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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Inchiesta sugli incendi al Vesuvio: indagati due dirigenti regionali

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Un vero e proprio disastro ambientale quello che si consumò la scorsa estate. Era luglio del 2017, oltre 100 gli ettari andati in fumo. Il fuoco colpì il cuore del Parco Nazionale del Vesuvio con effetti e conseguenze che si notano ancora oggi. A poco più di un anno da quei roghi appiccati da criminali la Procura della Repubblica di Napoli iscrive nel registro degli indagati due alti dirigenti della Regione Campania. Per loro i pubblici ministeri ipotizzano gravi reati. A dirlo è l’edizione odierna de “il Mattino”. Ad essere coinvolti sono l’attuale dirigente del Servizio Generale per la Protezione Civile, Massimo Pinto, ed il suo predecessore Italo Giulivo. Ai due professionisti i magistrati della sezione Ambiente e Territorio della Procura di Napoli contestano il concorso in incendio colposo, devastazione colposa ed abuso d’ufficio. Secondo la Procura questi reati si sarebbero registrati proprio nei giorni in cui il Vesuvio si trasformò in un vero e proprio inferno. La domanda alla quale la Procura vuole una chiara risposta per comprendere l’eventualità del coinvolgimento dei funzionari è se i due dirigenti della Regione operarono con la massima diligenza e fecero quanto era nelle loro prerogative. A far scattare le indagini alcune informative dei carabinieri del comando provinciale di Napoli. Secondo la procura né Giulivi prima e né il suo successore Pinto avrebbero applicato i termini dell’accorto rinchiusi in una legge regionale (N. 12/2017) sul “Sistema di Protezione Civile in Campania per tutelare il Vesuvio. Ora resterà ai due chiarire la loro posizione dopo il ricevimento dell’informazione di garanzia. Nei prossimi giorni, infatti, i due saranno ascoltati dal pubblico ministero.

Cronache della Campania@2018


Ischia, processo per la Caserma della Forestale: tutti assolti

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Tutti assolti perche’ “il fatto non sussiste”: questa la sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Napoli, Marco Occhiofino, per una delle opere pubbliche piu’ contrastate nella recente storia dell’isola d’Ischia, quella della costruzione di una caserma che il Provveditorato opere pubbliche della Campania voleva destinare a sede del Corpo Forestale dello Stato. Estinti i reati edilizi e paesaggistici per prescrizione il pubblico ministero nella requisitoria aveva chiesto la condanna ad un anno e sei mesi di reclusione per due reati di falso ideologico degli imputati , che invece sono stati tutti assolti. Tra questi l’attuale eurodeputato Giosi Ferrandino, ex sindaco di Casamicciola che all’epoca dell’inizio dei lavori della caserma rivestiva il ruolo di sindaco di Ischia, cosi’ come per l’arch. Silvano Arcamone, ex dirigente dell’ufficio tecnico di Casamicciola, poi passato a Ischia con Ferrandino, di Donato Carleo, Provveditore interregionale per le opere pubbliche (Campania e Molise), ed infine di Domenico Parracino, quale legale rappresentante della impresa esecutrice dei lavori. “Le sentenze non si commentano ma si impugnano” dichiara l’avvocato Molinaro legale della costituita parte civile, l’associazione PAS Assoverdi Salvanatura. “E’ fuor di dubbio che – aggiunge – avverso la sentenza del giudice monocratico Occhiofino, proporremo tempestivo appello. Uno scempio come quello del Bosco della Maddalena, che ha determinato un vulnus ai valori paesaggistici di proporzioni incalcolabili, non possa rimanere impunito”. L’iter autorizzatorio della caserma, su tre piani per circa 800 metri quadrati – collocata nella pineta del Castiglione, tra Casamicciola e Ischia – si era concluso con una conferenza dei sevizi tenutasi presso il Comune di Casamicciola il 13 maggio 2009 – dopo che una precedente conferenza dei servizi il 23 maggio 2006 non si era conclusa – e il 13 ottobre del 2009 – su denuncia dell’associazione isolana Assopini – la Procura della Repubblica sequestro’ l’intera area. Il processo si e’ concluso oggi, a 9 anni dall’avvenuto sequestro.

Cronache della Campania@2018

Concorsi truccati, indagati anche 150 candidati, pagavano 15 mila euro: uno si è ribellato e ha fatto scoprire il ‘sistema’

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La Guardia di Finanza di Napoli sta notificando circa 150 avvisi di conclusione indagine ad altrettanti indagati, tra candidati e loro familiari, che avrebbero pagato somme di denaro per ottenere le risposte ai quiz per un concorso per volontario in ferma prefissata di 4 anni (VFP4), che consente ai vincitori di poter accedere alle fila delle forze armate e dell’ordine. Oggi, i finanzieri, coordinati dalla Procura della Repubblica partenopea, hanno notificato 14 delle 15 misure cautelari emesse ad altrettanti indagati, tra cui figurano anche appartenenti alle forze armate, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere, rivelazione di segreto d’ufficio in relazione alla divulgazione di segreto d’ufficio, truffa, ricettazione, riciclaggio e autoriciclaggio. Il quindicesimo provvedimento, destinato a un ingegnere.

E’ cominciato tutto dalla denuncia di un giovane che, a fronte della possibilita’ di ottenere un posto di lavoro pagando migliaia di euro, ha scelto di rimanere onesto. Il 19 febbraio del 2016 questo 26enne si e’ recato negli uffici della Guardia di Finanza di Napoli e ha raccontato, senza omettere particolari, che il generale di Brigata Luigi Masiello gli aveva proposto di ‘comprare’ i risultati del quiz al concorso per allievo maresciallo nell’Arma dei carabinieri che era stato bandito nell’anno 2015-2016. E cosi’ oggi il Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli ha eseguito 14 ordinanze di custodia cautelare (a firma del gip Linda Comella), di cui una in carcere e le altre ai domiciliari. Un altro provvedimento non e’ stato eseguito perche’ il destinatario e’ all’estero. Il concorso truccato contestato e’ quello dell’estate del 2016 per il reclutamento di 2013 volontari in ferma prefissata quadriennale in tre forze armate (esercito, marina militare ed aeronautica) indetto dall’Esercito l’11 febbraio del 2016. Le accuse contestate a vario titolo sono quelle di: associazione per delinquere, rivelazione di segreto d’ufficio in relazione alla divulgazione dei quiz prima del giorno dell’esame, truffa, ricettazione, riciclaggio ed autoriciclaggio. Altri 150 avvisi di conclusione indagini sono in corso di notifica nei confronti dei candidati che avrebbero pagato somme di denaro per avere in cambio le risposte ai quiz del concorso. La ‘tariffa’ media richiesta si aggirava intorno ai 15mila euro. Tra le persone ai domiciliari c’e’ il generale in pensione Masiello che, quando i finanzieri gli stavano per notificare il provvedimento, ha lanciato il cellulare dal balcone della sua abitazione al Vomero col chiaro intento di distruggere l’apparecchio, segno forse che all’interno del telefonino si celassero elementi riconducibili ad altri illeciti relativi ai concorsi. Pochi anni fa il generale tento’ anche la carriera politica: si presento’ alle ultime amministrative di Napoli nella lista di ‘Napoli Popolare-Ndc’, incasso’ solo 323 voti e non riusci’ a spuntarla. Agli atti dell’inchiesta intercettazioni e dichiarazioni di diversi candidati che – rintracciati dalla Finanza – hanno alla fine ammesso l’esistenza dell’organizzazione che condizionava gli esami. E, infine, anche fotografie, estrapolate dai cellulari degli indagati. Nel corso di una perquisizione che ha interessato Sabato Vacchiano, finito agli arresti domiciliari, e’ stata recuperata dal suo cellulare una foto che lo ritrae insieme con un ragazzo in un pub. I due stringono tra le mani un bicchiere a mo’ di brindisi. Nel mezzo, sulla facciata del bancone, una frase in stampatello, scritta con gessetto bianco:   “Dario e Sabatino? I fottitori dello Stato”. E’ la frase che compare in una foto, recuperata dagli inquirenti sul cellulare di uno degli indagati, scattata in un pub, mentre l’uomo, in compagnia di un’altra persona stringe tra le mani un bicchiere, come se stesse brindando. Alla foto si fa riferimento nell’ordinanza di custodia cautelare, a firma del gip Linda Comella, relativa all’inchiesta su un concorso truccato nell’Esercito, del 2016, per volontari in ferma prefissata di 4 anni. Un episodio, a parere degli inquirenti che sottolinea la spregiudicatezza dei componenti dell’ “organizzazione” dedita all’inquinamento della procedura concorsuale. L’immagine e’ stata recuperata nel corso di una perquisizione che ha interessato Sabato Vacchiano, uno degli arrestati. Ritrae Vacchiano e un altro ragazzo in un pub. I due sono in posa davanti al bancone fatto interamente in legno, e sulla cui facciata e’ possibile scrivere, mentre stringono tra le mani un bicchiere a mo’ di brindisi. Nel mezzo delle loro due figure, sulla facciata del bancone, compare una frase in stampatello, scritta con gessetto bianco.

