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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Ucciso per errore dal clan Belforte: 70 anni di carcere

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Ammazzato per errore dal clan Belforte: la sentenza del gup Piccirillo del Tribunale di Napoli per l’omicidio di Vittorio Rega. Tre le condanne: Pasquale Cirillo 30 anni, Antonio Bruno 20 anni e Salvatore Belforte 20 anni. Si tratta un delitto commesso 22 anni fa. La vittima fu uccisa per errore. Vittorio fu ammazzato perché guidava la stessa vettura di Giovan Battista Tartaglione il vero obiettivo del clan Belforte. Nel collegio difensivo gli avvocati Alessandro Barbieri e Franco Liguori.
Belforte che non è più collaboratore era presente e difeso da un avvocato d’ufficio.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018


Circuisce una giovane donna ricca e spende 850mila nel gioco: arrestato napoletano a Faenza

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Un 43enne originario di Napoli ma residente a Faenza, nel Ravennate, è stato arrestato dalla guardia di Finanza con l’accusa di circonvenzione di incapace nei confronti della convivente, di 17 anni più giovane di lui, con un cospicuo patrimonio sia liquido che immobiliare e segnata da un certo disagio personale, tanto da trovarsi sotto amministrazione di sostegno. L’indagine, coordinata dal Pm Marilù Gattelli approdata all’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip Janos Barlotti, è partita proprio da una dettagliata querela dell’amministratore. Secondo le verifiche della Fiamme Gialle, il 43enne, segnato dal vizio del gioco e senza fonte di reddito dal 2012, dopo essersi legato nel 2017 alla donna, sfruttando le sue debolezze si è appropriato di denaro con prelievi dai conti correnti: soldi – per l’accusa – che il 43enne poi spendeva perlopiù in sale giochi o in scommesse on line: è emerso che in sette anni ha realizzato giocate per circa 850 mila euro, con un passivo di quasi 55 mila euro. Questo, attraverso vari conti-gioco a lui intestati, mentre altri risultano essere stati aperti anche a nome della convivente. Da ultimo il 43enne aveva usato come propri alcuni immobili della donna: lì aveva stabilito la dimora, tentando infine di convolare a nozze per ottenere, secondo gli inquirenti, vantaggi economici dalla conseguente comunione dei beni.

Cronache della Campania@2018

Nicola Schiavone per la prima volta in video-collegamento parla in tribunale contro Michele Zagaria

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Schiavone si è presentato in video collegamento ed ha risposto alle domande del p.m. Belluccio in cui, principalmente, ha spiegato i motivi che lo hanno portato ad avviare il suo percorso di collaborazione con la giustizia, iniziato lo scorso mese di luglio. Schiavone ha parlato di una spaccatura all’interno della sua famiglia in seguito alla quale ha deciso di iniziare a collaborare con la giustizia perché “non volevo fare più questa vita”, ha detto in aula, ribadendo la sua volontà di voler dare un futuro diverso ai suoi figli.
Il rampollo di casa Sandokan ha anche ripercorso il suo passato criminale partendo dal 1999, quando ha fondato un gruppo criminale autonomo. Successivamente Schiavone è entrato nelle fila del clan. Un ingresso senza la cerimonia d’affiliazione, fatta di sangue, santini e formule ben precise, sia perché era figlio del capoclan sia perché i tempi erano cambiati ed il cerimoniale d’ingresso nella camorra era ormai superato. Dopo l’arresto dello zio, Francesco Schiavone, Schiavone jr, secondo quanto da lui stesso ammesso, ha assunto un ruolo via via più apicale fino alla leadership, condivisa con Nicola Panaro che però aveva meno “libertà di movimento” essendo latitante.
Il primo contatto con Zagaria, secondo il racconto del neo collaboratore di giustizia, avviene nel 2001 in merito a problemi relativi agli interessi della gestione di un distributore di benzina. E sull’omicidio di Michele Iovine, referente del clan a Casagiove e nei comuni limitrofi, Schiavone ha spiegato che fu Zagaria ad ordinarlo per “punirlo” per alcuni raid incendiari ai danni di imprenditori vicini a Capastorta. Il processo è stato dunque rinviato alla fine di gennaio.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Inquieto, l’uomo accusato di riciclaggio per conto di Zagaria, lancia accuse al pentito di Cosa Nostra

