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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Strage del bus, i legali della difesa: ‘Impossibile prevedere che un bus in quelle condizioni circolasse’

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Impossibile prevedere che un pullman in quelle condizioni circolasse su un tratto autostradale e neppure era possibile che i tirafondi che dovevano mantenere ancorata la barriera al viadotto, potessero corrodersi gravemente per effetto del sale antighiaccio. Su questi punti si e’ concentrata la difesa dei due ex direttori di tronco che si sono avvicendati nella gestione dell’autostrada A16, Napoli – Canosa dove il 28 luglio 2013 un pullman diretto a Pozzuoli, proveniente da Pietrelcina, perse il controllo e dopo una serie di urti con altri veicoli e la barriera laterale precipito’ dal viadotto Acqualonga di Monteforte Irpino, causando 40 vittime. Michele Renzi era al vertice del tronco in quegli anni, Paolo Berti lo aveva preceduto. Entrambi, sono accusati assieme ad altri 12 dirigenti di Autostrade per l’Italia spa di concorso in omicidio colposo plurimo, disastro colposo e per omissioni nella gestione e nel controllo. I legali dei due dirigenti, gli avvocati Guido Colella e Filippo Dinacci si sono concentrati appunto sul tema della prevedibilita’ dell’evento “incidente” e dell’evento corrosivo, respingendo le ricostruzioni del pm Rosario Cantelmo, che per entrambi gli imputati e per tutti gli altri dirigenti e funzionari di Aspi, dal responsabile del posto di manutenzione di Avellino Ovest Antonio Sorrentino, fino all’amministratore delegato Giovanni Castellucci, ha chiesto la condanna a 10 anni di reclusione. E proprio sulla mancata distinzione sul piano delle responsabilita’ di ciascuno i difensori si sono scagliati contro la pubblica accusa. Il processo che vede come imputato principale l’imprenditore Gennaro Lametta, che noleggio’ il bus malandato e con falsa revisione, e’ ormai alle battute conclusive. Il 14 dicembre prossimo altri difensori terranno le loro arringhe che si concluderanno il 21 dicembre prossimo, per poi lasciare la parola al giudice Luigi Buono per la sentenza.

Cronache della Campania@2018


‘C’era una nostra talpa nel gruppo di Zagaria’: clamorosa rivelazione del pentito Schiavone

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“C’era una nostra talpa nel gruppo di Zagaria”. Clamorosa rivelazione del pentito Schiavone. il nome coperto da segreto istruttorio ma schiavone dà un ‘indizio’ importante
Una talpa interna alla cosca di Zagaria informava Nicola Schiavone sugli spostamenti di Michele Zagaria. Lo ha riferito il rampollo di casa Sandokan nel corso dell’udienza del processo Jambo svoltasi ieri, giovedì, al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Schiavone ha raccontato ai giudici della stagione di tensioni interne al clan dei Casalesi, a cavallo tra il 2008, con l’omicidio di Michele Iovine a Casagiove, ed il 2009, con il duplice omicidio Antonio Salzillo (nipote dell’ex capo Antonio Bardellino) e Clemente Prisco, per il quale Nicola Schiavone è stato condannato all’ergastolo. Proprio il duplice delitto di Cancello ed Arnone segnò uno spartiacque, i rapporti tra Zagaria e Schiavone, già deteriorati, si ruppero definitivamente ed i due capi si dichiararono guerra. “Zagaria smise di versare la quota al clan – ha detto Schiavone ai giudici – Per questo io, Nicola Panaro ed Antonio Iovine decidemmo di ucciderlo”. Schiavone ha rivelato che stava pianificando il raid: “Zagaria credeva che la sua latitanza era un mistero ma noi sapevamo dov’era, dove andava e con chi si trovava”. E ad informarlo era una persona vicina a Zagaria: “Gli ha fatto da autista per 4 anni”, ma il nome resta coperto dal segreto investigativo.
Comunque se Schiavone non fa il nome della sua fonte esclude sia Giacomo Capoluongo, transitato dalle fila di Zagaria in quelle degli Schiavone, sia Generoso “Jerry” Restina, il vivandiere storico di Zagaria durante la latitanza. E sulla genuinità del suo informatore Schiavone non ha dubbi: “Parlavamo di uccidere Michele Zagaria e lui voleva uccidere me. Non era uno scherzo”, ha concluso.

Cronache della Campania@2018

Definitiva la condanna a 30 anni per il killer dell’innocente Salvatore Barbaro

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E’ diventata definitiva la condanna  a 30 anni di carcere per Vincenzo Spagnuolo , 50 anni detto o’ break accusato di essere l’assassino dell’innocente cantante neomelodico di Ercolano, Salvatore Barbaro conosciuto come “Salvio il cantante”. Barbaro fu ucciso per un clamoroso errore di persona durante la sanguinosa faida di Ercolano tra i Birra-Iacominoi e gli Ascione-Papale. L’omicidio avvenne la sera del 13 novembre 2009, a due passi dagli Scavi, in via Mare.  La vittima era appena uscito in compagnia di un amico da un negozio di materiali edili. Era alla guida della sua Suzuki grigia quando i killer entrarono in azione crivellando di proiettili l’auto. Salvio il cantante che era alla guida ferito a morte finì la sua corsa contro il muro di contenimento del cantiere di scavo di Villa dei Papiri. Il suo amico si accasciò nell’abitacolo per schivare i proiettili e poi fuggi. Fu Lady Camorra, Antonella Madonna, la pentita per amore, moglie del boss Natale Dantese a svelare agli inquirenti che quello era stato un errore di persona e che Barbaro era una vittima innocente della camorra come aveva sempre sostenuto la famiglia del ragazzo. Il killer aveva commesso il clamoroso errore perché la vittima designata viaggiava su di un auto simile a quella di Barbaro. Proprio per quell’errore il killer Vincenzo Spagnuolo ebbe come ricompensa “solo 800 euro”. Per il boss Natale Dantese, ritenuto il mandante, e i due complici di Spagnuolo, ovvero Antonio Sannino e Pasquale Spronello, nei mesi scorsi la pubblica accusa ha chisto per tutti l’ergastolo.

