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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Dal carcere duro alla libertà: scarcerato il nipote ‘prediletto’ di Zagaria

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Dal carcere duro nel penitenziario di Bancali, in provincia di Sassari, alla libertà piena. È stato questo il percorso di Filippo Capaldo, nipote prediletto dello zio Michele Zagaria. La Corte d’Appello ha accolto l’istanza presentata dai difensori, gli avvocati Nando Letizia e Giuseppe Stellato, ed ha riconosciuto la continuazione tra due condanne per camorra oltre al beneficio della ‘fungibilità’ della pena, con lo scomputo di un periodo di 20 mesi di detenzione sofferti ingiustamente, per fatti dai quali venne assolto. Per questo motivo i giudici della seconda sezione della Corte Partenopea hanno ridotto la pena nei confronti di Capaldo di 4 anni consentendogli, in questo modo, di lasciare il carcere per aver già espiato la condanna. Capaldo è tornato in libertà in serata.

 

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018


Appalti truccati all’Asl Napoli 1: tutti i nomi sotto indagine

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Sale a 29 il numero degli indagati in relazione agli appalti dell’Asl Na 1, oltre alle quattro società spuntano nomi di medici e manager della sanità pubblica che si aggiungono alla lista di imprenditori. Anche Maurizio Scoppa, ex generale dei carabinieri e già commissario dell’Azienda Sanitaria Locale Napoli uno, viene coinvolto nell’ultimo filone investigativo inerente agli appalti per le forniture negli ospedali di competenza. A conclusione delle indagini la Procura ipotizza un coinvolgimento su più livelli tanto da dover ampliare il raggio d’azione dell’indagine. Non c’è solo la vicenda di Loredana Di Vico, la dirigente del servizio acquisizione beni che appaltava in favore di Vincenzo Dell’Accio con cui pare abbia avuto anche una relazione.
Sul caso Scoppa, c’è una prima ipotesi legata ad un appalto per la fornitura di materiale urologico che risale al dicembre del 2011 da parte anche della Euromed sas di Claudia Dell’Accio, sorella di Vincenzo.
Sotto la lente di ingrandimento è finito un documento firmato da Loredana Di Vico con il quale si disponeva il subentro della Vicamed Srl alla Euromed dal Gennaio 2012 “in assenza di presupposti normativi”. Nei confronti di Scoppa, inoltre, c’è al vaglio degli inquirenti un’altra vicenda che riguarda una fornitura di apparecchiature paramedicali per l’ospedale Ascalesi. Su questa vicenda si attende la versione della difesa.
Sulla dirigente Di Vico sono stati decisive le indagini della guardia di Finanza messe in campo negli ultimi mesi che hanno messo a setaccio tutti i documenti emanati dalla Dirigente, passate a setaccio centinaia di intercettazioni. La Dirigente si è difesa sostenendo l’interrogatorio di garanzia nel corso del quale ha ripetuti che non sarebbe mai stato favorito il compagno né le società a lui riconducibili, anche se dalle indagini concluse emerge che sarebbero stati adottati stratagemmi per rendere favorevoli alcune procedure. Oltre al Commissario Scoppa e i Dell’Accio risultano indagati Francesco Alfonso Bottino (ex manager dell’ospedale Sant’Anna di Caserta, coinvolto in una precedente inchiesta napoletana), il medico Domenico Ovaiolo, Nicola Tufarelli, Ernesto Esposito, Daniele Baldi, il medico del Loreto mare Maurizio Postiglione, la dirigente Asl Angela Maddalena, il medico Giuseppe Tortoriello, Gaetano Iorio, Giovanni Ruggiero, Vincenzo Fe Vincenzo, Antonio Ippolito, Corrado Ursumando, Lorenzo Rocco, Salvatore Bellofiore, Antonio Carotenuto, Luca Russo, Luigi Moramarco, Maria Bianchi, Antonio Pace, Francesco Carafa. Tutti innocenti fino a prova contraria, infatti le persone coinvolte potranno dimostrare di aver agito correttamente durante il processo.

Cronache della Campania@2018

Naufraghi lasciati in mare dalla Capitaneria di Porto di Salerno: credevano a uno scherzo. In due a processo

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Archiviazione degli indagati secondo la Procura di Salerno, per i due militari della Capitaneria di porto, già destinatari di provvedimenti disciplinari. I dueerano finiti sotto indagine per omissione di soccorso nei confronti di tre persone che avevano trascorso la nottata su di un gommone a largo di Capo d’Orso, dopo che l’imbarcazione a bordo della quale si trovavano era colata a picco. Il sostituto procuratore Giovanni Paternoster l’ha chiesta al termine delle indagini preliminari per tre volte e per altrettante è stata accolta opposizione, la collega Francesca Fittipaldi lo ha chiesto in sede di apertura del dibattimento ma in questo caso è stato il presidente del collegio della prima penale a rigettare la richiesta. I fatti risalgono al giugno del 2011 e i reati rischiano di essere prescritti a fine 2019. Per questo motivo, su sollecitazione della difesa di parte civile, l’avvocato Ciro Bianco, ha chiesto di velocizzare i tempi. A chiedere giustizia, come riporta Il Mattino, è però soltanto uno dei tre naufraghi, il proprietario della barca affondata, che ha intrapreso anche un’azione civile per lesioni, considerata la prognosi di sette giorni riconosciutagli dai sanitari per ipotermia. Anche questo procedimento è ancora aperto presso la sezione civile del tribunale di Salerno. Una delle tre vittime è un architetto di Castel San Giorgio che ha raccontato di una giornata da incubo segnata dall’incidente ma anche dall’impossibilità di comunicare con la terraferma perché il suo operatore telefonico, in quella zona, non prendeva. L’architetto era uscito in barca con due amici. Appena si rende conto che sta imbarcando acqua, con il cellulare chiama la Capitaneria di porto ma, non essendoci linea, l’unico numero che riesce a selezionare è il 112. Parla con i carabinieri, spiega la disavventura che gli è capitata e questi si prendono l’incarico di avvisare la sala operativa della guardia costiera di Salerno. Ai colleghi di turno in quel momento, era tarda mattinata, i carabinieri girano non soltanto le informazione prese ma anche il numero di cellulare del malcapitato diportista ma gli uomini della Capitaneria non riescono a mettersi in contatto con i naufraghi perché la zona non aveva copertura telefonica, consideerando la  la richiesta di soccorso come uno scherzo. Nel frattempo la barca cola a picco e i tre trovano riparo su un gommoncino sul quale trascorreranno l’intera notte. Non vedendo arrivare i soccorritori, l’architetto tenta di attirare l’attenzione con dei razzi segnaletici senza ottenere risultati. Nella prima serata dello stesso giorno, a chiedere aiuto è anche la moglie del professionista non vedendolo rincasare. Contatta la Guardia Costiera ma i militari in servizio, diversi a quelli della mattina, non trovano alcuna segnalazione. La mattina successiva la donna, disperata, richiama e si rivolge ad altri militari che si mettono a lavoro e rintracciano la cella sulla quale si è agganciato il numero di telefono dell’architetto. Ricostruiscono la vicenda, attraverso anche l’aiuto dei carabinieri che – invece – hanno la telefonata registrata. Di qui i soccorsi ma l’architetto e i suoi amici erano già stati tratti in salvo da un elicottero della guardia di finanza.

