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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Adescò una14enne su Fb: 7 anni di carcere a un 70enne albanese

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Dovrà scontare sette anni di carcere un 70enne albanese ritenuto dalla Procura di Salerno colpevole per aver costretto in due anni una 14enne a mandargli, attraverso Facebook, video erotici realizzati dalla ragazza con una webcam e minacciando di rendere pubblici i filmati se avesse smesso di chattare con lui. I reati a lui contestati sono divulgazione di materiale pedopornografico, accesso abusivo a sistema informatico, sostituzione di persona, atti persecutori a minori, violenza sessuale aggravata. L’uomo fu arrestato nel 2016 a seguito di un lavoro certosino tra magistrati e autorità albanesi. Il sostituto procuratore Penna era riuscito anche a far estradare l’anziano. Gli investigatori erano arrivati a lui seguendo le tracce sul web. Fu fatto anche un sopralluogo nella abitazione dell’orco a Tirana. All’interno di un hard disk furono scoperti immagini della nipote minorenne, foto della figlia durante atti sessuali con il marito e video pedopornografici. L’indagine partì nel 2012 quando i genitori della minorenne si recarono alla polizia postale. L’uomo, in preda alla rabbia perché la ragazzina non voleva più continuare a mandare video, aveva iniziato a diffondere i video compromettenti. Gli inquirenti oscurarono il profilo e iniziarono la caccia all’uomo conclusasi con la condanna e l’arresto, l’uomo infatti dovrà scontare la pena in un carcere italiano.

Cronache della Campania@2018


Camorra, uccisero e seppellirono un loro affiliato: arrestati mandanti e killer degli Amato-Pagano

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In data odierna questa Squadra Mobile presso la Questura di Napoli ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare che ha disposto la custodia in carcere nei confronti di 7 indagati, emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di soggetti ritenuti responsabili dell’omicidio per lupara bianca di D’ANDO’ ANTONINO, scomparso il 22 febbraio 2011, ritenuto uno dei luogotenenti di AMATO CARMINE, a sua volta erede di AMATO RAFFAELE cl. 65, uno dei capi della consorteria camorristica AMATO PAGANO.
Le attività di indagine – fondate su dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni ed un’ampia messe di riscontri – hanno consentito di ricostruire mandanti ed esecutori di un omicidio ‘eccellente’ che costituì un’epurazione interna decisa da una componente del clan, quella facente riferimento a RICCIO MARIANO, genero di PAGANO CESARE e designato a capo dell’organizzazione criminale, ai danni della componente che faceva riferimento agli AMATO.
Il D’ANDO’ venne assassinato ed il suo cadavere fatto sparire non per dissimulare la responsabilità dell’omicidio, ma quale ultimo atto di affronto nei riguardi di un affiliato rimasto fedele agli AMATO e che non vedeva di buon occhio la leadership di RICCIO MARIANO.
Il D’ANDO’ fu attirato in trappola, venendo convocato per una riunione in uno dei covi del clan, per essere subito ucciso da un soggetto, legato da vincoli di sangue ai PAGANO, che così se ne assunsero la diretta responsabilità, e poi sepolto in un terreno incolto rimasto ignoto.
Misura cautelare della custodia in carcere:

1) BAIANO Emanuele, di 30 anni

2) BELGIORNO Giosue’ di 29 anni, detto Giosue’ o’ ruoss,

3) BELGIORNO Giosue’ di 28 anni; detto Giosue’o’piccirillo

4) FERRAIUOLO Mario di 28 anni;detto Marittiello quatt sold;

5) PARISI Giuseppe di 51 anni, detto “Pino”

6) RICCIO Mario di 27 anni, detto“Mariano”

7) SCOGNAMIGLIO Ciro di 29 anni; detto Ciro banbulella

Cronache della Campania@2018

Camorra, lo ‘stragista’ Giuseppe Setola a giudizio per un duplice omicidio del ’97

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Considerato autore di decine di omicidi di camorra e principale artefice della stagione del terrore che nel 2008 costo’ 18 morti nel Casertano, tra cui la nota strage di Castel Volturno in cui morirono sei ghanesi, Giuseppe Setola, capo dell’ala stragista dei Casalesi, e’ stato rinviato a giudizio dal Gup di Napoli, Egle Pilla per un altro duplice omicidio, quello di Antonio Pompa e Nicola Baldascino, uccisi il 31 ottobre 1997. Un delitto maturato nell’ambito della faida interna al clan dei Casalesi tra i Bidognetti e gli Schiavone; le due vittime erano molto vicine a Nicola Schiavone, figlio del boss Francesco detto “Sandokan”. L’altra imputata, la collaboratrice di giustizia Anna Carrino (assistita da Civita Di Russo) , ex compagna del boss Francesco Bidognetti, che secondo la Dda di Napoli avrebbe fatto da tramite il capoclan e il killer Setola, ha invece chiesto il patteggiamento, su cui il Gip si pronuncera’ il 19 novembre prossimo. Setola (difeso da Paolo Di Furia) invece, sempre a novembre, comparira’ davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il coinvolgimento dell’esponente del clan e’ emerso da un’intercettazione allegata ad un altro processo contro i Casalesi, in cui il killer si vantava con un altro esponente del clan, suo fedelissimo, Alessandro Cirillo detto “o’ sergente”, di aver preso parte all’organizzazione del duplice delitto.

