dettagli raccontati dalla donna erano specifici per rendere convincente il suo racconto. Alla denuncia, come riporta Il Mattino, fu allegato anche  un referto medico che riportava tre giorni di prognosi dopo una visita in ospedale. Quando è stata chiamata per deporre e confermare tutto dinanzi ai giudici del tribunale, la vittima ha cominciato a tentennare, incalzata dal collegio e dal contro esame dell’avvocato difensore. Con il risultato, inaspettato, di fornire un’altra versione: “Ho mentito – ha confessato – non sono mai stata violentata da mio marito. I nostri rapporti erano consenzienti, ma volevo salvarlo dalla droga”. Al termine dell’udienza, il tribunale ha disposto una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto nei confronti dell’imputato. Per le bugie contenute nella querela, la donna rischia ora un processo per calunnia.

Cronache della Campania@2018


Usura a Scafati: chiesti 40 anni di carcere per la gang di Elvira De Maio e figli

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Mano pesante dell’accusa nella requisitoria al processo contro la banda di usurai di Scafati. Chiesti 40 anni di reclusione e un’assolu­zione per i sette imputati accu­sati di usura in concorso e minacce. La pena più alta per le menti dell’organizzaione, El­vira De Maio 8 anni e mezzo , per il figlio Raffaele Porpora (già condannato a 4 anni per un’al­tra inchiesta); 7 anni sono stati chiesti per l’altro figlio France­sco Civaie; 6 anni per la madre Gerardina Nastri, alias Maria; 5 anni per Maria Neve Perrotti e il marito Antonio Davide detto ‘o messicano. Il Pm Roberto Lenza ha inoltre chiesto l’as­soluzione per una dipendente dell’Asl, coinvolta nell’inchiesta e che secondo l’ac­cusa avrebbe favorito l’attività usuraia della famiglia De Maio. Ma dagli atti pro­cessuali è emerso che Antonietta Di Lauro è estranea ai fatti.
Secondo le accuse Elvira De Maio utilizzava il figlio Lello, per minacciare le vittime di usura tutte le volte che le stesse ritarda­vano il pagamento degli interessi sfrut­tando un indole violenta del figlio derivante dal suo stato di tossicodipen­denza. Avrebbe sciolto il cane, così diceva le vittime. De Maio annotava i nominativi delle vittime in un’agendina poi ritrovata nel corso del blitz ben nascosta in una cas­saforte. Francesco Civaie, avrebbe collabo­rato con loro depositando anche le somme provento di usura sui propri libretti di de­posito e conti correnti intestati a se stesso e prelevava i contanti su indicazione della stessa madre che alla consegna dei soldi alle vittime si presentava come la moglie del defunto boss Antonino Porpora. Per l’accusa un modo chiaro, così come ri­costruito durante le udienze, per far comp­rendere la propria caratura criminale. La De Maio, in caso di problemi, faceva venire le vittime nella casa della madre Gerardina Nastro per sollecitare il pagamento della “rata”. Inoltre Raffaele Porpora in diverse occasioni aveva estorto anche piccole somme alle vittime. Tra le vittime di usura anche una donna che pagava solo di inte­ressi 2mila euro al mese. Intermediari tra usurai e clienti Marianeve Perrotti e suo marito Antonio Davide, detto Tonino ‘o messicano. Il 19 la discussione passa alla difesa prima del verdetto.

Cronache della Campania@2018

Napoli, nuovo colpo di scena al processo Materazzo: rinuncia anche il terzo avvocato di Luca