Cronache della Campania@2018

False assunzioni e truffe all’Inps: 65 indagati tra imprenditori, commercialisti e lavoratori

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Accuse a vario titolo che vanno dall’associazione a delinquere fino alla truffa, oltre sessanta capi d’accusa per sessantacinque indagati nell’ambito dell’inchiesta su false assunzioni e truffe ad Inps e Agenzia delle Entrate, una truffa ribattezzata “Leonardo” dagli investigatori.
Tutte le persone coinvolte sono tra Nocera Inferiore, Angri, Pagani, Sant’Antonio Abate e Scafati. Le posizioni ritenute dagli investigatori al vertice sono quelle dei commercialisti Domenico Desiderio e Arcangelo Battimeli, l’antiquario Ottavio Carusti, l’angrese Sabato Abagnale e i commercianti Aurelio Salierno di Scafati e Vincenzo Carusti. Il giudice per le indagini preliminari firmò circa 40 misure di sequestro dei beni per un valore complessivo di circa 7 milioni di euro. La procura di Nocera ha ricostruito il sistema criminale che prevedeva la costituzione fittizia di una serie di rapporti di lavoro verso delle società non funzionanti per conseguire, una volta maturate, le prestazioni previdenziali. Gli investigatori ritengono la mente di tutto il sistema Ottavio Carusti, definita appunto “collante del sistema delinquenziale”. Carusti fu associato ad una serie di soggetti per costituire società vuote intestate a prestanome per assumere e poi licenziare lavoratori che avessero maturato i requisiti per ottenere disoccupazione, permessi per malattia e maternità. Il danno per l’Inps stimato è di circa due milioni di euro. Sarebbe stata truffata anche l’Agenzia delle Entrata che versava crediti di imposta richiesti da buona parte dei soggetti. Le società creare avevano la funzione di assumere lavoratori ma anche di emettere fatture per operazioni inesistenti ma imponibili e così allo stesso tempo si truffava sia l’Inps che Agenzia delle Entrate. A raccontare il sistema fu lo stesso antiquario Carusti che dopo l’attività di antiquario si occupava di generi alimentari. Era lui infatti a cercare persone disponibili ad intestarsi fittiziamente le aziende a patto di dividere i soldi dell’Inps, inoltre l’uomo fece anche i nomi dei commercialisti a quali si rivolse per delle consulenze.

Cronache della Campania@2018

Lavori alla Torre Civica di Cerreto Sannita, arrestato per corruzione il responsabile dell’ufficio tecnico

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Cerreto Sannita. Corruzione per l’appalto dei lavori di restauro della Torre civica: arrestato l’ingegnere Letizio Napoletano, responsabile dell’Ufficio Tecnico Lavori Pubblici del Comune di Cerreto Sannita, in provincia di Benevento. La misura cautelare, emessa dal Gip del Tribunale di Napoli, su richiesta della Dda è stata eseguita dagli uomini del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli. Il professionista – per il quale sono stati disposti i domiciliari – è accusato di corruzione e di turbata libertà degli incanti in relazione all’appalto per i lavori di restauro della locale Torre Civica Medievale, nell’ambito del quale lo stesso ha rivestito la carica di presidente della commissione di gara. L’inchiesta è una costola della ‘Operazione The Queen’ che ha rilevato numerose irregolarità in svariate gare di appalto, di committenza pubblica, gestite da enti pubblici delle Province di Napoli, Caserta e Benevento, facendo emergere la sistematica operatività di ‘colletti bianchi’ in grado di incidere in maniera determinante sull’aggiudicazione di gare di appalto, in favore di imprese ‘predesignate’, alcune delle quali riconducibili a soggetti vicini alla criminalità organizzata. Contestualmente all’esecuzione della ordinanza di custodia cautelare gli uomini della Guardia di Finanza hanno eseguito 14 perquisizioni nei confronti di “nuovi” soggetti coinvolti, a vario titolo, nella vicenda.

Cronache della Campania@2018

Filma le ragazzine nei camerini del centro commerciale, “guardone” condannato

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E’ stato condannato a due anni e 8 mesi di reclusione il 44enne di Calvi Risorta in provincia di Caserta, Daniele C. accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazzina di 12 anni e di averla ripresa con una telecamera all’interno dei camerini del Centro Commerciale Campania. La condanna è stata emessa dal giudice del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il magistrato ha riconosciuto le attenuanti per la lieve entità ed in virtù del rito scelto, l’abbreviato, ha condannato l’uomo con una pena “soft”.
L’episodio si è verificato nell’aprile scorso quando il 44enne, mentre si trovava presso un negozio esterno al Campania, dopo aver palpeggiato il sedere di una 12enne, l’aveva seguita durante gli spostamenti riprendendola con una microcamera occultata in un portachiavi. Le urla della ragazzina fecero arrivare in breve tempo i carabinieri sul posto
che lo bloccarono e recuperarono il supporto digitale che conteneva un video che ritraeva la minore mentre provava alcuni capi di abbigliamento. Nel corso di una successiva perquisizione eseguita sul veicolo in uso all’uomo e presso la sua abitazione consentì ai carabinieri di rinvenire un personal computer e diversi hard disk/memory card con all’interno video di decine di ragazze filmate nei camerini di vari centri commerciali delle province di Napoli e Caserta.