Due gli stratagemmi: un vero e proprio “algoritmo”, applicabile alla maggior parte dei quesiti somministrati e consistente in una combinazione di quattro componenti numeriche da sommare tra loro, il cui risultato totale serviva a individuare, tra le possibili risposte, quella esatta e una dispensa o pandetta recante, per le materie non coperte dal citato “algoritmo”, un estratto della banca dati pubblica, compendiante un numero limitato di quesiti identici o comunque analoghi a quelli destinati a comporre i questionari da somministrare. Relativamente alla seconda immissione, tra l’altro, le indagini hanno permesso di appurare – spiega la nota – il funzionamento dell’algoritmo sino al 5 luglio 2016, data in cui Testa sostituiva (e distruggeva) tutti i plichi sigillati (consegnati prima dell’inizio delle prove selettive), contenenti i questionari elaborati e non ancora estratti, con altri plichi recanti analoghi questionari. Grazie al materiale illecito di cui hanno avuto la disponibilità la quasi totalità dei concorrenti emersi nel corso delle indagini che ha sostenuto la prova scritta sino al 5 luglio 2016 è riuscita a superare la menzionata prova selettiva. Avendo ottenuto l’idoneità nelle successive fasi concorsuali, 43 dei concorrenti sono stati inseriti nelle graduatorie di merito delle singole forze armate: 39 sono stati collocati tra i vincitori di concorso (30 per l’Esercito, 5 per l’Aeronautica militare, 4 per Marina militare e Capitaneria di porto) e, verosimilmente, incorporati. Gli elementi indiziari acquisiti nel corso delle investigazioni fanno ritenere probabile che questi concorrenti siano solo una parte di coloro che hanno superato le predette prove scritte grazie al sistema fraudolento ideato. Notificati anche 135 avvisi di conclusione delle indagini nei confronti dei concorrenti o di loro familiari, alcuni dei quali, dopo essere entrati in contatto con i destinatari delle misure cautelari, hanno a loro volta diffuso, dietro compenso, il meccanismo truffaldino.

Cronache della Campania@2018

Napoli: spunta il tariffario per vincere i concorsi nelle forze armate

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Napoli. C’era un vero e proprio “tariffario” per superare i concorsi pubblici nelle forze armate. Lo ha scoperto la Guardia di Finanza nel corso dell’indagine che ieri ha portato all’emissione di 15 ordinanze cautelari (1 in carcere e 14 ai domiciliari). I prezzi erano i seguenti:

25.000 euro per un posto da allievo finanziere (dopo il superamento dei quiz);
40.000 euro per un posto da allievo maresciallo della Guardia di Finanza (dopo il superamento dei quiz);
20.000 euro per un posto in accademia militare (dopo il superamento dei quiz);
4.000 euro per un posto in marina (vfp1);
10.000 euro per un posto in marina (vfp4), in questo caso dopo il superamento del quiz iniziale.
700 euro per la patente nautica
500 euro per ottenere un brevetto di assistente bagnante.

Il tariffario è stato sequestrato a casa di Giuseppe Zarrillo, dipendente civile del Ministero della Difesa, l’unico dei 15 finito in carcere, perché nonostante fosse ai domiciliari dal mese di agosto ha continuato a tenere i rapporti con gli altri componenti della cricca. Ad incastrarlo oltre ai pizzini e alla documentazione rinvenuta nella sua abitazione anche una serie di intercettazioni telefoniche i cui lo stesso Zarrillo parla tra l’altro di un ispettore capo della Dia di Napoli, “un amico mio che aveva un nipote da sistemare”. Ma su questo punto dell’inchiesta le indagini sono ancora in corso.

Le indagini che hanno portato al blitz di ieri sono state condotte dai finanzieri del Nucleo polizia economico finanziaria di Napoli e coordinate dalla procura della Repubblica partenopea. I destinatari dei provvedimenti sono soprattutto appartenenti o ex appartenenti alle forze armate e alle forze di polizia, “quotidianamente impegnati nel favorire il buon esito dei Concorsi” da parte di giovani candidati, a fronte di “un’illecita elargizione di denaro” da parte dei partecipanti o dei loro congiunti. L’accusa è associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, rivelazione del segreto d’ufficio e altri reati commessi in relazione alle procedure relative al reclutamento di 2.013 volontari in Ferma prefissata quadriennale per il 2016 nelle forze armate, articolato in due immissioni. In particolare, le attività investigative hanno fatto emergere “l’ideazione da parte di Claudio Testa (ingegnere informatico e responsabile della società incaricata di predisporre i questionari della prova scritta di cultura generale prevista dalla procedura reclutativa) e di Stefano Cuomo (capo di classe, della Capitaneria di porto) di un articolato meccanismo fraudolento”. Il funzionamento del meccanismo truffaldino – ricostruisce una nota delle Fiamme Gialle – divulgato da Cuomo e da Fabio Ametrano (militare della Marina militare), dietro compenso, alcuni giorni prima dell’inizio della prova selettiva e oggetto di successiva compravendita da parte di alcuni personaggi-chiave coinvolti a vario titolo nell’indagine, operanti talora attraverso lo schermo di scuole di formazione (tra cui, Ciro Auricchio, Rocco D’Amelia, Giuseppe Claudio Fastampa, Ciro Fiore, Luigi Masiello, Raffaele Russo, Sabato Vacchiano e Giuseppe Zarrillo), ha consentito a un numero cospicuo di concorrenti (sia della prima che della seconda immissione) di superare la prova di cultura generale.

