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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Il pentito Nicola Schiavone: ‘Cosentinò incontrò mio padre e gli chiese i voti per essere eletto’

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Anche grazie all’aiuto di Nicola Cosentino fu possibile inserire nel piano regolatore di Casal di Principe  una enorme superficie, pari a circa 100mila quadrati, da destinare alla realizzazione del nuovo centro commerciale “Il Principe” – mai costruito – sul quale si stavano concentrando gli interessi del clan dei Casalesi. A riferirlo e’ il collaboratore di giustizia Nicola Schiavone, figlio di Francesco Schiavone, detto “sandokan”, boss del clan dei Casalesi. Le sue dichiarazioni, rese nei mesi scorsi ai magistrati della Dda di Napoli, Fabrizio Vanorio e Sandro D’Alessio, sono state depositate dal sostituto procuratore della Corte d’Appello di Napoli,  Carmine Esposito, il 27 novembre, durante l’udienza del processo di secondo grado noto con il nome “Il Principe e la Scheda Ballerina”, in cui Cosentino e’ imputato insieme con altre persone per la vicenda della realizzazione del centro commerciale voluto dal clan dei Casalesi; il processo e’ stato rinviato a febbraio 2019, per consentire ai difensori delle varie parti di prendere visione dei verbali. Nicola Schiavone – detenuto ad Ariano Irpino  – riferisce fatti di sua conoscenza, avendo guidato il clan per almeno sei anni fino al 2010, quando fu arrestato. Nella prima fase, tra gli anni 2002 e 2003, prima di assumere la reggenza del clan, Schiavone junior racconta che ad occuparsi dei piani e dei permessi urbanistici, “furono a livello politico Nicola Consentino, il quale, con l’appoggio di Giuseppe Russo (boss dell’omonima famiglia mafiosa, ndr) e di Francesco Schiavone, detto “cicciariello” (lo zio di Nicola, ndr) si adopero’ per l’approvazione di un nuovo piano regolatore generale che prevedeva una enorme superficie e cubatura al servizio del nuovo centro commerciale, oltre 100mila metri quadrati”. Il tutto, sottolinea l’ex boss, avvenne grazie alla collaborazione di dirigenti e tecnici comunali, tra cui anche una persona che aveva ricoperto la carica di assessore all’Urbanistica. L’ampliamento, spiega il pentito, era a tal punto macroscopico da danneggiare addirittura “i bisogni abitativi della popolazione che, in molti casi, aveva bisogno di surplus di cubatura o di sanatorie per volumi in piu’ realizzati abusivamente”. Nicola Schiavone riferisce anche di avere saputo da un funzionario ed ex assessore di quel comune, che Cosentino era riuscito ad ottenere anche un cambiamento di destinazione urbanistica – da agricola a industriale, o commerciale – di alcuni terreni acquistati da suoi familiari adiacenti allo stabilimento di famiglia Aversana Petroli. Il collaboratore di giustizia racconta anche di essersi lamentato del fatto che i politici coinvolti nella vicenda avessero pensato principalmente “ai propri affari”, ma l’ex assessore replico’ che era questo l’ accordo sulla spartizione urbanistica stipulato tra il boss Giuseppe Russo (fratello della moglie del fratello di Nicola Cosentino, ndr), Francesco Schiavone (lo zio di Nicola, ndr) e Nicola Cosentino. Nicola Schiavone, rispondendo alle domande dei pm antimafia di Napoli, ripercorre anche le tappe della genesi del rapporto tra l’ex sottosegretario all’economia e il clan dei casalesi, iniziati con il padre del collaboratore di giustizia, il boss Francesco Schiavone noto come “Sandokan”. Nicola Schiavone, pero’, sottolinea anche di avere appreso quelle informazioni da alcuni esponenti del clan, quindi non direttamente. “A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 Cosentino – dice – in procinto di partecipare a una competizione elettorale…chiese a mio padre, tra gli anni 80/90, di essere appoggiato dal clan. Mio padre concesse il suo appoggio, ma non ricordo se sia stato eletto o meno”. Secondo Nicola, il boss Francesco Schiavone e Cosentino si incontrarono, in presenza anche di un’altra persona. Schiavone jr spiega anche che il clan dei Casalesi non aveva mai avuto simpatia per la Sinistra e a Cosentino, ad un certo punto del suo percorso politico, fu detto chiaramente che non avrebbe potuto avere l’appoggio del clan qualora avesse deciso di militare nelle fila di un partito di sinistra. All’epoca stava nascendo Forza Italia – ricorda Nicola Schiavone – e Cosentino abbandono’ i propositi di militare nella Sinistra e aderi’ al nascente movimento politico di Destra”. Il figlio di Sandokan parla inoltre delle elezioni provinciali del 2005, vinte contro Cosentino da Sandro De Franciscis, esponente dell’Udeur, partito fondato da Clemente Mastella in cui allora militava Nicola Ferraro, imprenditore dei rifiuti condannato per concorso esterno in camorra. In quel caso il clan Schiavone fece un’eccezione per non scontentare ne’ Cosentino ne’ Ferraro, votando per entrambi i candidati; stessa condotta fu realizzata dal clan di Michele Zagaria, mentre il clan Russo resto’ “fedele” a Cosentino.

Cronache della Campania@2018


Napoli, reparto chiuso durante la festa: l’ex primario rinuncia al ricorso

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L’ex primario dell’ospedale del Mare di Napoli Francesco Pignatelli, che tra il 6 e il 7 luglio scorsi, in concomitanza con una festa, chiuse il reparto di chirurgia vascolare che dirigeva, ha rinunciato, dinnanzi al giudice del Lavoro, al ricorso di secondo grado contro la revoca dell’incarico di primario emessa dall’Asl Napoli 1. Pignatelli, assistito dall’avvocato Rubinacci, dopo avere perso in primo grado, ha presentato un ricorso d’urgenza che e’ stato discusso oggi, nel Tribunale di Napoli, davanti al giudice del lavoro riunito in composizione collegiale (presidente Maria Rosaria Lombardi, giudice Manuela Fontana, giudice relatore Erminia Catapano). Dopo avere avanzato una richiesta di rinvio, negata dai giudici, Pignatelli si e’ prima consultato con il suo avvocato e poi ha deciso di ritirarsi perdendo definitivamente la possibilità di essere reintegrato nell’incarico di primario. L’Asl Napoli 1 e’ stata rappresentata dall’avvocato Olga Porta. Presente, in aula, anche il neo primario del reparto di chirurgia vascolare, il dottore Gennaro Vigliotti, difeso in giudizio dall’avvocato Capuano.