Cronache della Campania@2018

Una condanna e 4 patteggiamenti per la ‘Listopoli napoletana’

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Napoli. Si è chiuso con una condanna e cinque patteggiamenti il processo “Listopoli” a Napoli nato dalla denuncia di alcuni cittadini candidati a loro insaputa della lista civica “Napoli Vale” a sostegno di Valeria Valente come candidata sindaco del Pd. Renato Vardaro, l’unico che aveva scelto il giudizio con il rito abbreviato, è stato condannato a dieci mesi (pena sospesa), oltre al riconoscimento di un’ammenda di 1200 euro per ciascuna parte civile. hanno patteggiato invece gli altri imputati: Gennaro Mola, compagno di Valeria Valente, è stato condannato a un anno di reclusione (pena sospesa). Difeso dal penalista Bruno Von Arx, Mola ha sempre respinto l’accusa di brogli finalizzati a favorire la Valente, limitandosi a ricostruire le ore frenetiche precedenti alla consegna delle liste in prefettura.  L’ex consigliere comunale Antonio Borriello (difeso dai penalisti Mario e Luigi Tuccillo) e per Aniello Esposito (difeso dall’avvocato Ugo Raia), sono stati invece condannati a sei mesi di reclusione (anche in questo caso pena sospesa). Lo scorso febbraio, aveva patteggiato a sei mesi anche il consigliere comunale Salvatore Madonna, vale a dire il primo a finire nel registro degli indagati, ma anche il primo a fornire chiarimenti sul modo in cui vennero allestite le liste nel comitato elettorale della Valente.

 

Cronache della Campania@2018

Fuggita a Londra denuncia e fa condannare il marito violento dopo 20 anni di botte

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Venti anni di violenza domestica, arriva la condanna per il marito 50enne di Vico Equense. Il Tribunale di Torre Annunziata ha condannato l’uomo a sei anni di reclusione per maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale ai danni dell’ ex coniuge. “Le violenze – racconta la donna durante il processo – sono iniziate praticamente già il primo giorno di matrimonio, ma solo nel 2008 ho trovato il coraggio di denunciare. Non ho denunciato subito mio marito perché sono cattolica”. I due si erano sposati a metà degli anni ’90. Le violenze e i soprusi si sono perpetuati per oltre dieci anni nella loro abitazione alle porte della Penisola Sorrentina. La donna, sempre per “amore della famiglia”, aveva anche rinunciato a due incarichi occupazionali. L’aveva seguito da Vico Equense a Rieti per un lavoro dove, addirittura, vivevano in auto e poi a Caserta. Nonostante la gravidanza lui la picchiava. “Ero tornata a casa e, nonostante fossi incinta, mi picchiò”.
Neanche i figli erano risparmiati dalle violenze. “Li picchiava per nulla, gli sputava. È stato orribile”. L’uomo ha provato a difendersi nell’aula di tribunale ammettendo alcuni episodi denunciati dalla donna ma ha respinto molti degli altri raccontati dall’ormai ex moglie. Durante l’iter di separazione l’uomo si era trasformato in stalker inviandole oltre 2mila messaggi in sei mesi. Il marito geloso pensava ci fosse per la donna qualcun altro, dopo la separazione, nonostante la donna cambiasse numero di telefono, arrivavano sempre messaggi di lui. “Tutti sapranno che sei una prostituta, dovrai solo lanciarti dal ponte di Seiano”. La donna è riuscita a rifarsi una vita. Lei insieme ai due figli vive a Londra lontano da Vico Equense e dalla Penisola Sorrentina. Il collegio dei giudici, inoltre, ha riconosciuto una provvisionale di 10mila euro e risarcimento del danno da stabilire in sede civile.

Cronache della Campania@2018


Patteggia cinque anni di carcere il pistolero ‘scatenato’ di Nocera

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Nocera. Ha patteggiato cinque anni di carcere il pistolero scatenato di Nocera Inferiore che nel maggio scorso fece fuoco per tre giorni di fila contro persone e cose senza alcun motivo in alcuni comuni dell’Agro Nocerino. Luca Criscuolo, 27 anni, è accusato di tentato duplice omicidio, danneggiamento e possesso illegale di un’arma da fuoco in luogo pubblico. Ora bisognerà attendere le ulteriori valutazioni dei periti per capire se il giovane potrà essere spostato dal carcere a una struttura psichiatrica. Secondo una prima valutazione del settembre scorso “Era parzialmente capace di intendere e di volere”. Non una patologia definita, ma uno stato psicologico che oscilla tra “lo psicotico e schizofrenico”. Queste le conclusioni del consulente della procura di Nocera Inferiore, Ferdinando Pellegrino, su Luca Criscuolo, il 27enne nocerino che lo scorso maggio seminò il panico con una pistola, in più comuni, riuscendo a ferire gravemente anche due persone. L’esito della perizia individua nel ragazzo «manie persecutorie», ma non chiarisce il perché abbia sparato, durante quei giorni, verso cose o persone. Su quest’ultime, il 27enne, durante i colloqui con il perito, avrebbe riferito di “non voler uccidere ma di intimidire”. Tra le ipotesi che avrebbero potuto generare simili atteggiamenti, secondo la consulenza, vi potrebbe essere stato l’uso passato di sostanze stupefacenti del ragazzo. Ma per il consulente lo stesso carcere, dove è attualmente detenuto, sarebbe incompatibile con la sua situazione. Dato il suo status, sarebbe preferibile un ricovero in una struttura psichiatrica. La consulenza della procura coincide con quella della difesa, redatta dal medico Carlo Pagano, su richiesta dell’avvocato difensore del ragazzo, Andrea Vagito. Secondo le indagini Criscuolo sarebbe l’autore di almeno 11 sparatorie ma la procura gli contesta quelle già note. La prima è avvenuta a Cava de’ Tirreni, il 21 maggio scorso quando ad essere colpita fu Mariapia Principe, seduta in un bar con il fidanzato ed i suoceri. Un altro episodio a Nocera, due mercoledì durante le quali ha ferito alle gambe Luigi Manzo.