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Napoli. Ennesima rinuncia, oggi, nel Tribunale di Napoli, da parte di un avvocato difensore di Luca Materazzo, 32 anni, accusato dell’omicidio del fratello Vittorio, l’ingegnere assassinato a Napoli nel novembre del 2016, davanti la sua abitazione di viale Maria Cristina di Savoia. Lunedi’ scorso, dopo un incontro in carcere, l’avvocato Nicola Giovanni Saetta, ha rinunciato all’incarico, “per insanabili divergenze”. Materazzo quindi ha nominato come suo legale di fiducia l’avvocato Silvia Buonanno, con la quale ha avuto un incontro con il suo cliente solo l’altro ieri. L’avvocato Buonanno ha quindi chiesto alla Corte di Assise i termini a difesa, per poter prendere visione della documentazione e quindi affrontare il processo. L’istanza ha provocato una reazione da parte dell’avvocato di parte civile Errico Frojo (che rappresenta i due figli dell’ingegnere ucciso, ndr), secondo il quale dietro le continue revoche degli avvocati difensori da parte di Luca Materazzo (ormai sono una decina quelli che si sono avvicendati, ndr) si nasconde un “comportamento lucidamente ostruzionistico” finalizzato a “difendersi dal processo e non nel processo attraverso prove e contraddittorio”. Dello stesso avviso anche il sostituto procuratore Francesca De Renzis, che, come l’avvocato Errico Frojo, ha chiesto alla Corte di non concedere i termini a difesa. Una richiesta negata dal presidente Giuseppe Provitera che ha poi fissato le prossime udienze, sempre nell’aula 115, per il 10 gennaio (quando saranno ascoltati alcuni testimoni della difesa) e per il 24 gennaio (quando invece saranno ascoltati i consulenti di parte, tra cui figura anche l’ex comandante del Ris di Parma, Luciano Garofano, che, nella sua carriera si e’ anche occupato, tra l’altro delle indagini sulla strage di Capaci. Garofano e’ stato nominato consulente dall’avvocato Arturo Frojo, che difende Elena Grande, la vedova dell’ingegnere ucciso. Luca Materazzo ha anche chiesto di rilasciare dichiarazioni spontanee, per spiegare i motivi delle sue continue revoche ai mandati dall’avvocato ma il presidente della Corte di Assise ha voluto sottolineare che non era tenuto a farlo e l’imputato ha rinunciato a parlare.

Cronache della Campania@2018

Mondragone, massacro al bar: 18 anni per Augusto La Torre, ergastolo per Francesco Tiberio

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Una mattanza all’esterno del bar “Centro” di Pescopagano, tra Mondragone e Castel Volturno, nella quale morirono cinque persone: tre tanzaniani, un iraniano e un padre di sei figli, Alfonso Romano, capitato per caso nel locale. Oltre ai 5 morti durante il raid venne ferito anche un ragazzo, all’epoca 14enne, che da quel momento è rimasto paralizzato
Era la vigilia della festa della Liberazione del 1990 quando i sicari del clan La Torre di Mondragone scesero in strada compiendo una vera e propria carneficina. Per questo motivo, a distanza di 28 anni dal raid, il pubblico ministero della Dda Lalia Morra ha invocato 18 anni per Augusto La Torre, difeso dall’avvocato Rosanna Mazzeo, e l’ergastolo per Francesco Tiberio La Torre, difeso dagli avvocati Carlo De Stavola ed Elisabetta Carfora. Il processo, che si sta celebrando con rito abbreviato dinanzi al gip Caputo di Napoli, è stato rinviato a febbraio.