Cronache della Campania@2018

Picchiato dagli usurai: testimonianza da brividi in Tribunale

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Venne aggredito e picchiato dopo aver parlato con i magistrati. E’ questa la versione fornita in aula da un dipendente di una ricevitoria di Maddaloni finita nella rete degli usurai al punto da arrivare alla chiusura. L’uomo è stato ascoltato nel corso dell’udienza celebrata al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dinanzi al collegio presieduto dal giudice Donatiello, nel processo che vede alla sbarra, tra gli altri, i due titolari di una gioielleria di Maddaloni, Tommaso Giglio e Costanza Orso; Lorenzo Vinciguerra, commerciante; Luigi Marciano e Giuseppe Fedele. Il dipendente, anch’egli costituitosi parte civile con l’avvocato Andrea Balletta (mentre la titolare dell’attività è assistita dall’avvocato Gianluca Giordano) ha confermato il giro di usura in cui era finita la sua titolare essendo egli stesso a consegnare materialmente i soldi ricevuti in prestito. Ma dopo la chiusura dell’attività il lavoratore venne avvicinato dalla banda, dopo essere stato ascoltato dagli inquirenti, e venne aggredito fisicamente. Il processo è stato rinviato a metà febbraio.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Voto di scambio a Scafati, il pm deposita foto e fatture del teste chiave. Alla fine Aliberti crolla in aula

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Scafati. Quattro ore di botta e risposta tra accusa e difesa conclusesi con brevissime dichiarazioni spontanee dell’ex sindaco Pasquale Aliberti per scusarsi con i giudici per le sue intemperanze nel corso dell’udienza e per spiegare una delle circostanze emerse dal controesame del capitano della Dia Fausto Iannaccone. Si è conclusa solo nel pomeriggio l’udienza al processo per scambio di voto politico mafioso nel quale è imputato l’ex sindaco di Scafati, la moglie- consigliere regionale di Forza Italia, Monica Paolino, il fratello Nello Maurizio Aliberti, l’ex consigliere Roberto Barchiesi, il factotum Giovanni Cozzolino, l’ex vicepresidente dell’Acse, Ciro Petrucci e Andrea Ridosso, figlio di Salvatore e fratello di Luigi jr, quest’ultimo ritenuto uno dei capi del gruppo criminale Loreto-Ridosso. Quattro ore sono bastate a stento alla difesa dell’ex sindaco – affidata agli avvocati Silverio Sica e Giuseppe Pepe – per concludere il controesame di uno degli investigatori che ha coordinato le indagini che hanno condotto al processo ‘Sarastra’. E non sono mancate schermaglie e colpi di scena, con l’avvocato Pepe e Aliberti che hanno premuto molto sull’attendibilità di uno dei testi chiave del processo, l’imprenditore Aniello Longobardi, e sui riscontri investigativi fatti dalla Dia, sezione di Salerno, rispetto alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Alfonso Loreto. La difesa ha più volte insinuato che Longobardi – le cui dichiarazioni sono state acquisite attraverso la formula dell’incidente probatorio – avesse legami diretti con esponenti della criminalità organizzata in particolare con i Ridosso e che non fosse vittima di questi ma compiacente, tanto che avrebbe spinto per far nominare Ciro Petrucci alla vicepresidenza dell’Acse. Circostanze smentite dai fatti e dalla ricostruzione degli inquirenti. L’accusa infatti pone a fondamento del patto politico mafioso tra Aliberti e i Ridosso, anche la nomina di Petrucci all’Acse, voluta da Luigi Ridosso di cui l’ex vicepresidente era grande amico tanto che nel corso delle indagini sono emersi centinaia di contatti telefonici tra i due. Altro elemento alla base del voto di scambio – secondo la Procura – tra Aliberti e i Ridosso sarebbero gli incarichi che Andrea Ridosso, aspirante candidato consigliere escluso dalle liste di Aliberti a causa del ‘nome’ ingombrante, ha avuto nel Piano di zona, attraverso due cooperative sociali. Questa circostanza è stata elemento di acceso scambio tra il testimone e la pubblica accusa e la difesa dell’ex sindaco. L’avvocato, posizione poi ripresa da Aliberti nelle dichiarazioni spontanee, ha cercato di far emergere che non vi sia stata ingerenza da parte dell’allora sindaco nell’attribuzione dell’incarico ad Andrea Ridosso. Il Comune di Scafati, allora capofila del piano di zona, ha sostenuto la difesa non aveva contatti con le cooperative. Il capitano Iannaccone ha ricordato che l’affidamento degli incarichi alle cooperative era demandato alla dirigente del Comune di Scafati in ‘prestito’ al Piano di zona, Maddalena Di Somma, poi denunciata per turbativa d’asta proprio in merito a quelle attribuzioni.
La difesa ha provato a sostenere l’inattendibilità del teste chiave Aniello Longobardi, ma anche in questo caso la Procura ha calato l’asso: mettendo agli atti le foto che ritraggono una riunione elettorale a favore di Monica Paolino, moglie di Aliberti, per la campagna elettorale delle Regionali, organizzata nell’azienda dell’imprenditore, foto corredate da fatture per i manifesti elettorali della candidata e del catering offerto in quell’occasione. Tutto pagato da Longobardi. La documentazione, secondo la procura, testimonierebbe che i rapporti tra Aliberti e Longobardi, in quel momento storico erano buoni, quindi l’imprenditore conserviero conosceva bene i meccanismi utilizzati dalla famiglia Aliberti-Paolino per ottenere voti e aveva una conoscenza diretta di alcuni episodi poi narrati nel corso delle indagini. Le fatture depositate dal pm Vincenzo Montemurro, sono state oggetto di illazioni, da parte dei difensori di Aliberti in merito alla loro veridicità. A quel punto la pubblica accusa ha chiesto la trasmissione del verbale di udienza al suo ufficio per verificare se vi siano ipotesi di reato in merito alle affermazioni del legale di Aliberti.
Ancora a dimostrazione dei buoni rapporti tra Longobardi e Aliberti, il capitano Iannaccone ha ricordato la delibera comunale del 2011 con la quale l’amministrazione Aliberti attribuiva il nome di ‘cavalcavia Longobardi’ ad una strada situata nei pressi della fabbrica dell’imprenditore. Quindi, gli ottimi rapporti intercorsi tra i due – secondo la Procura – testimonierebbero la bontà e la veridicità delle dichiarazioni del testimone-Longobardi.
I difensori dell’ex sindaco hanno depositato, nel corso dell’udienza, alcuni documenti che dimostrerebbero le azioni messe in campo dal politico nel corso dei suoi due mandati elettorali contro la criminalità organizzata. Documenti in parte già proposti nella fase preliminare del processo e nel corso delle indagini. A conclusione dell’udienza, Angelo Pasqualino Aliberti ha chiesto al presidente del collegio Raffaele Donnarumma di poter rilasciare dichiarazioni spontanee. Aliberti si è scusato con i giudici che nel corso dell’udienza lo hanno più volte ammonito per le sue intemperanze. Visibilmente provato si è difeso sostenendo che non vi fu nessun patto con la camorra locale, che in quel periodo il piano di zona fece circa 50 assunzioni e non solo quella di Andrea Ridosso, dipendente di una cooperativa. Inoltre Aliberti ha sostenuto che anche la promessa di cui ha parlato Alfonso Loreto per la pulizia del sito industriale ex Copmes non è veritiera, in quanto l’area è di proprietà di un consorzio privato e il Comune (l’amministrazione Aliberti ha gestito la reindustrializzazione, ndr) non aveva alcun potere per attribuire appalti nell’area. Chiusa l’udienza, l’ex sindaco – detenuto agli arresti domiciliari – è emotivamente crollato. Si ritornerà in aula il 9 gennaio prossimo quando i legali degli altri imputati potranno controesaminare il teste Fausto Iannaccone. (r.f.)