Cronache della Campania@2018

Morì nel Centro di Igiene Mentale: chiesto il processo per sette medici

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Sette medici rishiano il processo per ma morte di Massimiliano Malzone, l’uomo di trentanove anni di Montecorice in provincia di Salerno, morto l’8 dicembre del 2015 nel centro di igiene mentale dell’ospedale di Sant’Arsenio dov’era ricoverato a seguito di un trattamento sanitario obbligatorio. Tre di questi medici sono già condannati per il caso Mastrogiovanni. Il caso rischiava di essere archiviato, così aveva deciso la Procura della Repubblica di Lagonegro, ma grazie all’opposizione presentata dal legale della famiglia Malzone, le indagini sono proseguite. Nel registro degli indagati, come riporta Il Mattino, sono finiti sette dipendenti dell’ospedale che ebbero in cura l’uomo di Motecorice durante i giorni di ricovero nella struttura sanitaria del Vallo di Diano. Per tutti è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio e a febbraio si terrà l’udienza preliminare. Rischiano un nuovo processo Rocco Barone, Raffaele Basso e Americo Mazza, tre medici già condannati per la morte di Francesco Mastrogiovanni, il maestro di Castelnuovo Cilento deceduto nel reparto di psichiatria dell’ospedale San Luca di Vallo. Malzone fu ricoverato a Sant’Arsenio proprio perché il reparto di Vallo all’epoca era chiuso ed è stato riaperto di recente. Per la morte di Malzone rischiano il processo anche i medici Rosina Baiotta, Cristina Cerruti, Antonio Mautone e Alfonso Pace. L’accusa è di omicidio colposo perché avrebbero tenuto comportamenti “negligenti ed imprudenti nonché omissivi del monitoraggio del profilo cardiologico del paziente durante il trattamento farmacologico neurolettico”. Malzone morì dopo dodici giorni di ricovero in seguito ad un arresto cardiaco provocato dall’azione di una serie di medicinali che gli erano stati somministrati. Ai familiari fu consegnato uno zaino contenente delle maglie intime sporche di urina. Dalla relazione del medico legale emerse che il trentanovenne fu sottoposto a contenzione fisica, ma non continua e mai con il blocco di tutti gli arti.

Cronache della Campania@2018

Ditta di rifiuti fuori dalla white list: il Comune di Piedimonte revoca il contratto all’impresa finita nello scandalo delle tangenti

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Piedimonte Matese. Non è inserita nella ‘White List’ della Prefettura di Caserta: il comune di Piedimonte Matese revoca il contratto alla Termotetti-Nova Ecology, la ditta per la raccolto dei rifiuti solidi urbani. Il provvedimento chiude un rapporto che durava da anni tra l’ente pubblico e l’azienda di servizi ambientali ubicata fino a qualche mese fa a Gioia Sannitica, Comune poco distante da Piedimonte; un rapporto caratterizzato da rilevanti grane giudiziarie, visto che la Termotetti, nel settembre 2016, finì al centro dell’indagine per tangenti e appalti pilotati nel settore dei rifiuti, denominata “Assopigliatutto”, e realizzata dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, che portò in carcere gli allora sindaci di Piedimonte, Enzo Cappello, e di Alvignano Angelo Di Costanzo – quest’ultimo era anche presidente della Provincia di Caserta – il patron dell’azienda Luigi Imperadore e il direttore operativo Francesco Raucci. tutti sono oggi liberi. La Termotetti fu poi commissariata e la gestione sotto tutela si concluse a fine 2017, quando la gestione passò da Imperatore al cognato. Ad inizio 2018 era arrivata poi l’interdittiva antimafia della Prefettura di Caserta, revocata a luglio dal Tar Campania perchè – secondo i giudici amministrativi – la Prefettura di Caserta non aveva provato la continuità aziendale tra le due gestioni. L’organo di Governo, nel frattempo ha proposto appello al Consiglio di Stato per il ripristino dell’interdittiva. La Termotetti ha cambiato anche denominazione e si chiama Nova Ecology srl, ma il Comune di Piedimonte Matese, ha revocato comunque l’appalto ritenendo che tali novità non fossero sufficienti “a garantire che la ditta abbia i requisiti previsti dalla vigente normativa” e che “la sentenza del Tar non comporta la sussistenza ex se del requisito di iscrizione alla white list in capo alla Nova Ecology”.  Al momento l’azienda lavora ancora ad Alvignano, Casagiove e Galluccio.