Cronache della Campania@2018

I vestiti destinati alla Caritas venduti sulle bancarelle di Napoli: in sei a processo

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Tutti rinviati a giudizio. Sara’ un processo a stabilire se ci sia stata una truffa ai danni della Caritas per i vestiti nuovi e usati raccolti dall’associazione e destinati ai poveri ma poi finiti in vendita nelle bancarelle di Napoli. Il Gup del Tribunale di Cagliari, Roberto Cau, ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio del pm della Direzione distrettuale Antimafia, Guido Pani, nei confronti del referente dei servizi di approvvigionamento e logistica della Caritas Andrea Nicolotti, 57 anni di Cagliari, dei titolari della Eurofrip di Guarino a Casoria, Giampiero Cesarini e la moglie Rosa Contiello, di 45 e 42 anni, entrambi residenti in Sardegna, e dell’imprenditore Guido Afflitto, 65 anni, originario di Catanzaro, titolare della Sarda recupero tessili con sede a Monastir in provincia di Cagliari. A loro la Procura contesta, a vario titolo, l’accusa di traffico illegale di rifiuti e il concorso in truffa ai danni della Caritas. Per un filone marginale, con un’ipotesi di corruzione di 250 euro legata alla fornitura di magliette per il calcetto, sono finiti sotto indagine anche Leopoldo Trudu, ex assessore ai Lavori pubblici del Comune di Decimomannu sempre in provincia di Cagliari e Carlo Maramarco, dipendente della stessa amministrazione: anche per loro e’ stato disposto il rinvio a giudizio. Ora la parola passera’ al Tribunale: il processo si aprira’ l’1 febbraio davanti al collegio della seconda sezione penale. L’inchiesta era partita da un esposto anonimo e affidata agli investigatori del Corpo forestale della Sardegna. Tonnellate di vestiti raccolti per la Caritas ma mai arrivati ai poveri. Sarebbero, infatti, finiti in mano a societa’ che li vendevano nei mercati della Penisola, soprattutto in Campania, ma anche in Africa. In caso di beneficienza, la normativa non prevede alcuna restrizione: la Caritas raccoglie gli indumenti, li seleziona e li dona ai bisognosi senza ulteriori passaggi. Ma se questi stessi indumenti vengono messi in vendita, si applicano le leggi sullo smaltimento dei rifiuti, trattandosi di abiti usati. Ed e’ in questa procedura che sono emerse le irregolarita’ contestate dalla Procura.

Cronache della Campania@2018

Camorra, il pentito Illiano: ‘Durante un matrimonio Ferraiuolo mi raccontò di aver sotterrato D’Andò dopo l’omicidio’

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“Mi prese in disparte durante un matrimonio e mi disse di aver sotterrato Tonino. Poi mi disse pure di avergli spappolato la testa con un badile, urlandogli contro che non avrebbe dovuto rubare i soldi della famiglia, facendomi intendere che era quello il motivo per il quale era stato ucciso”. Sono queste le parole con cui Giovanni Illiano, ex sicario del gruppo Amato-Pagano, racconta ai pm la morte di Antonino D’Ando’, luogotenente del boss Raffaele Amato, vittima di lupara bianca nel 2011 in quella che gli inquirenti hanno inquadrato come epurazione interna alla cosca. Le dichiarazioni in un verbale di oltre due anni fa, ma affiancate poi da quelle di altri pentiti che hanno portato questa mattina all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip, Egle Pilla, su richiesta della Dda di Napoli. I provvedimenti restrittivi riguardano il mandate del delitto, Mariano Riccio, genero del boss Cesare Pagano, per anni e’ stato al vertice della cosca di Scampia e Secondigliano, Emanuele Baiano; Giuosue’ Buongiorno; Mario Ferraiulo, che fece la confidenza a Illiano; Giuseppe Parisi e Ciro Scognamiglio. D’Ando’ fu liquidato perche’ rappresentava gli Amato e in particolare Carmine, nipote del boss Raffaele detenuto al carcere duro e possibile rivale di Riccio nella sua scalata al vertice del clan. L’omicidio risale al 22 febbraio del 2011, quando fu ritrovata a Giugliano l’auto di D’Ando’ in fiamme. La moglie racconto’ della vicinanza del marito agli Amato e di temere che fosse stato ucciso. “Presto tutti si dimenticarono dell’omicidio – racconta Illiano – perche’ dopo l’arresto di Carmine Amato, Riccio prese in mano il potere e coinvolse negli affari tutti e placo’ le acque”.  Oltre ai sette raggiunti dall’ordinanza cautelare ci sono altri sei indagati che sono il pentito Carmine Cerrato detto Takendò”, Giacomo Migliaccio, di 59 anni detto “Giacumin a’ femmenella”, Vincenzo Nappi di 53 anni detto “Vicienzo o’ pittore”, Salvatore Romano, Francesco Paolo Russo, di 28 anni detto “Cicciariello” e Andrea Severino di 43 anni detto o’ Chiattone.

 

(nella foto a sinistra il boss Mariano Riccio mandante dell’omicidio e a destra Giovanni Illiano il pentito grande accusatore)

Cronache della Campania@2018

Pianura, il boss pentito: ‘Abbiamo ucciso e seppellito lo zio di un boss di Ponticelli’. LE DICHIARAZIONI