Cronache della Campania@2018

Morte annegate nel Sarno dopo un incidente stradale a Pompei: tre condanne

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Pompei. Mamma e figlia annegarono nel fiume Sarno dopo un incidente stradale: a 5 anni di distanza dalla tragedia arriva il verdetto di primo grado nel processo. Il giudice Maria Laura Ciollaro del Tribunale di Torre Annunziata ha condannato a un anno e 4 mesi di carcere il maresciallo della guardia di finanza, che la mattina del 21 novembre del 2013, intorno alle ore 7 alla guida della sua Fiat Grande Punto, si scontrò con la Panda che trasportava le due donne. A due anni e due mesi a testa invece sono stati condannati i due titolari della ditta “SACO”, incaricata di effettuare la manutenzione stradale lungo l’arteria che costeggia il fiume: Accusati a vario titolo di omicidio e omissione d’atti d’ufficio, perchè ritenute responsabili della morte di Nunzia Cascone, di 51 anni, e di sua figlia Anna Ruggirello, appena 20enne. Le vittime, il 21 novembre 2013, furono inghiottite dalle acque del fiume Sarno, dopo un tamponamento avvenuto in via Ripuaria. La tragedia avvenne quando le due auto si scontrarono. Nunzia Cascone stava accompagnando la figlia alla stazione ferroviaria; doveva prendere un treno per andare all’università. Anna, 20 anni, frequentava infatti un corso alla facoltà di ingegneria gestionale. Il marito della donna, dipendente dell’agenzia delle entrate di Castellammare di Stabia, non vedendo rientrare la moglie, si allarmò telefonando al cugino. Entrambi ripercorsero il tragitto abitualmente seguito da Nunzia Cascone per accompagnare sua figlia alla stazione. Dopo pochi minuti, notando il trambusto in strada, i due capirono che nell’incidente erano rimaste coinvolte proprio Nunzia e Anna. Secondo la ricostruzione effettuata dagli inquirenti, la Punto guidata dal maresciallo tamponò quel giorno la vettura con a bordo mamma e figlia. Dopo l’impatto, la Panda sulla quale viaggiavano Nunzia Cascone e Anna Ruggirello,  andò a sbattere contro un parapetto di ferro, per metà divelto, precipitando poi nel fiume Sarno. Anna, 20 anni, morì annegata all’interno dell’auto. Il corpo della madre, invece, fu ritrovato in Sardegna il 5 marzo 2014, dopo un lungo viaggio e trasportato dalla corrente. Soltanto l’esame del Dna consentì di stabilire che, quello, era il corpo mutilato di Nunzia Cascone.

 

Cronache della Campania@2018

Si pente uno dei pusher del clan Belforte: rinviato il processo ‘Unrra Casas’

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Spaccio di droga nel casertano. I 41 imputati arrestati nell’ambito dell’operazione ”Unrra Casas” rischiano grosso. Uno degli indagati ha iniziato a collaborare. Depositati in aula due verbali. I carabinieri, nel corso delle indagini sono riusciti ad individuare, per la prima volta, l’esistenza di un accordo tra i due clan operanti nel comune di Marcianise, clan Belforte, detto dei ‘Mazzacane’, e clan Piccolo-Letizia detto dei ‘Quaqquaroni’, storicamente nemici e la cui rivalità ha prodotto tra la fine degli anni ’90 e metà degli anni 2000 svariate decine di omicidi.
Nell’udienza di questa mattina davanti al giudice per le udienze preliminari del tribunale di Napoli Anna Imparato il pm della Dda ha annunciato che uno degli indagati Giuseppe Grillo ha iniziato a collaborare con la giustizia, depositando contestualmente anche due verbali di dichiarazioni che sono stati già messi nero su bianco. Gli avvocati difensori, a questo punto, hanno chiesto i termini a difesa e l’udienza è stata rinviata a febbraio.
Un colpo di scena importante che potrebbe cambiare anche gli scenari dei riti alternativi. Nel corso dell’ultima udienza, infatti, aveva chiesto di essere processati con l’abbreviato Salvatore Allegretta, Amedeo Belvisto, Aniello Bruno, Pasquale Buttone, Antonio Di Fuccia, Generoso Di Sivo, Filippo Lasco, Pasquale Lasco, Alessandro Mandarino, Francesco Martone, Andrea Nocera, Francesco Piccirillo, Giovanni Pontillo, Pasquale Regino, Fabio Romano, Rosario Valenti, Marco Viciglione, Nicola Viciglione, Alessandro Zampella. Avevano chiesto il patteggiamento Gennaro Barca, Francesco Stellato, Caterina e Nunzia De Matteis.
Avevano scelto il rito ordinario, invece, Andrea Bizzarro, 36 anni di Marcianise; Giulio Ciano, 43 anni di Marcianise; Simmaco Coppola, 27 anni di Marcianise; Raffaele Corvino; 39 anni di Marcianise; Enrico De Biase; 40 anni di Marcianise; Francesco De Matteis, 41 anni di Marcianise; Nicola Di Giovanni, 61 anni di Marcianise; Iniane El Kahf, 27 anni di Torino; Giglio Onelio Francini, 37 anni residente a Rivalta di Torino; Giuseppe Grillo, 36 anni di Marcianise; Maria Giuseppa Lasco, 54 anni di Marcianise; Primo Letizia, 34 anni di Marcianise; Antonio Marasco, 30 anni di Torino; Francesco Persico, 36 anni di Marcianise; Tommaso Ragazzino, 32 anni di Marcianise; Gregorio Raucci, 26 anni di Marcianise; Tommaso Smeragliuolo, 34 anni di Marcianise; Raffaele Tartaglione, 30 anni; Carmine Zarrillo, 24 anni di Marcianise.

