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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Salerno, morti sospette nella clinica: riesumate le salme

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Almeno cinque morti sospette e altrettanti medici indagati per omicidio colposo. La Procura di Salerno vuole vederci chiaro e andra’ fino in fondo per far chiarezza su un caso delicato. I sostituti procuratori Claudia D’Alitto ed Elena Cosentino, infatti, hanno acceso i riflettori su cinque decessi avvenuti nel giro di un anno all’interno di una clinica cittadina dopo che i pazienti erano stati sottoposti a interventi chirurgici. Fatalita’ o errore umano? Una domanda alla quale gli inquirenti proveranno a dare una risposta attraverso gli accertamenti disposti dalla Procura. Le indagini sono state affidate ai carabinieri del Nucleo Operativo di Salerno. Contestualmente i pm salernitani hanno ordinato la riesumazione delle salme e conferito l’incarico a due medici legali siciliani che hanno gia’ effettuato le autopsie sui corpi delle persone decedute. Un accertamento fondamentale per ricostruire le ultime ore di vita e provare a capire se siano stati commessi errori da parte dei medici o se vi siano altre responsabilita’ da parte del personale della struttura sanitaria. Sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori sarebbero finite le condizioni igieniche delle sale operatorie oltre, naturalmente, all’operato dei medici che hanno effettuato gli interventi chirurgici. Da valutare anche se fosse opportuno o meno sottoporre i pazienti all’operazione. Entro 60 giorni i professionisti incaricati dalla Procura di Salerno depositeranno le risultanze dei propri lavori, stabilendo le cause dei decessi. Ulteriori elementi saranno ricavati anche dalle cartelle cliniche, attraverso le quali sara’ possibile ricostruire il percorso effettuato dai pazienti, dall’ingresso in clinica fino al giorno del decesso. Il tutto per capire se si sia trattato di una coincidenza o se dietro questa vicenda vi siano delle responsabilita’. La notizia dell’inchiesta, tra l’altro, arriva a poche ore da un altro caso sospetto di sanita’ e per il quale la Procura di Vallo della Lucania (Salerno) ha aperto un fascicolo per far luce sulla morte della 54enne Antonella Casale. La donna, originaria di Agropoli, e’ deceduta nella notte tra lunedi’ e martedi’ all’ospedale San Luca di Vallo della Lucania dopo essere stata curata, e dimessa, in tre ospedali diversi. Lunedi’ il medico legale incaricato dalla Procura effettuera’ l’autopsia per provare a ricostruire le cause del decesso.

Cronache della Campania@2018


Ecco il tariffario dei giudici corrotti a Torre Annunziata: c’è anche un togato che vende collanine

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Torre Annunziata. Soldi, tanti soldi e poi tangenti mascherate con la vendita di collanine vendute a prezzi esorbitanti da una giudice: un sistema radicato e profondo di illegalità quello scoperto al Tribunale di Torre Annunziata nel settore dei giudici di pace. “Semmai dopo un paio di giorni passi e facciamo quello che dobbiamo fare e non passi dopo e non passi immediatamente prima. Così evitiamo che passi qualcuno qui sotto e ci fotografi”. Il giudice Antonio Iannello era diabolicamente scientifico nel pretendere soldi da consulenti tecnici e avvocati che beneficiavano di nomine e favori. Ogni tre consulenze il pagamento della tangente secondo un tariffario ben preciso: dai 350 ai 500 euro per consulenza e poi percentuali in base ai risarcimenti liquidati per i sinistri stradali. Fino a 5mila euro, Iannello pretendeva un pagamento di 500 euro, per cause di importo maggiore invece bisognava pagare 1000 euro.
Il tariffario emerge dalle numerose intercettazioni ambientali registrate dalla telecamera nascosta posizionata nello studio del giudice di pace in servizio a Torre Annunziata. Ogni giorno, Ctu, avvocati e intermediari passavano nello studio scafatese dell’avvocato Iannello per pagare quanto dovuto. “Non riesco a portare i conti delle consulenze affidate in un mese, meglio il pagamento ogni tre consulenze” così Iannello spiega al suo interlocutore Ciro Guida, inserito nella schiera dei suoi consulenti di fiducia. Iannello è venuto a conoscenza di un’indagine a suo carico e per sviare le indagini prova a diventare più cauto, avvisa tutti quelli che si recano al suo studio di essere indagato e invece di tracciare una condotta futura lecita, cerca in ogni modo di trovare un nuovo sistema per non essere scoperto. In tanti si siedono di fronte a lui e inconsapevoli di essere ripresi da una telecamera versano bigliettoni da 50 euro al togato che deciderà sulle loro cause o ha affidato loro incarichi di consulenza.
E non mancano casi in cui Iannello si lamenta per il mancato versamento dell’obolo da parte di chi ha beneficiato delle sue decisione. A proposito di una causa decisa a favore di Rodolfo Ostrifate, si lamenta con l’avvocato Cuomo che pur avendo avuto un risarcimento di 18mila euro gli ha versato solo 300 euro “Cioè tu pigli 18mila euro grazie a me, un anno di lavoro di una persona, dovevi prendere 1000 euro e dire poi andiamo avanti” dice il togato al suo interlocutore.
Incredibile l’andirivieni per la consegna di danaro da parte di consulenti tecnici nominati nelle cause istruite da Iannello: uno dei più precisi nella consegna di danaro è Fabio Donnarumma che in più occasioni ‘ringrazia’ il giudice dei suo favori. Ma Donnarumma non è proprio l’unico a dover pagare. Secondo il Gip De Rubbo che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare c’è un diffuso senso di illegalità al Tribunale di Torre Annunziata. Oltre a consulenti e legali corrotti e corruttori c’è anche un gruppo di funzionari dello Stato infedeli che hanno agevolato il giudice nella gestione illecita della sua attività che ha svelato “quanto profondo e radicato siano l’illegalità e la totale assenza di senso delle istituzioni di molti dei rappresentanti dello Stato nello sfortunato Tribunaie di Torre Arinunziata”.
“L’indagine – scrive il Gip romano – ha consentito di raccogliere, come si è detto, un’impressionante mole di elementi indiziari disvelando l’esistenza di un sistema corruttivo così diffuso da coinvolgere una notevole quantità di soggetti gravitanti intorno all’ufficio del Giudice di Pace di Torre Annunziata: oltre ad almeno tre magistrati onorari (Iannello, Formicola, Ranieri) un nutritissimo numero di avvocati, consulenti tecnici ed alcuni ufficiali di Polizia Giudiziaria, oltre ai collaboratori dello stesso Iannello.
Si tratta dunque di un fenomeno così diffuso da richiedere un adeguato approfondimento delle indagini in corso, attraverso l’escussione di numerosi soggetti tra i quali le parti danneggiate nei procedimenti civili e tutti i soggetti a conoscenza del predetto sistema e non coinvolti nello stesso”.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Camorra, l’ex boss della Nco, Macario Mariniello: ‘Non fui io ad uccidere l’avvocato Barbarulo’