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“A questo punto vorrei riferire di un fatto molto grave…(omissisi)… si tratta dell’omicidio di un uomo che si chiama Massimiliano Musella che si trovava in comunità a Modena con Pasquale Esposito. Ho conosciuto questo Musella Massimiliano perché mi fu portato da Pasquale Esposito dopo che lo stesso Musella si era arbitrariamente allontanato dalla comunità terapeutica dove si trovava agli arresti domiciliari e non vi aveva fatto rientro all’incirca un paio di anni fa”. Il ras Salvatore Romano detto Muoll Muollo ha fatto luce su un omicidio ‘Cold Case’ della camorra. Le dichiarazioni dell’ex reggente del clan Mele che dallo scorso anno è diventato collaboratore di giustizia sono datate 10 luglio del 2017 e sono contenute nelle 60 pagine dell’ordinanza cautelare che ieri ha colpito il boss Vincenzo Mele  detto Enzo e’ Giulietta, e i suoi due fedelissimi Vincenzo Morra detto pallina e Fabio Orefice per estorsione e associazione di tipo mafioso. Nella stessa inchiesta sono indagati salvatore Poverino di 49 anni detto Puparuolo e la moglie Nunzia Fiore di 50 anni.A proposito dell’omicidio di Massimiliano Musella il cui cadavere fu ritrovato nel mese di agosto dello scorso anno su indicazioni di Romano in in un terreno boschivo in via Vicinale Palminetto ha spiegato ancora: “… Lo abbiamo presentato a Vincenzo Mele e al padre Luigi in quanto lui voleva ‘dare una mano’ a Pianura ricevendo in cambio il nostro sostegno nella zona di Pointicelli ove lui stesso operava quale affiliato ai Ciccone. Preciso che lui era lo zio di Salvatore Ciccone detto ‘Caramella’ che è un personaggio di spicco della criminalità di Ponticelli. Effettivamente Pasquale Esposito ed io lo presentammo ai Mele, i quali decisero che Musella dovesse essere fornito di documenti falsi e che bisognava trovargli un’abitazione fuori Pianura e che non poteva restare a casa mia in quanto subivo frequentemente controlli da parte delle forze dell’ordine….omissis… Vincenzo Mele invece procurò a Musella l’abitazione in via Cupa Terracina e precisamente in un immobile a piano terra nella stessa via ove è ubicato il deposito di cui ho parlato. Musella secondo gli accordi presi con Vincenzo Mele in mia presenza a casa di luigi mele affidò a Musella il compito di fare estorsioni ai commercianti e imprenditori di Pianura in quanto non era conosciuto a Pianura…”. Ma qualcosa nella gestione delle estorsioni da parte di Musella andò storto e lo stesso clan decise di eliminarlo. La Dda sulla scorta delle dichiarazioni del pentito sta ultimando l’inchiesta mettendo insieme gli ultimi tasselli per incastrare mandanti ed esecutori materiali oltre a chi poi fece sparire il suo cadavere sotterrandolo nel terreno dove fu trovato lo scorso anno.

 Rosaria Federico

@riproduzione riservata

 

(nella foto il luogo del ritrovamento del cadavere di Massimiliano Musella e nel riquadro il boss pentito Salvatore Romano muoll muoll)

Cronache della Campania@2018

Camorra, i pentiti: ‘D’Andò fu ucciso e sciolto nell’acido perché Mariano Riccio voleva comandare tutto lui’

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Fu Emanuele Baiano ad uccidere a colpi di pistola Antonino D’Andò prima che fosse sciolto nell’acido e venisse fatto sparire il corpo. E’ quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare che stamane ha colpito sette esponenti del clan Amato-Pagano e in particolare la fazione dei Pagano retta all’epoca da Mariano Riccio genero del super boss Cesare Pagano. Fu lo stesso giovane capo a deliberare la morte di D’Andò insieme con l’altro cognato Carmine Cerrato detto takendò (oentito da alcuni anni). Il gruppo di fuoco era composto dai due capi e poi da Emanuele Baiano, Giacomo Migliaccio, Giosué Belgiorno classe ’89 , Giosuè Belgiono classe ’90, Mario Ferraiuolo, Ciro Scognamigliuo, Vincenzo Nappi, Andrea Severino e Giuseope Parisi. Era il periodo dello scontro tra le due diverse fazioni della potente famiglia degli scissionisti da una parte i Maranesi di Mariano Riccio legato ai Pagano dall’altro i melitesi legati agli Amato al cui vertice (con la latitanza di Carmine Amato a vicchiarella e la detenzione di Raffaele junior vi era proprio Antonino D’Andò.La sua eliminazione segnò il punto di massima rottura tra le due famiglie ma anche il dominio momentaneo del gruppo di Mariano Riccio. Alla distruzione del cadavere di D’Andò se ne occuparono i due Belgiorno, Mario Ferraiuolo e Ciro Scognamiglio. Numerosi sono i pentiti che hanno parlato dell’omicidio di Antonino o’ russo contribuendo a fare luce sull’efferato delitto. Fabio Vitagliano in un verbale del 15 maggio del 2013 spiega agli investigatori: “… omicidio di Antonio D’Andò di cui ho saputo da Mirko Romano e poi da Ciro Scognamiglio nel corso della mia recente detenzione a Poggioreale. E Scognamiglio è uno degli autori materiali, gli altri esecutori sono Mario Ferraiuolo, Giosuè il piccolino, Salvatore Romano, Giosuè il grande. L’omicidio di D’Andò viene deciso da Mariano Riccio per la ragione-dettami da Ciro Scognamiglio- che Mariano voleva essere capo di tutto e non voleva contrasti quando prendeva le decisioni. per quanto dettomi da Mirko Romano il cadavere venne sciolto nell’acido dagli stessi esecutori, non so dove venne ucciso ne dove venne sciolto il cadavere…”.

 Rosaria Federico

 1. continua

@riproduzione riservata

Cronache della Campania@2018

Appalti Porta Ovest a Salerno, 21 rinvii a giudizio: c’è anche l’ex presidente del porto