Cronache della Campania@2018

I brogli elettorali della camorra: la Esposito ed i fratelli davanti al giudice

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Sono stati fissati per venerdì mattina gli interrogatori dell’ex consigliere comunale di Maddaloni, Teresa Esposito, della mamma Carmela Di Caprio e dei fratelli Eduardo e Giovanni, finiti agli arresti domiciliari mercoledì mattina nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Napoli per corruzione elettorale aggravata dall’articolo 7. I quattro indagati sono tutti imparentati con il boss Antonio Esposito.
Secondo la ricostruzione della Squadra Mobile di Caserta che ha condotto le indagini alle ultime elezioni amministrative di Maddaloni ci sarebbero stati episodi di corruzione elettorale, sia attraverso il pagamento di soldi in cambio dei voti per l’aspirante consigliera della lista ‘OrientiAmo’ a supporto del candidato sindaco Andrea De Filippo, sia con promesse di lavoro e cresime. Ma il fatto più inquietante che emerge dall’inchiesta della Direzione Investigativa Antimafia è il controllo del voto attraverso una nuova strategia criminale del “Falso Candidato”. Non più solo le foto della scheda elettorale, o la sottrazione illecita dal seggio di una sola scheda, sventata con la numerazione delle stesse, che è stata la causa di tanti disagi e ritardi e nelle ultime elezioni, ma l’indicazione di un nome fasullo da aggiungere a quello veramente in lista.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Camorra imprenditrice a Castellammare, Carolei a Vitale: ‘Don Adolfo è peggio della famiglia! Dobbiamo solo fare i bravi’. LE INTERCETTAZIONI

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“Tu sei della famiglia, ma don Adolfo è peggio della famiglia!”: Michele Carolei, fratello di Paoluccio, non ha dubbi sull’importanza e la considerazione che l’imprenditore Adolfo Greco ha nell’ambito della ‘famiglia’, intesa come organizzazione criminale. L’attestato di stima è più che un attestato e viene espresso in un momento critico per Greco, quando Gaetano Vitale, ‘o mariuolo, invia un messaggio intimidatorio all’imprenditore attraverso i suoi dipendenti. L’imbasciata viene recapitata a don Adolfo che allerta Michele Carolei, fratello di Paolo, per chiedere di intervenire. E Carolei si mette a disposizione, non solo. Nella scelta tra l’imprenditore e Vitale, uomo vicino al clan D’Alessandro, Michele Carolei sceglie Greco. In una delle intercettazioni captate nell’ufficio del ‘re del latte’, il fratello di Paoluccio spiega a don Adolfo cosa ha detto al suo sodale Gaetano Vitale, il ras del quartiere del Gesù: “Ho detto stammi a sentire, te lo dico perché ti conosco, tu sei della famiglia come dite voi, don Adolfo è peggio della famiglia! Dobbiamo fare solo i bravi! Disse ‘no ma non esiste proprio’. Allora mo solo il piacere di parlarci perché le parole che dice don Adolfo e quelle saranno!”. Carolei invita Vitale a ‘calmarsi’ e a parlare con Adolfo Greco, preannunciandogli che tra i due chi deve fare il ‘bravo’ è Vitale, in quanto la parola dell’imprenditore vale molto di più. Il Gip nell’ordinanza che ha portato in carcere Greco, insieme ad esponenti del clan D’Alessandro, Afeltra e Cesarano, sottolinea proprio questa circostanza: l’importanza che don Adolfo ha nell’ambito dell’organizzazione criminale dei D’Alessandro, tanto che Carolei non ha dubbi su chi parteggiare nella contesa tra l’imprenditore e Vitale, nonostante quest’ultimo abbia un ruolo non da poco nel clan. “Con le succitate affermazioni Carolei Michele attribuiva a Greco una valenza assoluta nel panorama criminale stabiese, finanche ad indicarlo quale portatore di interessi tali da porsi in posizione superiore rispetto a qualsivoglia prerogativa del clan – scrive il gip esaminando le intercettazioni ambientali -. Tale scenario giustificava Carolei Michele a rivolgere a Vitale una “filippica” dal significato inequivocabile: ‘Dobbiamo fare solo i bravi!'”.
Nella contesa tra Greco e Vitale, sarebbe stato quest’ultimo a ‘soccombere’, secondo Carolei, don Adolfo avrebbe dettato le regole e ‘o mariuolo doveva sottostare.
Michele Carolei si sente investito di un ruolo importante e la sua parola, sia con Adolfo Greco che con Gaetano Vitale vale quanto quella del fratello Paoluccio, attualmente in carcere. “Michele è Paolo!” ribadisce Carolei a Greco durante quella conversazione, pur affermando una sua autonoma posizione. Secondo il Gip, Greco gode di assoluto rispetto negli ambienti delinquenziali stabiesi, lo confermano le parole del suo interlocutore quando invita l’imprenditore a fissare un appuntamento con Gaetano Vitale per chiarire la situazione della ‘bussata’ e a decidere il giorno e l’ora. “Ditemi quando devo venire” chiede Michele Carolei a Greco e poi conclude: “Allora non avete capito, lo dovete decidere voi mica lo devono decidere loro! Mercoledì, giovedì ditemi?”. Greco, infine, decide quando convocare i Vitale e Michele, come se parlasse con uno del suo gruppo, dice a Greco: “…dobbiamo fare in modo di fare quello che diciamo noi”. E l’imprenditore risponde: “…sicuramente, sicuramente!”.