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Nicola Inquieto, l’uomo accusato di riciclaggio per conto di Zagaria, lancia accuse al pentito di Cosa Nostra,Fabio Lanzafame. L’imprenditore di Casapesenna trasferitosi in Romania prende la parola in aula ed accusa il pentito di Cosa Nostra che ha deposto contro di lui.
E’ quanto accaduto nel corso dell’udienza celebrata al tribunale di Napoli Nord nel processo che vede imputato Nicola Inquieto, difeso dagli avvocati Nicola Marino e Giuseppe Stellato, accusato di camorra, ed in particolare di aver riciclato i soldi del boss Michele Zagaria nelle sue attività in Romania.
Inquieto, a margine dell’udienza, ha rilasciato dichiarazioni spontanee accusando Fabio Lanzafame di essere poco credibile nell’aver formulato accuse contro di lui. Nel corso della precedente udienza, infatti, Lanzafame, ritenuto vicino alla cosca catanese dei Santapaola, ha fatto riferimento alle attività di Inquieto ed a cessioni di crediti per il gioco delle scommesse, con rapporti tra i clan siciliani e quello dei Casalesi. Secondo la tesi difensiva, però, le dichiarazioni di Lanzafame sarebbero motivate da un contenzioso economico tra il siciliano ed Inquieto.
Nel corso del processo, intanto, è stato sentito, come testimone della difesa, Antonio Inquieto, fratello dell’imputato. Il processo è stato rinviato alla prossima settimana.

Cronache della Campania@2018

Rogo città della scienza, la corte d’appello assolve il custode. In primo grado era stato condannato a sei anni

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Napoli. Assolto il custode di Città della scienza a processo per il rogo e accusato di incendio doloso: ribaltata la sentenza di primo grado. La terza sezione della Corte di Appello di Napoli ha assolto Paolo Cammarota, il custode di Città della Scienza che era stato condannato in primo grado a sei anni, perchè ritenuto dalla Procura il responsabile del devastante rogo che il 4 marzo del 2013 ha distrutto buona parte della struttura di Bagnoli, nella zona occidentale di Napoli. Il 7 maggio era stata chiesta la conferma della condanna dal Procura Generale che aveva ricostruito la vicenda; ma i giudici di secondo grado hanno ribaltato il verdetto che fu emesso con rito abbreviato il 2 dicembre del 2016. Fondazione Idis-Città della Scienza, che si era costituta parte civile, rappresentata dal penalista Giuseppe De Angelis, prende atto della decisione, “ma siamo certi la Procura svilupperà ulteriori indagini per individuare l’autore di un evento che la lasciato per molto tempo una cicatrice sul volto della citta’ di Napoli”, fa sapere. “Paolo ha accolto la notizia urlando di gioia, ora ha gli occhi gonfi di lacrime per la contentezza”, raccontano gli avvocati Luca Capasso e Antonio Tomeo. “Cammarota ha sempre creduto nella giustizia e sapeva che prima o poi la verita’ sarebbe venuta a galla. Oggi per lui inizia una nuova vita”, aggiungono.

Cronache della Campania@2018

‘Il boss si sta collaborando e ha preso le distanze dai Casalesi’. Annullata l’ordinanza

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La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare a carico di Francesco Schiavone per l’omicidio di Giuseppe Quadrano, avvenuto il 7 luglio del 1996 in un bar di San Cipriano d’Aversa. Per il delitto del postino, parente di un collaboratore di giustizia, fu emessa un’ordinanza anche a carico di Francesco Schiavone Sandokan.
Ad accusarli diversi pentiti, tra cui Nicola Panaro che ha già confessato di essere stato l’autore materiale dell’omicidio, affermando che lo stesso era stato deciso nel corso di un summit di camorra a cui avevano partecipato Domenico Bidognetti e Francesco Schiavone Cicciariello.
La novità sostanziale, di cui hanno tenuto conto i magistrati, è la “dissociazione” di Schiavone dal clan dei Casalesi e la sua conferma alle indagini della Dda, seppur scaricando le colpe sul cugino Sandokan, indicandolo come colui che aveva preso la decisione di eliminare i parenti dei collaboratori e che lui si era opposto.
Proprio questo aspetto ‘collaborativo’ (almeno in parte) è stato alla base del ricorso dell’avvocato difensore che è stato accolto dalla Cassazione che ha annullato l’ordine d’arresto (sottolineando come, comunque, la decisione non avrebbe portato alla scarcerazione del boss, che sta scontando l’ergastolo) col contestuale rinvio degli atti al Riesame (che in un primo momento aveva confermato l’arresto).