(nella foto da sinistra il killer Vincenzo Spagnuolo, e la vittima innocente Salvatore Barbaro)

 

Cronache della Campania@2018

Usura a Scafati: la procura pronta a chiedere pesanti condanne per il figlio del boss Porpora e i complici

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Scafati – Giro di usura a gestione tutta familiare: il processo si avvia alla conclusione con sentenza prevista per fine mese dinanzi al collegio presieduto dal dott. Donnarumma. Alla sbarra Raffaele Porpora, 38enne, figlio del defunto boss Antonio attualmente detenuto nel carcere di Fuorni. Il pluripregiudicato (difeso dall’avvocato Roberto Concilio e Pierluigi Spadafora) era stato già condannato a quattro anni di reclusione per un singolo episodio, che portò gli inquirenti a condurre successivamente una maxi inchiesta, «Get a money», datata giugno 2017 e conclusa dalla Procura di Nocera Inferiore in pochi mesi, a Scafati. Quell’episodio portò ad un blitz e a sette misure cautelari. Tutti gli imputati sono stati mandati a giudizio dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore con la prossima udienza fissata il 12 dicembre dove é prevista la requisitoria del PM, dott. Lenza.
A capo del gruppo, secondo gli inquirenti era stata individuata Elvira De Maio, 59enne, vedova del boss Antonio Porpora (difesa dall’avvocato Giuseppe Chirico). Secondo le accuse, estese agli indagati seppur con ruoli distinti, tutti i coinvolti prestavano denaro a chi ne aveva bisogno, per poi praticare tassi elevatissimi e minacciando, anche ricorrendo all’uso della violenza, chi non manteneva fede agli impegni presi. La scorsa estate, la polizia giudiziaria verbalizzò lo sfogo di una delle vittime del gruppo di “cravattari”, facendo partire l’indagine. Quella persona raccontò di anni trascorsi sotto lo strozzo dell’usura da parte di De Maio ma anche del figlio Raffaele Porpora, autore materiale di minacce di morte. Entrambi i soggetti recidivi per analoghe condotte. All’udienza del 5 dicembre sono terminate le testimonianze delle persone offese con forti momenti di tensione. Molte le contraddizioni delle presunte vittime che hanno fatto registrare una forte reazione da parte della De Maio e del Porpora che sono stati allontanati dall’aula. Le versioni delle persone offese non sono sempre state lineari ed hanno manifestato evidenti falle nelle loro ricostruzioni. Una delle persone offese aveva addirittura ammesso di aver programmato una truffa ai danni della De Maio fingendo di chiamarsi Teresa sebbene il suo vero nome fosse “Gina” , allo scopo di prendere i soldi in prestito e non restituirli. Coinvolta nel procedimento anche Perrotti Marianeve e Davide Antonio, entrambi difesi dall’avvocato Gennaro De Gennaro. Il Davide, conosciuto come il messicano, avrebbe minacciato alcune delle vittime. Coinvolta nel giudizio anche Nastro Gerardina madre della De Maio(difesa dall’avvocato Antonio Raiola) ed il figlio minore di quest’ultima, Civale Francesco che avrebbero cooperato con i loro familiari. Alla anziana donna era stata applicata la misura meno gravosa.Ultima degli imputati Di Lauro Antonietta (difesa dagli avvocati Giovanni Pentangelo ed Erminia Maisano). Il processo volge al termine col tribunale che è chiamato a far luce su delle storie che tanto chiare non sono.

Cronache della Campania@2018

Napoli, è morto l’ex boss pentito Luciano Sarno

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È morto l’ex boss sanguinario di Ponticelli, Luciano Sarno. Il 50enne, pentito da anni come il fratello Ciro il noto ‘sindaco’ e altri congiunto è morto per un tumore che si portava dentro dal alcuni mesi. Luciano Sarno, come riporta Il Roma che ha anticipato la notizia, era da tempo un uomo libero avendo scontato le sue condanne. Era stato il primo della famiglia a pentirsi nel 2010. Era l’ultimo dei fratelli della famosa e sanguinaria cosca che aveva fondato insieme con Ciro, Giuseppe e Vincenzo. Nei loro racconti la storia della camorra di Napoli e provincia di inizio anni Novanta dopo la fine dell’era Cutolo. Le alleanze, gli affari, le stragi, i morti ammazzati e perfino i rapporti con i politici e i voti dati all’epoca alla democrazia Cristiana. Dalle sue dichiarazioni, come da quelle dei suoi fratelli ci sono stati decine e decine di arresti di affiliati e di avversari e ne sono scaturiti alcuni processi molti dei quali ancora in corso.

Cronache della Campania@2018

Castellammare, ‘…politicamente stiamo battagliando malamente…’, così Greco parlava dell’affare Cirio