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Per la realizzazione di Porta Ovest a Salerno, il giudice per l’udienza preliminare del tribunale salernitano, Vincenzo Pellegrino, ha rinviato a giudizio 21 imputati, tra cui l’ex presidente dell’Autorita’ portuale di Salerno, Andrea Annunziata difeso dall’avvocato Federico Conte, imprenditori e legali rappresentanti delle imprese che componevano l’Ati (associazione temporanea d’impresa), aggiudicataria dell’appalto, e molti tecnici. La vicenda attiene alla realizzazione dei tunnel di collegamento tra il porto commerciale della citta’ e gli svincoli autostradali per consentire di decongestionare il traffico cittadino. L’opera e’ tuttora in costruzione. Gli imputati rispondono, a vario titolo, di concorso in abuso in atti d’ufficio per avere, secondo l’accusa, modificato il progetto a base d’asta ritenendolo non idoneo per quello esecutivo. Vi sarebbe, dunque, una difformita’ del progetto definitivo, approvato dall’Autorita’ portuale e finanziato dall’Unione europea, con l’elaborato esecutivo disposto dalla societa’ Tecnis, quest’ultima interessata al secondo lotto della maxiopera. Inoltre, per il crollo, in particolare, vengono contestati errori progettuali per non aver predisposto rinforzi adeguati. Gli imputati dovranno comparire davanti alla seconda sezione penale del tribunale di Salerno il prossimo 3 dicembre.
Vanno a processo con l’ex presidente Annunziata, (prima udienza a dicembre) Vincenzo Manganiello, procuratore speciale Tecnis; Mario Vitale, direttore di cantiere della Tecnis; Paolo Costa, capocantiere; Ludovico Amoretti e Antonio Morabito, responsabili locali della direzione dei lavori per conto del Consorzio stabile Dielle Engineering; Fulvio Giovanni, direttore dei lavori;  Domenico Barletta, responsabile unico del procedimento; Elena Valentino, capo dell’area tecnica dell’Autorità portuale; Immacolata Ritonnaro, amministratrice della Ritonnaro Costruzioni; Alessandro Macchi, ingegnere di supporto tecnico al rup; Francesco Giuliano, imprenditore e rappresentante dell’omonima ditta; Antonio Valente, presidente delle commissione gara; Raniero Fabrizi e Luca Caselli, componenti della commissione gara; Danilo La Piana, legale rappresentante della Tecnis; Maurizio Aiardo Esposito, procuratore speciale Rti – soggetto deputato alla verifica del progetto; Giuseppe Miceli, nuovo procuratore speciale Tecnis; Massimiliano e Vittorio Tiberio Insigne, gestori della società e dei beni Porta Ovest; Dario Lamonica Miraglia, legale rappresentante della Impertex. Il gup ha stabilito anche il non luogo a procedere, Giovanni Micillo (difeso dall’avvocato Francesco Saverio Dambrosio) e dirigente dell’area tecnica del Comune di Salerno, mentre Francesco Maria Salvatore De Rosa, amministratore della Ssi  ha invece chiesto l’abbreviato.

Cronache della Campania@2018


Giudici corrotti, Iannello intercettato inguaia altri colleghi: ‘…per questi quattro soldi in galera non ci voglio andare… faccio i nomi di tutti…’

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“Ma se escono fuori queste cose io per questi quattro soldi dentro non ci voglio andare … hai capito … io mando a fare in culo a tutti … faccio uno uno e uno … vi liquido massimo trecentosettanta euro”. Sapeva che quello che stava facendo gli poteva costare il carcere, Antonio Iannello il giudice di pace. Arrestato giovedì scorso commenta così la circostanza che in giro si sono diffuse voci sulle sue sentenze facili e sulle nomine a consulenti tecnici compiacenti. Iannello parla con il consulente Francesco Afeltra, in uno dei video registrati dalla guardia di Finanza nel suo studio di Scafati. Il Ctu si lamenta di non essere stato più nominato in procedimenti per sinistri stradali e Iannello lo rimprovera di essersi comportato ‘male’. Il problema del Ctu è che ‘parla troppo’. E quelle voci sul suo conto, secondo Iannello, avrebbero prodotto degli esposti a suo carico. “perchè sono un fetente? ma voglio capire” chiede Afeltra al giudice “mi hai fatto fare una figura di merda con Filippo”…. “Ragazzi qua sta uscendo fuori perché voi parlate tra di voi… io tra poco non faccio più niente” incalza Iannello. Secondo gli inquirenti, Iannello teme di finire nei guai per quello che sta facendo perché si sono diffuse troppe voci sul suo conto. E allora per giustificarsi racconta al consulente tecnico quello che accade, secondo lui, presso il giudice di pace di Gragnano dove un togato per celare esborsi di danaro provenienti da avvocati e tecnici compiacenti vende collanine in udienza. Iannello fa il nome del giudice che venderebbe in udienze collane a prezzi maggiorati. “Ma qua si parla la Di Somma sta facendo la scema si piglia tremila quattromila e cinquemila non se ne fotte ma qua si parla … lo sai che si dice? lo sai che si dice?… La Di Somma … Stamattina mi ha detto una persona che lei si è presa una collana… si va avanti a collane qua… e giustamente mi fa notare …. ma una collana che sta venti euro e la paghiamo duecento euro una collana, di marocchini…”.
Iannello racconta e il Cut conferma la vicenda della vendita delle collane: “Quante collane si è comprato il Ctu, spiegami quante se ne è comprate il Ctu?”. Afeltra non può far altro che confermare l’acquisto di collane: “Una cento euro di collane”. E allora Iannello chiede: “te le compravi se non ti dava Ia CTU?’E il pm questo non lo sa secondo voi, qua andiamo tutti negli impicci io non ho nessun interesse che se cade lei qua succede…”. A confermare la circostanza che il giudice in servizio a Gragnano vende collane in udienza, arriva la testimonianza di Rosaria Giorgio, l’avvocatessa collega di studio di Iannello, finita agli arresti domiciliari. “Io lo sapevo perchè l’ho vista vendere in udienza questo collane” Spiega Afeltra “Le vende davvero in udienza, con il panno sul tavolo a vendere le collane” E Rosaria Giorgio conferma: “sì l’ho vista anche io ed anche Carmela (Coppola, ndr).

Iannello si rammarica che, nonostante la cosa sia nota a tutti, gli unici considerati, ‘mariuoli’ “sono lui e Paolo Formicola, l’altro giudice di pace di Torre Annunziata finito agli arresti. “se cade uno cadiamo tutti ma scherziamo.. poi alla fine i mariuoli siamo io e Formícola ma fammi sapere? siamo noi i ladri … io e Paolo Formicola”.