Cronache della Campania@2018

Falsi incidenti: restano tutti in cella, e l’organizzatore fa le prime ammissioni davanti al gip

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Il giudice per le indagini preliminari conferma i domiciliari per i 14 arrestati nell’ambito dell’inchiesta sui falsi incidenti. Intanto spuntano le prime ammissioni nel gruppo che faceva capo a Salvatore Verde, il consulente di Boscoreale. Lui però ha deciso di non rispondere alla domande optando per le dichiarazioni spontanee per trovarsi a difendere.
“Nessuna associazione a delinquere – ha detto Verde – ma confermo di essere stato contattato per l’organizzazione di alcuni falsi incidenti. Di questi però, non ho saputo più niente”. Raffaele Celentano, invece, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Verde ha rimandato alle prossime settimane la risposta a tutto ciò che gli viene contestato. In merito ai fasi incidenti, almeno una 30ina, la Procura di Torre Annunziata ipotizza accuse che vanno dall’Associazione per delinquere, sostituzione di persona, falsa testimonianza, falso ideologico che riguardano oltre 110 indagati a vario titolo coinvolti nel presunto sistema gestito da Verde nello studio di Boscoreale proprio dove i finanzieri avevano piazzato una cimice che aveva registrato, per mesi, incontri e anche l’intervento dei due finanzieri di Torre Annunziata che arrivarono da Verde per trovare le cimici e disattivarle. Per loro e per l’avvocato Varcaccio Garofalo è arrivato l’arresto per favoreggiamento a Verde. Sia l’avvocato che Verde sono in carcere da tre settimane perché coinvolti anche nell’inchiesta condotta dalla Procura di Roma sulla corruzione dei giudici che avrebbero incassato delle mazzette per l’emanazione di sentenze, risarcimento danni verso avvocati appartenenti al “sistema”. Secondo quanto stabilito dagli inquirenti si trattava di un giro d’affari di circa 30mila euro al mese. Tutto il sistema ruotava, secondo l’accusa, intorno al magistrato Antonio Ianniello. Per questa inchiesta sono stati firmate 5 ordinanze di detenzione domiciliare e 18 in carcere. Il Tribunale del Riesame ha trasmesso gli atti a Salerno ritenendo che per 12 imputati la competenza territoriale sia proprio Salerno.

Cronache della Campania@2018

Rimborsi gonfiati per le scorte ai politici: condannati 6 poliziotti

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Arrivano sei condanne per i poliziotti preposti alle scorte dei politici. Si conclude così l’indagine che risale ad episodi registrati dal 2011 al 2012. Gli agenti sono stati condannati per truffa aggravata ad un anno e otto mesi Maurizio Aloia, un anno e sei mesi Salvatore Ingaldi, un anno e tre mesi Alessandro Melisi, un anno e un mese a Nino Bruno Voto, un anno e due mesi a Toni Intorcia e Angelo Gatta. Tutti i condannati hanno beneficiato della sospensione della pena. Il magistrato ha assolto gli imputati dall’accusa di falso e per uno degli imputati l’accusa di calunnia. Secondo l’accusa gli agenti hanno dichiarato falsamente di aver pernottato in una struttura romana nell’esercizio delle proprie funzioni, registrando e farsi rimborsare spese mai sostenute. Le indagini sono partite perché l’addetto alla contabilità aveva notato una differenza tra le spese presentate da alcuni addetti rispetto a quelle degli altri. E così sono partiti gli accertamenti che hanno portato gli agenti in un’aula di tribunale.

Cronache della Campania@2018

Truffe assicurazioni, ‘Tieni tante pratiche che non ti ricordi? 2200 iscritte a ruolo. Azz, numeri da industria…’. LE INTERCETTAZIONI

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Napoli. Ogni mattina, all’ingresso degli uffici dei giudici di pace, si riunivano gli aspiranti falsi testimoni che si offrivano di imparare e recitare bene la parte per 100 euro, a volte anche per 50. chi “doveva fare la spesa” e c’era anche chi “aggia pavà o’ padrone e’ casa”. Tutti i falsi testimoni venivano impiegati a turno in modo da evitare di destare sospetti. Era questa la perfetta “macchina da guerra” messa in piedi da Vincenzo Cocozza gestore dall’agenzia di pratiche assicurative Assiservice sas con sede al Centro direzionale. Lui e il fratello Umberto con interessi a Malta e la passione per le Ferrari si definivano “una squadra” e parlavano degli avvocati dicendo  “Quelli sono una paranza”. A proposito dìi Vincenzo Cocozza scrive il gip nelle 800 pagine dell’ordinanza cautelare: “Da una ri­cerca attraverso la banca dati IVASS (quella dei sinistri, ndr) aggiornata per difetto, effettuata con il codice fiscale di Vincenzo Cocozza sono emerse 127 istanze di risarcimento, nelle quali in 117 casi ha avuto il ruolo di danneggiato e tutti i sinistri sono patrocinati da le­gali coinvolti nei fatti oggetto del presente provvedimento”. Non a caso in un intercettazione con un degli avvocati finito ai domiciliari i due si dicono: Avvocato: “Ok Enzo… nien­temeno tieni tante di quelle pratiche che non te le ricordi più!!!”. Vincenzo Cocozza: “Ciao totale 2800 sinistri con 2200 iscritte a ruolo”. Avvocato: “Azz, numeri da industria”. Ma que­sta intercettazione non è l’unica a dare l’idea di quanto attiva fosse l’organizzazione. Il 25 maggio del 2015, per esempio, Cocozza conversa con Salvatore Di Vicino,detto o’ pirata, il faccendiere che gli procura clienti e che è il cognato di Mariano Ba­cio Terracino, assassinato nel 2009 davanti a una telecame­ra. Il titolare dell’agenzia di pratiche automobilistiche in­siste sull’importanza di avere collaboratori affidabili e “danni buoni”: poi si posso­no chiedere risarcimenti a vo­lontà.
Cocozza: “Noi dobbiamo lavorare bene sempre… Ne puoi fa’ pure cento, a me nu ce stann problem”.
Di Vicino: “Ho tre pratiche da fare, tre motorini e una macchina”.
Cocozza: “Salvato’ fai cheli che vuo tu, dice hai carta bian­ca però lavoriamo bene, noi siamo una squadra; chi dà fa­stidio li dobbiamo cacciare, se sono buoni me li prendo quanti ne vuoi”.
Di Vicino: “Se tu hai pro­blemi li ho pure io se faccio, se fai passare qualcuno”.
Cocozza: “Basta che so tutt buon”.

 

(nella foto da sinistra i quattro protagonisti principali dell’inchiesta: Vincenzo Cocozza, Umberto Cocozza, Marco Megna, salvatore Di Vicino o’ pirata)

Cronache della Campania@2018

Investe la moglie con l’auto e poi l’accoltella: 50enne verso il processo

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Rischia il processo per lesioni ma non per omicidio colposo il 50enne casertano che lo scorso mese di giugno ha investito con l’auto e poi ferito con un coltello la moglie. Il pubblico ministero Alessandro Di Vico ha avvisato l’indagato, Claudio D’A., della conclusione della fase investigativa ed ora si prepara a chiederne il rinvio a giudizio. L’uomo è accusato di una serie di maltrattamenti nei confronti della consorte per un periodo di 10 anni, dal 2010 a giugno 2018. Proprio 4 mesi fa l’episodio più grave. Al termine dell’ennesimo litigio tra le mura domestiche la donna fuggì a bordo di una bicicletta. Secondo la versione fornita dalla vittima agli organi inquirenti, si sarebbe accorta di essere seguita da un’auto che procedeva a fari spenti e che non riconosceva.
Cercò di far perdere le tracce imboccando una strada sterrata a San Clemente ma l’auto continuava a seguirla fino a quando accese i fari e si accorse che si trattava del veicolo del marito. Quindi accettò la proposta dell’uomo di precederlo in bici per rincasare ma nel momento della ripartenza l’auto andò in panne. A quel punto la donna iniziò a spingerla a piedi ma, dopo l’accensione della vettura, l’uomo ingranò la retromarcia e la investì. Successivamente quando la donna si rialzò la colpì al braccio sinistro con un coltello multiuso. Questi i fatti riferiti agli inquirenti.
Il 50enne venne arrestato ma poi il giudice, su istanza dell’avvocato Nello Sgambato, ha optato per la sua scarcerazione. Il reato di tentato omicidio, inizialmente contestato, è stato derubricato in quello ben più lieve di lesioni, sempre su richiesta del legale Sgambato. Adesso la chiusura d’indagini con i 20 giorni di rito per presentare memorie a sua difesa dopo i quali la Procura deciderà se chiedere o meno il giudizio.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018


Napoli, a 98 anni si vede rinviare un’udienza per una eredità al 2020 e fa causa al Ministero della Giustizia

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Non è mancata occasione solo otto mesi fa, in relazione alle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario, di sottolineare in tutte le Corti di Appello del Paese la gravità di uno dei mali che sta affliggendo la Giustizia italiana : la “lentezza” assurda dei processi !E quasi simbolo “beffardo” di questa situazione il rinvio sancito dal Tribunale di Napoli –  per una quasi centenaria in causa e, per giunta, per una eredità.  La signora Maria Francesca Coppola, di anni 98, vedova e pensionata campana, si è vista costretta rivolgersi agli avvocati Stefano Rossi e Marisa Ciardi per vedere riconosciuti i propri diritti.