Cronache della Campania@2018

Processo per l’uccisione della cagnolina Chicca, l’imputato cambia anche l’avvocato

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Cambia avvocato il 60enne di Salerno che ha ucciso a calci una cagnetta il 15 febbraio dello scorso anno. Chicca, meticcia di un anno, ha trovato nel suo padrone il proprio aguzzino, ma Antonio Fuoco ora e’ imputato dal tribunale di Salerno per maltrattamenti e uccisione di animali. Dopo l’apertura del processo lo scorso 7 maggio, oggi un’altra udienza durante la quale si e’ appreso che il legale dell’imputato, Luigi Gargiulo, aveva rimesso il mandato di difesa. Un nuovo difensore ha, quindi, chiesto e ottenuto un rinvio della trattazione della causa. Il giudice della seconda sezione penale, Paolo Valiante, dopo i numerosi rinvii del processo, avrebbe voluto fissare la data della nuova udienza tra due settimane, ma, dato il rischio di uno sciopero nazionale dei penalisti, ha stabilito che il processo proseguira’ il 14 gennaio del prossimo anno nella nuova cittadella giudiziaria salernitana. L’avvocato di Fuoco, comunicando di voler optare probabilmente per il rito abbreviato condizionato all’acquisizione di nuove prove, ha preannunciato di voler far persuadere l’uomo a essere presente alla prossima udienza, se ci fossero idonee garanzie per lui. Alcune associazioni animaliste, tra cui il comitato spontaneo ‘Uniti per Chicca’, da tempo, insistono perche’ si proceda con il rito ordinario per poter richiedere la costituzione di parte civile.

Cronache della Campania@2018

Usura clan Moccia: chiesti due secoli di carcere

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Chiesti quasi due secoli di carcere per i 18 imputati del clan Moccia di Afragola accusati di aver messo in piedi un vorticoso giro di usura. Il blitz scattò  il 20 gennaio del 2015 con 30 arresti tra Afragola, Casoria e in altre parti d’Italia. Le indagini, molto lunghe,  durate circa tre anni avevano permesso di documentare decine di prestiti a tassi usurari e numerose richieste estorsive a piccoli imprenditori. Le vittime sono per lo più piccoli commercianti in gravi difficoltà economiche. E sempre in base alle indagini i tassi imposti dagli usurai del clan erano di quelli impossibili: imposizioni della restituzione di cifre trenta volte superiori a quelle inizialmente erogate dai cravattari. Davanti ai giudici della Terza Sezione – collegio B – del tribunale di Napoli, pres. dott. Aliperti, sono comparsi in 18 e per loro la pm Ivana Fulco ha chiesto un totale di 186 anni di carcere.
Ecco le richieste: Raffaele Bencivenga (12 anni); Luigi Buonerba (12 anni); Antonio D’Anna (8 anni); Domenico D’Anna (10 anni); Giustino De Rosa (18 anni); Domenico De Simone (4 anni); Salvatore De Simone (4 anni); Daniele Ferrara (10 anni); Luigi Ferrara (8 anni); Giuseppe Iodice (12 anni), Pietro Iodice (12 anni); Federico Maldarelli (16 anni); Antonio Pezzella (10 anni); Angelo Pezzullo (10 anni); Gennaro Piscitelli (12 anni); Antonio Puzio (12 anni); Giuseppe Puzio (12 anni); Luigi Ugo (4 anni).

Cronache della Campania@2018

Maestre violente a Frattamaggiore: una condanna e un’assoluzione

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Napoli. Un’assoluzione perchè il fatto non sussiste e una condanna per abuso di mezzi di correzione: è quanto ha stabilito il Giudice per le udienze preliminari Valentina Giovanniello del tribunale di Napoli Nord nel processo a carico di due insegnanti della scuola materna dell’istituto comprensivo ‘Capasso-Mazzini’ di Frattamaggiore, accusate di maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione. L’inchiesta, supportata dalle immagini delle telecamere installate nelle aule, evidenziò che alla fine dello scorso anno le due maestre facevano ricorso a schiaffi, strattonamenti, tirate per i capelli per riportare l’ordine nelle loro classi. Il pubblico ministero aveva chiesto tre anni di reclusione per ciascuna delle due insegnanti. Il giudice però ha deciso di condannare soltanto E.F., di 54 anni, per il reato di abuso di mezzi di correzione: due mesi con la pena sospesa e due mesi di interdizione dall’insegnamento. La donna è stata difesa dall’avvocato Francesco Bencivenga. A. M., 68 anni, l’altra insegnante finita sotto inchiesta è stata assolta, nel frattempo è andata in pensione. La difesa, rappresentata dagli avvocati Rino Nugnes e Alfredo Capuano, ha sostenuto che la donna avesse dato degli ‘scappellotti’ e non degli schiaffi: una differenza sostanziale per la difesa, perchè gli ‘scappellotti’ non sono gesti carichi di violenza. Si attende il deposito delle motivazioni della sentenza.