Ma il giudice Di Somma di Gragnano non sarebbe l’unico, secondo Iannello e Afeltra, ad essere un ‘aggiustasentenze’ in cambio di soldi: “Io sto sentendo una voce – dice Francesco Afeltra – sono arrivati anche ad Ambrosino (il Got Luigi Ambrosino, ndr)”. E Iannello conferma: “come sono arrívati… ad Ambrosíno sono giù arrivati, Ambrosino in tribunale si è preso tremila euro per una sentenza si dice…e non glieli ho dati io… e chi me lo ha detto non glieli ha datL.. ecco vedi come è uscito fuori? omissis.. è stato detto che Ambrosino mangía è stato detto che si è preso da solo tremila euro uno sentenza e che se li è presi addirittura dentro al Tribunale che quando va in udienza poi fa studio li dentro”.

 Rosaria Federico

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Cronache della Campania@2018

Camorra, perizia psichiatrica per Ciro Persico, il boss della droga di Salerno

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Il boss della droga nel centro storico di Salerno, Ciro Persico, il padre di Vincenzo Coca-Cola, è incapace di intendere e di volere secondo il suo avvocato che ha richiesto e ottenuto durante l’udienza preliminare l’abbreviato condizionato ad una perizia psichiatrica. L’uomo fu ritrovato e arrestato nel suo appartamento con 100mila euro di droga, per la precisione si trattava di otto chili e mezzo di hashish e due di cocaina. Anche il rapper Gerardo Rispoli, in arte Murzett, ed Ugo Ventre saranno giudicati con rito abbreviato insieme a Ciro Persico. Lo scorso anno Persico fu trovato con 93 bombe in casa destinate alla vendita. Dopo il suo ritorno dal carcere l’uomo fu visto più di una volta in compagnia di pregiudicati della zona, nel 2017 i militari fecero irruzione nel suo appartamento e trovarono i tre mentre discutevano, probabilmente, di affari. Fu anche ritrovata, oltre alla droga, una pistola e dei proiettili.

Cronache della Campania@2018

Frode carosello, sequestro per oltre 4 milioni di euro tra Napoli, Roma e Milano

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Napoli. La Guardia di Finanza di Napoli ha eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari reali per la somma di 4.634.174 euro quale profitto illecito di una maxi frode fiscale nel commercio dei polimeri ed in quello dei pellet. In particolare, l’operazione ha visto i militari impegnati in oltre 31 perquisizioni su tutto il territorio nazionale. Complesse indagini hanno portato alla luce una vera e propria associazione per delinquere, con base nella provincia di Napoli e propaggini in Roma e Milano, finalizzata all’evasione tributaria attraverso il meccanismo della cosidetta “frode carosello”. Il sodalizio criminale prevedeva la produzione di un vorticoso giro di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, per un importo di 21.064.427 di euro, attraverso una filiera di società missing traders ovvero buffers costituite ad hoc, legalmente amministrate da soggetti risultati dei meri “prestanomi”.

Cronache della Campania@2018

Fissato il processo appello per l’attore Domenico Diele accusato di omicidio stradale a Salerno

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Prendera’ il via il prossimo 15 gennaio, a Salerno, il processo d’Appello per Domenico Diele. L’attore e’ stato condannato per omicidio stradale aggravato con rito abbreviato a 7 anni e 8 mesi di reclusione per aver travolto e ucciso, a bordo della propria autovettura, la 48enne Ilaria Dilillo mentre percorreva, in sella ad uno scooter, un tratto salernitano dell’autostrada A2 del Mediterraneo. Diele, che ha recitato in numerose fiction di successo, intorno alle 2 del 24 giugno 2017, con patente sospesa sei mesi prima per uso di hashish, viaggiava a 157 chilometri orari, nonostante il limite fosse di 130. Secondo le relazioni dei periti, le cui conclusioni furono condivise dal gup, considerato il tipo e le condizioni di quella strada, avrebbe potuto accorgersi della presenza del motociclo condotto da Dilillo 3,3 secondi prima dell’impatto. Invece, in questo tempo, non effettuo’ alcuna manovra utile ad evitare lo scontro. La frenata avvenne 2,2 secondi dopo l’impatto, quando lo scooter era gia’ stato colpito. Diele era alla guida alterato da sostanze stupefacenti. I suoi legali, Giuseppe Montanara del foro di Roma e Guglielmo Marconi del foro di Teramo, lo scorso 5 luglio, hanno proposto appello contro la decisione di primo grado. Una decisione, invece, condivisa dai familiari della vittima, padre e fratello, costituitisi, attraverso l’avvocato Michele Tedesco, parte civile nel processo. Anche per questi ultimi, l’ordine del presidente della sezione penale della Corte di Appello di Salerno di comparire in udienza nel prossimo mese di gennaio.

Cronache della Campania@2018

Camorra a Roma: 230 anni di carcere ai ‘Napoletani della Tuscolana’