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

‘Mi manda zi Dantuccio’: il consigliere Polichetti a caccia di voti nel nome del boss di Cava de’ Tirreni

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Cava de’ Tirreni. “Ci manda zi Dantuccio”: il consigliere Polichetti a caccia di voti in nome del boss, in cambio il pregiudicato avrebbe ottenuto posti di lavoro attraverso una cooperativa per ex detenuti. Questo il patto elettorale tra Enrico Polichetti, ex consigliere e assessore cavese e Dantuccio Zullo, il boss cavese con la passione per i cavalli. Secondo l’antimafia il consigliere Enrico Polichetti fu eletto anche grazie all’appoggio del boss Zullo e dei suoi familiari, in cambio il politico promise al suo ‘speciale supporter’ di far lavorare attraverso una cooperativa ex detenuti nell’ambito dei servizi comunali. La procura antimafia di Salerno ha dichiarato concluse le indagini per scambio di voto nei confronti dell’ex consigliere e assessore della Giunta del sindaco Vincenzo Servalli, finito al centro di un’inchiesta coordinata dal pubblico ministero Vincenzo Senatore. Il boss e il politico sono indagati insieme ad Antonio Santoriello, nipote di Dante Zullo per averne sposato la nipote Elvira, che si prestò a far incontrare il candidato al consiglio comunale nelle amministrative del 2015 con Dantuccio all’interno della scuderia di Zullo per stringere il patto pre-elettorale. Inoltre, nell’inchiesta – coordinata dalla Dda e curata dagli uomini della sezione Dia di Salerno – è finito anche Angelo Trapanese, cavese 65enne, funzionario del Comune di Cava de’ Tirreni, accusato – in concorso con Polichetti – di abuso d’ufficio aggravato dalla circostanza di aver agevolato un’associazione di stampo camorristico per l’organizzazione di un evento culinario, la festa della pizza, nel settembre del 2016.
I quattro difesi dagli avvocati Teresa Sorrentino, Marco Salerno e Alfredo Messina dovranno difendersi da pesanti accuse.
Con l’avviso di conclusione delle indagini, il pubblico ministero Vincenzo Senatore ha formalizzato il capo di imputazione nei loro confronti e ricostruito le vicende che hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati del politico cavese della frazione S. Lucia, del ras e dei loro complici. Secondo la ricostruzione fatta attraverso le indagini di carabinieri e Dia di Salerno, nel marzo del 2015 Antonio Santoriello, marito di Elvira Zullo, nipote di Dantuccio avrebbe accompagnato Enrico Polichetti presso la scuderia di Dantuccio: “Cumpà ci sta Enrico che tene bisogn dei voti” avrebbe detto Santoriello e Zullo si mise a disposizione: “Qual è il problema. Stiamo qua… te li faccio avere io i voti non ti preoccupare”. Santoriello poi assicurò a Zullo che “tenendo Enrico là quello che ci serve putimm avè”. Fu il politico, poi a prospettare, a Dantuccio Zullo la costituzione di una cooperativa per ottenere dei lavori dal Comune di Cava de Tirreni: “poi possiamo fare, una volta sopra al Comune, una cooperativa per ex detenuti per controllare tutti i lavori necessari per il Comune”.
Quello fu solo il primo incontro, secondo gli inquirenti, che hanno raccolto testimonianze e dichiarazioni nel corso delle indagini. Poi ne seguirono altri, quasi tutti avvenuti nelle frazioni di Santa Lucia e San’Anna a Cava de Tirreni, la zona controllata dal boss. Poi iniziò la campagna elettorale e Polichetti insieme al suo accompagnatore Santoriello batterono le due frazioni collinari di Cava a caccia di voti: “Ci manda zi dantuccio” questa la parola d’ordine, accompagnata dalla consegna del ‘santino elettorale’ che doveva spingere gli elettori di quelle zone a votare per Enrico Polichetti.
Ma queste non sono le sole accuse che sono formalizzate nei confronti di Polichetti. Nel procedimento istruito dalla Dda si contesta all’assessore anche l’accusa di abuso d’ufficio aggravato dall’aver agevolato l’organizzazione mafiosa di Zullo. Secondo l’accusa, Polichetti, in combutta con il funzionario comunale Angelo Trapanese, avrebbe consentito lo svolgimento di una manifestazione culinaria – la Festa della Pizza – con il patrocinio del Comune di Cava, attraverso autorizzazioni ‘carpite’ al sindaco Vincenzo Servalli. L’evento fu fatto senza nulla osta e senza alcuna richiesta di autorizzazione depositata al comune. Un carteggio a ‘mano’ che permise all’associazione Promocava di fare la manifestazione ottenendo un vantaggio patrimoniale e gravi danni nei confronti dell’amministrazione comunale.
Secondo l’antimafia, l’associazione che promosse l’iniziativa era riconducibile a Dante Zullo, tanto che tra i partecipi c’erano Vincenzo Porpora – direttamente interessato all’organizzazione della ‘Festa della pizza’ e proprio a settembre coinvolto insieme a Zullo in un’altra inchiesta per droga e estorsioni, e Carlo Lamberti, delegato per il servizio d’ordine. L’evento si tenne, aggirando tutte le regole e la prassi comunale grazie all’interessamento di Enrico Ppolichetti, nel settembre del 2016.
L’evento ottenne il patrocinio del Comune di Cava, senza che la giunta firmasse il provvedimento, ed inoltre la Promocava ebbe un grosso sconto, circa 16mila euro, sulla tassa da pagare per l’occupazione di suolo pubblico, grazie alla falsa comunicazione sullo spazio effettivamente occupato dalla manifestazione.
Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Lavori mai eseguiti all’Asl Napoli 3 Sud da ditte vicine ai Casalesi: 12 indagati