Cronache della Campania@2018

Truffa sui fondi per l’agricoltura in Puglia, perquisiti studi legali a Cercola, Bari e Cosenza. Sette indagati

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Truffa sui fondi pubblici: la Guardia di finanza di Bari perquisisce una ventina di studi legali in tutta Italia. L’inchiesta riguarda una truffa ai danni della Regione Puglia ed è nata dalla denuncia, effettuata alcuni anni fa dal governatore Michele Emiliano. Sono stati proprio alcuni uffici della Regione ad accorgersi che diverse decine di agricoltori avevano messo in atto – grazie all’aiuto di un noto studio legale barese – una serie di raggiri finalizzati ad ottenere fondi pubblici per le attività agricole in zone svantaggiate. L’inchiesta, per una presunta truffa da 20 milioni di euro ai danni della Regione Puglia, è coordinata dal procuratore aggiunto di Bari Roberto Rossi e dal sostituto Francesco Bretone che hanno iscritto nel registro degli indagati sette persone. Si tratta di Michele e Enrico Domenico Primavera (di Bitonto), Anna Maria Deruvo (di Bitonto), Assunta Iorio (di Cercola, Napoli),Oronzo Panebianco e Francesca Fiore (di Bari) e Salvatore Lanciano (di Cassano allo Ionio, Cosenza). Devono rispondere, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, truffa aggravata, falso materiale commesso da pubblico ufficiale e riciclaggio. L’indagine è partita da una denuncia del governatore pugliese, Michele Emiliano, dopo le verifiche effettuate da alcuni uffici regionali sulle grosse cifre pagate come spese legali in contenziosi relativi alla concessione di fondi per l’agricoltura nelle zone svantaggiate. Stando a quanto ricostruito dalla Guardia di finanza, lo studio dell’avvocato barese Michele Primavera avrebbe intentato una serie di cause, frazionando i crediti dovuti ai singoli agricoltori. In tal modo sarebbero state gonfiate le spese legali che, in caso di causa persa, venivano poi pagate dalla Regione. Su disposizione dei pm a Bari sono state perquisite le società Giuriconcilia & Service, Giuristudio e Polo immobiliare d’eccellenza, altre perquisizioni sono state effettuate a Napoli e Cosenza.

Cronache della Campania@2018


Arrestati i capi della nuova Cupola di Cosa nostra: Settimio Mineo è l’erede di Totò Riina

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Palermo. Cosa nostra ha una nuova commissione con quattro capi che gestiscono la mafia siciliana: emerge dall’inchiesta Cupola 2.0 che ha portato stamane all’arresto di 46 persone tra boss, gregari e estintori palermitani.
I nuovi capi della Cupola sono Settimio Mineo, reggente del mandamento mafioso di Pagliarelli, Filippo Bisconti, reggente del mandamento mafioso di Misilmeri – Belmonte Mezzagno e Gregorio Di Giovanni, reggente del clan Porta Nuova. L’indagine, coordinata dalla Dda guidata da Francesco Lo Voi, ha svelato il tentativo di ricostituire la commissione provinciale ormai “in sonno” dai primi anni ’90. Mineo, classe 1938, è l’erede di Totò Riina. Il boss di Pagliarelli è finito più volte in carcere, è stato imputato nel primo maxi processo e indagato dal pool di Falcone e Borsellino.
Secondo quanto emerge dalle indagini la commissione provinciale, un tempo coordinata dal boss Totò Riina, è tornarnata a riunirsi il 29 maggio scorso, alla presenza di altri “vecchi di paese”, e cioè di reggenti di mandamenti mafiosi esterni a Palermo. Mineo sarebbe il capo, “il soggetto di maggior autorevolezza che aveva preso la parola durante la riunione e aveva chiesto a tutti gli intervenuti il rispetto delle regole spiegandone i contenuti e le modalità di esecuzione”, scrivono i magistrati nel provvedimento di fermo. A rivelarlo, non sapendo di essere intercettato, è il reggente del mandamento di Villabate Francesco Colletti che indica tra i padrini che contano Di Giovanni, detto “Revuccio” e Bisconti.
Tra i vari episodi emersi nel corso delle indagini anche l’organizzazione dell’omicidio di un pregiudicato di Villabate che faceva rapine, furti e estorsioni senza l’autorizzazione dei boss. Il progetto omicidiario era stato poi sventato dall’intervento dei carabinieri di Palermo. Nel decreto di fermo ci sono anche numerose intercettazioni tra queste quella del boss di Villabate Francesco Colletti, sottoposto a fermo, che in alcune conversazioni svela agli inquirenti che è rinata la commissione provinciale mafiosa che non si riuniva dai primi anni ’90 e ricostituita dopo la morte di Totò Riina. “Si è fatta comunque una bella cosa.. per me è una bella cosa questa.. molto seria… molto…con bella gente.. bella! grande! gente di paese.. gente vecchi gente di ovunque” dice Francesco Colletti non sapendo di essere ascoltato. Colletti raccontava ai suoi interlocutori che, durante la riunione del 29 maggio con gli altri capi dei clan, era stato stabilito che i contatti “intermandamentali” dovevano essere mantenuti esclusivamente dai reggenti per cui, in caso di problemi sorti all’interno di un mandamento, non potevano in alcun modo intervenire uomini d’onore appartenenti ad altre zone. “E una regola proprio la prima!… nessuno è autorizzato a poter parlare dentro la casa degli altri… siccome c’è un referente..”, diceva. Chi avesse violato la “norma” sarebbe stato allontanato dalla propria “famiglia” di appartenenza. “Dice basta che tu mi vieni qua da me e mi dici ‘lo sai è venuto uno ed è venuto a fare discorsi a Villabate… appena finiamo viene convocato… dal suo… e viene messo fuori perchè ci spieghiamo le regole e non le vogliono capire… e allora prendiamo e lo mettiamo fuori subito”.

Cronache della Campania@2018

Scafati, scarcerato l’ex sindaco Pasquale Aliberti

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Processo Sarastra: scarcerato l’ex sindaco Pasquale Aliberti. I giudici del tribunale di nocera inferiore- presidente Raffaele Donnarumma – hanno sostituito la misura degli arresti domiciliari con il divieto di dimora a scafati e nei comuni nelle immediate vicinanze. Aliberti era ai domiciliari a Praia a Mare dopo aver trascorso un breve periodo in carcere per aver violato gli obblighi quando era agli arresti in casa a Roccaraso. Il tribunale ha deciso all’esito dell’udienza di lunedì senza richiesta della difesa.

Cronache della Campania@2018

Nuovi verbali del pentito Nicola Schiavone: ‘Il Bingo boys era del clan’. Ma non solo!

