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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Blitz nel casertano, arrestato anche il patrigno del calciatore ucciso

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Caserta. Blitz anti-droga nel casertano. Tra gli arrestati questa mattina dai carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Santa Maria Capua Vetere nella vasta operazione antidroga con 72 indagati, anche Giuseppe Pitirollo, compagno della madre di Raffaele Perinelli, il 21enne calciatore morto per una coltellata a Napoli, figlio di un esponente del clan Lo Russo ucciso nel 2003.
Gli indagati sono ritenuti responsabili a vario titolo di associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti e produzione, detenzione e spaccio. Il provvedimento cautelare recepisce gli esiti di una complessa attività di indagine, condotta tra febbraio 2015 e maggio 2017, sulla riorganizzazione della gestione delle piazze di spaccio a Santa Maria Capua Vetere e nelle aree limitrofe (comuni di San Tammaro, Curti, Casapulla, San Prisco e Macerata Campania) dopo la disarticolazione del gruppo Fava avvenuta nell’anno 2013. L’approfondimento delle fonti di approvvigionamento, in particolare della cocaina, ha consentito di appurare un analogo sistema delle ‘piazze’ di spaccio era presente anche in diversi contesti territoriali delle province di Napoli e Avellino. E’ infatti emerso che a più persone fossero state affidate, attraverso una suddivisione particolareggiata dei ruoli, le funzioni di acquisto, gestione e spaccio della droga. Nel corso dell’attività sono stati eseguiti 6 arresti in flagranza, denunciate a piede libero 9 persone, segnalati diversi acquirenti quali assuntori e recuperate numerose dosi di droga. Il gip di Napoli ha disposto per 60 indagati la custodia cautelare in carcere, mentre per altri 12 gli arresti domiciliari.
In particolare, sono stati individuati quattro gruppi: uno, per il quale è stata riconosciuta anche l’aggravante dell’associazione armata, nell’area vesuviana, nei comuni di Acerra, Pomigliano D’Arco, Castello di Cisterna, Somma Vesuviana, San Vitaliano e Marigliano e un secondo gruppo attivo nell’area nord-ovest della provincia di Napoli, a Giugliano. Per quanto riguarda gli altri due, uno è risultato operare nell’area nolana e in quella della confinante provincia di Avellino, tra Nola, Cimitile, Camposano, Roccarainola e Avella e il quarto nei quartieri napoletani di Scampia, Secondigliano e Capodichino. Nelle dinamiche ricostruite rientra anche l’episodio di una spedizione punitiva ai danni di uno degli indagati, ritenuto responsabile, dagli altri sodali, della sottrazione di una cospicua partita di droga. L’atto ritorsivo, pianificato con armi, non si è concretizzato per l’intercessione di esponenti di spicco del clan Vollaro, operante nell’area vesuviana. Durante il corso delle indagini è emersa “l’esperienza criminale degli indagati”, spiegano gli investigatori, che avevano anche sviluppato un linguaggio in codice per camuffare il contenuto delle loro conversazioni. Secondo quanto ricostruto i luoghi individuati per le attività di spaccio ‘al minuto’ erano le principali piazze di Santa Maria Capua Vetere, l’area vicina a una chiesa nel comune di San Prisco, la villa comunale del comune di San Tammaro, lo spazio davanti una scuola del comune di Marigliano e diversi circoli ricreativi e sale giochi dell’area vesuviana.

Cronache della Campania@2018


Patrimonio immobiliare di Napoli: anche la Corte dei Conti dà ragione a Romeo

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Dopo la Cassazione che per quattro volte in un anno da dato ragione alla Romeo Gestioni, anche la Corte dei Conti chiude, con la totale assoluzione dell’azienda napoletana, una vertenza iniziata oltre otto anni fa per un presunto danno erariale da 100 milioni di euro.Con la sentenza 982/2018 del 10 ottobre scorso, infatti, la sezione giurisdizionale per la Campania della Corte contabile (presidente dott. Sciascia, relatore dott. Palma, I° referendario dott. Sciancalepore) ha assolto in via definitiva la Romeo Gestioni dagli addebiti contestati.La Corte dei Conti nelle motivazioni della sentenza spiega che: “… “Considerazione merita il dato storico (… ) della ratio che ha determinato il Comune di Napoli ad affidare alla Società la gestione del patrimonio immobiliare e che, nella specie, ha determinato l’introduzione di un “incentivo di gestione” (…), ratio che era espressione della necessità di procedere alla regolarizzazione delle utenze mediante la correlata attività di ricerca, verifica e formalizzazione di occupazioni sine titulo non censite. La stessa emersione di tali situazioni peculiari prima non censite – ribadisce la Corte dei Conti – costituiva quindi oggetto del contratto funzionale all’accertamento di maggiori entrate rinvenienti dal patrimonio immobiliare (formalizzazione del titolo e determinazione della relativa pretesa), in un contesto in cui il Comune non aveva piena e formale contezza di tutti i propri debitori o, comunque, non aveva certezza dello stato e/o delle condizioni del rapporto locatizio”.

La Romeo Gestioni in una nota sottolinea piena soddisfazione per l’esito finale della vicenda “che fu anche al centro di una campagna di stampa virulenta e indiscriminata, e che invece, come da sempre sostenuto dall’Azienda, era basata sul nulla e soprattutto sulla ignoranza dei fatti e della complessità amministrativa e sociale della gestione del patrimonio immobiliare del Comune di Napoli.

Otto lunghi e tormentati anni, anche di gravissimi danni di immagine, con ripetute fasi processuali e altrettante progressive assoluzioni nel merito delle vicende – sottolinea ancora Romeo Gestioni – hanno permesso però di accertare fino in fondo la verità della lineare, trasparente, professionale e corretta attività dell’Azienda per tutto il periodo della propria responsabilità nel contratto con il Comune di Napoli. Al punto di meritare anche – come stabilisce quest’ultima sentenza –l’incentivo di buona gestione previsto dal contratto. Romeo Gestioni – conclude la nota dell’azienda – dunque non può non sottolineare come anche questa vicenda, come altre nate da un pregiudizio nei confronti delle sue capacità operative e professionali, si sia conclusa invece non solo con la piena assoluzione, ma soprattutto con il riconoscimento assoluto, incontrovertibile, di un ruolo e di un lavoro, indispensabili e certificabili, a favore della città di Napoli, per un lungo periodo della sua storia recente”.