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Castellammare di Stabia. Sull’affare Cirio, sul quale è in corso un’indagine da parte della DDA di Napoli, potrebbe essere coinvolta non solo la criminalità organizzata che aveva chiari interessi ma anche la politica. Oltre 300 appartamenti tra residenziale ed housing sociale. Un affare di un certo peso e rilievo. Non sono quindi da escludere ulteriori sviluppi. Intanto tutte le persone arrestate nel corso dell’operazione “Olimpo”, tra cui Aldolfo Greco, comproprietario dell’ ex area industriale Cirio, restano in carcere dopo essersi avvalsi della facoltà di non rispondere in attesa di comparire davanti al Riesame. “Se ci riusciamo, …politicamente stiamo battagliando “malamente” (maledettamente) ..se riusciamo a fare una cosa di queste”. Sono le parole di Adolfo Greco mentre tiene una conversazione con Michele Carolei. E’ il dicembre del 2013 e i due sono negli uffici di Greco e continuano a parlare della mega opera Cirio. A quel tempo il sindaco era Nicola Cuomo. La Cirio, di proprietà della PolGre Europa 2000 Srl, società compartecipata dalla famiglia Greco e Polese, dal 1999 presenta al Comune di Castellammare di Stabia, il 28 Gennaio 2013, il permesso a costruire case nell’ex sito industriale. In quel periodo a Palazzo Farnese c’era il Commissario Prefettizio, Rosanna Bonadies, arrivato in città dopo la sfiducia a Luigi Bobbio. Circa 103 alloggi di housing sociale e 225 da mettere sul mercato immobiliare. La vicenda non viene curata dall’ufficio tecnico comunale ma da un Commissario “ad acta” nominato dalla Provincia di Napoli circa un anno dopo. La città ritorna al voto e vince Nicola Cuomo. In consiglio siede anche Luigi Greco, il figlio di Adolfo. Greco è all’opposizione, la sua lista aveva sostenuto Pentangelo. Il candidato di centrodestra sconfitto al ballottaggio. Pentangelo era stato designato dal Partito di Berlusconi quale candidato sindaco al posto dell’uscente Bobbio. Dopo poco più di due anni, Cuomo viene sfiduciato. Al suo posto arriva il Commissario Prefettizio Vaccaro. Il 13 aprile 2016 Palazzo Farnese, visti gli atti del Commissario “ad acta”, emana una determina di accoglimento del permesso a costruire. Intanto Cuomo viene sfiduciato dopo poco più di due anni. La città ritorna al voto. A giugno 2016 viene eletto Antonio Pannullo. Il PD vince al ballottaggio sul centrodestra guidato da Gaetano Cimmino. La questione Cirio non è tra le priorità per l’amministrazione a trazione PD. Poco più di un anno e mezzo per decidere il da farsi. La giunta prepara una delibera da portare in consiglio per l’8 febbraio del 2018. Pannullo avrebbe modificato, insieme all’assessore al ramo, da 2700 a 1700 euro al metro quadrato i valori per la vendita in housing sociale, con parere contrario di qualche giovane assessore. Delle tariffe molto sfavorevoli per i venditori. Quell’atto inserito nell’ordine del giorno del consiglio comunale non si è mai discusso perché solo due giorni prima il sindaco è stato sfiduciato da ben 14 consiglieri, di cui parte della sua maggioranza. Nei giorni e mesi seguenti alla notte della sfiducia il sindaco Pannullo ha sempre puntato il dito verso l’ “imprenditoria insana”, non è da escludere che il suo era un riferimento proprio ai Greco. L’imprenditoria insana che, sempre secondo Pannullo, ha imposto la candidatura di Cimmino. In effetti parte della città rientra nella ZES, Zona Economica Speciale, un occasione di sviluppo e il Grande Progetto Pompei. Tanti i fondi a disposizione che saranno investiti nella città delle acque. Sull’ “imprenditoria insana” e sulle varie vicende legate alla Cirio sarà la magistratura che ha aperto un fascicolo a chiarire ogni aspetto della questione. Sulla vicenda, nella giornata odierna, è intervenuto anche il segretario provinciale PD Costa attraverso un post sulla sua bacheca Facebook. “Lo scenario inquietante che sta emergendo dalle inchieste palesa una commistione tra imprenditoria “insana” e malavita organizzata, che come una spessa coltre ha controllato e indirizzato lo sviluppo del territorio in questi anni – scrive Costa – Dalle inchieste emerge, inoltre, che l’ex Sindaco del Partito Democratico di Castellammare di Stabia, Toni Pannullo, fu il primo a denunciare il fiato sul collo della camorra, indicando e circostanziando in maniera puntuale fatti ed uomini collusi. Tali denunce furono riportate dal nostro Sindaco in tutte le sedi istituzionali preposte grazie al sostegno del gruppo parlamentare PD e del segretario regionale dell’epoca. Di lì a breve Pannullo fu defenestrato e le motivazioni della sfiducia, avvenuta presso la sede di un notaio, non furono subito chiare e forse, a distanza di pochi mesi, questa inchiesta comincia a far luce anche su quella vicenda e su tante altre che hanno turbato la città di Castellammare in questi ultimi anni. Ci auguriamo tutti che le indagini proseguano senza sosta, in modo da riportare nella città stabiese un sano clima democratico, foriero di sviluppo e benessere per tutta la comunità”.

2.continua

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Cronache della Campania@2018

Abusi sulle sue giocatrici minorenni: 7 anni e 6 mesi all’allenatore-orco

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Un ringraziamento semplice ma sentito all’avvocato Mariano Salvio da parte di una delle tre ragazzine vittima dei desideri sessuali di Gennaro Russo, suo ex allenatore di calcio: “Avvocato grazie! E’ la fine di un incubo e l’inizio di una nuova vita”. L’avvocato Salvio ha accompagnato lei e altre due sue compagne di squadra nel difficile percorso giudiziario  conclusosi l’altra sera con la conferma della sentenza di secondo grado pronunciata dai giudici della Corte d’Appello di Salerno: sette anni e sei mesi di reclusione. I giudici hanno reputato inammissibile il ricorso presentato dai leegali dell’uomo.
Gennaro Russo, come riportato da Il Mattino,  ex allenatore della Salernitana Magna Graecia di Eboli, è accusato di abusi sessuali su minorenni aggravati dalla recidiva. L’uomo è stato arrestato ed è rinchiuso nel carcere di Vallo della Lucania. Le violenze sarebbero state commesse per almeno un anno, dal 2012 al 2013. L’episodio culminante, che avrebbe convinto le tre vittime alla denuncia, è avvenuto in seguito a un rapporto sessuale completo che una delle tre allora quindicienni fu costretta a subire. Russo la stava riaccompagnando a casa dopo una trasferta quando con la sua auto avrebbe raggiunto un luogo isolato e buio nella zona industriale di Eboli. Violenza poi accertata nel corso delle indagini attraverso il racconto delle altre due vittime e anche attraverso le intercettazioni telefoniche. Russo in primo grado fu condannato a nove anni di reclusione e una serie di pene accessorie tra le quali il divieto di avvicinamento a luoghi frequentati da minorenni e l’interdizione dai pubblici uffici. Ex dipendente del Ministero di Grazia e giustizia, a seguito della condanna è stato licenziato mentre la Federazione calcistica lo ha sospeso dall’attività di allenatore. In secondo grado i giudici hanno rideterminato la pena a sette anni e sei mesi. La stessa poi confermata dalla Cassazione. In quella udienza Russo si presentò per la prima volta in tribunale dichiarando ai giudici di non aver mai avuto alcun rapporto con le ragazze.