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Il pentito Nicola Schiavone ne sta raccontando tante. Molte inedite altre un po’ ritrite: come questa della proprietà di una sala bingo. Un po’ striminzito come concetto. Al dire il vero dai ritagli di cronaca che ricordiamo c’era molto ma molto di più. Siamo nel lontano 2009, e si parla già di tanto tempo addietro, quando agli “allori” della cronaca giudiziaria furono arrestate 29 persone, 100 indagate e sequestri per 150 milioni di euro. I risultati furono ottenuti dall’inchiesta della Dda di Napoli che testimoniano come, già da tempo, la malavita organizzata abbia messo le mani sul potentissimo business del gioco d’azzardo. Sale bingo, centri di raccolta di scommesse sportive, videopoker e slot machine, disseminati in ogni angolo della penisola, che facevano la fortuna dei clan campani e di cosche siciliane. Tra i fermati, anche tre carabinieri: uno per aver fornito informazioni riservate sul principale indagato, gli altri due per favoreggiamento.

Sotto chiave finirono: 100 immobili, 39 società commerciali, 23 ditte individuali, 104 autoveicoli, 140 tra quote societarie e conti correnti e soprattutto sale bingo (a Cassino, Milano, Cernusco sul Naviglio, Lucca, Padova, Brescia, Cologno Monzese, Cremona e chiaramente in provincia di Caserta e Frosinone), nonché la società Betting 2000 la quale, come sottolineano gli inquirenti, sviluppava il più alto volume di affari nel settore delle scommesse sportive.
I pm Ardituro, Del Gaudio, Maresca ed il procuratore aggiunto Cafiero avevano coordinato gli uomini della Guardia di Finanza nell’operazione Hermes, che ha visto impegnati oltre 500 militari. Le indagini hanno fatto luce sulle ‘lavanderie’ dei Casalesi, dei Misso, dei Mazzarella, sui sistemi da loro utilizzati per riciclare il denaro. Le accuse contestate a vario titolo sono di associazione mafiosa, estorsione, riciclaggio, gioco d’azzardo, illecita concorrenza con minacce e violenza, interposizione fittizia nella titolarità di beni e aziende.

Allora Betting 2000 oggi quella nuova del nuovo testimone e collaboratore di giustizia Lanzafame che dal cuore di Catania con la società “Betaland” ed “Enjoybet” e “Planetwin” (quest’ultima solo fino al 2017, quando è stata rilevata dall’attuale management della Sks365, risultato estraneo all’inchiesta) ha portato ad un’inchiesta sempre della Dia conclusa con 68 arresti e sequestri per un miliardo di euro

Poi a ritroso se dovessimo rielaborare tutti i ritagli di cronaca ad oggi l’Enciclopedia più famosa del mondo non basterebbe, La questione è che certamente nuove responsabilità vanno sempre accertate e punite e che il dovere di cronaca è indiscutibile e va sempre esercitato ma un pensiero non può che andare ai 500 militari, ai magistrati e a tutti coloro impegnati in passato ed ora in un contesto lavorativo difficilmente accettabile se non con encomia e fedeltà ed apprendere oggi che una sala scommesse è dei Casalesi.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

La Cassazione annulla la condanna per corruzione alla moglie di Cosentino

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La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio, perche’ il fatto non sussiste, la condanna a 2 anni e quattro mesi di reclusione per corruzione a Marisa Esposito, moglie dell’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino. La Suprema Corte ha anche concesso lievi sconti di pena per gli altri due imputati, ovvero per Giuseppe Esposito, fratello della donna nonche’ ex consigliere comunale a Trentola Ducenta, per il quale e’ stata comminata una pena definitiva di 2 anni e sei mesi (3 anni e due mesi in appello), e per l’agente della Polizia Penitenziaria Umberto Vitale, condannato a 4 anni (4 anni e otto mesi in secondo grado). Marisa Esposito era accusata dalla Dda di Napoli di aver corrotto, con la complicita’ del fratello, l’agente della Penitenziaria Vitale quando questi prestava servizio al carcere napoletano di Secondigliano; era il periodo in cui vi era ristretto per carcerazione preventiva il marito Nicola Cosentino. Per l’accusa, attraverso la corruzione, Cosentino avrebbe ottenuto l’introduzione in carcere di beni come generi alimentari, vestiti e un Ipod il cui ingresso non era consentito. Lo stesso ex sottosegretario e’ stato condannato a 4 anni, e la sentenza e’ stata confermata dalla Cassazione nel settembre scorso.

Cronache della Campania@2018

Sfigurata in volto per non avere accordato l’amicizia su Facebook

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Sfigurata in volto per non avere accordato l’amicizia su Facebook al quarantanovenne Elio Pipolo, commerciante di Pontecagnano condannato a cinque anni e quattro mesi di reclusione. La “punizione” risale allo scorso 28 gennaio: una barbara aggressione consumatasi a Pontecagnano, davanti al noto pub “Demetra” dove una giovane salernitana fu aggredita insieme al fidanzato. La sentenza è stata pronunciata ieri dal gup del tribunale di Salerno Marilena Albarano che, all’esito del rito con il giudizio abbreviato, ha comminato all’imputato una pena più alta di quella avanzata al termine della sua requisitoria dal pubblico ministero. E’ stata inoltre disposta una pena pecuniaria di quindici mila euro, in favore della vittima, e di sette mila euro per il fidanzato. Potranno rivalersi in sede civile. Lesioni personali gravissime e minacce erano le accuse formulate a carico dell’imputato incastrato dalle indagini dei carabinieri della stazione di Pontecagnano, che in quattro mesi riuscirono a ricostruire l’inquietante vicenda. L’uomo,come riporta Il Mattino, era in eveidente stato di ubriachezza quando cominciò ad urlare contro la giovane che lo aveva “rifiutato”, facendo scattare l’intervento del titolare del pub che lo invitò prima a non infastidire i clienti e poi, ad uscire dal locale. Nulla lasciava presagire la follia che, di lì a poco, sarebbe andata in scena. In preda ad un folle raptus, quarantanovenne si presentò poco dopo con in mano una pesante spranga di ferro. Fu il fidanzato della giovane ad andargli incontro nel tentativo di calmarlo: l’uomo si scagliò contro il ragazzo colpendolo alla testa. In suo aiuto corse la fidanzata che, però, ebbe la peggio. Il commerciante l’aggredì deturpandole il volto, facendole perdere ben sei denti e procurandole gravi lesioni alle labbra, alla mascella e alla mandibola. La coppia fu trasportata subito in ospedale dove più drammatiche apparvero le condizioni della donna che, come dimostrato dalla perizia medico legale, riporterà uno sfregio permanente al viso. La misura cautelare a carico di Pipolo scattò lo scorso maggio e si fondava sulla pericolosità sociale dell’uomo che, nei giorni successivi l’evento, postò su Facebook numerosi e continui messaggi intimidatori nei confronti del titolare del pub