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Cronache della Campania@2018

Tragedia della Solfatara: periti con gas detector per stabilire la pericolosità del sito

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Hanno preso il via nella tarda mattinata le procedure per l’incidente probatorio disposto dai magistrati della VI sezione della Procura della Repubblica di Napoli per individuare le norme di sicurezza piu’ idonee per disporre il dissequestro e la riapertura della Solfatara. Il vulcano e’ stato interdetto al pubblico oltre 13 mesi fa, a seguito del tragico incidente del 12 settembre 2017 in cui persero la vita un ragazzo di 11 anni, e il padre e la madre, Massimilano e Tiziana Carrer rispettivamente di 45 e 42 anni, nel tentativo di soccorrere il figlio precipitato in una buca profonda tre metri, apertasi improvvisamente sul suo cammino. Si salvo’ solo il figlio piu’ piccolo della coppia, di sette anni. Questa mattina l’apertura delle procedure per raccogliere prove testimoniali fondamentali con i periti di ufficio e di parte e i legali delle parti che accompagnati dalla polizia di Stato e da una squadra di Vigili del Fuoco hanno svolto un’attenta ricognizione del sito, sostando a lungo in prossimita’ del punto dove si verifico’ il tragico incidente. I periti avranno sei mesi di tempo, salvo eventuali proroghe, per relazionare alla Procura della Repubblica. In questo primo accesso, da quanto emerso al termine del sopralluogo, si sono raccolte prove per cristallizzare la situazione del luogo dell’incidente e la situazione al contorno relativa alle fangaie, alle fumarole e alla friabilita’ del terreno. Avviato anche il lavoro per redigere il piano di sicurezza che dovra’ garantire la riapertura del sito. Questo sara’ un lavoro piu’ laborioso per la complessita’ dell’area. Di sicuro c’e’ propensione a procedere a step. I periti si rivedranno periodicamente sempre alla presenza dei Vigili del Fuoco e della Polizia. Le conclusioni saranno importanti per decidere i tempi di riapertura del sito, che esercita, nonostante tutto, un forte richiamo turistico.  Con rilevatori portatili di idrogeno solforato alla mano i sette consulenti nominati dal Tribunale di Napoli hanno avviato oggi i lavori per la “super perizia” nel Vulcano Solfatara di Pozzuoli . Il sopralluogo, per motivi di sicurezza, non potra’ durare piu’ di sessanta minuti e deve essere rimandato qualora dovesse piovere. Inoltre i periti devono raggiungere l’area da sottoporre alle analisi utilizzando esclusivamente percorsi sicuri. Dall’inchiesta della Procura di Napoli sono emerse gravi lacune sul piano della sicurezza, sia per i visitatori sia per il personale impiegato nell’area, che da allora e’ sotto sequestro. I consulenti chiamati ad assolvere il compito provengono da prestigiose universita’ italiane: si tratta del prof. Giovanni Battista Crosta, direttore della Sezione di Scienze Geologiche e Geotecniche del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente, del Territorio e della Terra dell’Universita’ di Milano Bicocca; del prof. Orlando Vaselli, docente in Geochimica e Vulcanologia, direttore di Scienze della Terra all’Universita’ di Firenze; del prof. Giuseppe Tito Aronica, docente in Ingegneria Idraulica all’Universita’ di Messina; del prof. Claudio Giulio Di Prisco, docente in Geotecnica al Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano; del prof. Angelo Baggiani, docente in Igiene generale e applicata al Dipartimento di Ricerca Transnazionale NTMC, all’Universita’ di Pisa; del geofisico Giuseppe Marino, esperto nello specifico settore dell’Idrogeologia; dell’ing. Maurizio D’Amico, con specifica competenza in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. Il lavoro dei “super periti” durera’ diversi mesi al termine dei quali sara’ redatto un pacchetto di norme di sicurezza che, se rispettato, potrebbe consentire il dissequestro dell’area e la sua riapertura. Tra gli indagati figura Giorgio Angarano, amministratore della “Vulcano Solfatara srl”, difeso dagli avvocati Bruno Von Arx e Manlio Pennino, accusato di disastro colposo, e altre cinque persone. L’avvocato Alberto Berardi, del Foro di Padova, invece, assiste i familiari delle vittime con l’avvocato Vincenzo Cortellessa e lo Studio 3A.

Cronache della Campania@2018

Politici e imprenditori collusi coi Casalesi: i primi verbali del pentito Nicola Schiavone

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Gli “agganci” con alcuni politici che hanno fatto parte dell’amministrazione comunale di Santa Maria Capua Vetere  e il legame, stretto, con diversi imprenditori disposti a pagare tangenti al clan pur di aggiudicarsi gli appalti banditi dal Comune sammaritano. Sono i due punti sui quali verte l’interrogatorio del boss pentito Nicola Schiavone, figlio di Francesco, detto “Sandokan”, depositato questa mattina dal pubblico ministero antimafia Maurizio Giordano durante una udienza dell’inchiesta ‘The Queen’ sulla presunta triangolazione tra politica, camorra e imprenditoria per il condizionamento di importanti appalti. L’interrogatorio e’ datato 21 settembre, 16 pagine di dichiarazioni, molte delle quali coperte da ‘omissis’, e altre composte da fotografie sottoposte al vaglio del collaboratore di giustizia. Poche le parole pronunciate dal pentito che riescono a filtrare. Quanto basta per riuscire a disegnare il perimetro dei racconti che il boss sta fornendo alla Dda. Nicola Schiavone spiega che il clan dei Casalesi ha avuto rapporti con esponenti della pubblica amministrazione di Santa Maria Capua per far si’ che imprese suggerite del clan riuscissero ad aggiudicarsi gli appalti. Ma, nelle poche righe rese pubbliche, non viene specificato a quale periodo temporale si riferisca, ne’ in che modo sia venuto a conoscenza di queste circostanze.