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Condanne per quasi 230 anni di carcere per ventuno persone, ma anche alcune prescrizioni e altre assoluzioni parziali per singoli capi d’imputazione. Con questa sentenza si e’ chiuso il processo d’appello a ventiquattro persone, secondo l’accusa note negli ambienti criminali capitolini come i ‘Napoletani della Tuscolana’, che per l’accusa avrebbero gestito lo spaccio in alcune piazze della periferia della Capitale. In particolare il maxiprocesso, davanti alla III Corte d’appello presieduta da Cecilia Demma, vedeva contestate accuse che, a vario titolo e secondo le rispettive posizioni, andava dall’associazione mafiosa, all’associazione finalizzata al traffico illecito di droga, estorsioni, usura, reati contro la persona, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, fittizia intestazione di beni, illecita detenzione di armi, illecita concorrenza con violenza e minacce. In primo grado furono pronunciate condanne per oltre 300 anni di reclusione (8 furono invece le assoluzioni); oggi alcune rideterminazioni di pena sono state motivate con assoluzioni o prescrizioni parziali. Le condanne piu’ alte sono state inflitte a Domenico Pagnozzi (confermati i 30 anni di carcere inflitti in primo grado), Massimiliano Colagrande (24 anni), Antonino Cali’ (21 anni), Stefano Fedeli (18 anni e 11 mesi), Marco De Rosa (18 anni e 10 mesi), Marco Pittaccio (16 anni e 8 mesi) e Claudio Celano (14 anni). Tutte le altre condanne inflitte sono state ricomprese tra poco piu’ di 9 anni e poco piu’ di 4 anni di reclusione; in piu’ c’e’ stata l’applicazione concordata accusa-difesa di una condanna e tre assoluzioni anche per prescrizione dei reati contestati. Il processo nacque dagli esiti di una maxi inchiesta che nel 2015 porto’ gli inquirenti a ritenere di avere smantellato un’organizzazione per delinquere di matrice camorristica operante nella zona sud-est di Roma, impegnata in varie attivita’ illecite e capeggiata da Pagnozzi. Il ‘gruppo’, caratterizzato dall’integrazione tra persone di origini campane e romane, per l’accusa avrebbe gestito lo spaccio in alcune piazze della periferia della Capitale; durante le indagini, pero’, sarebbero emersi anche episodi di estorsioni e gravi intimidazioni per imporre il volere del clan e per recuperare crediti usurai anche per conto di terze persone. Per gli inquirenti, l’organizzazione avrebbe voluto monopolizzare anche il controllo della distribuzione delle slot machine in molti esercizi commerciali della zona Tuscolana-Cinecitta’.

Cronache della Campania@2018

Pizzo seguendo gli aumenti degli indici Istat: 9 anni di carcere al boss

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Castellammare. Arriva la condanna a 9 anni di carcere anche per Luigi Di Martino, alias ’o profeta, uno dei capi del clan Cesarano di Ponte Persica, periferia tra Pompei e Castellammare di Stabia. Una nuova mazzata per il reggete della cosca che faceva pagare il pizzo seguendo gli aumenti degli indici Istat.I giudici del tribunale di Torre Annunziata (presidente Maria Laura Ciollaro, a latere Maria Camodeca e Patrizia Acampora) non hanno accolto la richiesta del pm che aveva chiesto dodici anni di reclusione in continuazione con l’altra condanna a nove anni e mezzo per le estorsioni al bingo dei fratelli Moxedano. La testimonianza in aula dell’imprenditore coraggio è stata determinante ai fini delle pesante condanna al boss e della decisioni dei giudici. “Costretto a pagare ogni mese il pizzo al clan Cesarano, ma in dieci anni la rata era passata da 500 euro a 4mila. Non volevo avere problemi. Avevo paura per la mia famiglia e temevo che mi facessero fuori dal mercato delle slot  machine”. Aveva raccontato l’uomo nel maggio scorso nel corso di una drammatica testimonianza. “Pagavo prima a Gerardo, il figlio di Luigi. Almeno fino a quando è stato arrestato. Poi dopo che era uscito dal carcere il boss mi hanno portato da Luigi Di Martino in via Schito”. E a quel punto cambiano le tariffe del pizzo mensile sulle slot. “Da oggi mi devi pagare 1000 euro al posto dei 500 che pagavi pri­ma”, le parole che Di Martino avrebbe ripetuto all’imprenditore. Una richiesta esosa alla quale, però, la vittima si sarebbe piegata. Almeno fino a quando non viene arrestato anche Luigi Di Martino. “Dopo mi fu presentato Raffaele Belviso che disse che comandava lui e aumentò le pretese fino a 2mila euro. Belviso volle incontrarmi in un caseificio di Castellammare. Disse che voleva 4mila euro perché io avevo clienti anche a Pompei e Scafati, nono solo a Castellammare. E anche perché i carcerati sono aumentati. A quel punto ho denunciato”. La rata veniva pagata in contanti, in una busta chiusa, consegnata spesso da un dipendente della vittima, direttamente al Kimera Cafè di Pompei (sequestrato la scorsa settimana). Il gestore, Aniello Falanga, è finito in carcere ed è stato condannato in abbreviato insieme agli altri tra cui lo stesso figlio di Di Martino e il successivo reggente Raffaele Belvivo per questi fatti.

Cronache della Campania@2018

Abusi sessuali sui nipotini: chiesti 7 anni di carcere per lo zio-orco

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Fu arrestato con l’accusa di aver abusato dei nipotini minori, ora P.L. paramedico 50enne originario di Battipaglia e residente a Roma, rischia una condanna a sette di reclusione. La richiesta di pena a carico dell’uomo, attual­mente detenuto nella casa circondariale di Vallo della Lucania, è stata formulata dal pub­blico ministero Elena Cosentino al giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Salerno Pietro Indinnimeo. L’uomo è stato arrestato a settembre dello scorso anno a Roma, dai cara­binieri della compagnia di Battipaglia, a con­clusioni di una serie di attività investigative che portarono all’emissione, da parte della Procura, di un’ordinanza di custodia caute­lare. L’accusa è di violenze sessuali ai danni di due minori, fratello e sorellina, figli del fra­tello dell’imputato. L’indagine prese il via a se­guito della denuncia presentata dai genitori dei bimbi. Alcuni episodi, verificatisi tra il 2015 e il 2016, li avevano messi in allarme e spingendoli a rivelare i loro dubbi alle forze dell’ordine. I militari raccolti i timori dei geni­tori hanno avviato l’attività investigativa che ha portato ad accertare gli abusi. Sul cellulare, il 50enne conservava decine di file, foto e altro materiale pedopornografico. Tra le immagini c’erano anche quella della nipote. Immagini estorte grazie all’uso distorto che faceva di un’applicazione antifurto per gli smartphone in grado di localizzare, controllare e “spiare” le attività dei cellulari scomparsi, dalle foto­grafie fino alle conversazioni. Così era riu­scito, secondo gli inquirenti, a controllare le mosse della ragazzina e contemporaneamente a ottenere sue immagini intime. I fatti si sa­rebbero consumati tra Battipaglia e Capaccio e in altri comuni del Cilento.