Cronache della Campania@2018

Promozioni e sprechi al consorzio di Bacino di Napoli e Caserta: 38 a processo

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Trentotto persone, tra ex cui sindaci, professionisti e imprenditori, sono stati rinviati a giudizio dal gup del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Nicoletta Campanaro per reati di truffa, abuso di ufficio, peculato e voto di scambio, nell’ambito del processo sul Consorzio Unico di Bacino (Cub), il mega-ente dei rifiuti in cui confluirono nel 2008 i sette consorzi di bacino intercomunali delle province di Napoli e Caserta. Una struttura che, secondo gli inquirenti, in pochi anni, grazie a promozioni facili e sprechi di denaro pubblico, ha accumulato debiti su debiti finendo in liquidazione appena nel 2010; da allora sono rimasti in carico al Cub oltre 1000 lavoratori tra Napoli e Caserta, senza stipendio e mai ricollocati. Nel frattempo l’inchiesta e’ andata avanti molto lentamente, con alcuni pm che si sono succeduti, tra cui la sostituta Antonella Cantiello, che istrui’ l’indagine, e che e’ morta qualche mese fa. Il tempo trascorso dalla commissione dei reati ha fatto scattare la prescrizione per oltre 40 capi di imputazione, facendo uscire definitivamente dal processo una ventina di imputati: tra questi figurano l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino e l’ex consigliere regionale dell’Udeur Nicola Ferraro, entrambi condannati per concorso esterno in camorra, l’imprenditore Angelo Grillo, ritenuto vicino al clan Belforte e condannato per un omicidio di camorra. Tra gli imputati rinviati a giudizio nel processo che iniziera’ l’otto maggio 2019, ci sono gli ex sindaci Francesco Goglia (Casal di Principe) ed Enrico Fabozzi (Villa Literno), quest’ultimo condannato in passato per reati di camorra; entrambi ricoprirono ruoli di vertice nel Cub subito dopo la sua istituzione. Dovranno affrontare il dibattimento gli ex commissari liquidatori del Cub, come Gaetano Farina Briamonte, Domenico Pirozzi e Gianfranco Tortorano, e politici come Giuseppe Venditto, esponente del Pd, “colletti bianchi” come l’ex direttore generale del Cub Antonio Scialdone, ritenuto uno dei funzionari che si spese per le promozioni a pioggia di decine di dipendenti che non avevano requisiti ne’ titoli per occupare mansioni di livello superiore, con un forte aggravio per la casse dell’ente, finanziato dai canoni pagati dai Comuni; manovre che secondo l’accusa furono fatte sia prima delle elezioni comunali a Vitulazio, comune del casertano di cui Scialdone e’ originario, che delle regionali del 2010, quando si candido’ la moglie di Scialdone, anch’essa rinviata a giudizio.

Cronache della Campania@2018

Camorra, il pentito Schiavone: ‘Il sindaco faceva da tramite tra Cosentino e Zagaria’

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Parole pesantissime da parte del pentito Nicola Schiavone nei confronti dell’ex sindaco di Trentola Ducenta. “Dal 1998 Michele Zagaria ha controllato il Comune di Trentola Ducenta e il suo ex sindaco Michele Griffo”. Così il collaboratore di giustizia Nicola Schiavone, figlio del capoclan dei Casalesi, Francesco “Sandokan” Schiavone, sentito oggi in video-conferenza al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere , ha aggravato la posizione dell’ex primo cittadino Griffo, imputato per concorso esterno nel processo relativo alla realizzazione e alla gestione del centro commerciale Jambo di Trentola. L’imputazione, come annunciato dal sostituto della Dda di Napoli Maurizio Giordano, verra’ modificata alla luce delle affermazione di Schiavone junior in associazione camorristica, sulla base della nuova ipotesi che Griffo fosse più “un intraneo al clan” che persona a disposizione. Il figlio del boss, reggente del clan dal 2004 al giugno 2010, quando fu arrestato, ha anche specificato che “Griffo faceva da tramite tra Michele Zagaria e Nicola Cosentino, nel senso che portava a Zagaria i messaggi di Cosentino e viceversa”.
Sul centro commerciale Jambo, di proprieta’ dell’imprenditore Alessandro Falco, anch’egli imputato, che per la Dda sarebbe riconducibile direttamente al boss Zagaria, Schiavone ammette che “fu proprio l’amministrazione di Trentola guidata da Griffo a favorire in tutti i modi l’ampliamento della struttura, che in pochi anni, da un piccolo centro divenne uno dei piu’ importanti della regione”. Schiavone spiega di aver “incontrato piu’ volte Griffo, limitandomi a salutarlo”. Il collaboratore racconta di quando un altro ex sindaco di Trentola, Nicola Pagano (imputato), gli fece visita a casa. “Venne a trovarmi con Sebastiano Ferraro (ex consigliere provinciale condannato, ndr), chiese il mio sostegno contro l’altra lista che era appoggiata da Michele Griffo, che dopo due mandati non poteva piu’ candidarsi”. “Zagaria qualche volta ha fatto brutte figure con i sindaci, nel senso che venivano elette persone che sfuggivano al suo controllo, come accadde a Casapesenna con Giovanni Zara. A Casal di Principe non abbiamo mai sbagliato, tranne nel 1994 quando fu eletto Renato Natale. Ma poi rimediammo facendolo cadere”.

Cronache della Campania@2018


‘Rubata e venduta’ la pen-drive di Zagaria: a giudizio il poliziotto

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“Rubata e venduta” la pen-drive di Zagaria. Il poliziotto che partecipò all’arresto sarà ascoltato dal giudice. La pen drive che Michele Zagaria aveva con sé nel covo di via Mascagni a Casapesenna dove fu arrestato il 7 dicembre 2011 “è stata venduta”, ora bisogna capire se a farlo sia stato il poliziotto Oscar Vesevo, colui che partecipò all’arresto del super latitante dei Casalesi. Questa mattina davanti al giudice per le udienze preliminari del tribunale di Napoli Mancini si è svolta l’udienza a carico del poliziotto casertano che deve rispondere di peculato, corruzione ed accesso abusivo ai sistemi informativi aggravati dall’articolo 7 in seguito all’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia.