Cronache della Campania@2018

Agropoli, il clan rom Marotta-Cesarulo minacciavano sindaco e forze dell’ordine: contestata l’aggravante mafiosa

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Agropoli. Una città sotto scacco: istituzioni locali e forze dell’ordine minacciate dal clan rom dei Marotta-Cesarulo che già in passato era finito nel mirino della Procura di Salerno. Si sono arricchiti con rapine in gioielleria nel nord Italia dove facevano base in un campo rom di Biella. Un patrimonio milionario nel Cilento con case, auto di lusso, danaro contante e gioielli confiscati dal Tribunale negli anni scorsi e oggi i carabinieri hanno notificato a 25 indagati una misura cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Salerno per associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro il patrimonio e la persona, aggravati dall’articolo 7, di violenza privata ed estorsione agendo con modalità mafiose. “L’aggravante del metodo mafioso – ha detto il comandante provinciale dei carabinieri di Salerno Neosi – è stata contestata ad un gruppo rom per la prima volta. In carcere sono finite 11 persone, sette ai domiciliari e altri 7 con obbligo di dimora delle due famiglie che fino ad ieri avevano un potere incontrastato in città, tanto da permettersi di minacciare di morte carabinieri ed esponenti politici locali. Intercettazioni, appostamenti, testimonianze raccolte mostrano come le due famiglie Marotta e Cesarulo – di fatto controllassero molte delle attività della cittadina cilentana facendo leva anche su un potere di intimidazione tale da incidere sul tessuto sociale locale. I gruppi avevano fatto pressione sul coordinatore unico del cantiere di Agropoli della ditta incaricata del servizio di raccolta rifiuti, in modo da fare assumere persone da loro segnalate come stagionali, evitare loro mansioni ‘sgradevoli’ e sanzioni per inadempimenti nel loro lavoro. Inoltre, ‘delegazioni’ delle due famiglie arrivavano fin dentro le stanze del sindaco senza appuntamento per ‘trattare’ il caso di appartamenti confiscati ed evitare che fossero adibiti a funzioni sociali, oppure per chiedere posti di lavoro a tempo indeterminato. Le minacce erano utilizzate persino contro i carabinieri affinchè ‘alleggerissero’ i controlli su di loro. “La banda voleva fare una guerra ai carabinieri – ha sottolineato, in conferenza stampa a Salerno, il pm Antimafia Marco Colamonici -. L’obiettivo era, cercare di “omettere o alleggerire i controlli del Comando carabinieri eseguiti in direzione delle condotte delittuose riconducibili ai componenti del gruppo indagato”. Uno degli indagati, detto ‘O’ Capone’, si sarebbe rivolto ad un militare dell’Arma dicendo: “Finitela un poco di scrivere sempre. Vedete che la vita è breve. Qua si muore. Cercate di fare il bravo”. Poi, come ha spiegato il pm l’uomo “era riuscito a tenere calmi i giovani del gruppo che, infastiditi da questo attivismo dei carabinieri di Agropoli, avrebbero voluto fare la guerra ai militari”.
Nel corso delle indagini erano state registrate minacce anche al sindaco di Agropoli, Marco Voccia, per costringerlo a “evitare che alcuni appartamenti di recente confiscati fossero adibiti a finalità pubbliche” e che venissero “indebitamente assegnati ad appartenenti alla comunità posti di lavoro a tempo indeterminato”. L’episodio risale allo scorso luglio quando, come spiegato dal facente funzione di procuratore della Repubblica di Salerno Luca Masini “fu semi-divelta la porta dell’anticamera da un gruppo di persone che capeggiate da uno dei promotori pretendevano di essere immediatamente ricevuti per avere conto di una serie di condotte doverose che il sindaco di Agropoli stava attuando”. Il sindaco lanciò l’allarme perchè costretto a ricevere, nel proprio ufficio e senza appuntamento, una ‘delegazioni’ della comunità rom che avrebbero voluto evitare che alcuni immobili confiscati, tra cui una villa su cui pende l’ordine di sgombero ma occupata fino a stamattina, fossero destinati a finalità pubbliche. Il primo cittadino scrisse ai carabinieri sottolineando come “la notevole propensione di alcuni esponenti di tale comunità ad assumere comportamenti violenti e sopraffattivi è suscettibile di patenti ripercussioni sull’ordine pubblico e sulla sicurezza in generale”. “E’ la prima volta – evidenzia il comandante del Ros, Giancarlo Santagata – che viene contestata a una comunità rom italiana l’aggravante del metodo mafioso”.
Secondo la Procura gli uomini del gruppo avrebbe rivolto minacce anche al coordinatore unico del cantiere di Agropoli della società operante nel settore della raccolta dei rifiuti solidi urbani, per ottenere posti di lavoro come dipendenti stagionali e per essere adibiti a mansioni ‘gradite’. Inoltre chiedevano di non essere sanzionati per le continue assenze e i costanti inadempimenti commessi nell’esercizio dell’attività lavorativa”.
Il gruppo criminale costituito dalle due famiglie Marotta e Cesarulo si autofinanziava commettendo furti in vetture e gioiellerie, avvalendosi anche del supporto logistico di alcuni parenti a Biella e Vercelli che, dietro ricompensa, offrivano basi operative in quelle zone. I proventi venivano, poi, riciclati attraverso l’utilizzo di una società che faceva confluire, attraverso l’home banking, le somme di denaro.

Cronache della Campania@2018

Napoli, appalti truccati negli ospedali, lady Asl chiede un nuovo interrogatorio

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Napoli. Si e’ avvalsa della facolta’ di non rispondere ma ha chiesto di essere ascoltata nelle prossime settimane, dopo avere avuto il tempo di ricostruire le vicende che le vengono contestate, Loredana Di Vico, la dirigente dell’unita’ operativa complessa acquisizione beni e servizi dell’Asl Napoli 1 Centro, indagata dalla Procura nell’ambito dell’inchiesta su presunti episodi di corruzione nell’assegnazione degli Appalti in alcuni ospedali di Napoli. Alla funzionaria vengono contestati 21 capi di imputazione riguardanti vicende amministrative che risalgono anche a diversi anni fa. Loredana Di Vico, assistita dagli avvocati Alfonso e Guido Furgiuele, secondo quanto si e’ appreso, intende ricostruire e poi riferire i fatti contestati al pm senza ricorrere al Tribunale del Riesame. Ricorreranno al Riesame, invece, i quattro componenti la famiglia di imprenditori Dell’Accio che nei giorni scorsi sono stati ascoltati insieme con il loro stretto collaboratore. Tutti sono agli arresti domiciliari, come anche la dirigente dell’Asl Loredana Di Vico. Il loro legale, infatti, l’avvocato Guido Furgiuele, stamattina ha presentato istanza per ricorrere al Tribunale del Riesame.