Cronache della Campania@2018

Truffe alle assicurazioni a processo in 53 tra avvocati, medici, periti assicurativi e falsi testimoni. TUTTI I NOMI

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Truffe alle assicurazioni: sono stati rinviati a giudizio in 53 tra medici, avvocati  e semplici cittadini della zona nolana vesuviana accusati di associazione a delinquere finalizzata alle truffe assicurative. Il gip del Tribunale di Nola ha fissato la prima udienza fissata al 27 marzo davanti al giudice Daniela Critelli. L’inchiesta denominata “Jordanus” relativa agli anni 2009 -2013 aveva portato all’iscrizione nel registro degli indagati di oltre 400 persone.
Era stata condotta dai carabinieri e dalla guardia di finanza delle Compagnie di Nola e coordinata dalla Procura nolana e che svelò dettagli inquietanti su come nell’area nolana e vesuviana si creavano falsi incidenti stradali per ottenere migliaia di euro di rimborso dalle assicurazioni. Dopo mesi di indagini, intercettazioni telefoniche e ambientali, audizioni di testi a raccontare tutto agli inquirenti fu uno degli indagati, il medico sommese Cesare Di Palma che raccontò nel corso di un interrogatorio il significato delle parole e dei termini usati nel corso delle telefonate tra gli indagati. Di Palma spiegò che il tariffario per “confezionare” i falsi referti alla base spesso di fasi incidenti andavano dai 5 ai 10 euro per una relazione medica, ai 30-100 euro per gli esami strumentali e relazioni, ai 100-150  euro. Il totale della truffa accertata dagli investigatori si aggira intorno al milione e mezzo di euro di indennizzi per incidenti inventati. Al ver­tice dell’organizzazione c’erano gli avvocati: quattro – per- l’accusa – i gruppi  dediti alla truffa e orbitanti attorno a diversi studi legali. Tra questi gli avvocati Rossella Ranieri e Giuseppe Iervolino, entrambi del foro di Nola. Coinvolti altri legali, in tutto 12, in forma non associata, che procacciavano falsi certificati medici. Era il secondo livello della piramide, la compia­cenza dei medici: coinvolti in 62, che dovevano, in cambio di denaro, fornire referti e certificati falsi per incidenti mai avvenuti. Oltre ai medici, sotto accusa periti assicurativi e impiegati bancari.E infine persone comuni che venivano pagati come falsi testimoni, con un compenso di 50 euro, o nel ruolo di danneggiato. Qui il compen­so saliva dai 500 ai 1000 euro. La maxi-inchiesta era partita dalla denuncia di un cittadino che aveva subito minacce da Angelo Amoroso, sottoposto nel 2013 a divieto di dimora e alle intercettazioni sull’u­tenza di Amoroso, l’inchiesta si era poi allargata fino a scoprire l’intera rete illecita. Gli indagati per sfuggire alle intercettazioni utilizzavano un linguaggio in codice. Con il termine “hotel” si indicavano i presidi ospedalieri; con “rappezzo” e “guaina” invece la documenta­zione medica. E c’era anche ‘zio Silvio’ appellativo con il quale si indicava uno dei me­dici coinvolti nell’inchiesta.

GLI IMPUTATI

Rossella Ranieri 46 anni di Somma Vesuviana
Gennaro Franzese 49 anni di Ottaviano
Giuseppe Iervolino 50 anni di San Gennaro Vesuviano
Giovanni Di Matola 52 anni di San Giorgio
Luigi Musa 48 anni di Ottaviano
Cesare Di Palma44 anni di Somma Vesuviana
Salvatore Vitiello  di Terzigno
Vincenzo Imparato  40 anni di San Vitaliano
Oronzo Bianco 45 anni di Somm a Vesuviana
Vincenzo D’Avanzo 51 anni di Somma Vesuviana
Antonio La Montagna 38 anni di Nola
Salvatore Duraccio 63 anni di San Giuseppe Vesuviano
Mariantonietta Napolitano 48 anni di Nola
Felice Peluso 61 anni di Palma Campania
Francesco Ciro Izzo 63 anni di Poggiomarino
Carlo Casillo 54 anni di San Giuseppe Vesuviano
Alberto Silenti 44 anni di Napoli
Domenico Castaldo 64 anni di Ottaviano
Graziella Ranieri 45 anni di San Giuseppe Vesuviano
Maria Carmela Ciccarelli 51 anni di Napoli
Francesco Ranieri 58 anni di San Giuseppe V.
Maria Sansone 54 anni di Napoli
Marco Marcarelli 38 anni di Ottaviano
Gregorio Vinci 64 anni di Napoli
Antonio Felice  Ciccarelli 60 anni di Pomigliano
Francesca Esposito 36 anni di Caserta
Gaetano Marrocco 39 anni di Caserta
Francesco Salerno 63 anni di Ottaviano
Agostino Corbisiero 55 anni di Nola
Alfonso Gifuni 61 anni di San Paolo BelSito
Maria Antonietta DAgostino 43 anni di Napoli
Lorenzo Caccese Fonzone 70 anni di Montesarchio
Gianluca Ciccone 46 anni di Torre Annunziata
Massimiliano Fontana 64 anni di Avellino
Ferdinando Tesorone 69 anni di Somma Vesuviana
Roberto Gualdiero 38 anni di Napoli
Rossella Gargiulo 49 anni di Torre Annunziata
Luigi  Chirico 55 anni di Casal di Principe
Antonella Marrocco 35 anni di Caserta
Roberto Biondo 48 anni di Castello Cisterna
Luigi Boccalatte 61 anni di San Giuseppe V.
Antonio Zannelli 49 anni di Somma Vesuviana
Nicola Ambrosio 72 anni di Terzigno
Alfredo Ranieri 36 anni di San Giuseppe V.
Angelo Ranieri 74 anni di San Giuseppe V.
Giuseppe Franzese 47 anni di San Giuseppe V.
Natale De Marco 35 anni di San Giuseppe V.
Angelo Raggio 45 anni di Ottaviano
Vincenzo Mollica 43 anni di San Giuseppe V.
Iolanda Cataldo 34 anni di San Vitaliano
Angelo Ragosta 44 anni di Ottaviano
Natale Ambrosio 39 anni di San Giuseppe V.
Gaetano Caianiello 69 anni di Napoli