4. continua

Cronache della Campania@2018


Camorra, il pentito: ‘Il boss Tommaselli mi propose di uccidere il figlio di Sorianiello, ma io rifiutai’. I VERBALI

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Napoli. E’ stato il pentito Pasquale Pesce, uno dei primi collaboratori di giustizia di Pianura e Soccavo a spiegare agli investigatori la nascita del clan Sorianiello e la rottura con i Vigilia. Le sue dichiarazioni sono contenute nelle 694 pagine dell’ordinanza cautelare firmata dal gip Chiara Bardi su richiesta del pm Francesco De Falco della Dda di Napoli che ieri ha portato in carcere 31 persone tra  i vertici liberi delle due cosche entrato in contrasto negli ultimi anni.”…Simone Sorianiello, figlio di Alfredo o’ biondo, l’ho conosciuto dopo la morte del fratello. Il padre era affiliato al clan comandato da VIGILIA Alfredo detto o’ nir. Dopo la morte del fratello di Simone, inizio’ a costituirsi il clan Sorianiello come gruppo autonomo. Simone aveva una piazza di spaccio nel rione 99′ prima gestita dal fratello ucciso, insieme al padre e allo zio Giuseppe, cognato di Alfredo o’ bìondo…Nell’anno 2012, dopo un po’ di tempo dalla mia scarcerazione, mi unii al Tommaselli Carlo detto o’ nasone contro i Soccavesi e precisamente contro Vigilia Alfredo detto o’ nir e Alfredo Sorianiello detto o’ biondo.In quel periodo i Vigilia e i Sorianiello stavano insieme, ma comandava Vigilia Alfredo o’ nir. Nacque un contrasto perché l”abitazione di PARISI Gennaro, in quel momento detenuto, era stata ”espropriata” dai Sorianiello che vi gestivano una piazza di spaccio di erba, alla quale partecipava anche Sorianiello Fortunato, Tommaselli Carlo si lamento’ di questo affronto e mando’ varie imbasciate a Sorianiello Alfredo affinchè restituissero la casa. Tommaselli Carlo mi propose di uccidere Soraniello Fortunato, ma io mi rifiutai dicendo che tutto sommato era un giovane estraneo al sistema nel senso che gestiva solo Io spaccio. . ……………… (omissis) ……………… In seguito io ed il Tommaselli incontrammo a Soccavo direttamente VIGILIA Alfredo, in quel periodo latitante, e in questa occasione il Vigilia promise che il Parisi avrebbe riavuto la casa perché era giusto cosi’. La casa fu effettivamente lasciata dai Sorianiello. Tuttavia dopo un po’ il Tommaselli venne a sapere che i Sorianiello avevano sfondato una parete creando una porta dall’interno del palazzo dei Sorianiello e avevano ripreso a fare la piazza di spaccio.Dopo questo periodo inizio’ il contrasto con i MELE sicchè ruppi i rapporti con il Tommaselli Carlo in quanto questi era latitante e quindi si defilo’ dal conflitto per andarsene a Soccavo ……………….. (omissis) ……………… Una volta arrestato Vigilia Alfredo detto o’ nir e dopo la morte del figlio Pasquale, che aveva preso il comando, fu l’altro figlio Alfredo Junior a reggere il clan Vigilia. Nel periodo dell’agguato a Sorianiello Alfredo vi fu il tentativo di Vigilia Alfredo di fare un’alleanza tra noi Marfella Pesce, i Puccinelli già alleati con i Pummarola (ho avuto a che fare con Bemardo Ciro e Giuseppe) e il clan della 44′ ossia i Borotalco (Cutolo ndr). Una volta arrestato il Vigilia Alfredo ero preoccupato che il Tommaselli avesse potuto coinvolgere il figlio Alfredo Junior nell’omicidio di Sorianiello Fortunato. Gli mandai delle imbasciate in carcere tramite Schino Massimiliano, ma il Vigilia mì mando’ uno scritto rassicurrandomi che il figlio non era coinvolto e che gli avrebbe detto dì allontanare il Tommasem da Soccavo. Da quel momento ì Vigilia si misero contro Tommaselli e lo cacciarono effettivamente da Soccavo. Intanto i Sorianìello erano diventati un gruppo autonomo, ma sempre alleati con i Vìgilia…”.