Cronache della Campania@2018

Il sindaco narcos svela in aula i rapporti tra i Belforte e la “mafia capitale”

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I Mazzacane nell’elenco dei “clienti” di Centore grazie ad un boss di Roma: “Organizzò lui l’incontro”. Il sindaco narcos svela in aula i rapporti tra i Belforte e la “mafia capitale”.Un filo diretto tra la mala della capitale ed il clan Belforte di Marcianise. E’ ciò di cui ha parlato Pasquale Centore, ex sindaco di San Nicola la Strada e condannato per narcotraffico, nell’ambito del processo per l’omicidio di Vincenzo Feola, l’imprenditore sannicolese ucciso dal clan dei Casalesi per essere uscito dal Cedic, il cartello del sodalizio criminale che gestiva la fornitura di calcestruzzo in provincia di Caserta.
Centore è stato interrogato stamattina presso la Corte d’Assise del tribunale sammaritano nel corso del processo ad Andrea Cusano e Giuseppe Misso ed ha raccontato la sua vicenda. “Sono stato eletto sindaco all’inizio degli anni 90 – ha spiegato – e sono stato sindaco di San Nicola per un anno e mezzo (dal ’91 al 93 nda). All’epoca lavoravo nel settore turistico con alcune agenzie di viaggio di cui due a Caserta. Dopo il fallimento dell’agenzia mi sono trasferito a Milano ed ho iniziato le mie attività illecite. Mi occupavo del commercio di stupefacenti”.
In particolare “mi occupavo di portare la cocaina in Italia – ha poi specificato – Una parte andava a Brescia, un’altra parte a Marcianise dai Belforte”. Centore ha spiegato di non appartenere a “nessun clan” ma di aver conosciuto i vertici sia dei Belforte sia dei Piccolo per motivi di affari. Secondo la sua ricostruzione sarebbe stato un esponente della mala romana – “uno dei miei più grossi clienti” – a favorire un incontro con il clan dei Mazzacane.
E proprio nell’ambito di quei traffici arriva la conoscenza di Andrea Cusano, l’odierno imputato. “Aveva un’azienda di trasporti – ha spiegato Centore – Gli uffici erano in uno stabile all’uscita dell’autostrada di proprietà di Michele Iovine (referente dei Casalesi per l’area tra Casagiove e Caserta nda). Poi la sua azienda fallì ed iniziò a trasportare”.
Fu nel contesto casalese che maturò l’omicidio dell’imprenditore Feola. “Conoscevo Vincenzo Feola perché anche lui faceva politica – ha detto Centore – Ricordo che esisteva un consorzio per il calcestruzzo e Feola aveva al suo interno un ruolo determinante. Avrebbe dovuto fornire il calcestruzzo per la costruzione del Tarì. Aveva una Lancia Tema Ferrari e girava con i progetti del Tarì. So che riusciva a fare forniture anche infischiandosene del Cedit”.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

La Cassazione conferma le condanne: in carcere l’ex consigliere comunale stabiese, Massimo De Iulio e i Ridosso

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Scafati. Estorsioni e camorra tornano in carcere i cugini Ridosso e ci va anche l’ex consigliere comunale di Castellammare, Massimiliano De Iulio, per il quale la Cassazione ha confermato i tre anni di detenzione. Confermata dunque la sentenza di Appello dei giudici del Tribunale di Salerno. Questa la decisione dei giudici della Cassazione, che così si sono espressi sulle pene arrivate in secondo grado. Una decisione presa nonostante la richiesta del procuratore generale della Cassazione che, ieri mattina, aveva discusso il ricorso presentato dai legali degli imputati accusati di estorsione aggravate dal metodo mafioso tra Scafati e l’hinterland vesuviano e aveva chiesto l’annullamento delle condanne in Appello. Coinvolte nell’inchiesta ci sono tutte le bocche di fuoco del clan Loreto-Ridosso e alcuni esponenti politici della zona stabiese.

Un anno fa, tra conferme e rideterminazioni di pena, erano stati inflitti complessivamente 32 anni di carcere ai sette degli otto imputati comparsi dinanzi alla Corte di Appello di Salerno. La sentenza aveva confermato l’assoluzione per Giuseppe Morello e rideterminato alcune condanne. Alfonso Morello, ritenuto il cassiere del clan, infatti era stato condannato a 6 anni (in primo grado gli erano stati inflitti 7 anni e mezzo), con l’assoluzione dall’accusa di associazione camorristica. Cinque anni e due mesi di reclusione, invece, per Luigi Ridosso (in primo grado 6 anni e 10 mesi). Tre anni, sette mesi e 10 giorni per Romolo Ridosso, padre di Gennaro che in primo grado era stato condannato a 4 anni e 10 mesi. Cinque anni e quattro mesi per Gennaro Ridosso, in primo grado era stato condannato a 8 anni e 10 mesi. Conferma a 3 anni anche per Massimiliano De Iulo, ex consigliere comunale di Castellammare di Stabia. Era stato condannato in primo grado a 6 anni anche il pentito Alfonso Loreto, mentre tre anni di pena erano stati inflitti per Carmine Di Vuolo, pure lui stabiese. Anche la sentenza di primo grado, come quella d’Appello finita in Cassazione, era stata impugnata dopo il pronunciamento del Gup dinanzi al quale erano stati celebrati i riti abbreviati.
Gli imputati sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere, che il giudice di primo grado ha però confermato solo dal 2007 al 2008 escludendola per i cinque anni precedenti, al coinvolgimento in episodi di usura ed estorsione. Il clan scafatese Ridosso-Loreto, secondo l’accusa avrebbe un ruolo di predominio nell’area scafatese al punto da stringere alleanze di rilievo con i sodalizi criminali dell’area stabiese e vesuviana.
Per quanto riguarda l’ex consigliere comunale De Iulio, secondo la Procura salernitana, avrebbe estorto una somma di denaro a un imprenditore, tra il 2009 e il 2010, facendo forza sul nome dei Loreto-Ridosso. I fatti contestati sarebbero avvenuti prima delle elezioni del marzo 2010, quando il politico è stato eletto per la prima volta nella città delle Acque. L’ex amministratore è accusato di estorsione aggravata, anche se la sua posizione è stata considerata marginale dagli inquirenti.