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La Dda di Firenze ha chiuso le indagini sugli appalti della Asl Napoli Sud di Torre Annunziata: dodici gli indagati, dieci accusati anche di associazione per delinquere. Coinvolte anche societa’ con sedi in Toscana. Secondo le indagini della Guardia di finanza, i lavori finivano a imprenditori vicini ai clan dei ‘Casalesi’, grazie alla complicita’ del ‘controllore’, cioe’ un funzionario della Asl 3 di Napoli Sud. I lavori venivano infatti appaltati ma mai eseguiti, secondo le accuse, da societa’ con sede in Toscana e Campania, molte delle quali “apri e chiudi” ed intestate a prestanome, attraverso turbative d’asta attuate con “accordi di cartello”. Oltre 50 commesse della Asl 3 di Napoli Sud, per un valore di 6 milioni, per lavori di somma urgenza e “cottimi fiduciari”, banditi per importi al di sotto di valori soglia oltre i quali sarebbe stato necessario imbastire formale gara di appalto, nel mirino dell’inchiesta.

Cronache della Campania@2018


Schiavone jr chiamato in aula a testimoniare contro sindaci e patron del centro commerciale Jambo

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I giudici accolgono la richiesta della Dda: oggi ascoltato un consulente della Procura
Dovrà parlare in collegamento video nel processo a sindaci ed al patron del centro commerciale Jambo il neo collaboratore di giustizia Nicola Schiavone, figlio del capoclan dei Casalesi, Francesco Schiavone Sandokan. Lo ha deciso il collegio davanti al quale si sta svolgendo il processo a carico di Alessandro Falco, l’ex sindaco di Trentola Ducenta, Michele Griffo; Nicola Pagano e Nicola Picone.
La decisione è stata ufficializzata oggi, dopo che il magistrato della Dda Maurizio Giordano aveva già depositato i verbali nei quali Schiavone junior parla degli interessi di Michele Zagaria nel centro commerciale di Trentola Ducenta e delle sue “facili entrature” nella casa comunale per ottenere favoritismi da parte delle amministrazioni comunali.
Oggi, intanto, è stato ascoltato un dirigente della Banca d’Italia che era stato incaricato dalla Procura di accertare tutte le movimentazioni bancarie della famiglia Falco e delle società che gestivano. E’ stato interrogato solo dal pubblico ministero della Dda, mentre alla prossima udienza ci sarà il controesame da parte degli avvocati difensori.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Omicidio Dallarino: emessa la sentenza di secondo grado per Domenico Belforte e Gennaro Buonanno

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Marcianise E’ stata confermata la sentenza di primo grado per l’omicidio Dallarino, che vedeva imputati il boss Domenico Belforte e Gennaro Buonanno.
Entrambi hanno incassato la pena di 30 anni anche in secondo grado, condanne sancite dalla Corte d’Assise d’Appello di Napoli. Pasquale Dallarino fu ucciso il 17 luglio 1997 a Marcianise. Considerato vicino al clan Piccolo, era addetto alla raccolta delle estorsioni per la cosca.