(nella foto il boss Carlo Tommaselli e la vittima Fortunato ‘Foffy’ Sorianiello)

Cronache della Campania@2018

Caso Consip, chiesto il processo per 7: c’è anche l’assessore stabiese Gianpaolo Scafarto

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La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per sette persone nell’ambito della maxi inchiesta sul caso Consip. Rischiano di finire sotto processo l’ex ministro Luca Lotti, l’ex comandante generale dei carabinieri, Tullio Del Sette, il generale dell’Arma Emanuele Saltalamacchia, l’imprenditore Carlo Russo, Filippo Vannoni, l’ex maggiore del Noe Gian Paolo Scafarto e l’ex colonnello dell’Arma, Alessandro Sessa. A Lotti è contestata l’accusa di favoreggiamento perché – secondo gli inquirenti – avrebbe rivelato all’amministratore delegato di Consip, nell’estate del 2016, l’esistenza di un’indagine che lo riguardava, con tanto di intercettazioni telefoniche in corso. Del Sette, invece, risponde di rivelazione di segreto d’ufficio, in quanto avrebbe riferito informazioni su un’indagine che coinvolgeva l’imprenditore Alfredo Romeo all’ex presidente della società pubblica, Luigi Ferrara. Tra gli indagati c’è anche l’ex carabiniere del Noe e oggi assessore alla Sicurezza di Castellammare di Stabia, Gianpaolo Scafarto. Personaggio centrale dell’inchiesta – sempre secondo i pubblici ministeri – avrebbe ‘manovrato’ l’inchiesta per ‘incastrare’ Tiziano Renzi, papà dell’ex presidente del consiglio. Proprio per Renzi senior il procuratore Giuseppe Pignatone, l’aggiunto Paolo Ielo e il pm Mario Palazzi hanno chiesto l’archiviazione perché “a prescindere dalla sua inverosimile ricostruzione dei fatti (…) non vi sono elementi per sostenere un suo contributo nel reato di traffico illecito di influenze”.
Altro accusato è l’imprenditore Carlo Russo. Lui avrebbe “abusato del cognome di Renzi” – secondo i pm – quando al telefono con l’imprenditore Alfredo Romeo parlava di appalti e mazzette. Nello specifico il reato contestato è quello di millantato credito. L’ex ministro Lotti, il generale Saltalamacchia, e l’ex presidente di Publiacqua Firenze, Filippo Vannoni sono invece accusati di favoreggiamento. Il generale Del Sette è accusato di rivelazione del segreto istruttorio. Mentre l’ex presidente Consip, Luigi Ferrara, è accusato di false informazioni ai pm per aver mentito durante un’audizione. Ad incastrarli, secondo i magistrati, la testimonianza di Luigi Marroni, ex ad di Consip che ha ammesso di aver tolto le cimici dagli uffici della Consip “perché ho appreso in quattro differenti occasioni da Vannoni, dal generale Saltalamacchia, dal presidente di Consip Ferrara e da Lotti di essere intercettato”. Marroni poi mise in fila date nomi e cognomi: “A luglio 2016 durante un incontro Luca Lotti mi informò che si trattava di un’indagine che era nata sul mio predecessore Domenico Casalino e che riguardava anche l’imprenditore campano Romeo. Delle intercettazioni ambientali nel mio ufficio l’ho saputo non ricordo se da Lotti o da un suo stretto collaboratore”. Nell’ultimo capitolo chiuso dai magistrati romani figurano gli ex Noe, Gianpaolo Scafarto e Alessandro Sessa. Al primo la procura contesta i reati di falso, rivelazione di segreto e depistaggio, a Sessa il solo depistaggio.