 

Cronache della Campania@2018

Camorra, Nicola Schiavone: ‘Abbiamo scelto imprenditori modesti che negli anni sono diventati ricchi grazie a noi’

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“Abbiamo scelto imprenditori modesti che negli anni Duemila non erano in vista. Poi sono diventati ricchi grazie a noi”: a parlare e’ Nicola Schiavone, boss del clan dei Casalesi, figlio del capo dei capi Francesco detto ‘Sandokan’, che da due mesi e’ pentito. Il 16 settembre ha iniziato a raccontare ai pm della Dda di Napoli, Francesco Vanorio e Graziella Arlomede, coordinati da Luigi Frunzio, il sistema che la cosca usava per condizionare la vita pubblica pubblica di citta’ del Casertano. “Chi era con noi aveva un boom di appalti. Come i fratelli Bretto e in particolare Antonio che aveva aderito al nostro pool di imprese ai quali distribuivamo lavori ma che versavano quote a Rodolfo Corvino e Lello Letizia”, dice Schiavone. Bretto e’ coinvolto come altri imprenditori in una inchiesta della Dda su un giro di appalti pilotati. Ma Antonio Bretto difeso dai penalisti Saverio Campana e Angelo Raucci, è pronto a dimostrare la correttezza della propria condotta rispetto alle accuse che lo vedono a giudizio, oltre a rimarcare la propria estraneità rispetto ad accordi di natura mafiosa.Nicola Schiavone parla anche di G. M., altro imprenditore casertano sotto inchiesta e  lo definisce “uomo del colluso con i Casalesi”. Dichiarazioni, quelle di Schiavone, che entrano nell’inchiesta soprannominata ‘The queen’ per il cognome del maggiore indagato, Guglielmo La Regina, accusato di aver pilotato decine di appalti pubblici negli anni scorsi tra Napoli e Caserta.

Cronache della Campania@2018

Evasione fiscale a Campagna: sequestro per due milioni di euro

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Salerno. Il Comando Gruppo della Guardia di Finanza di Eboli, su disposizione della Procura della Repubblica, ha dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo emesso dal Tribunale di Salerno, per oltre 2 milioni di euro nei confronti di tre soggetti ritenuti responsabili di frode fiscale. Il provvedimento cautelare a garanzia del credito erariale ha portato al sequestro di un fabbricato commerciale a Campagna, quote societarie, autoveicoli e disponibilità finanziarie per un valore complessivo che supera i 400.000 euro, riconducibili a due importanti società di Campagna operanti nel settore tessile, entrambe amministrate dalla stessa persona. Le indagini condotte hanno permesso di individuare guadagni sottratti a tassazione per oltre 11 milioni di euro ed un’evasione di 2,1 milioni di euro.

Cronache della Campania@2018


Corruzione & giudici di pace a Torre Annunziata: il processo si sposta a Salerno. Confermati gli arresti

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Torre Annunziata. Giudici di pace corrotti: il Tribunale del Riesame di Roma conferma le misure nei confronti di ctu, avvocati, giudici di pace e carabinieri e invia gli atti a Salerno per competenza territoriale.
Colpo di scena nel processo che ha portato il27 settembre scorso all’arresto del giudice di pace Antonio Iannello e di altri 26 coindagati. I giudici del Tribunale del Riesame che hanno valutato le eccezioni della difesa di alcuni degli indagati hanno sciolto la riserva e nel confermare le misure di arresti in carcere e domiciliari hanno accolto l’eccezione sulla competenza territoriale del processo inviando tutti gli atti a Salerno. Sarà il Tribunale di Salerno ad emettere una nuova misura cautelare e in realtà decidere a sua volta sulla competenza territoriale, in quanto tutti gli episodi di corruzione registrati dagli uomini della Guardia di Finanza di Torre Annunziata sono stati registrati nello studio privato dell’avvocato Antonio Iannello, a Scafati, in via Montegrappa. In questo senso, la competenza territoriale si radicherebbe nel tribunale di Nocera inferiore. Il difensore di Antonio Iannello, l’avvocato Francesco Matrone, solleverà questa eccezione di competenza dinanzi al riesame di Roma nei prossimi giorni quando verrà fissata l’udienza dinanzi al tribunale per la libertà.
L’inchiesta che ha portato all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di tre giudici di pace, in servizio al tribunale di Torre Annunziata, si trasferirà – per il momento al Tribunale di Salerno – dove il gip competente dovrà riemettere la misura cautelare altrimenti perderà di efficacia. Per il momento, avvocati, consulenti tecnici, periti, avvocati, due carabinieri e giudici di pace restano in carcere e ai domiciliari così come aveva disposto il Gip del tribunale di Roma.
Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Ridotta e sospesa la condanna al carabiniere che uccise il giovane al rione Traiano. Proteste dei familiari

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Sconto di pena – da 4 anni e 4 mesi a 2 anni – in Appello per il carabiniere Gianni Macchiarolo imputato per l’omicidio del 17enne del rione Traiano,  Davide Bifolco, ucciso da un colpo di pistola nelle concitate fasi di un inseguimento. I giudici della seconda sezione della Corte d’Appello di Napoli hanno ridotto la condanna disposta in primo grado: due anni con la pena sospesa, cancellati i precedenti 4 anni e 4 mesi. I fatti risalgono alle due del mattino del 5 settembre del 2014: una pattuglia dei carabinieri si lancio’ all’inseguimento di tre ragazzini, tutti in sella allo stesso scooter e senza casco, che non si fermarono all’alt. Macchiarolo riusci’ a bloccare due ragazzi, tra cui Davide. Ma nelle fasi del ‘fermo’ dalla pistola d’ordinanza del carabiniere parti’ il proiettile che uccise Davide. Gia’ in primo grado e’ stato stabilito che il colpo parti’ per errore: il carabiniere inciampo’ e nel perdere l’equilibrio parti’ il proiettile. Il militare non aveva inserito la sicura. “Due anni, solo due anni, neanche se fosse stato ucciso un cane”. Tensioni davanti l’aula 312 del tribunale di NAPOLI, dopo la sentenza d’appello che ha ridotto la pena nei confronti del carabiniere Gianni Macchiarolo che il 5 settembre del 2014 dopo un inseguimento, sparo’ accidentalmente a Davide Bifolco, 17 anni, uccidendolo. La madre di Davide, quando ha appreso l’esito della sentenza, e’ stata colta da un malore. Sorretta dai parenti si e’ poi avviata verso l’uscita. Davanti l’ingresso del tribunale di piazza Cenni, un gruppo di giovani si e’ radunato, dopo un corteo, in attesa della sentenza. “Il giudice che ha emesso questa sentenza non e’ una madre” hanno gridato I parenti di Davide, mentre si avviavano verso l’uscita.