L’anziana donna ha iniziato nell’anno 2013 una causa innanzi al Tribunale di Napoli per il riconoscimento di una eredità del fratello costituita da Titoli di Stato per un ammontare di quasi 100 mila euro.  Dopo anni di processo civile, con cambiamento di avvocati, giudici, la donna qualche giorno fa ha dovuto subire l’ennesimo rinvio per un nuovo cambiamento di giudice (ne sono cambiati ben quattro in soli due anni). La malcapitata ha dunque deciso, ai sensi della legge Pinto, di intraprendere, attraverso i due legali, un’azione di indennizzo contro il Ministero della Giustizia.

Cronache della Campania@2018

Molestava le studentesse del liceo artistico di Avellino, processo per il prof 37enne di Benevento

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Avellino. Era finito agli arresti domiciliari per due episodi di violenza sessuale nei confronti di sue studentesse, entrambe minorenni e una delle quali anche disabile. Per un docente dell liceo artistico ‘De Luca’ di Avellino e’ stato chiesto e accordato il giudizio immediato. L’uomo, un 37enne di Benevento, dovra’ comparire di fronte al giudice il 9 gennaio prossimo per rispondere di violenza sessuale su minore. I fatti risalgono ad alcuni mesi fa, quando una studentessa con una disabilita’ psichica fu palpeggiata dal docente. Con l’aiuto di uno psicologo i carabinieri riuscirono a ricostruire i fatti denunciati dai genitori della ragazza, preoccupati per il brusco cambio di umore dell’adolescente. Il pm Paola Galdo ha chiesto il giudizio immediato anche in considerazione di un’altra indagine che pende sul professore, arrestato alcuni mesi fa per aver seguito e molestato su un autobus, all’uscita da scuola, un’altra studentessa 15enne. L’uomo fu indicato come molestatore anche da un compagno di scuola della ragazza che aveva assistito a tutta la scena e aveva accompagnato la studentessa dai carabinieri del comando provinciale di Avellino. Per questa vicenda il professore 37enne sara’ processato a dicembre prossimo con rito abbreviato.

Cronache della Campania@2018

Concorsi truccati: ecco come funzionava ‘l’algoritmo magico’ dell’ingegnre Testa

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Napoli. La ‘cricca’ dei concorsi truccati nelle forze armate aveva il suo punto di forza nel famoso “algoritmo” di Claudio Testa l’ingegnere, responsabile dell’area informatica e della sicurezza della Irp Srl, l’unico a cui la misura cautelare di arresti domiciliari non è stat applicata perché si trova all’estero ma ha pèromesso che si consegnerà presto. L’inchiesta che ha portato alle 15 misure cautelari è partita dal concorso pubblico espletato nell’estate del 2016 per il reclutamento di 2.013 volontari in ferma prefissata quadriennale in tre forze armate (esercito, marina militare ed aereonautica militare), indetto in data 11-2-2016 (VFP4). Le prove di selezione erano composte da due immissioni separate: la prima si era tenuta tra marzo e aprile e la seconda giugno a luglio.Ogni candidato aveva potuto optare per la partecipazione all’una o all’altra immisssione, per la quale erano stati destinati differenti posizioni di carriera.
Ciascuna immissione era consistita in una prova di cultura generale (espletata in più sedute tra le quali erano stati suddivisi i concorrenti), costituita da 100 quesiti a risposta multipla (estrapolati da una banca dati previamente pubblicata), in una verifica della conoscenza di lingua inglese e in prove di efficienza fisica e di idoneità psico-fisica e attitudinale, oltre che nella valutazione dei titoli. La fornitura delle banche dati relative ai quiz della prova di cultura generale e della lingua inglese era stata affidata dal ministero della difesa, previa gara pubblica, alla ditta “IRP S.r.l.”, i cui diretti responsabili erano l’ingergnere ClaudioTesta e la madre Maria Gargiolli.

Nel corso delle indagini le prove concorsuali in esame erano state monitorate dagli inquirenti passo passo, inragione delle illiceità riscontrate durante il loro svolgimento, attraverso un’intensa attività ìntercettiva. In effetti, grazie ad una denuncia che era stata già presentata a febbraio da Giacomo Junior Sordato Siddi, i militari della guardia di finanza di Napoli avevano dato il via ad accertamenti corposi che avevano fatto emergere il grosso giro di affari esistente intorno a tali tipologie di concorsi.
Siddi aveva denunciato la richiesta di denaro che ìl generale Luigi Masiello gli aveva avanzato, dopo avergli prospettato il facile superamento della prova concorsuale per l’arruolamento, quale allievo maresciallo, per l’anno 2015-2016, nell’arma dei carabinieri.
Le indagini e le intercettazioni telefoniche avevano fatto emergere un articolato sistema, ideato da parte degli uomini della cricca. Con riferimento al concorso il meccanismo truffaldino attraverso cui, di fatto, erano state alterate le condizioni di pari opportunità tra gli aspiranti era stato articolato su due stratagemmi. Per un verso, era stata formata una dispensa (chiamata dai diretti inteteressati, la “pandetta”), recante un estratto della banca dati compendiante un numero limitato di quesiti identici o comunque analoghi a quelli destinati a comporre i questionari da somministrare, afferenti a parte delle materie previste dal bando di concorso (sicuramente, matematica e deduzioni logiche relativamente alla II immissione), con la spiegazione di come individuare, in modo semplificato, la risposta esatta tra quelle proposte.
Per altro verso, era stato ideato un vero e proprio algoritmo, ovvero una combinazione di 4 componenti numeriche, assunte solo per la cifra unitaria (il numero delle lettere che costituivano la prima parola della domanda che precedeva – ovvero che seguiva – quella a cui si doveva rispondere; il numero della domanda a cui si dava risposta; il numero della scheda estratta giornalmente daila commissione in sede di concorso e comunicata alla platea; un numero fisso, da individuarsi nel 2 per la I immissione e nel 3, per la II immissionet il cui risultato totale (anch’esso considerato limitatamente alla sola cifra unitaria}, serviva per definire un conteggio elementare delle lettere (a – b – c – d) che caratterizzavano le risposte, associate alle varie domande proposte (da destra verso sinistra, nel caso dì domanda pari e da sinistra verso destra, in caso dì domanda dispari), per individuare, tra le opzioni proposte, quella esatta.
Il sistema si basa su quattro numeri, di cui si considera solo l’unità:
– il primo (A): il numero dell a domanda, tra le 116 somministrate, a cui si sta rispondendo;
– il secondo (B): si rileva dal numero della scheda estratta;
– il terzo (C): un numero fisso, sebbene si sia fatto credere che trattasi di un’incognita, comunicata al partecipante fa sera precedente alla data della prova;
L-_il quarto (d)_ la somma deòlle lettere della prima parola della domanda precedente a quella a cui si sta rispondendo
Considerate le unità di detti numeri, si procede alla !oro sommatoria (A+B+C+D); di tale risuftato numerico si assume (anche in questo caso) ia sola cifra unitaria ovvero, nel caso la somma produca un multiplo di 10 (20 o 30), si assume sempre il numero 10. ottenendo, in altre parole, pertanto una cifra compresa tra 1 e 10.
Tale ultimo numero servirà per operare un conteggio, definendo anche il verso dello stesso conteggio. volto ad individuare la risposta corretta associata alle singole domande, tra le quattro opzioni preposte (a – b – c – dì; airuopo si opera un confronto logico tra il numero della domanda a cui si sta rispondendo e il risultato della sommatoria predetta: nel caso i due numeri siano entrambi pari o entrambi dispari, si effettua un conteggio da destra verso sinistra [ovvero: a (1), b {2}, c (3), d (4), a (5), b (6), c (7). d (8), a (9), b (10)], in caso contrario, detto conteggio viene effettuato da sinistra verso destra [d {1), c (2}, b (3), a (4), d (5), c (6). b (7), a (8), d (9), c (1 O)].
Esempio
• Domanda n. 27: 27
• Scheda estratta n. 18: 18
• Incognita: 05
Prima parola domanda precedente Quale: 05
Eliminare le decine da tutti i numeri ottenuti e si otterrà la somma: 7+8+5+5=25
Eliminare le decine e si otterrà: 5
Poiché la domanda nell’esempio è dispari (27) si opererà, tra le opzioni proposte, il conteggio dì 5, ctoè !’unità relativa alla sommatoria, da sinistra verso destra:
+a(1) (5)-b(2)-c(3)-4(4)
la risposta è a.