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Nel processo per il delitto dell’avvocato ed ex sindaco Nicola Barbarulo, avvenuto a Nocera Inferiore il 29 luglio del 1980, il colpo di scena lo riserva proprio l’imputato Macario Mariniello, accusato di aver assassinato a colpi di pistola il professionista che se la sarebbe inteso con la sorella. “Quella sera c’ero, però con me c’era anche Francesco Sorrentino di Sant’Egidio del Monte Albino (assolto in questo procedimento penale e poi deceduto, ndr): entrai nello studio dell’avvocato e vidi mia sorella ipnotizzata, mezza nuda, capii che qualcosa non andava e rifilai un ceffone a Barbarulo. Mi girai e me ne andai ma dopo aver varcato la soglia dello studio lui mi rincorse e quando mi girai vidi l’avvocato a terra e davanti a lui Sorrentino”. Una dichiarazione spontanea resa ieri mattina davanti ai giudici della Corte d’Assise di Salerno (presidente Ferrara) e davanti al Procuratore capo di Nocera Inferiore Antonio Centore. Gli investigatori ricostruirono quei fatti solo 14 anni dopo, grazie agli elementi forniti da un collaboratore di giustizia. Condannato in primo grado all’ergastolo, con pena ridotta in Assise Appello, il processo per Macario Mariniello fu annullato dalla Cassazione, con fissazione di un un nuovo dibattimento tuttora che si sta celebrando davanti ai giudici dell’Assise di Salerno. Respinta invece la richiesta dell’avvocato Gregorio Sorrento che aveva sollevato delle eccezioni sulla estradizione dalla Spagna di Macario Mariniello, coinvolto anche nel blitz anti usura di qualche settimana fa a Nocera.

Cronache della Campania@2018

Napoli, tutti liberi gli aggressori di Gaetano: 7 messi alla prova e due in un comunità

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Napoli. Sono tutti liberi gli aggressori di Gaetano. Sette sono stati messi in prova e due sono finiti in una comunità. Qualcuno riprenderà gli studi, qualcun altro farà un corso per imparare un lavoro. Per un anno i giovani messi in prova dovranno abbinare allo studio le attività di volontariato e seguire il programma preparato dagli assistenti sociali. L’aggressione avvenne lo scorso 12 gennaio nella stazione metro di Chiaiano. Gaetano finì in ospedale con la milza spappolata, il giovane in compagnia di due cugini fu picchiato senza un valido motivo.
In tribunale, come riporta Il Mattino,  è arrivata la svolta al termine dell’udienza. Sette dei nove aggressori ritornano in libertà grazie all’istituto della messa alla prova. I minorenni però dovranno seguire in modo certosino il programma pena il processo ed una sentenza. Per gli altri due ragazzi della gang il giudice ha disposto la revoca della misura cautelare affidandoli ad una comunità. Il prossimo novembre saranno valutati i programmi che i giovani dovranno seguire. Un aggressione fatta solo per evitare la noia, i ragazzi si mostrarono subito pentiti quando furono interrogati dalle forze dell’ordine. I ragazzi raggiunsero quella sera l’uscita della metropolitana cercando qualcuno da prendere di mira e notarono Gaetano che fu picchiato. Fortunatamente riuscì a scappare a rifugiarsi in un bar.

Cronache della Campania@2018

Processo Crescent, in serata la sentenza per De Luca e gli altri 21 imputati

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E’ un processo che potrebbe influenzare gli equilibri politici in Campania, ma i difensori del ‘governatore’ Vincenzo De Luca rifiutano l’etichetta di “processo politico”. Al tribunale di Salerno e’ in corso l’ultima udienza del processo ‘Crescent’ che vede imputati, oltre a De Luca per falso ideologico, abuso d’ufficio e reati urbanistici compiuti, altre 21 persone, tra cui dipendenti comunali, ex esponenti della Giunta comunale di Salerno ed ex funzionari e dirigenti della Soprintendenza governatore. La vicenda giudiziaria riguarda la sdemanializzazione, in favore del Comune di Salerno, dell’area a Nord del lungomare cittadino, con successiva allocazione della struttura privata Crescent, la costruzione a uso abitativo a forma di mezzaluna e i relativi permessi a costruire rilasciati. La sentenza e’ prevista in serata. Davanti al collegio presieduto da Vincenzo Siani, oggi, le repliche della procura durante le quali uno dei due pm, Rocco Alfano, ha sottolineato come “quest’ufficio ha fatto un processo basato su fatti” e ha escluso che si sia proceduto con “fretta”. Poi, la volta delle contror epliche avviate dall’avvocato della parte civile, Oreste Agosto, per le associazioni ambientaliste e dei comitati ‘no Crescent’. Il legale ha chiesto che i giudici assumano “una decisione serena”. A seguire, i difensori degli imputati, tra cui Paolo Carbone e Andrea Castaldo legali del presidente della Giunta regionale campana. Carbone ha evidenziato di “non aver mai parlato di processo politico”, ma di “scelte politiche e della scelta (del loro assistito, ndr) di rendere dichiarazioni ai giudici con lealta’ estrema”. Il collegio giudicante, al termine delle discussioni, si riunira’ in camera di consiglio.  “Abbiamo fatto un processo basato su fatti ed esclusivamente su responsabilita’ penali”. Lo ha detto il pm Rocco Alfano nel corso del suo intervento, in occasione delle repliche nel processo Crescent (dal nome del complesso immobiliare sul lungomare, ndr), in corso a SALERNO e che in giornata potrebbe giungere a sentenza. Il procedimento vede tra gli imputati il governatore della Campania, Vincenzo De Luca per falso ideologico, abuso d’ufficio e reati urbanistici.”Nonostante l’oggettiva rilevanza – ha spiegato Alfano – questo processo non e’ mai stato influenzato ne’ dalla fretta ne’ dalla voglia di fare altre cose”. Alfano ha replicato anche alle dichiarazioni spontanee rese nello scorso mese di luglio dal governatore della Campania: “De Luca chiarisce che non c’e’ nessun riferimento in questo processo alle condizioni precedenti in cui versava quell’area. Noi diciamo che per fortuna non c’e’ alcun riferimento. Perche’ questo e’ un aspetto che non puo’ entrare nel procedimento penale, nelle aule di un tribunale. Perche’, quelle si’, sono valutazioni politiche”.

Cronache della Campania@2018

Camorra, omicidio Solla: chiesti 4 ergastoli per il clan De Micco

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All’udienza di oggi, tenutasi innanzi al G.u.p. presso il Tribunale di Napoli dott. ssa Attena, la Procura Distrettuale Antimafia è tornata all’attacco: pena dell’ergastolo per il boss De Micco Luigi, De Martino Antonio, Esposito Alessio e Principe Davide per l’omicidio di Solla Salvatore. Diversa sorte per l’imputato Pizzo Nicola, per il quale è stata formulata richiesta di assoluzione dal delitto di omicidio per mancanza della prova che lo avesse commesso. Mancavano pochi giorni a Natale dell’anno 2016 quando Salvatore Solla venne ucciso con 14 colpi d’arma da fuoco. Secondo l’accusa gli imputati, comunicando tra di loro con messaggi telefonici, erano al corrente di ogni passo del Solla, fino a rintracciarlo nei pressi di una sala scommesse dove trovò la morte.