Cronache della Campania@2018

Lotta ai clan, Mantovano in Aula: “Landolfi era uno dei più attivi”

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“Mario Landolfi era uno dei piu’ assidui nel sottoporre al Ministero dell’Interno la necessita’ di fare un contrasto serio alla camorra, per lui il territorio era una preoccupazione costante”. Lo ha dichiarato l’ex sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, magistrato, da pochi giorni consigliere di Cassazione, sentito come teste, al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), nel processo che vede imputato l’ex ministro della Telecomunicazioni ed esponente di rilievo di An e Pdl Mario Landolfi per corruzione e truffa con l’aggravante mafiosa. Un altro testimone eccellente convocato dal legale di Landolfi, Michele Sarno, per rafforzare la strategia difensiva; il secondo in pochi mesi dopo il presidente dell’Anac Raffaele Cantone, che pure in aula aveva confermato di aver interloquito piu’ volte, quando era magistrato della Dda di Napoli, con Landolfi, e sempre in relazione alla situazione criminale della citta’ natale del politico, Mondragone, comune dove per anni ha operato il clan La Torre, tra i piu’ violenti e agguerriti. Mantovano riferisce anche delle due occasioni in cui al Comune di Mondragone fu inviata una commissione d’Accesso per verificare eventuali infiltrazioni camorristiche, la prima volta nel 2002, quindi nel 2007; in entrambe le circostanze l’ente non fu sciolto. “Nel 2002 – racconta il magistrato – quando ero sottosegretario incontrai a Caserta, nel corso della cerimonia per l’avvio dell’anno accademico della Scuola della Polizia di Stato, l’allora prefetto Carlo Schilardi, che mi parlo’ degli accertamenti antimafia in corso a Mondragone, ma mi disse che si stava facendo un lavoro inutile, o meglio che non sarebbe approdato a nulla”. Mantovano ha poi ricordato la vicenda del nipote del primo pentito dei Casalesi Carmine Schiavone (morto qualche anno fa), sul cui affidamento era nata una contesa tra il nonno collaboratore, che lo voleva, e la famiglia della madre, morta qualche anno prima; sulla questione intervenne con un’interrogazione datata 2000 proprio l’ex ministro. “Ricordo l’interrogazione di Landolfi – dice Mantovano – ma della vicenda mi occupai l’anno dopo quando divenni Sottosegretario”. Il bimbo, minore, proprio grazie all’interessamento di Mantovano, fu poi affidati agli zii materni, che entrarono nel programma di collaborazione. Mantovano, da sottosegretario dell’Interno nei Governi Berlusconi, prima dal 2001 al 2006 e soprattutto dal 2008 al 2011 quando ci fu la stagione del terrore nel Casertano targata Setola, fu tra i fautori del cosiddetto “modello Caserta”, ovvera una modalita’ di aggressione alle camorra basata su un assiduo controllo del territorio che ha contribuito a smantellare il clan dei Casalesi, prima l’ala militare e i vertici latitanti, quindi l’area grigia formata dai colletti bianchi. A margine della testimonianza, parlando con un cronista, ha detto che “quel modello lo replicammo anche nel Gargano, ma poi e’ stato abbandonato”.

Cronache della Campania@2018

Divise ‘infedeli’ a Salerno, il procuratore Cannavale: “Fare pulizia per ridare credibilità”

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Salerno. ‘Una guerra sotterranea tra imprenditori per garantirsi il monopolio del mercato ittico’ così il procuratore facente funzioni della Procura di Salerno, Luigi Alberto Cannavale, ha definito l’episodio che ha portato all’arresto di quattro persone e all’iscrizione nel registro degli indagati di due carabinieri, trasferiti d’urgenza da Salerno per un’estorsione commessa a dicembre dello scorso anno a Battipaglia. Il 12 ottobre scorso sono stati eseguiti 4 fermi a carico di Gianni Mauro, 32 anni, di Capaccio, già proprietario di un banco di vendita al mercato ittico; Biagio Lammardo, 31 anni di Sala Consilina; Donato Cataldo, detto Renato, e Massimo Squillante rispettivamente di 37 e 46 anni, entrambi residenti a Sarno per tentata estorsione aggravata, minacce e spari in luogo pubblico. Vittima del raid estensivo avvenuto il 5 dicembre dello scorso anno, Augusto Ferrigno, imprenditore nel settore della ristorazione e del commercio all’ingrosso di prodotti ittici che aveva acquistato, nonostante i ripetuti avvertimenti, uno stand al mercato rilevando il 50 per cento delle quote di una società cooperativa. A organizzare la spedizione punitiva Gianni Mauro, collega e concorrente di Ferrigno. Nell’ambito di questa inchiesta anche il coinvolgimento di due carabinieri che sono stati trasferiti d’urgenza da Salerno dopo l’arresto dei quattro presunti responsabili perchè secondo l’accusa fornivano notizie e facevano piaceri ai quattro sottoposti a fermo. L’inchiesta, coordinata dal pm Francesca Fittipaldi, nasce il 5 dicembre dello scorso anno. Quel giorno, l’auto su cui viaggiava sulla strada litoranea all’altezza di Eboli, nel Salernitano, Ferrigno diventò bersaglio di diversi colpi di fucile a pallettoni calibro 12. Secondo gli investigatori, alla base di quell’attentato c’era la volontà di Mauro di evitare che quel suo concorrente potesse acquisire ulteriori società. Per questo aveva delegato a terzi un’azione dimostrativa eclatante, necessaria, secondo lui, in quanto l’imprenditore-vittima era rimasto “insensibile alle sollecitazioni orali che gli sconsigliavano di estendere la sua attivita’”. In questa cornice si inserisce la figura dei due militari dell’Arma, indagati ma non sottoposti ad alcuna misura e trasferiti amministrativamente d’urgenza, che “fornivano notizie e facevano piaceri ai soggetti sottoposti a fermo”, spiega Cannavale. La misura è stata eseguita venerdì scorso, e gli agenti hanno ritrovato e sequestrato, a casa degli indagati, 2 fucili a pompa calibro 12 e una pistola calibro 9X21, con matricole abrase e munizioni. Oltre ai due carabinieri c’è anche un poliziotto tra gli indagati nelle due distinte operazioni della Procura di Salerno. I due militari, come spiegato dal procuratore della Repubblica facente funzione, Luigi Alberto Cannavale “sono stati trasferiti amministrativamente d’urgenza” perchè “fornivano notizie e facevano piaceri alle persone sottoposte a fermo” nell’ambito dell’inchiesta relativa a un presunto tentativo di estorsione al mercato ittico di Salerno. Mentre un assistente capo della Polizia in servizio presso il commissariato di Sarno, invece, è stato sottoposto alla misura interdittiva della sospensione dalla professione per un anno per rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto di 13 persone, ritenute responsabili di associazione per delinquere finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. “Dobbiamo fare pulizia in quelle rare occasioni che capitano queste situazioni al nostro interno per dare anche una credibilità all’esterno”. Ha detto il procuratore capo Cannavale parlando dei casi d’infedeltà da parte di appartenenti alle forze dell’ordine emersi nell’ambito delle due inchieste. “Le situazioni d’infedelta’ – ha aggiunto Cannavale – determinano anche una sorta di non credenza nell’operato delle forze dell’ordine. Operato che si rafforza quando si ha la forza di estirpare queste che costituiscono un nocumento per lo svolgimento di tutta l’attività investigativa”. Il questore di Salerno, Maurizio Ficarra, invece, ha voluto “rassicurare i cittadini della provincia di Salerno” i quali “devono sapere che in questa provincia c’è la fortuna di avere una Procura e una polizia giudiziaria che incessantemente lavora e si applica per sconfiggere e fronteggiare organizzazioni criminali”.