Cronache della Campania@2018

Scandalo Sanità a Napoli: sequestrati anche una ventina di Rolex agli indagati

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I finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli hanno sequestrato anche una ventina di orologi di particolare pregio, tra cui molti Rolex, nell’abitazione di Vincenzo Dell’Accio, l’imprenditore coinvolto insieme con una dirigente dell’Asl Napoli 1 Centro, alcuni suoi familiari e un loro stretto collaboratore, nell’inchiesta sugli appalti ‘truccati’ riguardanti prevalentemente forniture elettromedicali per l’Ospedale del Mare di Napoli e i presidii della stessa Asl. Il valore degli orologi e’ stato stimato in qualche centinaia di migliaia di euro. I finanzieri, ieri, hanno messo i sigilli a beni mobili e immobili riconducibili alle sei persone arrestate, per circa 800mila euro.

Cronache della Campania@2018

Don Michele Barone a processo per lesioni e violenza su minore. Don Aversano: “Non poteva praticare esorcismo”

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Don Michele Barone a processo per lesioni e violenza su minore. Ultime notizie, il commento di Don Aversano: “Non poteva praticare esorcismo”, il commento degli avvocati
Don Michele Barone a processo per lesioni e violenza su minore: il sacerdote dei vip è stato arrestato per maltrattamenti su ragazze minorenni, utilizzando la pratica dell’esorcismo per adescarle. Nelle ultime settimane ha voluto chiarire a più riprese di non essere un esorcista, ma dalle indagini emerge ben altro. Carlo Aversano, esorcista di Caserta, ha commentato ai microfoni di Storie Italiane: “Un prete in galera non fa piacere a nessuno, speriamo che si sappia prima o poi quello che è successo. Le accuse sono pesantissime, siamo dispiaciuti che lui usava l’esorcismo che non poteva praticare. Qualcuno si era lamentato, ma come fai a dare credito a chi accusa un confratello? Alcune cose non erano proprio accettabili: non poteva fare esorcismo, non aveva alcun diritto”. E a proposito dell’accusa di violenza sessuale su minorenni: “Si sta indagando su questo, speriamo venga fatta chiarezza perchè questa povera chiesa ne sta perdendo molto su questa vicenda”.
Il processo va avanti ed è emerso che don Michele Barone abbia ordinato l’interruzione delle cure mediche su una ragazzina, evidenziando che fosse indemoniata, dettaglio non risultato assolutamente veritiero. Presenti in studio gli avvocati del sacerdote, che hanno commentato: “Il parroco è sottoposto a processo per lesioni e altri reati, don Michele non ha mai fatto esorcismi: le due pratiche sono tra loro sovrapponibili, la differenza è minimale rispetto a una preghiera di guarigione”. E a proposito dell’aver tolto i farmaci alla ragazza: “Non è vero che abbia interrotto le cure mediche, ma anzi chiese che queste fossero farmacologiche: chiese ai familiari che le cure fossero coordinate, sottolineando che l’interruzione avrebbe avuto conseguenze”.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

In Appello chiesta la conferma dalla condanna per Giosuè Ruotolo

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La Corte d’Assise d’Appello di Trieste, presieduta da Igor Maria Rifiorati, ha rigettato la richiesta di riaprire l’istruttoria avanzata dai difensori nel processo d’appello a carico di Giosue’ Ruotolo, gia’ condannato a 30 anni di reclusione in primo grado per il duplice omicidio di Trifone Ragone e della fidanzata Teresa Costanza, assassinati il 17 marzo 2015 nel parcheggio del palasport di Pordenone. Ruotolo, che assiste all’udienza, continua a dichiararsi innocente. La richiesta dei difensori, qualora fosse stata accolta, avrebbe in un certo senso riaperto la vicenda dal punto di vista giudiziario. L’annuncio della Corte e’ arrivato dopo una Camera di Consiglio durata oltre due ore. Soddisfatte le parti civili. L’udienza e’ proseguita con la requisitoria del Procuratore generale. Seguiranno le parti civili e poi la difesa dell’imputato. In aula anche i familiari delle vittime.  Negata una nuova istruttoria, il processo d’appello per Giosue’ Ruotolo e’ proseguito con la requisitoria del procuratore generale Carlo Sciavicco che per oltre tre ore ha ricostruito testimonianze e perizie che hanno portato all’incriminazione e alla condanna in primo grado del giovane militare campano. Al termine ha chiesto la conferma della sentenza emessa nel novembre dello scorso anno: ergastolo e due anni di isolamento diurno. Gia’ fissate le date per le altre due prossime udienze d’appello: 7 dicembre per la discussione e altri interventi e 18 gennaio 2019 per le repliche della difesa di Ruotolo. Richiesto di un parere sulla requisitoria, l’avvocato Roberto Rigoni Stern, che assieme al collega Giuseppe Esposito difende l’imputato, ha parlato di “argomentazioni che non hanno dimostrato la presenza di Ruotolo sulla scena del delitto”.