A pianificare la morte e a dirigere l’azione omicidiaria, secondo la Direzione Distrettuale Antomanfia, fu De Micco Luigi, informato da un “filatore” che lo notiziava sugli spostamenti della vittima da colpire. Il Pubblico Ministero ha altresì formulato le richieste di condanna nei confronti di coloro che rispondono anche associazione camorristica, estorsioni, armi e ricettazione, chiedendo di infliggere anni 15 a Cocozza Moreno, Napolitano Giuseppe e Scala Roberto; anni 12 a Borriello Giuseppe; anni 10 ad Autore Antonio, Carbone Lino, De Bernardo Francesco, De Martino Giuseppe, Gentile Michele, Limatola Domenico, Ottaiano Giovanni, Pane Roberto, Pizzo Nicola, Riccardi Fabio, Scala Vincenzo e Sorrentino Gennaro ed infine anni 5 al collaboratore di giustizia Capasso Rocco.

Degno di nota è un importante risultato ottenuto dalla difesa nel corso dell’udienza.
La richiesta della D.D.A. di acquisire i verbali di interrogatorio resi dal neo pentito Nunzio Daniele Montanino è stata rigettata dal Giudice Attena. Su tale tema, decisive si sono rivelate le argomentazioni scritte redatte dall’avvocato Dario Vannetiello e sostenute oralmente in aula dall’avvocato Giusida Sanseverino nell’interesse di De Micco Luigi, ritenuto mandante dell’omicidio.La acquisizione di tale ulteriore prova a carico avrebbe definitivamente incastrato gli imputati, seppur, nonostante la mancata acquisizione agli atti delle dichiarazioni accusatorie del pentito Montanino, il quadro a carico rimane pur sempre consistente grazie a significative ed eloquenti messaggi tra i correi, intercettati dagli inquirenti durante le sofisticate indagini. Le prossime udienze calendarizzate sono quelle del 19, 24 ottobre, 7 e 22 novembre, tutte destinate alle arringhe dei numerosi difensori degli imputati, coinvolti nelle plurime gravi contestazioni del processo alla cosca dei De Micco

Cronache della Campania@2018

Traffico di droga: 150 anni di carcere per i Tamarisco, gli Amato-Pagano e i Pellè della ‘ndrangheta

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I giudici della IV Sezione della Corte dAppello di Na­poli, presidente Antonio Gal­lo, hanno confermato quasi totalmente la condanna di primo grado al gruppo di narco trafficanti con a capo  il clan Tamarisco di Torre annunziata, gli Amato-Pagano di Melito e la cosca della ‘ndrangheta dei  Pelle-Vottari. Il processo, che in primo grado  si era svolto con il rito ab­breviato, è frutto dell’inchiesta dell’Antimafia che ha svelato un giro internazio­nale di sostanze stupefacenti sull’asse Torre Annunziata-Napoli-Sudamerica e che nell’aprile dello scorso anno portò in carcere 34 persone. la droga arrivava dal Sudamerica e dalla Spagna in navi porta container e sbarcava nei porti di Salerno o di Gioia Tauro da dove poi veniva smerciato sul mercato calabrese con la complicità e l’accordo delle ndrine jonico-reggine dei Pelle-Vottari e sul mercato napoletano con la complicità di Vincenzo Barbella legato a doppio filo con gli Amato-Pagano.
Il verdetto è una mazzata senza precedenti per la malavita vesuviana. Bernardo Tamarisco, rite­nuto il re dei narcos all’ombra del Vesuvio, ha incassa­to una condanna a 20 anni. Secondo l’Antimafia era lui a gestire le tratte dello spaccio con l’Ecuador. Vent’anni è stata anche la condanna inflitta dal Gip a carico di Vincenzo Langiano, cognato di Ber­nardo Tamarisco. Stessa pena anche per Salvatore Civale, coinvolto nel se­condo filone dell’inchiesta messa in piedi dalla Dda: quello che fa riferimento al presunto patto con per­sonaggi ritenuti legati alla ‘ndrangheta.
Riguardo a questo filone è stata accolta la richiesta di patteggiamento di Fran­cesco Pelle che ha portato a casa una condanna a 5 anni di reclusione. Pelle è ritenuto vicino al clan Pelle-Vottari, cosca coinvolta nella famo­sa strage di Duisburg: il massacro in terra tedesca che nel 2010 portò la guerra tra ‘ndrine in Germania. Accolti dal giudice anche i patteggiamenti di Salvatore Ferace (4 anni) e Pasquale Scuotto (4 anni e 4 mesi). Condannato a 4 anni, in­vece, il collaboratore di giustizia Claudio Scuot­to, che venne arrestato a Capodichino subito dopo essere sceso da un areo proveniente da Caracas. Al broker della droga sono sta­te riconosciute le attenuanti riservate ai collaboratori di giustizia.
A chiudere il cerchio le al­tre condanne inflitte sia ai presunti rappresentanti del gruppo che avrebbe agito per conto di Tamarisco sia ai referenti napoletani dei clan di Scampia e Secondigliano che si rifornivano di droga dal narcos  con base tra Torre Annunziata e Boscoreale. Dadive Scuotto, ritenuto il referente in Sudamerica del gruppo ha incassato una condanna a 12 anni di carcere (in primo grado era stato condannato a 16). A 14 anni e 8 mesi invece è stato condannato Pasquale Corvino, a 14 Vincenzo Bardella, 13 anni e 4 mesi per Michele Pagano, 8 anni e 4 mesi per lo stabiese Michele Cirillo e infine 8 anni ciascuno per Angelo Renato e Antonio Bartolo. Infine sono state stralciate le posizioni di Paolo Domenico De Rols, Biagio Perlingieri e Marian Petvosky

 

ECCO TUTTE LE CONDANNE

1. Bernardo Tamarisco: 20 anni
2. Vincenzo Langiano: 20 anni
3. Salvatore Civaie: 20 anni
4. Antonio Cirillo: 8 anni e 4 mesi
5. Davide Scuotto: 12 anni
6. Michele Pagano: 13 anni e 4 mesi
7. Vincenzo Bardella: 14 anni
8. Pasquale Corvino: 14 anni e 8 mesi
9. Angelo Renato: 8 anni
10. Antonio Bartolo: 8 anni
11. Claudio Scuotto: 4 anni
12. Francesco Pelle: 5 anni
13. Salvatore Ferace: 4 anni
14. Pasquale Scuotto: 4 anni e 4 mesi

 

Cronache della Campania@2018

Processo Crescent: assolto il Governatore De Luca

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Il governatore campano, Vincenzo De Luca, e’ stato assolto dai giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno nel processo Crescent (dal nome del complesso immobiliare sul lungomare). La sentenza e’ stata letta dal presidente Vincenzo Siani dopo circa 8 ore di camera di consiglio. L’ex sindaco era accusato di falso ideologico, abuso d’ufficio e reati urbanistici. La Procura aveva chiesto 2 anni e 10 mesi.  Con De Luca sono stati assolti anche gli altri 21 imputati. Tutti con la formula perchè il fatto non sussiste.Tra questi, oltre al governatore Vincenzo De Luca, figurano anche i consiglieri regionali Luca Cascone, Vincenzo Maraio, Francesco Picarone e Aniello Fiore, il vicesindaco di Salerno, Eva Avossa, l’assessore comunale Domenico De Maio ed il consigliere comunale Ermanno Guerra. Tutti, all’epoca dei fatti, erano in Giunta a Salerno. Assolti, tra gli altri, anche i costruttori Eugenio Rainone e Rocco Chechile.