Cronache della Campania@2018

‘Pure noi femmine ci mettiamo le pistole addosso e andiamo a sparare’, il processo al clan D’Amico di Ponticelli guidato dalle donne

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“Pure noi femmine ci mettiamo le pistole addosso e andiamo a sparare. Noi non ce lo creiamo il problema”. A parlare é Deliah Buonocore, moglie di Giacomo D’Amico Fraulella del rione Conocal  di Ponticelli. L’intercettazione è contenuta agli atti del processo di Appello contro il clan dei “Fraulella” che in primo grado è stato condannato ad oltre sei secoli di carcere. Dall’inchiesta che sfociò nel blitz “Delenda” con oltre 90 arresti emerge con forza il ruolo delle donne del clan D’Amico già decapitato dagli arresti di mariti e figli da precedenti inchieste. Il blitz dello scorso anno e il conseguente processo è nato grazie a una microspia piazzata nell’abitazione della donna boss Nunziata D’Amico “a’ passulona”(poi uccisa il 10 ottobre 2015), sorella dei boss Antonio e Giuseppe e moglie di Salvatore Ercolani e una telecamera piazzata al centro del rione piazza di spaccio. Si era scoperto come lei e la cognata Anna Scarallo (moglie di Antonio D’Amico) avevano assunto le redini del clan dopo l’arresto dei coniugi e dei cognati Salvatore Ercolani  e Ciro Perrella. Gli investigatori agli atti dell’indagini hanno allegato i filmati di centinaia di episodi di spaccio in cui sono coinvolti anche minorenni e addirittura bambini. All’inchiesta hanno contribuito i numerosi collaboratori di giustizia che hanno raccontato anche di alcuni omicidi dello scontro con i De Micco “Bodo”. “Ora la camorra la facciamo noi. Tanto Chernobyl non ci sta piu’. Ora e’ peggio.. ci stanno le donne”. Cosi’ parlava Nunzia D’Amico, legata sentimentalmente a uno dei loro elementi di vertice, Salvatore Ercolani, detto appunto Chernobyl, mentre discuteva con un affiliato dopo che aveva preso in mano le redini del gruppo. Del suo protagonismo avevano riferito molti collaboratori di giustizia, come Maria Grandulli, ricordando che “Annunziata era il vero capo famiglia dei D’Amico”. Ma tornando al ruolo di Deliah Buonocore dal racconto dei collaboratori di giustizia emerge come avrebbe pestato la suocera di un pentito per costringerla a lasciare la sua abitazione al rione Conocal.

TUTTE LE CONDANNE DI PRIMO GRADO

Marianna Abbagnara,12 anni
Annamaria Adinolfi, 9 anni
Carmine Aloia, 17anni e 4 mesi
Delilah Anna Buonocore, 16 anni e 8 mesi
Mario Buonomo, 13 anni e 4 mesi
Pasquale Buonomo,10 anni
Rosario Buonomo, 11 anni e4 mesi
Ciro Castaidi, 11 anni e 4 mesi
Salvatore Ceceo, 6 anni
Angela Cianciulli, 2 anni e 6 mesi in continuazione
Emanuele Cito, 8 anni
Salvatore Clemente, 2 anni e 6 mesi
Giustino Cosimo, 6 anni e 8 mesi
Giuseppina Costanzo, 3 anni e 8 mesi
Giacomo D’Amico, 20 anni
Addolorata D’Amico, assolta
Antonio D’Amico, 20 anni
Carla D’Amico, 20 anni
Carmela D’Amico (’76), 8 anni
Giuseppe D’Amico, 20 anni
Salvatore De Bernardo, 12 anni
Rosa De Cristofaro, 2 anni e 4 mesi
Concetta Dell’Aquila, 8 anni
Salvatore Dell’Aquila, 9 anni
Anna De Luca Bossa, 10 anni
Enea De Luca, 8 anni e 8 mesi
Giuseppina Di Stadio, 8 anni
Cira Elia, 6 anni e 8 mesi
Salvatore Ercolani, 20 anni
Lucia Esposito, 8 anni e 8 mesi
Wagner Fico,  10 anni
Beniamino Fusco, 8 anni
Patrizia Gaetano.6 anni
Assunta Grandulli, 9 anni e 4 mesi
Immacolata Grandulli, 9 anni e 4 mesi
Fausto Knowles, 8 mesi con pena sospesa
Rosario Lauria, 9 anni e 4 mesi
Gennaro Landi, 9 anni
Salvatore Liguori, 2 anni e 4 mesi
Christian Martella,10 anni e 8 mesi in continuazione
Anna Masiello, 7 anni e 4 mesi
Natascia Miccoli, 10 anni e 8 mesi
Martina Minichini, ASSOLTA
Angelo Montagna, 6 anni
Ciro Montagna, 4 anni
Cesare Morrà, ASSOLTO
Imma Mosca, 7 anni e 4 mesi
Michele Mosca, 7 anni e 4 mesi
Luigi Nocerino, ASSOLTO
Gaetano Norcia, 9 anni e 4 mesi
Maria Patierno, 1 anno
Ciro Perrella, 10 anni
Giuseppe Pizzo, ASSOLTO
Ciro Ranese,10 anni in continuazione
Annunziata Rigotti, ASSOLTA
Ciro Rigotti,  9 anni
Silvio Rigotti, 9 anni
Valerio Rolletta, 8 anni in continuazione
Anna Scarallo, 16 anni e 8 mesi
Rosaría Scarallo, 11 anni e 4 mesi
Rosa Schettino, 10 anni
Gennaro Schiavoni, 13 anni e 4 mesi
Salvatore Sgambati, 1 anno
Elvira Simonetti, 2 anni e 4 mesi
Giuseppe Soloperto, 8 anni
Gennaro Sorrentino, 8 anni e 8 mesi
Vincenzo Vacca 13 anni e 4 mesi
Giovanni Favarolo, (pentito) 14 anni e 2 mesi
Maria Grandulli, (pentita) 4 anni e 4 mesi
Gaetano Lauria, (pentito) 5 anni e 4 mesi
Anna Sarpa (pentitta)  7 anni e 4 mesi