Mentre erano in corso i test del 5 luglio del 2016, infatti, l’algoritmo andò improvvisamente in tilt. Si tratta di un fatto anomalo che, scrive il gip, resta ad oggi senza spiegazione. Testa avrebbe sostituito tutti i plichi sigillati e già consegnati, contenenti i questionari elaborati e non ancora estratti (e dunque eventualmente utilizzabili per le successive fasi del concorso), con altri plichi con dentro questionari simili: in tal modo avrebbe disattivato il “suo” algoritmo, azzerandone la funzionalità. Probabilmente la situazione a un certo punto la situazione sarebbe sfuggita al controllo di tutti. La distribuzione avrebbe raggiunto un numero troppo elevato di candidati, finendo, di mano e mano, a chiunque e dovunque. Mandare in tilt il sistema sarebbe stato in quest’ottica, un tentativo, disperato, di evitare guai. Ma era già troppo tardi.

Cronache della Campania@2018

Cuoco morto nel crollo del ristorante Zaccaria di Amalfi: chiesti 15 anni di carcere

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La Procura di Salerno chiede complessivamente quindici anni di pena per nove dei dieci imputati nel processo per la morte di Carmine Abate, il cuoco del ristorante Zaccaria che il 2 gennaio del 2010 morì a causa della frana che centrò in pieno il locale di Atrani. Il pubblico ministero ha chiesto l’assoluzione per il responsabile Anas dell’area tecnica, Nicola Nocera. Secondo l’accusa i tecnici avrebbero effettuato una qualificazione dei rischi e pericoli, del tratto di costone che crollò, errata. La parte a monte venne classificata e definita a pericolosità e rischio medio al posto di una pericolosità elevata. Il pendio a valle fu classificato a rischio più elevato rispetto al tratto superiore. Una classificazione che secondo gli inquirenti rappresenterebbe una violazione dei parametri tecnici presenti nel piano di stralcio per l’assetto idrogeologico Destra Sele. Inoltre secondo la Procura i proprietari non avrebbero fatto nulla per mettere in sicurezza lo stabile. Chi risponderà di omicidio colposo e crollo colposo sono il proprietario del tratto di costone roccioso interessato Andrea Barbato: per lui sono stati chiesti due anni e sei mesi. Un anno e otto mesi per Domenico Guida, direttore dei lavori per l’autorità di bacino Destra Sele. Due anni per Giovanni Polloni, tecnico geologo abilitato dalla società Aquater alla stesura del piano per l’assetto idrogeologico Destra Sele. Un anno e quattro mesi per Vincenzo Trassari, ingegnere per il coordinamento tecnico di progetto e rischio frane. Un anno e quattro mesi per Gerardo Lombardi, responsabile del procedimento e relatore per le frane nel gruppo di supporto nominato dall’autorità di bacino Destra Sele. Un anno e due mesi a Lorenzo Rocchetti, responsabile del progetto per la società Aquater. Un anno per il geologo in servizio al Destra Sele Crescenzo Minotta. Pinto Zaccaria e Annamaria Staiano, amministratori della società “Cantina del Nostromo” che gestiva il ristorante: rispettivamente due anni e quattro mesi e un anno e sei mesi.

Cronache della Campania@2018

Finanziere al servizio dei clan casertani: la Dda chiede 10 anni di carcere

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il pm della Dda di Napoli, Luigi Landolfi ha chiesto dieci anni di reclusione per il finanziere Vincenzo Barbato Iannucci, quarantadue anni di Castelevenere e in servizio a Solopaca accusato di legami con i clan della camorra di san Felice a Cancello nel Casertano. Nel processo che si sta svolgendo con il rito abbreviato davanti al giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Napoli vengono contestati vari titolo i reati di estorsione e associazione camorristica. Per gli altri imputati invece ha richiesto: diciotto anni per Giovannina Sgambato (68 anni di San Felice a Cancello), dodici anni per Enzo Ruotolo (43 anni di San Felice a Cancello), diciotto anni per Michele Lettieri (54 anni, di Pignataro Maggiore). Chiesta invece l’assoluzione per Vincenzo D’Onofrio (50 anni di Airola), Orazio De Paola (56 anni di San Martino Valle Caudina), Nicola Panella (54 anni di Montesarchio). Ha invece scelto il rito ordinario Domenico Servodio (39 anni di Rotondi) mentre è stata stralciata la posizione di Vincenzo Carfora (49 anni di Forchia), ritenuto incapace di stare in giudizio. La prossima udienza è in programma per il 13 novembre.
Le indagini coordinate dalla Dda di Napoli e svolte dai carabinieri dalla Guardia di finanza hanno fatto chiarezza su un intreccio di clan malavitosi che stava per generare una guerra a San Felice a Cancello se non fosse stata sancita una pace apparente che metteva d’accordo tutti. I termini di questo “armistizio”, secondo l’accusa, erano chiari: agli imprenditori si doveva chiedere il massimo, venticinquemila euro se andava tutto bene, quattromila se andava male. Un confronto tra il clan gruppo Sgambato-Lettieri e il fronte opposto, i Pagnozzi. In questi rapporti tra clan per gli inquirenti era finito anche il finanziere sannita accusato di aver organizzato un appuntamento con una persona di Casal di Principe che avrebbe dovuto avvicinare il titolare dell’impresa Green Impresit, incaricata dal Comune di San Felice a Cancello di svolgere dei lavori pubblici. Ma all’appuntamento il militare non sarebbe mai andato. In particolare tre gli episodi estorsivi contestato: alla Green Impresit di Caprio il primo, ai danni di un negozio di elettronica e computer il secondo e il terzo ai danni di una concessionaria di moto. Come tangente, oltre al danaro, anche telefoni cellulari e tablet intascati dal gruppo camorristico.