Scongiurata la sospensione dall’incarico che sarebbe scattata per gli effetti della legge Severino.Con la sentenza di primo grado nel processo Crescent, si chiude, per ora, una delle due vicende giudiziarie ancora in piedi per il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. Anche l’altra riguarda ancora il suo passato di sindaco di Salerno, un accusa di falso in atto pubblico per la variante che riguarda piazza della Liberta’, l’area dove sorge appunto la grande semiluna di Bofill, il complesso residenziale noto come Crescent. Le frequentazioni con le aule di tribunali per De Luca cominciano nel 2001 quando si apre l’inchiesta sullo sversamento dei rifiuti nel sito di Ostaglio. Sono i residenti della zona a sollecitare un’inchiesta su presunti illeciti nelle operazioni di sversamento, dopo un gravissimo incendio. Nove anni dopo, il 6 luglio 2010 i reati contestati all’ex sindaco di Salerno vengono dichiarati prescritti in Corte d’Appello e De Luca sostiene che la scelta fu dei giudici e non una richiesta dei suoi legali. Una polemica, sulla mancata rinuncia alla prescrizione, che De Luca evita accuratamente nel 2012, quando arriva a sentenza l’inchiesta sulla riconversione dei suoli del Sea Park, cominciata nel 2000. E’ il pm Vincenzo Montemurro a chiedere la prescrizione per i reati di concussione e associazione per delinquere, ma De Luca e altri chiedono che si proceda comunque, rinunciando alla scappatoia. Quattro anni dopo lo stesso pm chiede l’assoluzione per De Luca, eletto nel frattempo presidente della Regione Campania, che il 29 settembre 2016 viene assolto perche’ il fatto non sussiste. Soltanto qualche mese prima, il 5 febbraio, si era conclusa posivitamente in Corte d’Appello la vicenda che aveva fatto attribuire dalla commissione parlamentare Antimafia, presieduta da Rosy Bindi, l’etichetta di ‘impresentabile’ alle elezioni regionali. Vincenzo De Luca e’ stato infatti assolto dall’accusa di peculato, rispetto alla realizzazione di un termovalorizzatore per Salerno. In primo grado fu condannato nel gennaio 2015 a un anno di reclusione con l’interdizione dai pubblici uffici. La condanna non rappresenta un impedimento alla candidatura alle regionali, ma una volta eletto si imbatte nella sospensione dettata dalla Legge Severino. Sospensione decisa dal Governo il 26 giugno 2015 e revocata dal tribunale di Napoli il 2 luglio successivo. Per la stessa vicenda la Cassazione confermera’ l’assoluzione in Appello a settembre 2016. (AGI) (AGI) – Salerno, 28 set. – Altro procedimento giudiziario di fronte al tribunale ordinario riguarda ancora atti svolti da sindaco che procurarono al presidente della Regione un rinvio a giudizio per truffa ai danni dello Stato e falso in atto pubblico. La vicenda riguarda la delocalizzazione delle Manifatture Cotoniere Meridionali. L’inchiesta aperte nel 2008 si chiude nel dicembre 2013 con la richiesta di assoluzione proposta dal pm e accordata dal tribunale di Salerno, avendo De Luca rinunciato alla prescrizione maturata a marzo dello stesso anno. Nel suo casellario giudiziario figura una sola condanna nel 2013 a 1000 euro di risarcimento per diffamazione nei confronti del giornalista Marco Travaglio. Nel 2016 ottiene l’archiviazione da parte del gip di Salerno, dell’inchiesta per abuso d’ufficio che De Luca approvando, sempre da sindaco di Salerno, una variante urbanistica per convertire l’area destinata al mai realizzato termovalorizzatore a zona Pip. Stessa sorte tocca al procedimento aperto dal tribunale di Roma nei confronti di De Luca appena eletto presidente della Regione. Gli si contesta, nel novembre 2015 di aver influenzato il giudice del tribunale di Napoli che revoco’ la sospensione ex lege Severino favorendo il marito di quest’ultima nella carriera in ambito sanitario. Per Vincenzo De Luca l’inchiesta viene archiviata, su richiesta dello stesso pm, il 14 marzo 2017, mentre per gli altri 6 indagati il processo va avanti. L’ultima vicenda giudiziaria aperta riguarda la variante da 8 milioni di euro approvata dall’allora sindaco di Salerno per il cantiere di piazza Liberta’. De Luca e gli assessori dell’amministrazione 2006-2011 sono stati rinviati a giudizio il 28 ottobre 2016 per falso in atto pubblico.

Cronache della Campania@2018


Salerno, morti sospette in clinica: i casi sono molto più di sette

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Sono molto più di sette i casi sui quali indaga la Procura di Salerno nell’ambito dell’inchiesta di alcune morti sospette avvenute in una clinica nel salernitano. Un quadro inquietante quello che stanno ricostruendo gli investigatori che indagano per omicidio colposo. Pazienti inoperabili con gravi patologie che non avrebbero avuto possibilità di guarigione ma comunque operati. Finiti nel mirino cinque chirurghi della clinica travolta da una vera e propria bufera giudiziaria. Sono una ventina i decessi registrati in un anno e che sono finito sotto la lente di ingrandimento dei giudici che vogliono vederci chiaro su quelle morti. La Procura ha ritenuto opportuno però riesumare solo le salme dei pazienti morti a seguito di complicanze avvenute post operazione. Se i periti riusciranno a fornire un quadro preciso della vicenda con molta probabilità si procederà alla riesumazione delle altre salme. Importante sarà capire se quegli interventi chirurgici effettuati erano utili a salvare la vita delle persone o se c’era un altro tipo di volontà dietro alle operazioni. Molti decessi sono stati registrati a seguito di operazioni complesse con pazienti affetti da malattie oncologiche ed è probabilmente per questo che i familiari non avevano deciso di denunciare alle autorità. A dare il via al filone di indagine una segnalazione anonima sopraggiunta nella Procura di Salerno che non fa trapelare nulla vista la delicatezza del caso.

Cronache della Campania@2018

Arzano, beni confiscati alla camorra, tre su quattro ancora inutilizzati: Indagini della Procura di Napoli

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Arzano. Beni confiscati alla camorra, tre su quattro ancora inutilizzati. Indagini della Procura di Napoli, il fascicolo potrebbe finire sul tavolo del Procuratore Giovanni Melillo. A tavola con il consigliere comunale l’imprenditore condannato in via definitiva per mafia. Qualcuno storce il naso quando in paese si parla di camorra. La camorra “sporca”, non nel senso che macchia la dignità e l’onore, ma che è da ostacolo alla politica. Non solo quella spicciola del non fare nulla, ma quella dei grandi affari edilizi e non solo. Si offendono anche i radical chic di sinistra, che un po per dirla come la sentenza contro il Divo Giulio, la camorra e le contiguità mafiose esistono solo quando a governare ci sono gli “altri”. Ma passiamo ai beni confiscati all’imprenditore condannato in via definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso. Ma cosa c’entra, ovvero cosa ci faceva il consigliere comunale in compagnia di un dichiarato mafioso ? Chi sarebbero gli altri consiglieri eletti immortalati in festeggiamenti con killer e affiliati dei cosiddetti scissionisti? Ma la Procura potrebbe anche deciso di approfondire alcuni contatti “strani” per semplificare rapporti e vorticosi giri di rapporti d’interessi. E La Prefettura ? Carte che si rincorerebbero tra accertamenti e contro accertamenti o contrordini che avrebbero fatto insospettire più d’uno. Intanto la città muore, lentamente.