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Processo Materazzo, la compagna del padre: ‘Avevamo paura di Luca, ci chiudevamo in camera”

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Napoli.”A causa dei momenti di rabbia di Luca, temevo per me e per Lucio” per questo “ci chiudevamo a chiave nella camera da letto, prima di andare a letto”. Lo ha detto Maria Scintilla Amodio, campagna di Lucio Materazzo, padre di Vittorio Materazzo, l’ingegnere assassinato davanti la sua casa a Napoli a Chiaia, la sera del 28 novembre 2016, rispondendo a una domanda del pm De Renzis in riferimento a dichiarazioni sommarie rilasciate dalla testimone l’8 dicembre del 2016, pochi giorni dopo l’omicidio. Dell’omicidio di Vittorio e’ accusato Luca Materazzo, fratello della vittima. A una successiva domanda rivolta a Scintilla Amodio dal presidente della Corte di Assise, Provitera, la testimone ha anche ammesso di essersi chiusa a chiave nella sua camera da letto anche dopo la morte del compagno Lucio. Il capofamiglia, noto costruttore napoletano, è morto alcuni anni fa in cicorstanze poco chiare. Fu trovato ai piedi del letto con una ferita alla testa. Di quella morte morte Vittorio Materazzo, poi ucciso secondo l’accusa dal fratello Luca, egli incolpava proprio il congiunto minore. Luca Materazzo è stato anche indagato per la morte del padre e poi scagionato.

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Camorra, il pentito: ‘I Mele mi diedero carta bianca per costituire un gruppo di killer fidati’

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E’ un fiume in piena , Salvatore Romano, muoll muoll, ex ras del clan mele di Pianura, pentito da oltre un anno. Le sue dichiarazioni contenute nell’ordinanza di custodia cautelare che l’altro giorno hanno portato in carcere il boss Vincenzo Mele, e i suoi guarda spalle Vincenzo Morra e Fabio Orefice, hanno contribuito a tracciare insieme ai magistrati quella che è stata e che è ancora la geografia criminale a Pianura. In uno dei suoi tanti interrogatori ha spiegato: “Nel 2016 all’indomani della scarcerazione di Luigi Mele, che per un breve tempo di circa tre mesi, era stato in carcere su ordine del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, io ho costituito nell’ambito del clan mele con l’autorizzazione di Luigi e Vincenzo mele, un gruppo di fuoco che aveva una maggiore autonomia e libertà di movimento all’interno del clan in alcuni ambiti di attività illeciti quali la droga, le stese ed alcune estorsioni. tale gruppo era costituto  da me, Pasquale Esposito Junior, omissis, Massimiliano Musella, omissis ,ai quali poi si aggiunsero successivamente omissis, Antonio Vanacore e omissis. Preciso che il nucleo fondamentale di questo gruppo era costituto inizialmente, nella prima fase da me e da Pasquale Esposito con il quale avevo un rapporto fraterno e con il quale avevamo fatto un discorso paritario. nel senso cioè che ci eravamo accordati che tutti i proventi delle attività illecite li avremmo divisi al cinquanta per cento nel senso che il 50 per cento sarebbe andato al clan Mele e il restante o avremmo diviso io e lui. Preciso in proposito che i Mele  non erano a conoscenza degli accordi presi tra me ed Esposito. Posso dire che sin dalla mia militanza nel clan Mele ho sempre compiuto le attività illecite ed in particolare le estorsioni e il traffico di droga, per conto di Luigi e Vincenzo Mele che a loro volta ricevevano gli ordini da Giuseppe e Salvatore Mele detenuti….Voglio chiarire che negli ultimi tempi a partire dagli ultimi tre o quattro mesi prima del mio ultimo arresto chiesi a Vincenzo Mele di poter gestire direttamente le redini del clan Mele in quanto l’originario gruppo si era sfaldato e sono stato io personalmente a reclutare nuovi soggetti per fra riprendere vigore all’organizzazione. Occupavo comunque un ruolo subordinato ai fratelli  Salvatore, Giuseppe e Vincenzo e al padre Luigi ma avevo una certa autonomia in certe situazioni di secondo piano.Per esempio potevo decidere autonomamente di andare a fare una stesa oppure picchiare qualcuno, mentre invece non avevo alcuna autonomia nella decisione degli omicidi, nel settore delle estorsioni e della droga. Tra i settori di interesse economici del clan vi è anche il settore dell’abbigliamento falso o comunque di provenienza illecita. In tale settore Vincenzo Mele è molto forte. Lo stesso gestisce in proprio, sempre nell’interesse della sua famiglia, una attività di traffico di droga, di cocaina…omissis”.