Cronache della Campania@2018

Sarno: Nicola La Rocca, il baby killer che 11 anni fa freddò un operaio ucraino che fuggiva da Chernobyl

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Sarno. Aveva solo 17 anni quando uccise a sangue freddo un 46enne ucraino con una pistola 7,65 modificata. Nicola La Rocca, il baby killer si accanì contro un tranquillo operaio, giunto in Italia, per strappare la figlia dalle radiazioni della centrale nucleare di Chernobyl, e stabilitosi a Sarno dove era ben voluto da tutti. Nicola La Rocca decise che la vita del modesto operaio doveva finire, nel luglio del 2007, e Oleksandr Nesterchuk morì dopo una breve agonia all’ospedale di Sarno. Il giovane, allora appena 17enne, si costituì poche ore più tardi e fu trasferito nel centro prima accoglienza di Salerno. Per quell’omicidio che La Rocca sostenne fosse avvenuto per motivi di viabilità, ma che probabilmente era da ricondurre alla relazione che il minore aveva avviato con la figlia dell’uomo, doveva scontare ancora 14 anni di reclusione. Dal 2007, Nicola La Rocca di strada ‘criminale’ ne ha fatta e tanta, seguendo le orme del padre Francesco Paolo, pregiudicato e legato al clan Parlato di Sarno. Due anni fa il baby killer fu arrestato dagli agenti della squadra mobile per spaccio di stupefacenti e armi da guerra che – secondo l’accusa – faceva custodire ad un suo fedelissimo. Da febbraio, quando quella sentenza per omicidio era diventata definitiva, Nicola La Rocca aveva fatto perdere le sue tracce. Il 28enne non voleva finire in carcere, quello vero stavolta, dove passare 14 anni della sua esistenza. Gli agenti della squadra mobile di Salerno che hanno eseguito un’ordinanza emessa dal Gip del tribunale di Salerno per associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga e armi, hanno scovato l’enfant prodige del crimine a Sarno: si nascondeva nel letto della suocera per sfuggire all’arresto. Secondo gli inquirenti, Nicola La Rocca sarebbe a capo di un gruppo criminale, dedito alla droga, alle estorsioni e al riciclaggio. Accuse gravissime che hanno portato il 28enne in carcere.
Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Toghe corrotte, i giudici chiedono la libertà

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Roma. Intascava mazzette per aggiustare sentenze e affidare incarichi a periti assicurativi: chiede di tornare in libertà Antonio Iannello, il giudice di pace in servizio a Torre Annunziata, arrestato il 27 settembre scorso dalla guardia di finanza, ed ora sospeso. E’ stata fissata per il 22 ottobre prossimo, l’udienza dinanzi ai giudici del tribunale della Libertà di Roma, nella quale si discuterà il ricorso presentato dall’avvocato Francesco Matrone sulle esigenze cautelari e sulla competenza territoriale del processo. Insieme a Iannello compariranno dinanzi ai giudici romani anche Raffale Ranieri, anch’egli in servizio a Torre Annunziata come giudice di Pace e Francesco Afeltra. I tre sono gli ultimi della serie di 27 indagati raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice del Tribunale di Roma a settembre scorso nell’ambito dell’inchiesta per corruzione nel palazzo di giustizia oplontino a comparire dinanzi al Riesame. Il 18 ottobre, altri tre indagati dovranno discutere il ricorso per la libertà. Fino ad ora, i giudici romani hanno rigettato tutte le richieste di scarcerazioni, accogliendo parzialmente il ricorso solo per la competenza territoriale, e lasciando immutate le misure cautelari. Nel mirino della guardia di finanza sono finite numerose cause per sinistri stradali valutati da Iannello, in particolare, e per le quali il giudice pretendeva una ‘mazzetta’ da periti assicurativi nominati e da avvocati. Gran parte dei sinistri erano istruiti da Salvatore Verde, il perito assicurativo con studio a Boscoreale, al centro di un’inchiesta parallela che nei giorni scorsi ha portato all’arresto di 14 persone.
La difesa di Iannello solleverà sicuramente l’eccezione della competenza per territorio che secondo l’avvocato Matrone dovrebbe essere radicata al Tribunale di Nocera inferiore, visto che le richieste e gli scambi di danaro contestati al giudice sono avvenuti tutti a Scafati, nello studio dell’avvocato. Secondo la difesa, Iannello ha agito da ‘privato’ e non nell’esercizio delle sue funzioni di giudice, e dunque non doveva essere la Procura di Roma ad indagare, bensì quella di Nocera Inferiore.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Napoli, corteo per Davide Bifolco, il padre accusa: ‘Sono state inquinate le prove. Ucciso due volte’