 Giovanni Laperuta

Cronache della Campania@2018

Nocera, picchiarono a morte un 34enne all’esterno di un locale: in tre verso il processo

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Nocera. La Procura di Nocera Inferiore ha chiuso le indagini sul decesso dell’operaio Antonio Buono, il 34enne di Castel San Giorgio morto al centro della strada dopo una serata fuori ad un locale. Sono tre gli indagati che dovranno difendersi dall’accusa di omicidio volontario in concorso. Si tratta di G.S. 37 anni, A.B. 35 anni e N.C. di 42 anni. Secondo l’impianto accusatorio della procura i tre avrebbero pestato la vittima dopo una lite avvenuta fuori ad un locale poi avrebbero trasportato l’uomo in auto fino a casa per poi lasciarlo al centro della carreggiata. Poi sarebbe giunta la morte per cause in via di accertamento. La Procura ancora deve comprendere i motivi che hanno portato i tre a litigare con il 34enne Antonio Buono. La difesa sostiene, dopo una perizia tecnica, che l’uomo sarebbe morto a seguito di un investimento da parte di un’auto. Secondo invece una perizia effettuata poco dopo la morte del 34enne il medico legale riscontrò lesioni che erano compatibili sia con l’investimento ma anche con il lancio da un’automobile. Un controllo del Reparto Investigazioni scientifiche dei carabinieri aveva escluso segni di vernice provenienti da un mezzo di circolazione.

Cronache della Campania@2018

Giudici corrotti, il Ctu Vollono confessa: ‘Costretto a pagare Iannello per poter lavorare’

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Torre Annunziata. Si autosospende dalla carica di giudice di Pace, Antonio Iannello, l’avvocato accusato di corruzione e arrestato giovedì mattina dagli uomini della Guardia di Finanza. Lo ha annunciato egli stesso al Gip Della Ragione che lo ha interrogato nel carcere di Poggioreale, stamane, alla presenza del suo legale Francesco Matrone. Iannello, il giudice di pace accusato di di aver intascato mazzette per le nomine di consulenti tecnici e di prendere una percentuale sulle cause civili che pendevano presso il suo ufficio, si è avvalso della facoltà di non rispondere ma ha in ogni caso annunciato – visto che non è ancora arrivato nessun provvedimento di sospensione dall’incarico – che non svolgerà più la funzione di giudice di pace. Stamane, si sono tenuti gli interrogatori dei 18 indagati finiti in carcere per corruzione in atti giudiziari e concussione. Si sono quasi tutti avvalsi della facoltà di non rispondere tranne due degli arrestati: il giudice di pace Raffaele Ranieri, scafatese, accusato di aver intascato mazzette insieme a Iannello e Marco Vollono, uno dei tanti consulenti nominati dal giudice corrotto che ha dovuto poi consegnare a Iannello una parte del suo guadagno.
Ranieri, difeso dall’avvocato Marco Amendola, ha sostenuto la sua innocenza sostenendo che il colloquio intercettato nello studio del collega Iannello in cui si parlava di soldi era relativo ad una causa che i due avevano in corso dinanzi alla Corte d’Appello di Salerno. Ranieri ha prodotto, attraverso il suo legale, anche alcuni documenti che avvalorerebbero la sua tesi.
Ha sostenuto di essere stato costretto a pagare la tangente sull’incarico che aveva ottenuto, invece, Marco Vollono, il consulente tecnico di Castellammare di Stabia, difeso dall’avvocato Gennaro Somma. Vollono il 6 febbraio scorso è stato ripreso dalla telecamera nascosta nello studio di Iannello mentre consegna al giudice 700 euro, per tre consulenze che gli erano state affidate. Il ‘sistema’ del giudice infedele prevedeva – così come emerso dalle indagini – che i consulenti tecnici nominati nelle cause dovessero pagare 700 euro ogni 3 incarichi. In quell’occasione Iannello ringrazia per il pagamento e poi chiede al Ctu: “Ma tu quante ne hai giurate quest’anno? Una o due… allora tengo ancora un po’ di spazio dai, non ti preoccupare”. Stamane il consulente ha ammesso di aver versato dei soldi al giudice di pace ma anche sostenuto di essere stato costretto a farlo, pur di lavorare. Il Ctu ha spiegato che senza quella mazzetta, il giudice Iannello non lo avrebbe più nominato, e quindi non avrebbe più potuto lavorare come consulente del Tribunale nelle cause di sinistri stradali.
Gli altri indagati finiti in carcere hanno preferito, stamane, non rispondere alle domande del Gip di Napoli che li ha interrogati per rogatoria. Lunedì mattina, i cinque finiti agli arresti domiciliari sono stati convocati al tribunale di Roma per l’interrogatorio di garanzia.
In carcere restano:
1. AFELTRA Francesco
2. BASILE Nicola
3. COPPOLA Luigi
4. CUOMO Eduardo
5. DONNARUMMA Fabio
6. ELEFANTE Vincenzo
7. ESPOSITO Liberato
8. GUIDA Ciro
9. GUARNACCIA Aniello
10.IANNELLO Antonio
11.LUZZETTI Dario
12. OSTRIFATE Rodotfo
13. RANIERI Raffaele
14. TRAMONTANO GUERRITORE Enrico
15. VARCACCIO GAROFALO Guido
16. VARCACCIO GAROFALO lvo
17. VERDE Salvatore
18. VOLLONO Marco

Rosaria Federico

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Cronache della Campania@2018

Torre Annunziata, il blitz alla Provolera: ‘Se vengono sopra, butta tutto nel cesso…’. LE INTERCETTAZIONI

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Torre Annunziata. In attesa del Riesame emergono nuovi particolari sul blitz del rione Provolera a Torre Annunziata che la scorsa settimana ha portato in carcere la nonna pusher Anna Gallo detta ninnacchera, moglie del defunto boss Ernesto Venditto della famiglia dei “Bicchierini” e altre 8 persone mentre altre 9 sono ai domiciliari. Un clan a gestione familiare che controllava il traffico di droga nella zona della Provolera.

Un ruolo non marginale all’interno dell’organizzazione aveva Rosa Anna Venditto (che si trova ai domiciliari) nipote di Ninnacchera e figlia di Andrea Venditto avuto da una relazione con “Elisa” Albergatore altra figura importante nello spaccio. Dalle indagini e dalle 270 pagine dell’ordinanza cautelare firmata dal gip Giovanni De Angelis del tribunale di Torre Annunziata emerge che il 14 aprile 2017, in occasione di un massiccio controllo da parte della polizia, veniva censita una lunga sequenza di conversazioni telefoniche nel corso delle quali Albergatore “Elisa” Elena e appunto la figlia Rosa Anna Venditto, entrambe al momento assenti poiché in ospedale, in maniera concitata impartiscono a Ida Dinamico e al figlio Antonio Albergatore  precise direttive per disfarsi della sostanza stupefacente custodita nell’abitazione di “Elisa” . Scrive il gip “Le conversazioni intercettate, oltre a comprovare il fatto che “Elisa” detiene presso la propria abitazione ingenti quantitativi di sostanza stupefacenti confermano il pieno coinvolgimento della figlia Rosa Anna nonché il fondamentale contributo fornito dalla Dinamico Ida la quale, in una fase di ”fibrillazione” determinata dall’imprevisto arrivo della polizia si presta ad effettuare alcune cessioni e sì prodiga per trovare il modo di liberarsi della merce senza distruggerla”Torre Annunziata, il blitz alla Porvolera.