Cronache della Campania@2018

Truffa dei centri migranti, la Cassazione rimanda al Riesame la decisione su Di Donato e Ruta

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La VI Sezione della Suprema Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso degli Avvocati Vittorio Fucci jr e Pietro Farina, ha annullato l’ordinanza cautelare del Tribunale del Riesame di Napoli che, ai sensi dell’articolo 309 del Codice di Procedura Penale, aveva confermato la validità dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP di Benevento , che aveva portato all’arresto di Paolo Di Donato e del Brigadiere Salvatore Ruta, in relazione alla indagine per delle presunte truffe sui centri di accoglienza dei migranti, che, come si ricorderà, ha assunto rilievo nazionale. Pertanto la Cassazione, annullando il provvedimento del Riesame, ha disposto la celebrazione di un nuovo riesame.

Cronache della Campania@2018

Camorra a Castellammare, non risponde al gip l’imprenditore Greco ma ora rischia l’accusa di riciclaggio

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Castellammare. Resta in carcere l’imprenditore Adolfo Greco, arrestato due giorni fa su ordine della Dda di Napoli accusato di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Assistito dagli avvocati Giuseppe Maiello e Michele Riggi si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti al gip per l’interrogatorio di garanzia. Se ne riparlerà al Riesame. Ci vorrà il tempo per studiare la strategia difensiva e ribattere alle accuse del gip Tommaso Perrella che nelle oltre 200 pagine dell’ordinanza cautelare traccia un quadro abbastanza pesante nei suoi confronti. E’ lui la figura principale dell’inchiesta che con l’operazione Olimpo ha portato in carcere altre 8 persone (altri due, i boss Raffaele Afeltra e Antonio Di Martino sono latitanti) mentre 4 sono ai domiciliari e tra questi Teresa Martone, vedova del defunto padrino della camorra stabiese, Michele D’Alessandro. Tutti gli arrestati compreso quelli ai domiciliari si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. E mentre continua la caccia ai due latitanti l’inchiesta va avanti. E si profilano nuove accuse per Greco nella cui abitazione di via Tavernola la polizia ha recuperato ben due milioni e mezzo di euro in contanti nascosti in una parete in cucina. Perché tutti quei contanti in casa? A cosa servivano? Gli investigatori che avevano piazzato una cimice nella sua abitazione oltre che nella sua auto e nel suo ufficio in via Varo stanno mettendo insieme altri elementi di accusa. Si ha l’impressione che ci sarà un prosieguo anche alla luce di quello che emerge dalle intercettazioni.

 

Cronache della Campania@2018

Mamma e figlia uccise e sepolte in casa, la Cassazione conferma la sentenza

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Si chiude la vicenda giudiziaria che vedeva coinvolti Salvatore Di Maiolo e Domenico Belmonte accusati di duplice omicidio. La Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione di Salvatore Di Maiolo rigettando il ricorso presentato dalla parte civile e dalla Procura. Nell’estate del 2004 a Castel Volturno, Salvatore Di Maiolo in concorso con il suocero Domenico Belmonte, secondo la Procura, cagionava la morte della moglie Maria Belmonte e della suocera, Elisabetta Grande. I due, secondo la ricostruzione, avrebbero poi sotterrato anche i corpi, ormai privi di vita, sotto l’intercapedine dell’abitazione di Castel Volturno dell’ex direttore sanitario del carcere di Poggioreale, Domenico Belmonte. Arrestato quest’ultimo, il Riesame provvedeva alla scarcerazione, mentre per Salvatore Di Maiolo, difeso dall’avvocato Ferdinando Letizia, l’azione penale proseguiva. L’ ex direttore sanitario è morto nelle more del giudizio mentre per Di Maiolo fu emessa sentenza di proscioglimento dal giudice per l’udienza preliminare. Avverso tale sentenza venne proposto il ricorso in Cassazione dalla parte civile, che è stato respinto.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Castellammare, la Dda indaga sul mega affare della Cirio e ‘le promesse’ dI Greco alla camorra. LE INTERCETTAZIONI