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Napoli. Circa cento persone hanno dapprima sfilando in corteo lungo via Cinthia, nel quartiere napoletano di Fuorigrotta, e poi bloccato solo per pochi minuti il traffico nei pressi dell’uscita della Tangenziale. I piazza sono scesi amici e conoscenti di Davide Bifolco, il ragazzo di 17 anni ucciso da un colpo di pistola esploso accidentalmente da un carabiniere, al termine di un inseguimento, la notte del 5 settembre del 2014, nel rione Traiano di Napoli. Oggi la seconda sezione della Corte di Appello di Napoli ha emesso la sentenza ridotto la pena inflitta in primo grado al militare imputato, da 4 anni e 4 mesi a 2 anni. Una decisione fermamente contestata dai familiari del ragazzo che hanno deciso di scendere in piazza sfilando in corteo ed esponendo alcuni striscioni. “L’omicidio di mio figlio e’ stato un omicidio volontario e non colposo, e per la morte di Davide il suo assassino ha avuto solo 2 anni. E’ tutto falsato, e se questa e’ la giustizia italiana allora siamo rovinati. Samo stati trattati cosi’ perche’ siamo della periferia di Napoli”. Cosi’ Gianni Bifolco, padre di Davide, a 16 anni morto a Napoli per un proiettile partito dalla pistola di un carabiniere che e’ inciampato mentre lo inseguiva. La decisione della Corte d’Appello ha ridotto la pena da 4 a 2 anni, scatenando l’ira dei familiari. “Ho perso un figlio di 16 anni senza un perche’ e non me ne riesco a fare capace e se potessi parlare a quello che lo ha ucciso gli chiederei perche’ ce l’aveva con Davide e perche’ non e’ mai venuto da me a chiedere perdono. Non andra’ in carcere perche’ e’ un carabiniere, ma ha commesso un omicidio”, dice ancora l’uomo che ritiene che le prove “sono state inquinate, che non sono state fatte le indagini come si deve”.

Cronache della Campania@2018


Droga e armi a Sarno, il baby killer e il poliziotto incastrati dalle intercettazioni. I nomi degli arrestati

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Sarno. Un gruppo criminale ben organizzato, capace di gestire lo spaccio di stupefacenti, non solo a Sarno ma anche nei comuni limitrofi: l’organizzazione capeggiata da Nicola La Rocca che con l’ausilio del padre, Francesco Paolo, gestiva un gruppo di giovani coetanei è stata scoperta e stroncata dall’indagine della polizia di Sarno che ha anche scoperto una talpa all’interno del commissariato. Stamane gli arresti, 11 in carcere, 2 ai domiciliari e un’ordinanza interdittiva di sospensione dal servizio per il poliziotto infedele, effettuati dagli uomini della Squadra mobile di Salerno che hanno eseguito l’ordinanza emessa dal Gip Maria Zambrano. A carico degli indagati, in tutto 18, le accuse a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, ma anche armi come quelle ritrovate a casa di Marco Viscardi, l’amico e custode di Nicola La Rocca.
Secondo l’antimafia, capo indiscusso dell’organizzazione era Nicola La Rocca che approvvigionava i suoi sodali di cocaina e hashish e finanziava l’acquisto delle partite di stupefacente. Inoltre, il baby killer di Sarno si occupava anche dell’assistenza ai suoi associati e alle loro famiglie in caso di arresto.A coadiuvare il giovane capo anche il padre Francesco Paolo La Rocca che si occupava di nascondere la sostanza stupefacente e di venderla al dettaglio. Una struttura satellitare, secondo gli inquirenti, già bloccata nel 2016 quando Nicola La Rocca fu destinatario di un fermo, dopo il ritrovamento a casa di Marco Viscardi di alcuni chili di droga e armi da guerra. Ma l’organizzazione continuava ad operare e stamane sono scattati gli arresti. Nei guai è finito anche il poliziotto ‘infedele’ Giovanni Corrado, incastrato da un’intercettazione ambientale registrata nell’auto di Francesco Soriente. In servizio presso il Commissariato di Sarno, Corrado è accusato di aver rivelato ad alcuni esponenti gruppo criminale che faceva capo a Nicola La rocca delle indagini – delegate dalla Dda -. In particolare, secondo l’accusa Corrado – in servizio al commissariato di Sarno, intratteneva rapporti di conoscenza e amicali con Carlo Albero, Francesco Soriente e Domenico Sirica Imparato dai quali avrebbe anche acquistato dello stupefacente. Il poliziotto è accusato di favoreggiamento e violazione del segreto d’ufficio. A supportare le accuse un’intercettazione registrata il 19 marzo del 2016 nell’auto di Soriente.

 Rosaria Federico

@riproduzione riservata

Ecco gli indagati
In carcere
La Rocca Nicola, 28 anni
Soriente Francesco, 50 anni
Albero Carlo, 28 anni
D’Angelo Antonio, 37 anni
Imparato Sirica Domenico, 31 anni
Stellato Giovanni, 23 anni
La Rocca Francesco Paolo, 54 anni
Peluso Gaetano, 34 anni
Giudice Angelo, 32 anni
Viscardi Marco, 28 anni
Litrico Gaetano, 39 anni

Ai domiciliari
Sirica Domenico, 74 anni residente a Fiano Romano
Commesso Antonio, 35 anni di Torre Annunziata

Interdizione per un anno dal servizio
Corrado Giovanni, 53 anni di Nocera Inferiore

Indagati
Cloralio Gorizia
Tanzola Vittoria
Bifulco Giuseppe

 

 

Cronache della Campania@2018

Voleva uccidere lo zio materno: chiesti 13 anni di carcere per il figlio del boss di ‘Casa Savastano’

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Torre Annunziata. Chiesti 13 anni di carcere per Raffaele Gallo “Pisiello” figlio del boss Francesco proprietario di “Casa Savastano” al rione Penniniello di Torre Anunziata dove sono è stata girata la prima serie della fiction Gomorra. Il giovane rampollo insieme con il suo complice Vincenzo Falanga (pure per lui chiesti 13 anni) la sera del 27 gennaio del 2017 tentarono di uccidere Salvatore Iovane, zio materno di Gallo ma ridussero in fin di vita l’incensurato Vittorio Nappi che si trovava con lui. Il motivo dell’agguato era una vendetta nei confronti della famiglia della mamma che aveva lasciato il padre in carcere e aveva intrecciato una relazione con il figlio dello spietato killer dei Gionta, Umberto Onda, acerrimo rivale del suo ex marito. La richiesta è stata avanzata dal pm Emilio Prisco nel corso del processo che si sta svolgendo con il rito immediato davanti al Tribunale di Torre Annunziata. I difensori hanno chiesto l’assoluzione per mancanza di prove. La sentenza è prevista per la prossima settimana.