ROSA ANNA: Vai sopra e butta vai! .. IDA: La devo buttare nel cesso? .. ROSA ANNA: Si butta nel cesso vai! .. omissis .. Oppure chiuditi dentro sopra, se vengono fuori la porta di mamma lo getti!., omissis .. ELISA: Eh iah sali fammi sentire la porta! Ida butta tutto cose nel cesso non ti preoccupare Ida, non ti preoccupare che andiamo a fare i muratori adesso che ritorno! …ELISA: Statti col pacchettino in petto e non ti muovere! ‘manch i cani’ vengono sopra e non lo puoi lanciare. buttalo nel cesso! Va bene? .. omissis .. Il secchio l’hai riempito ? IDA: Sono sopra da tua madre .. omissis .. ROSA ANNA: Tu tieni i secchi preparati ? .. IDA: Eh! Stiamo io e Antonio dentro casa se è una cosa getto tutto cose e butto l’acqua! IDA: l’importante è che non ci hanno trovato nulla!
ELISA: Io mi vado a fare dieci anni di carcere! Mi avete capito! Ho detto non far salire più a nessuno, stasera è maltempo .. IDA: Si è venuta Emanuela .. omissis .. Solo a lei, poi so io che fare .. omissis .. Ho pensato tanto quella è femmina …”. E  la donna a quel punto sì prodiga per trovare il modo di liberarsi della merce senza distruggerla ELISA: No, tu hai detto, che dentro da te hai buttato! Che hai buttato? .. IDA: Ho tolto tutto le cose quello che avevo giù , i pallini, tutto cose! .. ELISA: Eh! Ma mica li hai buttati? .. IDA: Noo! Aspetta, ho mandato via Giusi con la roba addosso! .. Io adesso me la sento, che ho mandato via “Giusi” con la roba addosso, speriamo che non ritorni perchè giù ci stanno i cani.
ROSANNA: No, tu quella mica è scema, quella se li vede se ne -va via, Giusi è una vera figli. di puttana. … IDA: Ci sta lei, Aurelio (ndr SCOPPETTA Aurelio) ROSANNA: Allora non preoccupaeti …. IDA: Ho la pressione a 200… ROSANNA: Mamma la tiene a 300, sta giù in infermeria… IDA: Tu non hai capito, io me la sentivo di qua sopra (ndr Casa di ALBERGATORE Elena); se rompevano qui sopra, le fanno prendere 20 anni di carcere, me la sentivo per tua madre … ROSANNA: Va bene non ti preoccupare, adesso abbiamo risolto…

Renato Pagano

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Cronache della Campania@2018

Travolse un giovane un 35enne di Poggiomarino: chiesto il processo per un camionista di Angri

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La Procura di Nocera Inferiore ha concluso le indagini sull’incidente che ha visto il 36enne Antonio Bifulco perdere la vita. Il tribunale ha chiesto il rinvio a giudizio per un camionista di Angri che era alla guida del mezzo con cui l’auto di Bifulco si scontrò il 20 luglio 2017.
L’accusa per il camionista è di omicidio stradale. Secondo la ricostruzione degli investigatori l’autista impegnò l’incrocio pur notando l’auto con a bordo Antonio Bifulco. I due mezzi si scontrarono, il 36enne fu preso in pieno. Dall’impatto l’uomo finì in arresto cardiocircolatorio immediato. Secondo i rilievi effettuati anche il giovane avrebbe agito in concorso di colpa. Infatti Bifulco non avrebbe dato la precedenza all’autocarro provocando di fatti lo scontro. A seguito dell’impatto il camionista accusò un malore, fu infatti anche trasferito all’ospedale di Nocera. Dagli esami tossicologici l’uomo è risultato negativo. Dovrà comunque affrontare un processo, sarà il gip a fissare, in udienza, la data del dibattimento.

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Abusi sessuale sull’ex guida di ‘Napoli sotterranea’: il Comune si costituisce parte civile

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Prima udienza di oggi, nel Palazzo di Giustizia di Napoli, sui presunti abusi sessuali ai danni di Grazia Gagliardi, ex guida del sito turistico “Napoli Sotteranera”, che vede nella veste di imputato il presidente della nota struttura turistica, Vincenzo Albertini. Il collegio A della quinta sezione ha accolto la costituzione di parte civile del Comune di Napoli, rappresentato dall’avvocato Marco Muzzo. Presente, in aula la ex guida. Assente invece l’imputato. L’udienza di oggi e’ stata caratterizzata dai dubbi sollevati dalla difesa di Albertini, gli avvocati Maurizio Zuccaro e Sergio Pisani, riguardo la querela presentata dalla ex guida, rappresentata dall’avvocato Alessandro Eros D’Alterio. Dubbi fugati dai giudici in una mezz’ora al termine della quale e’ stata dichiarato valida la denuncia. Il collegio A della quinta sezione ha poi rinviato al prossimo 26 novembre l’interrogatorio di Grazia Gagliardi e di un pizzaiolo. “Non ci sarei voluta essere, oggi, qui”, ha detto Grazia ai giornalisti davanti al palazzo di Giustizia dove un gruppo di giovani ha organizzato un sit in di sostegno con magliette contro gli abusi sulle donne e con uno striscione. “Il prossimo 26 novembre saro’ ascoltata, sara’ una giornata lunga. Sara’ ascoltato anche un altro testimone, un pizzaiolo”, ha aggiunto la 33enne. A chi le ha chiesto perche’ ha denunciato, Grazia ha risposto che “non poteva stare zitta. Non so abbassare la testa – ha sottolineato – forse ci ho impiegato troppo tempo per metabolizzare quanto ho subito, ma non mi pento. Mi dispiace solo avere perso il lavoro. Lavoro ancora in ambito turistico ma quel posto mi ha dato tanto, ci sono stata 4 anni che hanno un significato particolare. L’imputato si dice estraneo ai fatti? Che cosa dovevo avere in testa per inventarmi una simile situazione?”, ha detto infine Grazia per la quale la costituzione di parte civile da parte del Comune, “e’ un fattore importante e un appoggio in più”.