Cronache della Campania@2018


Assolto per camorra e reati prescritti per truffa per il boss ‘finto pazzo’ Giuseppe Gallo

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Prescritti i reati per il boss Giuseppe Gallo detto o’ pazzo. I giudici del tribunale di Torre Annunziata (presidente di collegio Maria Laura Ciollaro) hanno rilevato l’insussistenza dell’aggravante mafiosa, e quindi sono stati dichiarati prescritti i reati di truffa ai danni dello Stato per aver percepito per anni una pensione di invalidità mensile di 750 euro al mese. Due mesi fa era accaduto anche per il dottore Adolfo Ferraro, ex direttore dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa e medico di fiducia di ‘Pepp’ o pazz’, che gli aveva diagnosticato una grave forma di schizofrenia. Cosa questa che gli aveva consentito per anni di evitare i processi e quindi le condanne a suo carico. Sia il professionista sia il boss erano a giudizio nel processo stralcio della maxi inchiesta ‘Pandora-Matrix’, la maxi operazione che smantellò il traffico di droga gestito dal clan Gallo-Limelli-Vangone di Boscotrecase. Una sentenza importante quella di assoluzione dell’aggravante mafiosa per il boss che nel frattempo ha già accumulato diverse condanne ed è al regime del carcere duro.

Cronache della Campania@2018

Napoli, racket del ‘caro estinto’: tutti assolti i 52 imputati della maxi inchiesta

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Napoli. Sono stati tutti assolti i 52 imputati della maxi operazione contro il racket del caro estinto, che aveva porta­to ad arresti e fermi a Napoli nel 2012 tra dipendenti cimiteriali, medici legali, titolari e dipenden­ti di imprese funebri.
Lo hanno deciso i giudici della quarta sezione del Tribuna­le di Napoli. I 52 a processo erano accusati di associazione per delinquere, falso ideologico in atto pubblico commesso da pubblico ufficiale e corruzione. Il tribunale ha assolto tutti gli imputati dal reato associazione a delinquere perché “il fatto non sussiste”, e dichiarato la prescri­zione degli altri reati nonostante la Procura nel corso del dibatti­mento avesse contestato il falso ideologico.  Le indagini furono avviate nel 2009, sulla base di alcune segnalazioni che evidenziavano l’esistenza di un diffuso fenomeno corruttivo tra il personale impiegato nei cimiteri e quello infermieristico in servizio negli ospedali, che intascava mazzette da alcuni gestori d’imprese di onoranze funebri.

Era venuto fuori il coinvolgimento anche di medici legali Asl, incaricati di constatare i decessi i quali, beneficiando di compensi non dovuti, redigevano il certificato necroscopico sulla scorta delle indicazioni, spesso fornite solo telefonicamente, dagli addetti delle imprese funebri. Un filone di indagine aveva riguardato gli infermieri addetti alle camere mortuarie degli ospedali che, previo lauto compenso, erano soliti avvisare del decesso e assistere imprese funebri compiacenti, affinché si aggiudicassero servizi funebri dei pazienti morti. Anche alcuni dipendenti comunali addetti al servizio di Polizia Mortuaria percepivano compensi non dovuti per eseguire le fasi conclusive delle esequie, ovvero quelle relative alla sepoltura o tumulazione delle salme. Tutte le somme illegalmente elargite venivano successivamente contabilizzate dalle imprese funebri a carico dei congiunti delle persone decedute sotto la generica voce spese cimiteriali.

Il “business del caro estinto” a Napoli era un meccanismo perfettamente rodato: appena avvenuto il decesso la macchina si metteva in moto coinvolgendo dipendenti cimiteriali, medici legali, titolari e dipendenti di imprese funebri. L’obiettivo era far convergere le famiglie e i parenti dell’estinto sulla impresa “egemone”. E per espletare questo compito le “sentinelle”, gli infermieri negli ospedali, percepivano circa un centinaio di euro di compenso. Ovviamente oltre alla segnalazione si occupavano anche di addomesticare la scelta da parte delle famiglie. Il business andava avanti da tempo, 24 ore su 24. Nell’inchiesta figurano anche i titolari di alcune note imprese funebri napoletane

Cronache della Campania@2018

Bancarotta fraudolenta: indagati tre imprenditori di San Giuseppe Vesuviano

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Tre imprenditori di san Giuseppe Vesuviano sono stati raggiunti stamane da una notifica di avviso di conclusione delle indagini da parte della Procura della Repubblica di Roma per il reato di bancarotta fraudolenta.La Guardia di Finanza di Napoli ha notificato gli avvisi ai tre imprenditori che dovranno rispondere di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. L’indagine della procura di Roma ha portato alla luce un caso di bancarotta fraudolenta riguardante una società operante nel settore del confezionamento di abbigliamento, fallita nel 2016. Sequestrato un complesso immobiliare a San Giuseppe Vesuviano del valore di circa 5 milioni di euro. I tre imprenditori, in concorso tra loro, avrebbero sottratto alla garanzia dei creditori il patrimonio della società, determinando un danno patrimoniale quantificato in circa 9 milioni. I tre hanno poi continuato nella gestione imprenditoriale attraverso nuove società di comodo.

Cronache della Campania@2018

Graduatorie truccate per gli insegnanti di sostegno: appiccato il fuoco agli archivi per distruggere le prove