Cronache della Campania@2018

Fonderie Pisano: Comune Salerno si costituisce parte civile

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“Il Comune di Salerno si costituira’ parte civile nel procedimento giudiziario che riguarda le Fonderie Pisano”. Lo ha annunciato, questa mattina, il sindaco di Salerno Vincenzo Napoli a margine dell’inaugurazione del parcheggio Park Vinciprova. Dopo il ministero dell’Ambiente, dunque, anche il Comune segue la stessa linea. “Bisogna ribadire una netta distinzione tra le varie situazioni. Il comitato Salute e Vita – ha spiegato il sindaco – mi chiedeva un atto autocratico di chiusura delle Fonderie. Vi sono degli istituti previsti che avrebbero dovuto dettare una serie di iniziative che avrei portato immediatamente a termine laddove fosse stato necessario. Un giorno le aprono, un altro giorno le chiudono. Questo fa capire la delicatezza e la complessita’ della materia che non si risolve con un taglio di scure. Per quanto riguarda, invece, la costituzione di parte civile, il Comune di Salerno ha sempre adottato una linea che definirei garantista. Non ci costituivamo parte civile, ma monitoravamo il processo. Essendoci un grande allarme sociale che si e’ creato, ho deciso di firmare la costituzione di parte civile che sara’ depositata come per legge. Questo per assicurare la cittadinanza e bloccare anche delle polemiche strumentali che sono anche fastidiose”. Sulla delocalizzazione e sulle difficolta’, soprattutto economiche, dei lavoratori, il primo cittadino ha aggiunto: “L’amministrazione comunale non c’entra. Noi avevamo dato delle possibilita’ premiali all’imprenditore – qualora avesse optato per la delocalizzazione – che non ha saputo utilizzare. Ovviamente, avrebbe comunque dovuto risanare il suolo da eventuali problematiche ecologiche. Intorno alle Fonderie Pisano si e’ alzata una sorta di cortina di fumo creando anche un clima di allarmismo”. Sull’ipotesi di delocalizzazione, infine, il sindaco ha aggiunto: “Ci sono delle fonderie che possono tranquillamente convivere in zone industriali perche’ sono tecnologicamente adeguate e sicure dal punto di vista delle emissioni. Parlero’ con Visconti per capire cosa sta succedendo in zona Asi. Per quanto mi riguarda – ha concluso Napoli – sono assolutamente dalla parte delle maestranze per la tutela del proprio posto di lavoro, ma la stella polare che deve guidare i nostri atti e’ la tutela della salute dei cittadini”

Cronache della Campania@2018

Medico a processo: a due bambini gravi affetti da epilessia sintomatica e tetraparesi sospende i farmaci per curarli con l’agopuntura