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Sequestro beni al ‘re dei videopoker’ legato ai Casalesi

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In data odierna, militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Caserta hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo, emesso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, su richiesta di questa Procura, di beni nella disponibilità di Alfonso Amodio (nato a Santa Maria Capua Vetere il 24.01.1974), imprenditore casertano già appartenente al clan dei casalesi ed operante nel settore dei videopoker (per un valore di oltre 220.000 euro).
Il provvedimento è stato emesso dal Tribunale, Sezione Penale, di Santa Maria Capua Vetere, su richiesta della Procura, ali’ esito di mirati accertamenti economico-patrimoniali disposti da questa Procura dopo la sentenza di condanna divenuta definitiva nei confronti dell’ Amodio. Quest’ultimo, infatti, è un imprenditore già attivo nel settore dei videopoker, già condannato, con sentenza passata in giudicato, in data 17.05.2016, per il reato di partecipazione all’associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), clan dei casalesi.
In particolare, Amodio è stato considerato imprenditore colluso con il “clan dei casalesi”, che grazie a tale vicinanza ha potuto ”imporsi nel territorio in posizione dominante” facendo ottenere al clan di riferimento “risorse, servizi o utilità”. Infatti, lo stesso Amodio – attraverso il metodo “mafioso”, ovvero con la minaccia implicita derivante dalla forza di intimidazione della criminalità organizzata – imponeva l’installazione dei videopoker all’interno di locali commerciali ubicati in provincia di Caserta, coartando così la libertà di impresa dei diversi esercenti e limitando la concorrenza del settore, per poi riversare parte dei proventi conseguiti nelle casse dell’organizzazione criminale.
L’esecuzione del presente provvedimento costituisce l’epilogo di una complessa e articolata attività investigativa svolta dal Nucleo di Polizia Economico-finanziaria di Caserta, con il coordinamento di questo Ufficio giudiziario, finalizzata alla ricostruzione nel tempo della posizione reddituale e patrimoniale di Amodio e del suo nucleo familiare. Al fine di disvelare l’origine del patrimonio dell’imprenditore e dei suoi familiari conviventi è stata acquisita, con riferimento al periodo 1997-2010, copiosa documentazione, tra cui i contratti di compravendita dei beni e delle quote societarie, nonché numerosi altri atti pubblici che hanno interessato nel tempo l’intero nucleo familiare investigato. Il materiale cosi raccolto è stato oggetto, quindi, di approfondimenti che hanno consentito di riscontrare, per talune annualità, la sproporzione esistente tra i beni nella titolarità di Amodio nonché dei propri familiari e i redditi da questi dichiarati. In esecuzione del decreto emesso dalla Seconda Sezione Penale, Collegio C, del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sono stati, pertanto, sequestrati – in vista della successiva confisca – n. 2 appartamenti siti in Santa Maria Capua Vetere e conti correnti fino a concorrenza dell’intero importo di 220.000 euro da sottoporre a misura cautelare reale.
Gli esiti di questa attività costituiscono una chiara testimonianza del costante presidio esercitato da questa Procura, in stretta sintonia con il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Caserta, per l’azione di contrasto alla criminalità organizzata, utilizzando gli anche gli strumenti normativi che consentono, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, l’aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati.

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Camorra, i parenti delle vittime innocenti al Governo: ‘Cambi le leggi’

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“Siamo mogli, figli, figlie, sorelle, fratelli, padre e madri di vittime innocenti della criminalita’ organizzata. I nostri familiari sono stati uccisi dalla camorra senza colpa, per uno scambio di persona o per essersi opposti ad essa, ed ora sono finiti nel tritacarne della burocrazia, vittime ulteriori di un trattamento discriminante”. Inizia cosi’ la lettera che 14 congiunti di persone uccise dai clan, cui lo Stato non ha mai riconosciuto i benefici economici di legge, hanno inviato una decina di giorni fa al premier Giuseppe Conte, e ai due vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ministro dell’Interno e competente per la materia; nessuna risposta e’ arrivata, nonostante i familiari delle vittime avessero chiesto un semplice incontro. Tra i firmatari Augusto Di Meo, testimone oculare dell’omicidio del sacerdote di Casal di Principe don Peppe Diana, mai riconosciuto come testimone di giustizia nonostante abbia fatto condannare il killer subendo danni fisici e morali, Giuseppe Coviello e Rosa Pagano, i cui padri Paolo e Pasquale furono uccisi nel 1992 dai Casalesi per un scambio di persona, Lucia Zenna, madre di Generoso Pagliuca, il 23enne ucciso dai Casalesi nel 1995 per aver difeso la sua fidanzata vittima degli abusi della compagna del boss, che se n’era invaghita; compare anche Giovanna Scudo, madre di Salvatore Barbaro, ucciso ad Ercolano nel 2009 perche’ scambiato dai killer per il bersaglio. Hanno firmato la lettera anche il sindaco di Casal di Principe Renato Natale, i referenti di Libera e Comitato Don Diana Gianni Solino e Valerio Taglione, e il rappresentante del coordinamento vittime innocenti della criminalita’ organizzata Salvatore Di Bona. I congiunti delle vittime sono da tempo impegnati in una “battaglia” per far cambiare la normativa, modificata in senso restrittivo nel 2008, proprio quando la camorra Casalese lancio’ un’offensiva contro lo Stato uccidendo 18 persone in pochi mesi nel Casertano, tra cui i sei ghanesi vittima della strage di Castel Volturno. “Negli ultimi dieci anni – scrivono – siamo diventati carta da rigettare, pratiche da bocciare; abbiamo protestato, urlato e scritto, ma negli ultimi anni dirigenti dello Stato hanno addirittura diffamato la memoria dei nostri cari. Siamo sopravvissuti ad una guerra in cui lo Stato ha perso per anni. Non vogliamo carita’, ma di porre fine ad un trattamento che ci discrimina”. Sotto accusa e’ finita soprattutto la norma che vieta al Ministero dell’Interno di concedere il vitalizio ai familiari delle vittime della criminalita’ organizzata, qualora questi abbiano parenti o affini entro il quarto grado nei cui confronti e’ in corso un procedimento di prevenzione o penale per motivi di mafia; una norma ritenuta troppo rigida ma mai modificata”. Nel giugno scorso un giudice napoletano si e’ anche pronunciato per la costituzionalita’ della norma. Di fatto, tale previsione di legge ha impedito a molti parenti di persone innocenti uccise dai clan, che non hanno mai fatto parte delle cosche, di avere una qualche forma di sostegno dopo aver subito il dramma della perdita di un proprio caro. Tra i casi piu’ noti quello concernente Marisa Garofalo, sorella della vittima dell’ndrangheta Lea Garofalo, cui lo Stato ha negato il vitalizio nonostante la parente uccisa avesse testimoniato contro il marito e il cognato affiliati. “Siamo stanchi ma non possiamo fermarci” concludono.

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Camorra, l’imprenditore coraggio registra il boss che chiede il pizzo e lo fa arrestare