Cronache della Campania@2018

Ucciso di botte in carcere perché accusato di pedofilia, la Procura vuole chiedere la rogatoria per l’unico testimone oculare

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Aversa. Ucciso di botte in carcere perché accusato di pedofilia, la Procura vuole chiedere rogatoria per l’unico testimone oculare. Il pubblico ministero della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere vuole portare in aula l’unico testimone oculare dell’omicidio di Cibati Seiano, ammazzato di botte all’interno dell’Opg di Aversa nel 2011. Dopo che il consulente ha confermato la capacità di stare in giudizio degli imputati, dichiarati parzialmente capaci di intendere e volere al momento del fatto, tutto ruota attorno alle dichiarazioni del testimone rumeno che è stato rintracciato in Francia e che ora la Procura vuole sentire in aula. La Corte si è riservata ed ha rinviato l’udienza a gennaio. Alla sbarra ci sono Attilio Ravizzola, Cosimo Damiano Stella, Alessandro Basile, Fabrizio Aureli e Massimo Maiorano tutti accusati di aver picchiato, causandone la morte, il detenuto. L’aggressione scattò perché, secondo la ricostruzione, nell’Opg si era sparsa la voce che la vittima era un pedofilo.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Simulavano i furti di furgoni noleggiati e li rivendevano nell’Est Europa: 12 alla sbarra

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Chiusa l’istruttoria dibattimentale del processo che vede imputate 12 persone accusate, a vario titolo, di rapina, simulazione di furti di furgoni noleggiati e rivenduti nei paesi dell’Est Europa. Un processo che vede alla sbarra Antonio Negro di Recale, Mauro Ramaglia, Antonio Nacca di Caserta, Mario Gravante di Recale, Pasquale Merola di Marcianise, Nicolina Sticco di Santa Maria Capua Vetere, Stjepan e Ivan Baricevic, Pedrag Djordjevic, Antonio Di Laora, Carlo Storace ed Elisabetta Bordogna, che avrebbero messo su una banda per ricettare veicoli noleggiati, oltre alla commissione materiale di rapine. Il processo è stato poi rinviato alla fine di maggio. Nel collegio difensivo fanno parte, tra gli altri, gli avvocati Davide Orefice ed Andrea Piccolo. Un altro indagato, Michele Della Medaglia di Capodrise, è stato già condannato in primo grado con rito abbreviato a 12 anni. I reati contestati agli imputati sono stati commessi nei comuni di Capodrise, Marcianise e Caserta.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018


Le parole di Schiavone junior fanno tremare il clan:’Ecco come Zagaria si è preso Caserta’

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Caserta. Le parole di Schiavone nel processo sul delitto di Michele Iovene da parte di Michele Zagaria fanno tremare il clan. “L’omicidio di Michele Iovine è stato uno spartiacque, lui era il referente del clan su Caserta e paesi limitrofi. Era un lontano di Antonio Iovine, ma Zagaria disse che c’erano stati problemi con i lavori a Caserta e anche attentati incendiari nei cantieri”, il referente casertano dei Casalesi, per Michele Zagaria, anche a costo di rompere l’alleanza doveva morire: era necessario per prendersi il capoluogo campano e chiudere il cerchio.Schiavone, figlio di Sandokan, chiamato a testimoniare proprio nel processo su quel delitto, quando era ancora libero non rilasciò dichiarazioni dal momento che non aveva intenzione di stravolgere gli equilibri dell’organizzazione criminale.

Dalle testimonianze del collaboratore di giustizia si evince che Nicola Panaro, il cugino proprio di Schiavone diede inconsapevolmente il consenso a Zagaria che sorprese tutti facendo un agguato pianificato dai suoi uomini di fiducia. “Voleva piazzare a Caserta persone di fiducia in modo che a noi non arrivassero informazioni sui lavori nella zona” ha spiegato Schiavone ai magistrati della Dda. Così, dieci anni fa, Zagaria si prese pure il capoluogo con una scalata che ha l’ha portato a insinuarsi in politica, sanità e imprenditoria. In realtà la direzione distrettuale antimafia aveva già individuato in “Capastorta” come colpevole dell’omicidio Iovine del 28 Gennaio 2008, all’epoca dei fatti, proprio Michele Iovine ricopriva il ruolo di capo zona del territorio di Caserta e dintorni ed era il capo di un gruppo con la competenza di estorsioni, sotto l’egida della famiglia degli Schiavone.

Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Antonio Iovine e Nicola Panaro hanno costituito il materiale probatorio ed hanno riferito ciò che hanno appreso da Michele Zagaria, durante i loro incontri prima e dopo l’omicidio, anche le attestazioni di Attilio Pellegrino e Massimiliano Caterino convergono queste testimonianze. Da come si evince dalle dichiarazioni rilasciate dai pentiti, la volontà di Zagaria era quella di eliminare Michele Iovine che dopo la scarcerazione voleva riprendere possesso delle sue mansioni estorsive, molte volte rivolte contro imprenditori o parte della fazione dello stesso Zagaria.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Quaranta anni di carcere per la banda di rapinatori di Scampia che assaltava banche e uffici postali nell’Agronocerino

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Pesanti condanne per la banda di rapinatori di Scampia che negli anni scorsi aveva compiuto una serie di rapine a uffici postali e banche dell’agro nocerino. I giudici del Tribunale di Nocera Inferiore (presidente Anna Allegro) hanno condannato Salvatore Di Tota, a 7 anni e 4 mesi di carcere, i fratelli Giovanni e Sabatino Perrotta, a 9 anni di reclusione, il 30enne Nicola Scotto, a 8 anni e il sarnese Pasquale Robustelli, a 7 anni. Assolti Salvatore Pappagallo e Carmine Giordano. L’altro sarnese, Ferdinando Manzo, era stato condannato in primo e secondo grado, con rito abbreviato. Fu proprio lui, non avendo ricevuto soldi dopo una rapina, a raccontare ai magistrati tutta la verità su quella banda di rapinatori che nel 2015 partendo da Scampia e grazie alla sua conoscenza del territorio che furono messi a segno una serie di colpi. Le rapine furono commesse all’ufficio postale di Sarno, che fruttò circa 20mila euro, alla Banca Popolare dell’Emilia Romagna di Roccapiemonte, ma il bottino fu di appena 1000 euro. E ancora un fallito colpo a San Marzano sul Sarno. Il gruppo spesso usava pistole finte e parrucche, prendeva in ostaggio i dipendenti di uffici postali e banche. La base logistica era una casa a Sarno, di uno degli imputati.

 

Cronache della Campania@2018

Due delitti di camorra: 118 anni di carcere per 5 killer dei Casalesi

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La Corte di Cassazione chiude il procedimento giudiziario per due omicidio commessi nell’ambito della faida interna al clan dei Casalesi, confermando quasi in toto la condanna emessa dalla Corte d’Appello di Napoli, accogliendo solo in parte il ricorso di un imputato che ottiene uno sconto di pena di due anni. Ufficializzate dunque le sentenze a 30 anni per Giovanni Letizia, 38 anni di Aversa, e Franco Letizia, 41 anni di Aversa; 22 anni per Nicola Verolla, 62 anni di Lusciano; 12 anni per Antonio Verde, 38 anni di Aversa; 24 anni per Luigi Grassia, 45 anni di Casal di Principe (che ha ottenuto lo sconto di due anni).
Il procedimento giudiziario riguarda due agguati di camorra avvenuti tra il 2001 ed il 2002 a Villa Literno e Castel Volturno che hanno causato la morte di Augusto Negri e Carmelo Giardina. Secondo quanto ricostruito l’omicidio di Negri fu una vendetta contro gli scissionisti di Cesare Tavoletta, che aveva importunato la convivente di uno della famiglia Bidognetti, ma anche da alcune iniziative concorrenziali nel traffico di droga che non erano state “gradite” dal gruppo del boss. L’agguato fu preparato in una masseria e realizzato nel piazzale della stazione ferroviaria di Villa Literno. L’omicidio di Carmelo Giardina, invece, avvenne nel gennaio 2002 in un bar di Castel Volturno: la vittima fu colta di sorpresa dai killer che si erano appostati in un’area retrostante un altro locale vicino a quello della vittima. Lo stesso procuratore generale aveva presentato ricorso contro le assoluzioni di Giosuè Fioretto (55 anni di Napoli) ed Armando Letizia (65 anni di Casal di Principe), ma entrambe le assoluzioni sono state confermate dai magistrati.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Camorra, il ras picchiò un ragazzo che aveva ‘osato’ passare di notte sotto il suo balcone nonostante il divieto. IL RACCONTO DEL PENTITO