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Il fuoco per distruggere registri e verbali, prove di un mega raggiro, per scalare le graduatorie pubbliche e ottenere un posto come insegnante di sostegno: è questa l’ipotesi che si fa largo dopo l’incendio di domenica 2 dicembre negli uffici del Provveditorato agli studi di via Monticelli a Salerno. E’ questa la lettura che gli inquirenti danno dell’episodio che, all’apparenza, sembrava un atto vandalico, già inquietante in sè. La tesi dell’incendio mirato per distruggere l’archivio del Provveditorato è supportata dalla circostanza che la Procura di Napoli ha da pochi mesi aperto un’inchiesta sulle graduatorie per le docenze, in particolare quella per il sostegno. L’inchiesta, come riporta Il Mattino, sembra sia partita da diplomi e titoli degli aspiranti insegnanti che nell’ipotesi della Procura partenopea sarebbero falsi, usciti dai cosiddetti ‘diplomifici’ istituti senza credenziali, e fatti valere come titoli per ‘scalare’ le graduatorie per l’insegnamento, naturalmente a discapito di altri aspiranti docenti.
L’incendio di domenica mattina in via Monticelli a Salerno era subito apparso ‘anomalo’, ignoti avevano forzato le porte esterne e senza degnare di uno sguardo a computer e altri beni di valore si erano diretti ai piani superiori dove è custodito l’archivio. Lì era stato appiccato il fuoco che ha bruciato gran parte dei registri e delle annotazioni di aspiranti insegnanti campani, non solo salernitani. L’obiettivo, secondo gli inquirenti, era distruggere le prove del mega raggiro. La direttrice generale dell’Ufficio scolastico regionale, Luisa Franzese, aveva espresso il suo rammarico per l’accaduto confidando nelle indagini delle forze dell’ordine, così come Annabella Attanasio, nuova dirigente provinciale. L’episodio del 2 dicembre è al vaglio, ora di due Procure, quella salernitana per quanto riguarda l’episodio in sé – affidata alle indagini della Questura di Salerno – e quella napoletana per quanto riguarda l’inchiesta ‘madre’. L’incendio è divampato, pochi giorni dopo una richiesta di esibizione atti da parte del pm Stefania Di Dona della Procura di Napoli, per visionare registri, attestati e documenti degli aspiranti insegnanti, abilitati in virtù di titoli acquisiti attraverso istituti e università soprattutto on line.
E’ bastata una richiesta di esibizione atti all’ufficio della pubblica istruzione della Regione Campania e in particolare a quello per la formazione scolastica, con un elenco dettagliato dei documenti che dovevano essere messi a disposizione delle forze dell’ordine, per allarmare qualcuno e azionare il raid per distruggere le prove.
L’incendio è stato appiccato all’ultimo piano del palazzo di via Monticelli nel rione Fuorni dove è ubicato l’archivio con registri e verbali.
Secondo gli inquirenti, in quei documenti vi sarebbero le prove decisive per scoprire l’intero imbroglio che vede al centro alcuni istituti e scuole di specializzazione. Il pm Di Dona procede per i reati di truffa e falso. L’inchiesta potrebbe rivoluzionare le graduatorie artefatte da aspiranti insegnanti con titoli fasulli e documenti fasulli, conseguiti dietro pagamento di danaro, per accelerare l’inserimento in servizio in molte scuole del centro e nord Italia. Alla base del mega imbroglio vi sarebbe, secondo gli inquirenti, una vera e propria organizzazione che dietro lauti pagamenti costruirebbe a tavolino i ‘perfetti’ insegnanti che ambiscono ad un posto di lavoro statale per sfuggire alla precarietà.

Cronache della Campania@2018

Truffa delle emittenti tv: il Riesame conferma i domiciliari per l’avvocato Varriale

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Il Tribunale del Riesame di Napoli ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti del patron dell’emittente televisiva Julie Italia, accusato dalla Procura della Repubblica di Napoli di frode e truffa sui contributi statali destinati alle emittenti locali. Nell’inchiesta della Guardia di Finanza di Napoli sono finiti una strettissima collaboratrice di Varriale, Carolina Pisani, e due commercialisti Claudio Erra e Renato Oliva, ai quali, come a Varriale, sono state notificati gli arresti domiciliari, lo scorso 14 novembre. Gli arresti domiciliari sono stati confermati anche agli altri tre indagati. La guardia di finanza esegui’ anche un sequestro di beni per 3 milioni di euro su cui si pronunceranno tra qualche giorno. “Prendiamo atto di una decisione del Tribunale della Liberta’ che purtroppo ci consentira’ di conoscere i motivi solo tra 45 giorni”, ha commentato l’avvocato Giovanni Siniscalchi, legale dell’avvocato Lucio Varriale e della sua collaboratrice Carolina Pisani. “Non si comprende – prosegue Siniscalchi – tuttavia come possano ritenersi sussistenti le esigenze cautelari dell’inquinamento probatorio e del pericolo di reiterazione dei presunti reati tributari dopo due lunghissimi interrogatori durati oltre sei ore ed una ampia produzione documentale riconducibile a ciascuna ipotesi di reato che non potra’ essere modificata poiche’ cristallizzata agli atti e dopo che l’avvocato Varriale ha rinunciato al suo ruolo di consulente legale rispetto agli incarichi ricevuti in relazione ai fatti contestati ed a svolgere il ruolo di editorialista ed opinionista presso le emittenti televisive oggetto d’indagine. Temiamo una incomprensibile compressione del diritto di manifestazione del pensiero”.

Cronache della Campania@2018

L’Antimafia sequestra villette e conti correnti a Raffaele Bellopede già coinvolto in una inchiesta con il clan Belforte

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La Procura Antimafia ha disposto il sequestro di beni e conti correnti a carico di Raffaele Bellopede,. Le forze dell’ordine hanno eseguito in queste ore il provvedimento su ordine della Procura sottoponendo a sequestro due villette di Castel Volturno, un palazzo a Marcianise ed alcuni conti correnti. Non sono ancora chiari i contorni dell’indagine che hanno portato al sequestro. Bellopede fu già coinvolto in un’altra inchiesta sul clan Belforte, denominata “Wild Poster” portata a compimento nel 2010.

Cronache della Campania@2018

L’uomo accusato di aver fatto sesso con le bambine respinge le accuse e si dichiara innocente

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Dichiarazioni spontanee durante l’interrogativo davanti al giudice che ne ha firmato l’arresto.
“Sono innocente, non ho fatto nulla di tutto ciò di cui mi accusate”. E’ la dichiarazione che ha fatto oggi durante l’interrogatorio di garanzia il 63enne di Piedimonte Matese accusato di violenza ed abusi sessuali ai danni di tre bambine in una casa di Alife.
Accompagnato dall’avvocato Paolo Falco, l’indagato, che è attualmente ristretto agli arresti domiciliari, ha negato di aver abusato delle bambine che seguiva per durante i compiti pomeridiani. Nelle prossime ore si attendere la decisione del gip Minio che ne ha firmato l’arresto, in attesa della memoria scritta dell’indagato.