 

Cronache della Campania@2018

Camorra, confiscato il tesoro dei Potenza: riciclavano per il clan Lo Russo. IL VIDEO

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Il Centro Operativo DIA di Napoli ha eseguito un decreto di confisca, emesso dal locale Tribunale – Sezione Misure di Prevenzione, nei confronti di Potenza Bruno, imprenditore contiguo a contesti criminosi anche di natura organizzata di stampo camorristico e figlio di un esponente di una delle più note “paranze” di contrabbandieri partenopei.
Le indagini effettuate, avvalorate da una “rogatoria internazionale” riguardante l’analisi di operazioni finanziarie sospette con la Svizzera, hanno evidenziato l’anomalia della posizione patrimoniale della famiglia di Potenza Bruno, nonché i collegamenti con personaggi legati al clan “Lo Russo”, operante nel quartiere di Miano. Significativo, in tal senso, fu il ritrovamento nel 2011, durante la perquisizione effettuata dalla stessa DIA di Napoli, di 8 milioni di euro nascosti tra le intercapedini delle abitazioni dei Potenza, successivamente sottoposti a sequestro.
L’operazione ha fatto emergere un ingente patrimonio accumulato nel corso degli anni, sproporzionato rispetto alle loro reali capacità finanziarie e risultato il frutto delle attività illecite perpetrate, che gli sono costate, altresì, la condanna per il delitto di associazione a delinquere (art. 416 c.p.) finalizzato all’usura, alle estorsioni ed al reimpiego/riciclaggio di denaro e beni anche in territorio estero.
In tale contesto, è stata attenzionata anche la figura di Di Napoli Maurizio, il quale, pur non avendo adeguate risorse, forniva la sua disponibilità a farsi intestare e, apparentemente, ad amministrare, a seguito delle vicende giudiziarie dei Potenza, la sala ricevimenti già nota come “Villa delle Ninfe” a Pozzuoli, quando invece “unico e reale” gestore continuava ad essere lo stesso Bruno Potenza.
L’odierna confisca ha, in definitiva, interessato 11 unità immobiliari, 4 società con intero patrimonio aziendale (tra cui la citata sala ricevimenti di Pozzuoli), 3 autoveicoli e 1 natante (Cigarette modello Bullet bimotore), 23 rapporti finanziari tra depositi bancari nazionali e polizze, per un valore di oltre 16 milioni di euro.

Cronache della Campania@2018

Giudizio immediato per Corrado De Luca: fedelissimo del boss Antonio Iovine

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Giudizio immediato per l’ex braccio destro di Antonio Iovine, Corrado De Luca, e per il vigile urbano Giuseppe Della Corte. E’ quanto disposto dal giudice per le indagini preliminari che ha, di fatto, avviato il processo a carico dei due accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso e violenza privata.
Le due posizioni, però, seguiranno iter giudiziari differenti. Della Corte, infatti, ha scelto di essere processato con rito abbreviato mentre De Luca procederà con rito ordinario con il dibattimento che dovrà essere fissato nei prossimi giorni dal gip.
Nei giorni scorsi, intanto, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal vigile urbano che aveva impugnato l’ordinanza del tribunale del Riesame che aveva confermato il provvedimento cautelare spiccato a suo carico dai giudici napoletani. Per la Suprema Corte “i giudici di merito hanno dato adeguato conto degli elementi emersi nel corso delle indagini posti a fondamento della decisione, anche con riferimento alla consapevolezza del ricorrente circa l’intervento del De Luca in suo favore”. I due sono difesi dagli avvocati Raffaele Mascia e Carlo De Stavola.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Torre del Greco, si allarga l’inchiesta sul voto di scambio: acquisiti atti di un’associazione onlus

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Torre del Greco. Si allarga l’inchiesta sul voto di scambio nella città del corallo. Non solo posti di lavoro nella nettezza urbana per comprare dei voti ma anche pacchi alimentari. Secondo gli investigatori il gestore di un’associazione onlus avrebbe consegnato pacchi alimentari a persone indigenti. Infatti nella mattinata di ieri i militari hanno eseguito una perquisizione ed hanno acquisito gli atti ovvero documenti rendicontazioni dell’associazione. I carabinieri della locale compagnia stanno lavorando su una serie di nominativi e sulla presunta compravendita di voti che avrebbe coinvolto alcuni aspiranti consiglieri comunali. Un vero e proprio momento di svolta quello che vive l’inchiesta sulla tornata elettorale che ha visto prevalere il sindaco Giovanni Palomba. Risultano formalmente indagati Simone Magliacano, già assessore della giunta Borriello che ha provato già a chiarire la sua posizione durante un interrogatorio. Inoltre il consulente del lavoro ha anche consegnato il cellulare agli investigatori. Stefano Abilitato, ex forzista, candidato con una lista civica a sostegno di Palomba, è stato eletto con 927 voti. Il nome del consigliere compare in diverse chat e messaggi registrati da netturbini indagati. Gli operatori della Nu sono stati assunti per sei mesi con uno stipendio da 500 euro e pare avrebbero sostenuto con diversi voti chi li aveva indirizzati nel preparare la pratica per essere assunti. “Non c’è stato voto di scambio, ho solo aiutato un amico candidato, pagando alcuni di quei netturbini per l’affissione dei manifesti – dice Magliacano che prova a difendersi. Circa 100 euro a sei persone assunte da Gema per affiggere “i manifesti elettorali e anche della nostra società sportiva”.
Gli indagati, con l’accusa a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla turbativa del voto, voto di scambio e altri reati, sono circa una quindicina. Tutti sono residenti a Torre del Greco. La svolta riguarda, però, il presunto acquisto di voti mediante la cessione di buste della spesa. Finisce tra gli indagati anche M.P., portavoti di un consigliere comunale eletto, che secondo quanto ipotizzato dagli investigatori avrebbe usato l’associazione onlus, il cui presidente formalmente è la madre, per distribuire pacchi alimentari in cambio del voto. Una vicenda triste ma di routine durante le consultazioni elettorali. Caso simile avvenne anche a Castellammare di Stabia, con una lista facente riferimento ad un’associazione che ha distribuito pacchi alimentari prima di un pubblico attacco da parte di un candidato a sindaco. La vicenda fu, in quella circostanza, segnalata alle forze dell’ordine.

Cronache della Campania@2018

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