Cronache della Campania@2018

Processo strage del bus, la difesa della funzionaria della Motorizzazione: ‘Colpa delle barriere’

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Avellino. Nessuno avrebbe potuto impedire che quel bus circolasse e l’unica sanzione possibile per chi ha messo su strada un “ammasso di lamiere” e’ soltanto il fermo amministrativo del mezzo. Cosi’ il legale della funzionaria della Motorizzazione civile di Napoli, Antonietta Ceriola, imputata nel processo per l’incidente di Acqualonga del 28 luglio 2013, cerca di respingere le responsabilita’ della sua assistita, accusata di aver falsificato la revisione del bus precipitato dal viadotto causando la morte di 40 persone di una comitiva di pellegrini di ritorno a Pozzuoli. Per l’avvocato Francesco Casillo l’attenzione deve spostarsi sullo stato di manutenzione delle barriere, pur essendo il pullman in pessime condizioni. Per Antonietta Ceriola, che fu anche arrestata dalla polstrada nell’ambito dell’inchiesta condotta dalla procura della Repubblica di Avellino, il pm Cecilia Annecchini ha chiesto la condanna a 9 anni di carcere, attribuendole anche il concorso in omicidio colposo plurimo e disastro colposo, sostenendo che la mancata revisione e la falsificazione dei documenti che attestavano il perfetto stato del mezzo avrebbero contribuito in maniera determinante alla strage di Acqualonga. Ricordando le testimonianze di alcuni superstiti, per il pm il bus avrebbe potuto fermarsi nel tratto in salita dell’A16, quando gia’ presentava anomalie nella marcia. L’insistere per arrivare a destinazione avrebbe poi provocato il collasso del sistema frenante. Il pullman, che aveva percorso oltre un milione di chilometri, necessitava di interventi di riparazione importanti e costosi, stimati nella perizia consegnata alla Procura di Avellino in 15-18mila euro. Non avrebbe mai potuto superare la revisione in quello stato e quindi non avrebbe mai potuto circolare. Nell’incidente perse la vita anche il fratello del principale imputato, Ciro Lametta, che aveva sostituito all’ultimo momento il fratello Gennaro, titolare dell’agenzia che noleggio’ il bus. Per Gennaro Lametta il pm ha chiesto la condanna a 12 anni di carcere. Dieci anni di reclusione e’ invece la pena richiesta per i 12 funzionari e dirigenti di Autostrade per l’Italia, tra cui l’Ad Giovanni Castellucci, senza distinzione tra le varie posizioni. Il processo riprendera’ proprio con le arringhe dei difensori di Aspi il 16 novembre prossimo.

Cronache della Campania@2018

Camorra, processo ai Zagaria, la Dda acquisisce i verbali del pentito Nicola Schiavone

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l pm della Dda di Napoli Maurizio Giordano ha chiesto l’acquisizione delle dichiarazioni del neo-collaboratore di giustizia dei Casalesi Nicola Schiavone, figlio del capoclan Francesco “Sandokan” Schiavone, nel processo in corso al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che vede imputati per violenza privata aggravata l’ex sindaco di Casapesenna Fortunato Zagaria e il boss omonimo Michele Zagaria. “Schiavone – ha detto il pm – ha parlato diffusamente degli odierni imputati”. Il sostituto ha chiesto anche l’acquisizione dell’informativa redatta dalla Dia che contiene i riscontri alle dichiarazioni di Schiavone jr. Il processo e’ nato dalla denuncia di un altro ex primo cittadino di Casapesenna, Giovanni Zara – che si e’ costituito parte civile – e che rimase sindaco per pochi mesi a cavallo tra il 2008 e il 2009, sfiduciato dalla sua stessa maggioranza di cui faceva parte lo stesso Fortunato Zagaria, che era vice-sindaco. Zara, secondo l’accusa, fu sfiduciato per volere del boss e con la regia di Fortunato Zagaria perche’ si era messo contro il capoclan, allora latitante, organizzando eventi anti-camorra, e auspicando a piu’ riprese anche in manifestazioni pubbliche, che il boss venisse catturato.

Cronache della Campania@2018


Camorra, il pentito Nicola Schiavone: ‘L’ex sindaco di Casapesenna era la testa di legno del boss’

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“Fortunato Zagaria era una sorta di ‘testa di legno’ di Michele Zagaria”. E’ cosi’ che il neo-collaboratore di giustizia del clan dei Casalesi Nicola Schiavone, figlio del capoclan Francesco “Sandokan” Schiavone, ha definito nel corso di un interrogatorio reso nelle scorse settimane alla Dda di Napoli l’ex sindaco di Casapesenna Fortunato Zagaria, imputato assieme al boss omonimo Michele Zagaria in un processo in corso al tribunale di Santa Maria Capua Vetere che vede come parte offesa un altro ex sindaco di Casapesenna, Giovanni Zara. Il verbale e’ stato messo dal pm Maurizio Giordano a disposizione dei difensori dei due imputati; nella prossima udienza del 27 novembre, il collegio giudicante presieduto da Maria Francica decidera’ se ammettere questo nuovo elemento di prova, che potrebbe portare anche alla deposizione di Schiavone jr, e sciogliera’ la riserva anche su altre richieste di integrazione probatoria avanzate dall’accusa. Questi spiega di sapere di Fortunato Zagaria da numerosi esponenti del clan, alcuni dei quali divenuti pentiti. Il rampollo del capoclan, per rafforzare le sue dichiarazioni, racconta di come le amministrazioni delle cittadine del Casertano roccaforti dei boss, da Casal di Principe regno degli Schiavone a Casapesenna, paese di Zagaria, fossero controllate dal clan, e “cio’ per mia diretta esperienza dal 2004”. I sindaci venivano addirittura scelti dopo una specie di selezione. “A Casal di Principe – riferisce Nicola Schiavone – accadeva che alcune persone si proponevano di andare ad amministrare il Comune come sindaco; queste persone si rivolgevano a noi del clan e a me in particolare per il tramite delle persone di mia fiducia, per avere l’assenso alla loro candidatura. Io raccoglievo queste proposte e poi decidevo in base ad una sorta di valutazione delle personalita’, tra cui la serieta’ nei nostri confronti e il profilo psicologico. Quindi davo il nulla osta. Nel caso di Casapesenna il sistema era esattamente lo stesso”. Sulla figura di Zara Schiavone jr e’ esplicito. “Al contrario di Fortunato Zagaria – riferisce il neo-collaboratore – Giovanni Zara che e’ stato sindaco per un breve periodo a Casapesenna, non era un sindaco a nostra disposizione, tanto che Michele Zagaria intervenne per farlo cadere dalla carica, mi pare facendo dimettere i consiglieri che lo sostenevano”. Schiavone jr racconta anche di un appalto da 500mila euro vinto “per errore” da un’azienda di suo cugino al Comune di Casapesenna, allora amministrato da Fortunato Zagaria, cosa che fece infuriare il boss Zagaria, che aveva manomesso la gara per farla vincere ad un’impresa a lui riconducibile. “Michele Zagaria – dice Schiavone – intervenne facendo annullare la gara che fu poi assegnata all’azienda di sua fiducia”.

Cronache della Campania@2018

Santa Maria Capua Vetere, il ras delle Iacp faceva estinguere i debiti di droga in cambio di voti

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Santa Maria Capua Vetere. All’appello mancano ancora tre persone. L’eco dell’operazione White Stone però non si è spento non solo perché di fatto sono ancora in atto le indagini e le attività di notifica dei provvedimenti. Nel vortice di piazze di spaccio, cocaina e guadagni è finita, infatti, la politica. In un caso, come effetto collaterale, visto che tra gli arrestati c’è Bartolomeo Falco, indicato come referente della Lega Nord per Comiziano, anche se il coordinatore regionale del partito di Salvini ieri ha smentito tale nomina.
La politica però entra anche nella voluminosa ordinanza partita dall’indagine dei sostituti procuratori Antimafia Luigi Landolfi e Luigi Frunzio. Gli investigatori mettono sotto controllo diversi soggetti di Santa Maria Capua Vetere e in particolare la zona del rione Iacp dove pochi mesi prima c’era stata la faida tra i Fava e i Del Gaudio per il controllo dello spaccio, iniziata con agguati e spari e finita con arresti e pentimenti.
Sotto la lente finisce in particolare Vincenzo Di Palma detto “o’ pallone”. Nelle conversazioni con la moglie gli investigatori captano che l’attività illecita non è l’unico interesse di quello che per l’Antimafia è un personaggio chiave dell’inchiesta. Di Palma è molto attento alle elezioni regionali del 2015 che si svolgeranno di lì a poco: appoggia, senza mezzi termini, un candidato e per tirare acqua al mulino del prescelto è pronto anche a rimetterci economicamente. Promette a soggetti che hanno comprato droga e poi non sono riusciti a pagarla di eliminare il debito in cambio di un appoggio sostanzioso in termini di voti al candidato da lui indicato.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Omicidio, truffe e furti nella clinica che doveva ‘accompagnare’ alla morte. I NOMI DEI 17 INDAGATI