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Castellammare. La criminalità organizzata aveva un interesse sull’affare housing sociale da realizzare nell’ ex area industriale Cirio acquistata dalla società Polgre Europa 2000 Srl nel 1999, i cui principali attori sono i Greco e ora gli eredi di Antonio Tobia Polese (cugino di Greco), conosciuto da tutti come il “Boss delle Cerimonie” e titolare del ‘Castello’ de La Sonrisa.  L’interesse per la criminalità organizzata nella realizzazione del complesso residenziale emerge dalle intercettazioni agli atti dell’ordinanza di custodia cautelare a firma del Gip Tommaso Perrella. Sulla sua realizzazione, sull’iter che ha portato all’approvazione del piano e su tutto quello che c’è dietro questa mastodontica opera immobiliare da centinaia di milioni di euro- come si legge dall’ordinanza- c’è già un’inchiesta  a parte. Adolfo Greco, intercettato a sua insaputa,  fa trapelare i suoi timori e le sue preoccupazioni “Mi augurerei che noi nella Cirio non facessimo niente”. Tutto questo per non avere a che fare con le nuove leve del clan. “I timori di Greco – si legge nell’ordinanza – erano legati anche alla forzata assenza di Paolo Carolei, ritenuta una figura di garanzia nell’affare in questione. Una figura di garanzia non solo nei confronti di Adolfo ma anche nei confronti del costruttore”. Sarebbe stato infatti il costruttore a risolvere il problema con le organizzazioni criminali che insistono sul territorio stabiese. Il permesso a costruire nell’ex area industriale, famosa non solo per il marchio ma anche per aver dato lavoro a centinaia di persone durante il boom industriale negli anni ’50 e ’60, è pervenuto agli uffici comunali nel 2013, nello specifico a Gennaio. A curare tutta la pratica è stato un commissario “ad acta” nominato dalla Provincia di Napoli che, esaminati gli atti, ha dato il suo consenso alla realizzazione della maxi opera nel sito industriale nell’aprile del 2016. Così PolGre Europa 2000 Srl aveva sottoscritto un contratto di permuta con la società Passarelli Spa per la realizzazione di lavori di riqualificazione. Alla luce del negozio stipulato Greco ed altri soci della PolGre 2000 Srl avrebbero ricevuto una quota degli immobili realizzati quale corrispettivo della permuta. Così “di conseguenza – si legge nell’ordinanza – Greco non avrebbe avuto alcuna possibilità di intervenire nella fase di esecuzione dei lavori e tantomeno gli erano riferibili oneri o responsabilità, anche, in ordine alle pretese su detti lavori da parte della criminalità organizzata”. Detto in termini semplici, Greco non avrebbe avuto la responsabilità materiale di pagare tangenti per l’apertura del cantiere ma sarebbe stato compito dell’impresa che si faceva carico dei lavori. Greco nel ribadire la sua estraneità avrebbe comunque ribadito la disponibilità a “foraggiare” la malavita locale. Tutto questo emerge in una conversazione con Michele Carolei nello studio di Adolfo Greco nella sua impresa di commercializzazione del latte.
Difatti, Greco nel sottolineare la sua estraneità circa tali relazioni, in ordine alla realizzazione dei progetti Cirio, comunque, ribadiva la sua disponibilità a “foraggiare” la malavita stabiese. Michele Carolei propone un’impresa appartenente alla sua famiglia per la realizzazione dei lavori. La ditta Solimene Gennaro. Secondo Carolei quest’ultimo era persona gradita a tutti e certamente, grazie al legame con i Carolei , non sarebbe stato oggetto di attenzioni dalla criminalità organizzata. “Probabilmente Carolei con il termine “tutti” accomunava i proprietari, in particolare Greco ed i Polese, alle organizzazioni criminali dei D’Alessandro e dei Cesarano – si legge nel testo dell’Ordinanza. Anche i D’Alessandro e i Cesarano avevano proposto lo stesso costruttore alla società PolGre Europa 2000 Srl. Adolfo Greco però non dava assenso perché l’operazione richiedeva particolari mezzi sia operativi che finanziari che Solimene non poteva sostenere.
Ecco i passi salienti dell’intercettazione.
Greco Adolfo: “Là è una cosa troppo, troppo grossa e ci vogliono gente che ha grande… Poi dopo all’interno di queste, …cioè Gennaro si deve mettere in contatto con chi deve fare, perché chi deve fare deve avere, ripeto, …un lavoro di una grande importanza…”
Michele Carolei: “Voi diceste Passarelli, …chi ci sta dietro a Passarelli?
Adolfo Greco: “eh ma quello, …e allora poi il contatto Gennaro con Passarelli, quindi da noi Michele, …Gennaro che cosa deve fare e lo fa! Questo. Però il capostipite della cosa, chi ha possibilità economica, si ma anche Gennaro, perché oggi il problema è che le banche non danno mutuo, non lo danno a nessuno, anche Passarelli è venuto l’altro giorno qua…”
Luigi Greco: “Ma non perché non credono, …non credono nel mercato”
Michele Carolei: “Non credono nel mercato, no alla persona, al mercato della costruzione…”
Luigi Greco: “Dicono io ti do i soldi ma le case chi se le prende”
Adolfo Greco: “Non credono perché non si vendono le case, avete capito? Tu, se ci va un impiegato lui e la moglie oggi che si deve comprare una casa e deve avere duecentomila euro di mutuo, non glielo danno!”
Luigi Greco “ne guadagni pure quattromila euro al mese…”
Adolfo Greco: “Non glielo danno! Allora ci vuole chi per esempio mette, …che deve garantire le fideiussioni alla banca, che tiene la possibilità di dare dieci milioni, quindici milioni di fideiussione e allora è probabile, …è probabile che la banca apre..”
Michele Carolei: “ Ma quello è grande io l’ho visto com’è, io l’ho visto…”
Adolfo Greco: “È una bella cosa, quello lo hanno fatto loro, vedi che cosa hanno fatto. Loro da anni, …perciò Gennaro tiene…. Loro hanno investito, loro hanno fatto il progetto, hanno messo tutto, se va in …al termine, …se va in porto noi facciamo, se no noi non spendiamo nemmeno un lira perché solo per fare un progetto di questo ci vogliono un cofano di migliaia e migliaia di euro che Paoluccio …noi non abbiamo fatto nulla, ma con Paoluccio sempre abbiamo detto che il riferimento era lui”. Per Paoluccio si intende Paolo Carolei.
Adolfo Greco pur di restare tranquillo prospettava l’eventualità di mettere in contatto Solimene con il costruttore incaricato Passarelli.
Greco Adolfo e Carolei Michele continuavano a parlare del progetto e delle difficolta relative alla realizzazione sia per le opere che per la mole economica. Michele Carolei, alla vista del progetto, palesava il proprio desiderio di voler abitare in quella struttura, una volta ultimata, senza però parlare di compravendita e di acquisto. “Il manifestato interesse di Carolei, per un alloggio presso la Cirio, potrebbe essere un’implicita richiesta di un “corrispettivo” per i servigi prestati, verosimilmente, in conseguenza di quanto appena narrato circa Carolei Paolo e dell’opera di mediazione che Greco aveva richiesto a Carolei Michele” – si legge nell’ordinanza del gip.
Michele Carolei: “Ma se si può fare questo piacere…”
Adolfo Greco: “Va bene, va bene”
Michele Carolei: “Avete capito poi quando sarà…”
Adolfo Greco: “va bene, va bene..”.
Michele Carolei: “Io non sapevo che queste talmente grosse avete capito? Pensavo che era una cosa…”
Adolfo Greco: “No, no, …ma quello questo è il progetto, fosse la Madonna!”
Michele Carolei: “Io l’ho visto, …devo dire la verità, disse io l’ho visto di là…”
Adolfo Greco: “Mo vi faccio vedere una cosa…” (sfoglia le tavole del progetto)
Michele Carolei: “Vidi della vasche dei pesci…”
Adolfo Greco: “Eh ci stanno, …le cose, …questo mo sarebbe, …questo è l’interno”
Michele Carolei: “Eh…”
Adolfo Greco: “Questa è sua via Napoli la parte, …stanno inserite poi nel contesto, …questa è traversa Mele, questa è dentro al vico di Cirio diciamo, una parte, che poi..”
Michele Carolei “…ma voi”
Adolfo Greco: “…poi ci sta…”
Michele Carolei: “…io devo dire la verità don Adolfo, io vi chiedo una cosa mo’ ci sta pure Luigi (Greco ndr)… Ma io lo so, me l’hanno fatto vedere a…”
Adolfo Greco: “…questo escono tre, quattro anni, cinque anni di lavoro se si vende…”
Michele Carolei: “…non vi preoccupate! Devo dire la verità don Adolfo mo parlo con voi, io me ne volevo andare ad abitare là…”
Adolfo Greco: “fosse la Madonna!”
Michele Carolei: “…avete capito?”
Adolfo Greco: “…amen! Non ci sta proprio problema…”
Michele Carolei: “…perché don Antonio mi disse, …disse”
Adolfo Greco: “…he Michele”
Michele Carolei: “…l’unica cosa è che ce ne volevamo andare ad abitare là…”
Adolfo Greco: “…Michele non ci sta un no più assoluto!”
Michele Carolei: “…poi per il resto non pensate a niente!”

1.continua

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Cronache della Campania@2018

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