 

 

Cronache della Campania@2018

Abusi edilizi ad Orta di Atella: In 62 a rischio processo, fissata l’udienza: ci sono politici ed imprenditori.I NOMI

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E’ stata fissata a gennaio l’udienza preliminare per l’inchiesta sugli abusi edilizi commessi negli anni in cui Angelo Brancaccio guidava l’amministrazione comunale di Orta di Atella. Il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio di 62 persone (uno è deceduto nel corso dell’indagine). Nel mirino della Procura sono finiti l’ex sindaco Angelo Brancaccio, Arcangelo Ammirato (amministratore della Polar Costruzioni), Raffaele Apicella di Casal di Principe, Domenico Aprovitola, amministratore della Aprovitola Group; Giuseppe Aprovitola, 53 anni, di Giugliano; Michelina Brancaccio di Orta di Atella, Nicola Arena di Orta di Atella, Andrea Cacciapuoti di Giugliano, Raffaele Capasso di Grumo Nevano, Francesco Cennamo amministratore della Francesco Cennamo Costruzioni; Olimpia Ciccarelli di Casal di Principe, Vincenzo Ciccarelli di Succivo, comproprietario della Ital Casa Immobiliare; Antonio Ciccarelli; Gennaro Ciccarelli; Raffaele Clemente, socio della Meta Sud; Errico Colucci di Casoria; Tommaso Comunale di Orta di Atella; Domenico Concilio di Giugliano, amministratore della S.Edil Vet; Isidoro Concilio, socio della Concilio group; Roberto Concilio, socio della Concilio group; Anna Immacolata Conte di Orta di Atella; Arturo Conte di Orta di Atella, Paolo D’Alterio, socio della Meta Sud; Nicola D’Ambrosio di Orta di Atella; Annunziata Del Prete di Orta di Atella; Arcangelo Del Prete di Orta di Atella; Stefano Del Prete di Orta di Atella, Vincenzo Del Prete di Orta di Atella; Carmela Costanzo di Orta di Atella; Salvatore Di Costanzo di Orta di Atella; Gennaro Di Gennaro amministratore unico della Caporale srl; Alfonso Di Gorgio di Orta di Atella; Giosuè Di Giorgio di Orta di Atella; Felicia Di Giorgio di Orta di Atella; Irene Di Santillo di Succivo; Teresa Diana di Casal di Principe; Raffaele Elveri di Orta di Atella; Michele Esposito socio della S. Edil Vet.; Adele Ferrante di Succivo, ex dirigente settore Politiche del Territorio del Comune di Orta; Amalia Iannone, comproprietaria della Italia Casa Immobiliare srl; Eduardo Indaco di Orta di Atella; Nicola Iovinella di Orta di Atella, Antonio Marroccella di Ora di Atella, Giovanni Marsilio di Succivo, Rosa Minichino di Orta di Atella; Eleonora Misso di Ora di Atella; Angelo Mozzllo di Orta di Atella; l’ex sindaco Peppe Mozzillo di Orta di Atella; Antonio Oliviero di Ercolano; Achille Pagano di Aversa; Pasquale Palumbo della Old Group; Vincenzo Palumbo di Portici, Raffaele Passariello di San Felice a Cancello; Antimo Pedata della Italia Group Srl; Eugenia Petescia di Santa Maria Capua Vetere; Domenico Raimo§; Claudio Valentino, 62 anni di Casagiove.

Cronache della Campania@2018


Camorra, la cassazione conferma la stangata per l’erede di La Torre

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Confermata la stangata a carico di Simone Invito, considerato dalla Dda uno degli elementi apicali del nuovo gruppo criminale che si era insediato a Mondragone dopo la fine dell’era di Augusto La Torre. La Corte di Cassazione ha infatti respinto il ricorso presentato dall’avvocato del 28enne di Mondragone che era stato condannato in appello a 26 ani di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata alla commissione di estorsione.
Nello stesso processo era stato condannato anche Emanuele Invito, 28 anni, per il quale fu disposta una pena di 4 anni e 2 mesi per possesso di armi aggravato dalla finalità mafiosa. Anche quest’ultimo ha fatto ricorso in Cassazione, sottolineando come l’assoluzione dall’accusa di aver preso parte all’associazione criminale dovesse far cadere anche l’aggravante, ma gli ermellini sono stati chiari.
“La sentenza impugnata – scrivono – ha razionalmente giustificato la sussistenza dell’aggravante, contestata sotto forma di agevolazione mafiosa, ancorandone il necessario elemento soggettivo al tenore delle intercettazioni, dalle quali risulta la piena consapevolezza dell’agente nell’occultamento delle armi per metterle a disposizione del clan La Torre, nel cui ambito il fratello Simone rivestiva un ruolo centrale, condividendone le finalità, facendo corretta applicazione dei principi enunciati al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità”.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Furbetti del cartellino alla Reggia, in sei rischiano il processo

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Furbetti del cartellino alla Reggia, in sei rischiano il processo. Il giudice fissa l’udienza preliminare. I dipendenti fannulloni al bar invece di essere al lavoro. Dalle indagini della polizia era emerso che alcuni dipendenti in servizio alla Reggia di Caserta invece di svolgere il proprio compito andavano a fare shopping o sbrigavano faccende personali. Il ministero dei Beni Cultura applicando la legge Madia li aveva licenziati in tronco senza aspettare l’esito del processo. I sei «furbetti del cartellino» erano accusati di diversi episodi di assenteismo.
Il gup Campanaro del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha fissato l’udienza preliminare nel prossimo marzo quando i dipendenti “infedeli” della Reggia di Caserta sapranno se verranno rinviati a giudizio o meno. L’accusa, per tutti, è quella di truffa aggravata ai danni dello stato per essersi allontanati dal luogo di lavoro.