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Salerno. Sono complessivamente 17 gli indagati dell’inchiesta della Procura di Salerno sulle truffe al servizio sanitario nazionale  e allo stato messe in atto nel “Giardino dei Girasoli” di Eboli, la clinica specializzata nella medicina del dolore e in cure palliative. Un vero e proprio fiore all’occhiello della sanità salernitana ma dove secondo l’inchiesta sarebbe accaduto di tutto. Come anticipare la morte di un paziente, un giovane di 28 anni di Battipaglia che voleva vivere gli ultimi giorni di vita riuscendo ad esaudire gli ultimi desideri come quello di mangiare una pizza con gli amici. E invece sarebbero stati sessanta milligrammi di Midazolam, somministrati dal dottore Alessandro Marra, 51 anni di Roccapiemonte  a causare la morte prematura del giovane malato terminale di cancro. “Una dose di medicinale – e’ la tesi della procura di Salerno che si e’ imbattuta nel caso del presunto ‘Dottor Morte’ sugli sviluppi di un’inchiesta su furbetti del cartellino e farmaci spariti dalla casa di cura – tale da uccidere una persona sana”. Per gli inquirenti, che hanno sottoposto agli arresti domiciliari il medico, il dottore “sapeva benissimo quello che andava a fare”. Di qui l’accusa di omicidio volontario nei confronti del professionista di Roccapiemonte. Interrogato dopo l’arresto, il dottore non avrebbe fornito spiegazioni ai pm, rifiutandosi di rispondere. Per i pm la dose letale del farmaco – 60 milligrammi – ha causato “un’accelerazione della morte del giovane“, originario di Battipaglia. Tesi avvalorata dall’autopsia che ha ha attestato “come la dose di medicinale somministrata avrebbe determinato la morte anche di un soggetto sano”. E come ha spiegato il procuratore della Repubblica facente funzione di Salerno, Luigi Alberto Cannavale, ricostruendo uno dei filoni investigativi dell’inchiesta che e’ scattata dopo una segnalazione dell’Asl sulla sottrazione di un medicinale con effetto stupefacente. Un elemento chiave ai fini dell’inchiesta sono considerate alcune intercettazioni, in particolare quella nella quale un medico, parlando con il collega indagato per omicidio, diceva “che non avrebbe mai avuto il coraggio di fare quello che avrebbe fatto lui”. Raccolti questi elementi, la Procura dopo il decesso del giovane – avvenuto lo scorso 18 gennaio – ha disposto il sequestro della salma tra la sorpresa dei familiari convinti che il ragazzo fosse deceduto per cause naturali. Il giovane, infatti, dopo esser stato ricoverato a Firenze aveva espresso il desiderio di trascorrere l’ultima fase della sua vita in compagnia della famiglia ricorrendo quando necessario alle cure palliative somministrate al ‘Giardino dei Girasoli’. “Dalle telefonate risulta che il medico gli ha iniettato un farmaco in una dose eccessiva, causandone deliberatamente la morte”, ha spiegato il maggiore Enzo Ferrara che ha coordinato le indagini dei carabinieri del Nas di Salerno. E non c’e’ solo la morte sospetta del giovane. L’inchiesta della procura salernitana ha svelato anche altre condotte illecite portando alla sospensione dalla professione per dodici mesi di 10 dipendenti dell’Asl di Salerno (3 dirigenti medici, 3 infermieri professionali, 3 operatrici addette all’assistenza dei pazienti e un agente tecnico) in servizio nell’Unita’ Operativa di Medicina del Dolore e Cure Paliative – Hospice “Il Giardino dei Girasoli”, e all’Unita’ Operativa di Medicina Legale in seno al Distretto Sanitario 64 di Eboli. Tutti sono accusati a vario titolo di truffa ai danni del Servizio Sanitario Nazionale, peculato, falso e cessione di farmaci a effetto stupefacente. “Abbiamo scoperto che parecchi degli indagati timbravano il cartellino e andavano a svolgere servizi personali”, ha spiegato il procuratore Cannavale. Le perquisizioni domiciliari, inoltre, hanno permesso di appurare che “gran parte della farmacia dell’ospedale era finita nei garage degli indagati che usavano i medicinali per la loro attivita’ privata”. Tra i medici indagati e sospesi figura anche il dottore Giovanni Zotti, medico legale della Procura di Salerno. Gli inquirenti hanno appurato anche “la mancata assistenza domiciliare ai pazienti che invece veniva regolarmente attestata”. “Piena fiducia nell’operato della magistratura” e’ stata espressa dal commissario straordinario dell’Asl Salerno, Mario Iervolino.

Assenza dal posto di lavoro, farmaci sottratti illecitamente e mancata assistenza domiciliare. Sono alcuni dei filoni su cui si e’ sviluppata l’inchiesta della procura di Salerno. Nel mirino dei carabinieri del Nas di Salerno i dipendenti dell’Asl di Salerno in servizio all’unita’ operativa Medicina del Dolore, Cure Palliative Ospis “Il Giardino del Girasoli”, nonche’ dell’Unita’ Operativa di Medicina Legale del distretto 64 di Eboli (Salerno). “Non abbiamo riscontrato solo l’assenza dal luogo di lavoro -ha spiegato sempre in conferenza stampa il procuratore della Repubblica facente funzione, Luigi Alberto Cannavale.- ma anche cosa stavano svolgendo di non professionale”. Le perquisizioni domiciliari, inoltre, hanno permesso di appurare che “gran parte della farmacia dell’ospedale era divisa nei garage degli indagati che usavano questi medicinali per la loro attivita’ privatistica”. Secondo la Procura di Salerno “anche il medicinale utilizzato per il decesso del 28enne di Battipaglia era stato sottratto illecitamente dalla struttura ospedaliera”. Gli inquirenti hanno appurato anche “la mancata assistenza domiciliare ai pazienti con le visite domiciliari che per lo piu’ venivano svolte con una telefonata e, poi, si faceva l’attestazione del servizio esterno in visita domiciliare”.

GLI INDAGATI

Alessandro Marra, 51 anni di Roccapiemonte- Medico (arresti domiciliari)
Giovanni Zotti, 62 anni Battipaglia- Medico (sospeso per 12 mesi)
Antonio Magrini, 65 anni Eboli-Medico (sospeso per 12 mesi)
Luigi Mastrangelo, 65 anni Eboli-Medico (sospeso per 12 mesi)
Mario Vicidomini, 52 anni Nocera Inferiore-Medico

Davide Di Maio, 50 Eboli-Infermiere (sospeso per 12 mesi)
Carmine Iorio, 56 anni, Eboli- Infermiere (sospeso per 12 mesi)
Cosimo Galdi, 59 anni Eboli- Infermiere (sospeso per 12 mesi)
Gerarlda Conte, 60 anni battipaglia. operatrice tecnica (sospeso per 12 mesi)
Loredana Di Ruberto, 58 anni, Eboli- Operatrice tecnica (sospeso per 12 mesi)
Liliana Moccaldi, 60 anni Eboli- Operatrice tecnica (sospeso per 12 mesi)
Sinibaldi Rufolo, 61 anni Oliveto Citra
Pasqualina Calzaretta, 61 anni Oliveto Citra.-ResponsabileGiardino dei Girasoli
Claudio Schettini, 50 anni, Battipaglia-Agente tecnico (sospeso per 12 mesi)
Giuseppe Valletta, 60 anni, Battipaglia-Infermiere
Guglielmo Zottola, 37 anni, Eboli
Vito Pastena, 68 anni Eboli