Cronache della Campania@2018


Camorra&Politica, nei verbali di Schiavone jr spunta il nome di un altro big della politica: Nicola Ferraro

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Lo definisce un rapporto di “interlocuzione politica”. Nicola Schiavone fa il nome di politici a livello nazionale con cui il clan concordava i candidati da presentare alle elezioni, prevalentemente amministrative. Dei rapporti tra la politica ed il clan dei Casalesi, Schiavone parla in verbale dello scorso mese di novembre. Per interlocuzione politica Schiavone intende “per un verso, l’appoggio elettorale, per altro verso la realizzazione delle sinergie attraverso le quali venivano scelti i candidati, prevalentemente sindaci ma non solo”, sinergie che “avevano come protagonisti il centrodestra ed il clan dei Casalesi”.
E c’erano, ovviamente, dei referenti con cui il clan si interfacciava. “Gli interlocutori erano in maniera prevalente Nicola Cosentino” ma anche, sia pure in misura ridotta rispetto a Nicola ‘o Merican, un altro esponente della politica nazionale il cui nome, fatto da Schiavone, ora è al vaglio degli inquirenti. Ma non solo il centrodestra. Il clan le elezioni, di fatto, non le perdeva mai puntando su più schieramenti. E così “anche con il centrosinistra abbiamo avuto nel tempo un rapporto simile – dice ancora Schiavone – ed il nostro interlocutore ‘politico’ era Nicola Ferraro” dell’Udeur.

Cronache della Campania@2018

Camorra a Castellammare, per la Dda Adolfo Greco era ‘socio’ del boss Gigginiello D’Alessandro. LE INTERCETTAZIONI.

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Castellammare. Greco era in società con il boss Luigi D’Alessandro D’Alessandro detto ‘gigginiello’, il fratello del defunto padrino Michele, uscito dal carcere dopo oltre 25 anni nei mesi scorsi. La clamorosa novità emerge dall’inchiesta Olimpo ed è contenuta nell’ordinanza della custodia cautelare firmata dal gip Tommaso Perrella. Ordinanza con la quale la scorsa settimana oltre a Greco sono finiti in carcere  anche i vertici delle cosche malavitose che gravitano su Castellammare e ai domiciliari invece è stata posta Teresa Martone, vedova del boss  e quindi cognata di Gigginiello. Lo dice la Dda di napoli ed è avvalorato dallo stesso gip che nel trascrivere i contenuti di una intercettazione nell’auto di Greco riferisce la circostanza. Anzi, quella che, prove alla mano, potrebbe rappresentare una “bomba investigativa” . C’è un passaggio ritenuto importante dagli investigatori durante una conversazione tra Greco e un suo amico (estraneo all’inchiesta)e con il quale lo stesso imprenditore si  confida spesso. L’oggetto della discussione intercettata dagli investigatori è l’incontro tra Giovanni Irollo e Teresa Martone, vedova D’Alessandro. Irollo è un imprenditore ed è anche il cognato di Greco. Ad Irollo fu chiesta l’assunzione di Domenico Carolei, figlio di Raffaele (arrestato nell’inchiesta) e per questo Adolfo Greco è accusato di estorsione  aggravata dal metodo mafioso insieme con i fratelli, Paolo, Michele e Raffaele Carolei. Irollo è titolare di un’azienda commerciale in via Napoli proprio adiacente all’impresa di Greco.
Adolfo Greco racconta l’episodio al suo amico. Sono le 7,15 del mattino del 23 settembre del 2015 .
“Adolfo: ….Hai capito!?…Lei va camminando….poi quando andò da Giovanni, qua dietro… “. Scrive il gip: “GRECO faceva riferimento a MARTONE Teresa, vedova di D’ALESSANDRO Michele, che, nel marzo 2014, si recava da GRECO e successivamente andava anche dal cognato IROLLO Giovanni, titolare di un’azienda commerciale ubicata nelle adiacenze delle aziende di GRECO”.
Greco continua a raccontare al suo amico: “Giovanni mi disse: Adolfo, ma come, quella è venuta così, così…ma quella dice che voi con Giggino, con i figli stavate in società!…. “. Il gip prova a spiegare: “GRECO riferiva quanto appreso dal cognato, il quale gli aveva riportato le argomentazione della MARTONE Teresa espresse durante un incontro.
La donna nell’incontrare IROLLO gli aveva riferito che GRECO era in società con “Giggino” e con i propri (di Martone) figli.
Tale determinazione era frutto delle risultanze investigative emerse in occasione dell’incontro tra GRECO e la MARTONE, analizzate in seguito”. e Greco continua a raccontare: ““Dissi:..io non sto in società con nessuno”…. Non a caso il gip scrive: “GRECO in un primo momento smentiva le affermazioni della MARTONE”. E poi c’è un’altra frase dello stesso Greco: “…”eh..eh….e poi Giggino dissi..a quello…quando esce Giggino..” omissis. A questo punto il gip puntualizza: “Seppur, subito dopo, aggiungeva “eh..eh….e poi Giggino dissi..a quello…quando esce Giggino..”. Questa ultima frase posta in relazione con l’affermazione “Michele tu se tiriamo i conti” non lasciava alcun dubbio circa l’esistenza, tra GRECO e Luigi D’ALESSANDRO, di un legame di cointeressenze.
Legame di cui il GRECO avrebbe dovuto “dar conto” esclusivamente a D’ALESSANDRO Luigi, classe 1947, al momento della sua scarcerazione.
La confidenza circa l’esistenza di un legame “societario” con un camorrista poteva avere quale unico destinatario l’amico, DI SOMMA Bruno, con cui quotidianamente GRECO si confrontava e con il quale condivideva radicate esperienze nel mondo criminale stabiese. Successivamente la succitata conversazione sarà oggetto di una più approfondita analisi”. Per gli investigatori quindi quella frase sta a significare proprio che tra Adolfo Greco e Luigi D’Alessandro vi fosse un legame di cointeressenze. Di questo legame Adolfo Greco avrebbe dovuto dar conto solo a Luigi D’Alessandro al momento della sua scarcerazione.