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Marano. Non era solo uno degli esattori del racket del clan Orlando e gestore della piazza di spaccio a Quarto per conto della cosca dei Carrisi ma era anche un personaggio irascibile e violento. Antonio Agrillo, arrestato il mese scorso insieme con Celestino De Fenza per una tangente dalla ditta che stava ristrutturando il parco Amelia a Marano. A delinearne  la sua figura di camorrista sono stati i pentiti ma più di tutti uno degli ultimi in ordine di tempo della cosca, ovvero Giacomo Di Pierno che in un recentissimo verbale datato 16 giugno del 2018 spiega: “… il 31 dicembre del 2016 si è sposato un membro importante degli Orlando e Agrillo Antonio, benchè agli arresti domiciliari andò al matrimonio ed infatti lo incontrai fuori dalla mamma al suo rientro, presso la casa ove ero andato a cercarlo. Preciso che il predetto Agrillo fu arrestato solo quando, violando dagli arresti domiciliari, scese giù il portone e picchiò un ragazzo, lui ed altre due persone. La vittima, dopo aver denunciato, andò poi a ritrattare in caserma per paura. Agrillo mi raccontò che per un dissidio avuto con il ragazzo o con il padre, aveva impedito ai predetti di passare per il “suo” quartiere, quella sera la vittima pensando che alle tre di notte Agrillo dormisse, passò sotto al suo palazzo, il predetto scese ed insieme ad altri due soggetti di cui non ricordo il nome, con le mazze da baseball picchiarono ferocemente il ragazzo per oltre 15 minuti, come mi raccontò Agrillo, vantandosi di tale azione. La vittima dopo disse che i suoi aggressori erano incappucciati, cosa non vera…”. Sulla figura di Agrillo trafficante di droga, il pentito Di Pierno ha spiegato nello stesso verbale: “… fino al giorno prima del mio arresto ho continuato ad acquistare per lo più cocaina sempre dal gruppo di …..omissis…, Agrillo e …..omissis…, i quantitativi, però cercai di ridurli, non più 100 grammi ma 50 grammi. …..omissis… Agrillo e …..omissis…, si fanno aiutare da Tonio o’ Ciacio che è il cognato di Agrillo e da tale Carletto che sposta la droga nella gestione della piazza di spaccio di Quarto, il venditore è tale Giovanni che abita e vende di fronte la mia abitazione al civico 23 ed è, oggi, agli arresti domiciliari. Tutti i predetti gestiscono la piazza di droga, di hashish e marijuana – la cocaina non la vendono a Quarto per scelta criminale come poi vi dirò – che fa capo alla famiglia Orlando/Nuvoletta ai quali ogni mese portano dalla piazza di Quarto 6000,00 euro. Vi spiegherò in dettaglio che per lungo tempo a Marano la cocaina non ne era permessa la vendita, nel corso di un incontro che ho avuto a casa della mamma di Antonio Agrillo ove il predetto era agli arresti domiciliari, era febbraio o marzo 2017, Lubrano Armando ed altre persone del clan che poi vi dirò, mi disse che avevano scelto di reintrodurre la cocaina perchè con il “passaggio di testimone” tra i Polverino e gli Orlando/Nuvoletta, quest’ultimo gruppo in quanto egemone si era dovuto accollare le spese per il mantenimento di tutti i carcerati…”.

 Rosaria Federico

@riproduzione riservata

Cronache della Campania@2018

La Corte di Cassazione di Bucarest concede la proroga chiesta dalla Dda per Nicola Inquieto

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Nicola Inquieto resta in Italia per altri sei mesi. La Corte di Cassazione di Bucarest ha respinto il ricorso presentato da parte dell’imprenditore di Casapesenna, accusato di camorra ed in particolare di essere vicino al boss Michele Zagaria, concedendo la proroga di ulteriori 6 mesi della consegna temporanea alle autorità italiane chiesta dalla magistratura antimafia. Secondo quanto si apprende dal breve dispositivo della Suprema Corte romena il ricorso, presentato contro la decisione della corte d’Appello di Pitesti, è stato respinto in quanto infondato. Una boccata d’ossigeno per la Dda che ha tutto l’interesse a completare l’iter giudiziario, almeno di primo grado, prima della riconsegna di Inquieto alla giustizia romena. L’imprenditore, in virtù di un mandato di arresto europeo spiccato nei suoi confronti in seguito ad un’inchiesta della Dia sul presunto reinvestimento di capitali del boss Zagaria in Romania, venne consegnato alle autorità italiane in via temporanea con la scadenza fissata al prossimo mese di dicembre. Per questo la Dda aveva chiesto una proroga di ulteriori sei mesi che era stata concessa e su cui pendeva il ricorso che oggi è stato respinto.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

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