 

 

 

 

 

 

 

 

Cronache della Campania@2018

Il silenzio del killer di mamma coraggio pagato con la ‘mesata’ in carcere e l’assistenza legale del clan

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Torre Annunziata. “La mesata e le spese legali al killer di mamma coraggio per evitare che parlasse”. Un vitalizio per evitare che rivelasse il nome del mandante, quello che Francesco Tamarisco avrebbe versato ad Alfredo Gallo, il killer di Matilde Sorrentino, la mamma coraggio del quartiere Poverelli. A rivelarlo numerosi collaboratori di giustizia del clan Gionta e del clan Gallo che hanno consentito agli inquirenti di individuare in Francesco Tamarisco ‘o nardiello, il mandante di quell’atroce delitto dei 14 anni fa. Lei Era la mamma coraggio: il simbolo di un quartiere e di una città che si ribella a crimini atroci e alla violenza. Il killer di Matilde Sorrentino ha già da tempo un nome, l’uomo che armò la mano di Alfredo Gallo si chiama Francesco Tamarisco. E’ lui secondo il pm Pierpaolo Filippelli e il gip Giovanni del Angelis che chiese ad Alfredo Gallo, fratello di uno dei trafficanti del gruppo dei Nardiello di Torre Annunziata, di eliminare quella donna che aveva avuto l’ardire di accusarlo di pedofilia. Finito l’incubo del processo il 26 marzo del 2004, Matilde Sorrentino, la madre coraggio del rione Poverelli che aveva testimoniato contro il gruppo dei pedofili del quartiere e quindi anche contro Francesco Tamarisco, fu barbaramente uccisa sull’uscio di casa sua, con un colpo di pistola in bocca. A quattordici anni da quel delitto, atrocità nell’atrocità delle violenze del rione dei Poverelli, la procura di Torre Annunziata e il Gip hanno emesso un’ordinanza a carico di Francesco Tamarisco, uno dei capi dell’omonimo clan familiare dei Nardiello di Torre Annunziata. Noto trafficante di stupefacente, detenuto nel carcere di Bari, sarebbe stato scarcerato tra circa due anni, dopo una condanna per traffico di droga. Ma stamane i carabinieri del comando gruppo di Torre Annunziata gli hanno notificato un’ordinanza pesantissima: è accusato di essere il mandato dell’omicidio di Matilde Sorrentino. Nelle sentenze che avevano visto la condanna all’ergastolo per Alfredo Gallo, riconosciuto proprio da Salvatore – figlio della donna e una delle vittime di pedofilia del rione poverelli – si legge: “Gallo Alfredo ha certamente agito su mandato di terzi, i quali avevano maturato e tenuta ferma nel tempo la deliberazione omicidiaria, inoltre nel portare a compimento l’incarico demandatogli, ha attentamente individuato l’obiettivo più agevole da colpire, effettuando anche il ricordato sopralluogo presso l’abitazione di Cacace Bianca”. Il Gip individua il movente: “L’uccisione di Matilde Sorrentino, come ben si evince dall’esame delle fonti di prova sulle quali si fonda la pronuncia di condanna del Gallo Alfredo, costituiva l’amaro e tragico epilogo di una delle più squallide e gravi vicende criminali verificatesi sul territorio di questo circondario, poste in essere in Torre Annunziata, nel così detto quartiere dei “Poverelli”, da un’organizzazione di pedofili attiva fino al marzo/aprile del 1996 e dedita al sistematico abuso e stupro di diversi bambini”. A fare il nome di Francesco Tamarisco, uno degli imputati del processo per violenza sui minori, numerosi pentiti ex affiliati e ras organici ai gruppi criminali dei Gionta e dei Gallo come: Palumbo Michele, Saurro Vincenzo, Luppo Michele e Montella Alessandro (ex uomo di fiducia e trafficante di droga dei Tamarisco) hanno riferito che Matilde Sorrentino era stata uccisa per punirla della coraggiosa denuncia contro i pedofili che avevano abusato del figlio e che il mandante dell’omicidio era Tamarisco Francesco. “Anche i collaboratori Sentiero Giuseppe, Sentiero Pasquale e Di Nocera Giuseppe riferivano di aver appreso che erano stati i Tamarisco a decretare l’omicidio della Sorrentino” scrive il Gip. E ancora “Palumbo Michele e Saurro Vincenzo, collaboratori già affiliati al clan Gionta, che all’epoca dell’omicidio Sorrentino si trovavano in libertà, riferivano concordemente che era intenzione di quella cosca uccidere il Tamarisco Francesco, anche perché, per bocca dello stesso killer della donna, ovvero Gallo Alfredo, avevano avuto la conferma che il mandante dell’omicidio era stato proprio Francesco “Nardiello””.

Rosaria Federico

@riproduzione riservata

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Il pentito dei Gionta: “La camorra di Torre non tollera la pedofilia, Tamarisco e Chierchia dovevano morire”

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Torre Annunziata. “Tamarisco mi disse che ‘a bossa soja mandava cinquecento euro al mese ad Alfredo Gallo per evitare che parlasse e mettesse nei guai non solo loro ma a tutti quanti”. Giuseppe Pellegrino, pentito e ex affiliato al clan Falanga di Torre del Greco conferma agli inquirenti che Francesco Tamarisco, il boss dei Nardiello, arrestato ieri perchè accusato di essere il mandante dell’omicidio di Matilde Sorrentino, ha sostenuto economicamente il killer di ‘mamma coraggio’. In virtù di questo vitalizio sia nella mala oplontina che tra gli investigatori si fa largo l’idea che ‘Ciccio ‘o nardiello’ abbia ordinato il delitto per vendicarsi. Ma proprio Francesco Tamarisco, secondo il pentito Michele Palumbo, alias munnezza, doveva morire a sua volta, questa volta la decisione di eliminare il boss e altre persone coinvolte nei casi di pedofilia al rione Poverelli, fu presa direttamente dal clan Gionta. E Palumbo racconta:”Noi ‘Gionta’ e i ‘Gallo Cavalieri’ avevamo deciso e pianificato, in seguito alla vicenda della “pedoflia “, un preciso piano omicidiario, che prevedeva che noi dovevamo occuparci di eliminare fisicamente Francesco Tamarisco e “Ciruzziello “Chierchia, mentre i “Gallo Cavalieri” dovevano provvedere, come poi fecero, ad uccidere due dei “pedofili” Pasquale Sansone e Ciro Falanga, ndr) che erano stati accusati e fatti arrestare dalla mamma coraggio”. Poi specifica: “Quando poi la Sorrentino, in seguito, venne uccisa, noi Gionta decidemmo di uccidere pure Gallo Alfredo, non appena se ne fosse avuta l’occasione. Il delitto di pedofilia e, quello conseguente e infame, dell’assassinio della donna, che aveva avuto il coraggio di denunciare gli abusi sessuali subiti dal figlio minore, non erano in alcun modo tollerati dalla “camorra” di Torre Annunziata”. Palumbo è certo che Matilde Sorrentino, la madre coraggio, che aveva denunciato i pedofili del suo rione che abusavano del figlio dei altri ragazzini, era stata uccisa per volere dei Tamarisco e di Ciruzziello Chierchia, a confermarglielo Pasquale Gionta che in quel periodo frequentava assiduamente il killer Alfredo Gallo. “Pasquale Gionta – dice Palumbo – ci venne a riferire che l’omicidio della Sorrentino era stato voluto e disposto, appunto, dai Tamarisco e da ‘Ciruzziello’ Chierchia, proprio per la vicenda del loro coinvolgimento nella indagine sulla pedofilia ai danni dei bambini, e che lo avevano commissionato a Gallo Alfredo, ricompensandolo in denaro”.

Rosaria Federico

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