3. continua

(nella foto gli uffici della Cil di Adolfo Greco in via Traversa varo a Castellammare e il boss Luigi Gigginiello D’Alessandro)

Cronache della Campania@2018

Napoli, diplomi per gli insegnanti pagati fino a 10mila euro: l’inchiesta

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La Procura di Napoli indaga sui “finti insegnanti di sostegno” riusciti a ricevere attestati per scalare di graduatoria pagando fino a 10mila euro. Un mercato di finti diplomi che riesce a far portare a casa un’abilitazione come docente di sostegno. I magistrati stanno cercando di fare luce sulla vicenda, puntando sia su istituti scolastici che piattaforme e-learning che rilasciano questi attestati. E’ quanto riporta l’edizione odierna de “Il Mattino”. L’inchiesta è condotta dal pool di indagine che si occupa dei reati contro la pubblica amministrazione. Ciò che infittisce l’inchiesta è anche l’incendio a parte dell’archivio del Provveditorato Scolastico di Salerno. Non è da escludere, infatti, che le indagini e l’incendio di natura dolosa siano collegati. Sono tante le domande che si aggiungono, dopo l’incendio di domenica, all’inchiesta. Perché bruciare quell’archivio del Provveditorato? Molto probabilmente qualcuno per evitare di essere coinvolto nell’inchiesta ha pensato bene di bruciare eventuali prove. Anche su questo aspetto la Procura sta cercando di fare chiarezza.

Cronache della Campania@2018

Alla guida senza patente travolse e uccise due coniugi di Sant’Antimo e Aversa: 5 anni di carcere

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Duplice omicidio stradale, Francesco Scarsella, il 35enne originario di Torrice, è stato condannato a cinque anni di reclusione. Ieri mattina, il giudice dell’udienza preliminare, in sede di giudizio abbreviato, ha concluso il procedimento di primo grado a carico di Scarsella accusato di duplice omicidio stradale condannandolo alla pena di cinque anni di reclusione che non sconterà in carcere avendo avuto i domiciliari poco tempo dopo i fatti.
Il processo riguarda il sinistro stradale verificatosi il 15 ottobre dello scorso anno quando Scarsella al km 71 della Casilina in territorio di Ferentino, a bordo della propria autovettura, con patente revocata e secondo l’accusa sotto l’effetto di droga, travolse una moto Suzuki sulla quale si trovavano Giancarlo Marrandino e la moglie Rosaria, rispettivamente di 38 e 43 anni, il primo originario di Aversa, la seconda di Sant’Antimo. I due coniugi morirono a distanza di pochi minuti uno dall’altro. Il caso suscitò polemiche proprio perchè l’uomo, con patente revocata nell’anno 2006 avesse guidato tranquillamente senza mai essere stato controllato.
I familiari delle vittime si sono costituiti parte civile con l’avvocato Enrico Pavia mentre l’imputato è stato assistito dall’avvocato Tony Ceccarelli. Dopo un’ora di camera di consiglio il Giudice dottoressa Ida Logoluso ha condannato l’imputato alla pena di anni cinque di reclusione (in questi casi la pena può arrivare agli anni 15 di carcere). La procura aveva chiesto undici anni di carcere. La difesa dell’imputato è riuscita ad ottenere la riduzione della pena avendo dimostrato che il proprio assistito non era sotto effetto di droga.
La sentenza verrà depositata entro 60 giorni e la difesa ha già anticipato che proporrà appello non ritenendo affatto scontata la prova sulla responsabilità del proprio assistito. Come già evidenziato, Scarsella non andrà in carcere potendo espiare la pena in regime di arresti domiciliari. Ugualmente quanto alla condanna al risarcimento dei danni in favore dei familiari delle vittime l’imputato non verserà nulla in quanto formalmente non intestatario di beni.

Gustavo Gentile

(nella foto il luogo dell’incidente e nel riquadro Francesco Scarsella)

Cronache della Campania@2018

Caserta, condannato per estorsione scatta il sequestro beni per Bellopede affiliato al clan Belforte

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Caserta. ‘O professore, al secolo Raffaele Bellopede del clan Belforte era stato condannato a otto anni e sei mesi di reclusione per estorsione aggravata e continuata dal metodo mafioso: ora scatta il sequestro preventivo di case e terreni. Con il provvedimento, notificato ieri dalla Divisione Anticrimine della Questura di Caserta che ha dato esecuzione al decreto di sequestro di prevenzione disposto il 4 dicembre scorso, dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere – Sezione per l’applicazione di Misure di Prevenzione su Proposta avanzata dal Questore di Caserta sono stati sequestrati un terreno a Castel Volturno, tre fabbricati di cui due in Castel Volturno ed uno in Marcianise nonché due conti correnti, intestati e nella disponibilità di Bellopede, per un valore complessivo stimato di circa 500mila euro. La misura ablativa rappresenta l’epilogo della complessa e articolata attività investigativa svolta – con il coordinamento della Sezione per l’applicazione di misura di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – dalla Divisione Polizia Anticrimine e scaturita dall’accoglimento in parte della proposta formulata dal Questore di Caserta che ha valorizzato le indagine che ha consentito di ricostruire l’intero patrimonio del dell’uomo. Infatti si è potuto dimostrare, come nell’ultimo ventennio Bellopede abbia intrattenuto rapporti d’affari con il “clan Belforte”. Infatti è stato condannato dalla Corte d’Appello di Napoli per estorsione aggravata e continuata dalla metodologia mafiosa, ai danni di commercianti che, inermi rispetto alle intimidazioni mafiose subite, erano costretti a corrispondere somme di danaro, soprattutto in occasione delle festività natalizie e pasquali. L’ampio quadro indiziario si è reso possibile anche grazie a molte dichiarazioni accusatorie di collaboratori di giustizia che ampiamente riscontrate, hanno contribuito all’emissione del provvedimento di sequestro. Nello specifico Bellopede era legato al clan Belforte, infatti frequentava le abitazioni degli affiliati, si prestava al cambio assegni, riscuoteva le estorsioni per conto del citato clan, fungendo da collettore tra gli esponenti apicali del clan e i commercianti estorti, infatti il suo nome era indicato con la denominazione di “Professore 1.50” e che riceveva quale corrispettivo del proprio apporto uno stipendio mensile di 1500 euro.

Cronache della Campania@2018

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