 Renato Pagano

@riproduzione riservata

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Processo Materazzo, Luca show in aula: ‘La polizia ha creato un quadretto probatorio ad hoc nei miei confronti’

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“La polizia ha creato un quadretto probatorio ad hoc…nei miei confronti e’ stata esercitata una pressione psicologica”. Torna ad accusare la polizia Luca Materazzo, l’uomo accusato di aver assassinato il fratello Vittorio, l’ingegnere ucciso davanti la sua abitazione, a Napoli, la sera del 28 novembre del 2016. L’imputato ha chiesto e ottenuto l’autorizzazione a rilasciare, al termine dell’ udienza, delle dichiarazioni spontanee caratterizzate da un “botta e risposta” con il presidente della terza Corte d’Assise Giuseppe Provitera. Parlando alla giuria Luca Materazzo ha preso di mira l’operato delle polizia giudiziaria e sottolineato l’impossibilita’ di potersi difendere: “Ho nominato due avvocati – ha detto – senza ricevere alcuna risposta. Parlare a fine udienza “e’ l’unico modo per difendermi”. Il giudice, a questo punto, e’ stato costretto a ricordare all’imputato che la difesa va esercitata attraverso un legale (numerosi sono stati quelli, finora, a cui Luca Materazzo ha revocato il mandato, ndr), non attraverso le dichiarazioni spontanee, e che avra’ l’opportunita’ di replicare ai testimoni durante l’esame dell’imputato. Prima di essere riportato in carcere, Luca, dalle sbarre si e’ rivolto a due sue sorelle presenti in aula: “Coprono tutto, cosi’ e’ disumano”. La prossima udienza e’ stata fissata alle 9,30 di giovedi’. Dolore e sgomento, oggi, durante il processo per l’omicidio del marito, per Elena Grande, vedova di Vittorio Materazzo. Il secondo dei due testimoni presenti, durante la deposizione, riferendo alcune circostanze, ha riportato frasi altamente offensive riguardanti Vittorio. Elena Grande ha ascoltato la testimonianza di Fabrizio Fiore, con le lacrime agli occhi. Poi, alla fine dell’udienza, si e’ rivolta al suo avvocato, Arturo Frojo, al quale ha manifestato tutto la sua disapprovazione (“e’ stata offesa la sua memoria”). Fabrizio Fiore e’ l’attuale compagno di Scintilla Maria Amodio, la donna che e’ stata legata sentimentalmente a Lucio Materazzo, padre sia della vittima che dell’imputato. Dopo quattro mesi dalla scomparsa di Lucio, su invito di Scintilla, Fiore ando’ a vivere nell’abitazione al quarto piano di via Maria Cristina di Savoia, a NAPOLI, dove Lucio ha vissuto per tutta la vita e dove e’ morto. Un scelta osteggiata fortemente da quasi tutti I figli.

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Perizia psichiatrica per l’infermiera ‘angelo della morte’ della provincia di Caserta

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Il Gup del Tribunale di Isernia, Arlen Picano ha nominato il perito che dovra’ redigere una consulenza tecnica su Anna Minchella, l’infermiera 46enne di Ciorlano in provincia di Caserta arrestata per l’omicidio di un anziano ricoverato all’ospedale di Venafro. Il professionista e’ uno psichiatra di Benevento, Teofilo Golia, che dovra’ accertare la capacita’ o meno di intendere e di volere della donna. I fatti risalgono al 22 giugno 2016. L’infermiera uccise Celestino Valentino, 76enne di Pratella in provincia di Caserta, per vendicarsi della figlia dell’uomo che aveva conservato il suo posto da infermiera a Venafro per via dell’infermita’ del padre, mentre la Minchella era stata trasferita all’ospedale di Isernia. Per uccidere il 76enne la donna utilizzo’ una siringa a spruzzo per iniettargli nel cavo orale l’acido cloridrico. L’anziano fu trasferito a Isernia dove mori’ alcuni giorni dopo. Il giudice ha fissato per il 7 febbraio del 2019 l’udienza per l’esame della perizia.

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Solo 20 anni di carcere al marito assassino di Mariarca, la sorella: ‘Avrebbe dovuto marcire in galera’

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Antonio Ascione, pizzaiolo napoletano di 45 anni accusato di aver ucciso con cinque coltellate la ex moglie Maria Archetta Mennella detta Mariarca il 23 luglio 2017 a Musile di Piave (Venezia), e’ stato condannato a vent’anni di carcere con il rito abbreviato dal giudice Massimo Vicinanza, il Pm Raffaele Incardona aveva chiesto la condanna all’ergastolo. Ascione, assistito dall’avvocato Giorgio Pietramala, era accusato di omicidio volontario aggravato da premeditazione, futili motivi, vincolo di parentela e minorata difesa, oltre che di minacce. Il giudice non ha riconosciuto le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi e ha stabilito una provvisionale di 50mila euro per ciascuno dei due figli della coppia, oltre a 30mila euro per la mamma della vittima e 20mila per ciascuno dei cinque tra fratelli e sorelle della vittima. “Una pena inadeguata – commenta l’avvocato di parte civile Alberto Berardi che, in collaborazione con studio 3A, assiste i familiari di Mariarca Mennella -. Sono perplesso sull’esclusione dell’aggravante della premeditazione perche’ il fascicolo evidenziava molteplici elementi capaci di provarla”. Il legale si dice “amareggiato della quantificazione della pena perche’ effetto legittimo del meccanismo processuale che e’ il rito abbreviato”. “Chi ammazza una donna, per di piu’ l’ex moglie, dovrebbe marcire in galera: ci rendiamo conto di quanti femminicidi vengono commessi? E’ questo il deterrente?” Esprime delusione mista a rabbia Assunta Mennella, la sorella di Mariarca Mennella, uccisa il 23 luglio 2017 dall’ex marito, Antonio Ascione, il pizzaiolo napoletano di 45 anni poco fa condannato a vent’anni di carcere con il rito abbreviato dal giudice del tribunale di Venezia Massimo Vicinanza. “Una vita non puo’ valere vent’anni, – aggiunge – l’ergastolo dovevano dargli. Siamo tutti profondamente amareggiati, indignati e arrabbiati e aspettiamo a calmarci un po’ prima di informare i miei nipoti, a cui il padre ha gia’ rovinato la vita”. Assunta e’ anche la tutrice dei figli di Mariarca e Antonio. “Non capiamo come non abbiano potuto riconoscere la premeditazione – sottolinea – c’erano anche i messaggi sul telefono di mia nipote che provavano come l’assassino avesse minacciato di morte Mariarca con un coltello pochi giorni prima. Siamo molto deluse dalla giustizia italiana. Mia sorella non ha avuto giustizia”.

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