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È iniziato ieri al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, davanti al collegio presieduto dal giudice Stravino, il processo che vede imputato il medico di Caserta, Gaudenzio Garozzo, accusato di aver provocato lesioni permanenti a due bambini che gli erano stati affidati in cura.
Secondo la ricostruzione della Procura, il 56enne imputato avrebbe sospeso i farmaci che i due pazienti erano soliti prendere per curarli con l’agopuntura. Circostanze che hanno aggravato ancora di più le condizioni fisiche dei due bambini che hanno riportato danni permanenti. L’inchiesta partì dopo la denuncia dei genitori ed oggi, dopo diversi anni, si è giunto all’inizio del processo a carico del medico. Davanti al collegio giudicante è stato ascoltato il padre di uno dei piccoli pazienti che ha ricostruito tutti i passaggi della vicenda, dalla scelta di affidarsi al medico di Caserta e seguire i suoi consigli fino al peggioramento delle condizioni.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Camorra, il pentito: ‘Il boss Tommaselli cambiò 4 clan e voleva uccidere Pasquale Pesce per comandare su Pianura e Soccavo’

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Al centro di tutto c’era lui, le sue scelte, quello che decideva di fare si faceva. Tanto che in pochi anni ha cambiato quattro clan. Fino a quando il 6 agosto 2014 la sua latitanza fu interrotta da un blitz in una appartamento al terzo piano a Fuorigrotta, quartiere occidentale di Napoli. Carlo Tommaselli e’ il perno dell’inchiesta della Dda di Napoli che ha portato a sei arresti da parte dei carabinieri. Nell’ordinanza del gip Anna Imparato c’e’ la ricostruzione di quanto il boss ha tentato di costruire in quasi un decennio di carriera criminale autonoma. Per un lungo periodo, dagli anni Ottanta fino al 1999, Tommaselli era legato ai Lago di Pianura, perche’ sua sorella aveva sposato il boss Pietro. Ma dal 2000 si allontano’ progressivamente perche’ Pietro ”o ciore’ inizio’ a collaborare con lo Stato, anche se poi ritratto’ poco dopo le sue dichiarazioni. Nell’informativa datata 7 maggio del 2015 a firma dei carabinieri ci sono tutti i passaggi che il boss ha fatto ‘saltando’ da un clan all’altro. Condannato a 11 anni e 4 mesi di reclusione per camorra con il clan Marfella, nove anni fa formo’ un gruppo con i fratelli Vincenzo e Pasquale Foglia, Pasquale Pesce e Luigi Pesce, contro i Mele-Varriale. Ma neanche questo lo tranquillizzo’ perche’ verso il 2007 costitui’ un altro gruppo, i Marfella-Pesce alleandosi con Giovanni Romano e Pasquale Pesce, ma nel 2012 l’alleanza vacillo’ per la decisione di Tommaselli di uccidere Pasquale Pesce. Nel 2013 costitui’ ancora un altro clan con Salvatore Romano e Antonio Vanacore e avvicinandosi ai Vigilia di Soccavo, la cosca che tre giorni fa e’ stata smantellata con 33 arresti. Uno dei pentiti chiave dell’inchiesta e’ proprio Antonio Vanacore che l’11 maggio del 2014 racconto’ di Tommaselli e della sua ascesa criminale. “Tommaselli decise di eliminare Pasquale Pesce per poter acquisire l’egemonia sul territorio e di tale sua intenzione informo’ Vincenzo Foglia soggetto facente parte del clan Marfella ed ex appartenente al clan Lago come il Tommaselli. Il Foglia pero’ informo’ Pasquale Pesce dei propositi del Tommaselli e da quel momento i Marfella non gli diedero piu’ alcun appoggio in quanto il Tommaselli era latitante”, disse ai pm. Oltre a lui hanno arresto il figlio Filippo, suo portavoce “si parlavano con gli sms”, scrive il gip. Francesco Minichini, cugino di Tomaselli e “profondo conoscitore delle dinamiche e degli equilibri criminali della zona. Portatore delle informazioni del latitate nei confronti del figlio”. Antonio Megali, cugino di Filippo in rapporto con il clan. Enrico Calcagno, cugino di Tommaselli e Fabio De Vita, ex fidanzato della figlia di Tommaselli, deceduta in un incidente stradale quando era con lui.

Cronache della Campania@2018

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