Cronache della Campania@2018

Faida di camorra a Ercolano: 16 anni di carcere al figlio del defunto padrino

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Ercolano. Da minorenne uccise due persone legate ai nemici del clan Birra durante la sanguinosa faida di Ercolano. Ora a 13 anni di distanza da quel duplice omicidio per Mario Ascione è arrivata la condanna a 16 anni di carcere. Lo ha stabilito il Tribunale per i minorenni di Napoli. Mario Ascione che di anni ora ne ha 30 è recluso da tempo al 41bis perché considerato uno dei reggenti della cosca di Ercolano-Torre del Greco. Il duplice omicidio per il quale è stato condannato è quello di Luigi Boccia e Pasquale Maiorano uccisi il 28 giugno del 2005 in via degli Ulivi nei pressi del casello autostradale di Ercolano. Fu il battesimo di sangue del giovane rampollo del defunto boss Raffaele Ascione o’ luogo. Delitto compito con il cugino Michele, figlio dell’altro boss Mario, e tornato in carcere due giorni fa insieme con altri tre complici per la richiesta di pizzo fatta a un imprenditore edile della zona. Boccia e Maiorano furono uccisi per vendicare la morte di Mario Ascione senior (zio del condannato e padre dell’altro killer) ucciso nel 2003 ad opera di killer del clan Birra con la complicità dei Lo Russo “capitoni” di Miano.

(nella foto i due cugini Mario e Michele Ascione)

Cronache della Campania@2018

Il pentito racconta la faida mancata tra i Casalesi e gli ‘scafatesi’

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Scafati. C’è stato un momento in cui si è rischiato la guerra tra la camorra di Scafati e i Casalesi che si erano già infiltrati nei lavori pubblici della zona prima che Pasquale Aliberti diventasse sindaco di Scafati. Un atto di sfida con l’incendio di un escavatore di una ditta vicina ai Casalesi che stava effettuando dei lavori di pulizia lungo il fiume Sarno tra Scafati e Pompei. La ditta non aveva avuto quello che in gergo camorristico era chiamato come “il pensiero per i carcerati”. Vale a dire la percentuale data al clan locale dal clan la cui ditta si aggiudica l’appalto in un territorio non suo. Lo ha raccontato nelle sue deposizione il pentito Massimo Fattoruso in uno dei suoi incontri con il magistrato della Dda di Salerno, Vincenzo Montemurro. E’ il 5 ottobre scorso e Fattoruso racconta: “Già prima che era sindaco Pasquale Aliberti, mi sembra che all’epoca era consigliere, c’era già stata un’infiltrazione per quanto riguarda i lavori di pulizia del fiume di Scafati: le ditte erano già ditte appartenenti al clan dei Casalesi e ci fu un episodio che ce lo confermò”. Fattoruso racconta che Generoso Di Lauro che all’epoca ‘era un’unica cosa con Saverio Tammaro e Antonio ‘o chiappacane’, referenti del clan Matrone andò a chiedere un’estorsione ad una ditta e intervennero i Casalesi. Fattoruso spiega al magistrato che Di Lauro appiccò il fuoco ad un macchinario della ditta e questo provocò la reazione del clan casertano con il quale gli Aquino-Annunziata mantenevano ottimi rapporti. “Intervennero i Casalesi in quanto quella era una ditta che faceva capo a loro – spiega Massimo Fattoruso – i Casalesi iniziarono a minacciare un po’ il Di Lauro perché.. A parte che non e’ aveva rapporti il Di Lauro con iCasalesi, i Casalesi l’avevano presa come un affronto questa cosa che il Di Lauro aveva bruciato e quindi, il Di Lauro per cercare di sistemare la cosa, si rivolse anche ad Aquino Raffaele (ritenuto uno dei capi del clan Aquino-Annunziata,ndr) perchè noi comunque avevano un buon rapporto con i Casalesi. Io c’ho fatto la latitanza a Casal di Principe, e quindi si cercò di sistemare la cosa. I Casalesi stavanocomunque, nel torto perché, non avevano contattato nessuno del paese, quindi stavano nel torto e a quel punto, fanno diciamo, il pensiero ai carcerati per il danno a Di Lauro, ma da mandare al Matrone, perché per loro il referente su Scafati era Matrone, non era certo il Di Lauro. Gli Aquino su Scafati, in quel periodo là, diciamo, comandavamo nel senso, sul mercato della droga. Il mercato della droga lo fornivamo noi a Scafati, però per quanto riguardava quell’epoca là Per quanto riguarda invece, gli appalti, quelle cose là, in quel momento era Franchino Matrone”.

 

(nella foto il boss Franchino matrone a belva al momento del suo arresto e nel riquadro il pentito Massimo Fattoruso)

Cronache della Campania@2018

Bimbi picchiati all’asilo, le 4 suore chiedono lo sconto di pena

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Si terrà tra pochi giorni l’udienza del processo a carico delle quattro suore indagate per i maltrattamenti ai danni dei bambini dell’asilo che frequentavano la scuola paritaria Santa Teresa del Bambin Gesù di San Marcellino. Dopo che il gip aveva disposto il giudizio immediato, l’avvocato della madre superiora (76 anni di Aquilonia) e delle altre ‘sorelle’ (filippine ed indonesiane) ha scelto il rito abbreviato (che prevede lo sconto di pena di un terzo) per le sue assistite, che sono attualmente sospese dall’insegnamento fino a maggio 2019. L’udienza si terrà davanti al gip Paone del tribunale di Napoli Nord.
La vicenda, scoppiata a giugno di quest’anno dopo l’operazione dei carabinieri, ha creato un grande scalpore a San Marcellino visto che la scuola paritaria affidata alle educatrici cattoliche era molto conosciuta. Ad incastrarle ci sono numerosi video in cui si vedono chiaramente le aggressioni ai bambini durante l’orario scolastico. In un’occasione, addirittura, un bambino finisce a terra accanto alla scrivania della suora dopo essere stato colpito.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

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