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E’ stata la coraggiosa testimonianza del titolare di una agenzia di pratiche assicurative e automobilistiche a dare impulso all’indagine della sezione antiestorsione della Squadra Mobile di Napoli e della compagnia dei carabinieri di Bagnoli che ha portato all’arresto di tre componenti del clan Mele, uno dei quali e’ il boss Vincenzo Mele, che dirige gli affari criminali nella zona di Pianura, quartiere nella parte occidentale di Napoli. Il racconto dell’uomo e’ ricco di particolari. Il clan pretendeva da lui il pagamento di tre rate da 500 euro ognuna a Pasqua, Ferragosto e Natale. Ma lui ha rifiutato e ha denunciato le pressioni alle forze dell’ordine. Non solo, ha anche fornito le immagini delle telecamere di sorveglianza che hanno ripreso le scene e le ‘visite’ degli emissari del capoclan, Fabio Orefice e Vincenzo Morra. Nell’indagine ci sono altri due indagati a piede libero per i quali il gip ha rigettato la richiesta formulata dal pm della Dda, Francesco De Falco. “Dal 2005 lavoro in via Montagna Spaccata e mi occupo di infortunistica. Non ho mai avuto problemi di estorsione fino a tre mesi fa quando un uomo conosciuto con il soprannome di Pallina, entrava nel mio studio e giunto al mio cospetto mi chiedeva 500 euro da consegnare a Natale, Pasqua e Ferragosto agli amici carcerati e in particolare a Enzo di Giulietta, ovvero Vincenzo Mele”, fa mettere nero su bianco il 24 luglio alla polizia la vittima della cosca. “Ho preso tempo perche’ ho capito di avere a che fare con uomini della criminalita’ organizzata ma Pallina si diceva preoccupato di dover dire al boss che non avevo voluto pagare”, continua. Vincenzo Mele e Fabio Orefice erano stati scarcerati da poco. Il primo e’ considerato il reggente del clan che a Pianura detta legge imponendo estorsioni a tappeto nonostante la presenza delle associazioni antiracket impegnate sul territorio. Il secondo invece era stato in passato oggetto di intimidazioni da parte del gruppo rivale, i Pesce, che adesso sono indeboliti a causa del pentimento del capoclan Pasquale detto ”e bianchina’. Orefice e’ stato incastrato grazie a un tatuaggio a forma di ragnatela che ha sul gomito. Era stato intercettato il 7 settembre a Pianura mentre era in sella a una moto di grossa cilindrata guidata da Vincenzo Morra. Ad accorgersi della mitraglietta che portava con disinvoltura, un carabiniere della compagnia di Bagnoli, fuori dal servizio. E’ stato lui a segnalare la presenza dei due uomini armati che percorrevano a folle velocita’ la zona il quartiere, ripresi anche da una telecamere di sicurezza mentre sfrecciavano tra le auto ferme nel traffico.

Cronache della Campania@2018

Camorra, il pentito accusa: ‘Orefice usava guanti in lattice blu per gli omicidi e poi li lasciava sul posto’. LE INTERCETTAZIONI

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Fabio Orefice, a cui oggi polizia e carabinieri hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa su richiesta della DDA, si guadagno’ la ribalta delle cronache per essere scampato a un agguato e per avere successivamente minacciato i killer via social con una foto che lo ritraeva bendato in ospedale e il post “il leone e’ ferito ma non e’ morto”. L’episodio risale al 16 ottobre del 2014: Orefice, ritenuto affiliato al clan Mele di Pianura, venne ferito in un agguato organizzato dal clan rivale dei Pesce Marfella. Fini’ in ospedale da cui lancio’ il guanto di sfida al gruppo camorristico antagonista dando il via a un “botta e risposta” a colpi d’arma da fuoco della durata di alcuni mesi. Una prima misura cautelare gli era stata notificata dalle forze dell’ordine il 14 marzo del 2017.

A gennaio scorso  fu arrestato a Giugliano dove si era rifugiato. Fabio Orefice, 33 anni è il cognato del ras Antonio Bellofiore detto ‘Tonino 38′ del clan Mele ( avendo sposato la sorella Rosaria).Oltre a gestire una piazza di spaccio a Pianura per conto del clan Mele viene indicato dal pentito Antonio Ricciardi come uno dei killer al servizio della cosca. In un verbale del 4 luglio 2013 Ricciardi infatti ha raccontato: ” Tornando all’omicidio di…omissis…Calone Antonio, Enzo Birra e Fabio Orefice, gruppo di killer per conto del clan Mele. Posso riferire il particolare che essi utilizzano guanti di di lattice blu, che poi lasciano sul luogo del delitto, come segno distintivo per dare un segnale al sistema. Il programma criminale dei Mele è quello di eliminare tutti gli affiliati al clan Pesce” E sempre il pentito Ricciardi in un verbale del 17 luglio 2013 a proposito di Fabio Orefice racconta:”Riconosco la persona raffigurata nella fotografia n. 19 si tratta di Fabio Orefice. E’ un affiliato al clan Mele. Ho già raccontato che ha partecipato all’agguato contro ………………… (omissis) …………….. Gestisce la piazza di spaccio di via Santa Maria a Pianura, coincidente con la sua abitazione. Ha subito un agguato pochi mesi fa da parte
del clan Pesce, come mi fu raccontato da Enzo Pane, anche se non so chi materialmente lo ha commesso…”. E a proposito di quell’agguato subito lo stesso due giorni dopo postò sul suo profilo facebook le foto che lo ritraevano già in piedi nella stanza dell’ospedale con gli evidenti segni delle ferite riportate scrivendo:  “Il leone è ferito ma non è morto, già sto alzato. Aprite bene gli occhi che per chiuderli non ci vuole niente. Avita muriii”. Ma per tutta risposta il 22 ottobre  alcuni sicari arrivarono con una moto di grossa cilindrata sotto la sua abitazione e fecero fuoco più volte contro le finestre. Fabio Orefice impiegò un paio di mesi per metabolizzare la rabbia e la sua sete di vendetta e non sapendo di essere intercettato il 13 dicembre chiama lo zio Franco che conosce bene Pasquale Pesce e che lui chiama come ‘o mast e Jessica in quanto la cugina, figlia dello zio Franco appunto faceva la baby sitter della figlia del boss. Nella telefonata Orefice minaccia il clan Pesce e per esso il reggente Pasquale Pesce ‘e bianchina (oggi pentito) di fare una strage.

Cronache della Campania@2018

Ridusse in fin di vita la madre: il 17enne salernitano interrogato dal gip ora si dice pentito

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Un interrogatorio serrato davanti al capo della Procura minorile, dottoressa Imparato, quello che ha messo a dura prova il diciassettenne cilentano finito a Nisida lo scorso 12 giugno per tentato omicidio aggravato da futili motivi nei confronti di sua madre.
A scatenare quel raptus omicida sarebbero state le continue acccuse dei suoi genitori che sopettavano – a suo dire ingiustamente – l’uso di sostanze stuefacenti. Esasperato, il minore afferrò un coltello uncinato dalla lama lunga tredici centimetri, sferrandolo contro sua madre e colpendola ripetute volte. Aggressione subita anche dal padre che nel tentativo di salvare sua moglie, provava a fermare il rgazzo.
Si dichiara pentito, come riporta Il Mattino, per quanto accaduto e dice di avere i ricordi confusi in merito a quella sera. Ha chiesto scusa più volte nel corso dell’interrogatorio non essendo però in grado di raccontare i particolari di quella follia omicida che lo portò a sferrare ripetute coltellate al collo di sua madre riducendola in gravissime condizioni. Il minore, già lo scorso giugno, davanti al pubblico ministero, confermò ogni addebito spiegando di aver agito in preda ad un raptus: “I miei genitori criticavano costantemente il mio stile di vita affermò non si fidavano di me e mi accusavano ingiustamente di fare uso di sostanze stupefacenti”. Il giudice, nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, sottolinea la pericolosità del giovane che ha manifestato “dispregio per qualsivoglia conseguenza morale e penale del suo operato”, evidenziando “l’astratta propensione del minore all’uso delle armi bianche” di cui aveva una ricca collezione. Dopo l’interrogatorio, nel corso del quale il ragazzino ha ribadito più volte di essersi pentito, il magistrato potrebbe decidere di adottare a suo carico una misura cautelare alternativa. 

Cronache della Campania@2018

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