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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Morti nella Solfatara: incidente probatorio al via il 15 ottobre

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Prendera’ il via il prossimo 15 ottobre, e durera’ circa sei mesi, l’incidente probatorio nella Solfatara di Pozzuoli (NAPOLI) a cui prenderanno parte sette “super periti” nominati dal Tribunale di NAPOLI venerdi’ scorso. L’obiettivo e’ stilare un pacchetto di norme di sicurezza che, se rispettate, potrebbero consentire il dissequestro dell’area e la sua riapertura. Il 12 settembre del 2017, durante una visita nel vulcano, persero la vita un bimbo di 11 anni, e il padre e la madre del ragazzino, Massimiliano e Tiziana Carrer, rispettivamente di 45 e 42 anni, nel tentativo di soccorrere il figlio caduto in una voragine profonda tre metri, apertasi improvvisamente sotto i suoi piedi. Si salvo’ l’altro figlio di 7 anni della coppia, residente a Meolo (Venezia). Subito apparvero carenti le misure di sicurezza della struttura, un vulcano attivo, dove e’ presente anche un campeggio e dove lavorano anche geologi che tengono sotto controllo l’evoluzione vulcanica della zona. Carenze evidenziate in maniera netta in una relazione redatta dai periti nominati dai magistrati della VI sezione della Procura della Repubblica di NAPOLI che stanno indagando sulla tragedia.

Cronache della Campania@2018


Omicidio di Ciro Esposito, la Cassazione conferma i 16 anni di carcere a De Santis

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E’ definitiva la condanna a 16 anni di reclusione per Daniele De Santis, l’ex ultra’ giallorosso accusato dell’omicidio di Ciro Esposito, il tifoso del Napoli rimasto ferito il 3 maggio 2014 alla vigilia della finale di Coppa Italia nel corso di incidenti scoppiati a Tor di Quinto e morto all’ospedale Gemelli dopo 53 giorni di agonia. La prima sezione penale della Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dall’imputato contro la sentenza emessa in appello nel giugno dello scorso anno, con la quale era stata notevolmente ridotta la pena rispetto a quella inflitta a De Santis in primo grado: i giudici della Corte d’assise d’appello di Roma, infatti, avevano assolto l’imputato dal reato di rissa ed escluso le aggravanti dei futili motivi e della recidiva, riducendo cosi’ a 16 anni la prima condanna a 26 anni di carcere. Anche la procura generale della Suprema Corte aveva stamane in udienza sollecitato il rigetto del ricorso dell’ex ultra’.

“Finalmente giustizia”. E’ il primo commento dell’avvocato Angelo Pisani, legale di parte civile della famiglia di Ciro Esposito, alla decisione della Cassazione di confermare 16 anni di reclusione per Daniele De Santis. “Ora c’e’ la certezza che non ci saranno altri sconti di pena per chi ha compiuto un crimine ingiustificato che ha colpito non solo la famiglia Esposito – osserva l’avvocato – ma anche l’intera citta’ di Napoli e il mondo del calcio. E’ importante – conclude – che questa pena venga scontata in carcere senza nessun vantaggio”.  “Volevo la verita’, e l’ho avuta: non mi interessa quanti anni si fa De Santis ma solo che siano state definite le sue responsabilita’”: cosi’ Antonella Leardi, mamma di Ciro Esposito, ha commentato il verdetto della Cassazione che ha confermato 16 anni di reclusione per l’omicidio di suo figlio nei confronti dell’ultra’ romanista Daniele De Santis. La donna stamani e’ stata presente in Cassazione all’udienza davanti alla Prima sezione penale e dopo avere ascoltato le arringhe degli avvocati di parte civile, Angelo e Sergio Pisani, e’ uscita quanto ha preso la parola la difesa di De Santis. Antonella Leardi ha fatto ritorno a Napoli, nel quartiere di Scampia dove ci sono gli altri due fratelli di Ciro.  “Siamo soddisfatti della decisione della Cassazione che non ha accolto il tentativo della difesa di Daniele De Santis di far passare la tesi che l’omicidio di Ciro Esposito fosse un caso di legittima difesa”. Lo hanno sottolineato gli avvocati Angelo e Sergio Pisani che hanno rappresentato in Cassazione i famigliari di Ciro Esposito, il giovane tifoso del Napoli ucciso a Roma nel maggio 2014 da un colpo di pistola sparato dall’ultra’ romanista Daniele De Santis. “Chiaramente non siamo soddisfatti della riduzione di pena che e’ stata concessa a De Santis in appello, e’ che e’ troppo lieve in relazione a una vicenda cosi’ grave, ma la pena al ribasso non e’ una colpa della Cassazione perche’ e’ stata decisa dalla Corte d’Assise. E’ importante che sia stato riconosciuto che De Santis era consapevole del fatto che sparando poteva uccidere, cosa che purtroppo e’ avvenuta”, hanno sottolineato i due legali commentando il verdetto della Suprema Corte.

Cronache della Campania@2018

Cosentino, partito l’Appello al processo ‘Il Principe e la scheda ballerina’

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E’ iniziato oggi a Napoli il processo d’appello dell’inchiesta denominata “Il Principe e la scheda ballerina”, in cui e’ imputato l’ex sottosegretario all’Economia del Pdl Nicola Cosentino. In primo grado l’ex politico e’ stato condannato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a cinque anni di carcere per il reato di tentativo di reimpiego di capitali illeciti con l’aggravante mafiosa; e’ stato invece assolto dall’accusa di corruzione, mentre durante la fase delle indagini preliminari era stato prosciolto dai reati di falso e abuso d’ufficio. La vicenda e’ quella del finanziamento da 5 milioni di euro, di cui Cosentino si sarebbe interessato, e relativo alla costruzione di un centro commerciale a Casal di Principe, denominato “Il Principe”, voluto secondo l’accusa dal clan dei Casalesi, ma mai realizzato. Peraltro anche il finanziamento non e’ mai stato erogato. Con Cosentino compaiono altri venti imputati, tra cui l’ingegnere Nicola Di Caterino, titolare della Vian srl, la societa’ che avrebbe dovuto edificare la struttura ubicata all’uscita di Casal di Principe della Nola-Villa Literno (11 anni in primo grado), Cristoforo Zara (cinque anni di carcere), ex direttore della filiale Unicredit di via Bari a Roma, ufficio che curo’ la pratica di finanziamento da cinque milioni per la realizzazione del centro e lo concesse, salvo poi bloccarlo per una questione di garanzie insufficienti. In totale, il Tribunale inflisse nell’aprile 2017 tredici condanne, disponendo otto assoluzioni. Oggi l’Appello si e’ aperto con la relazione introduttiva del procuratore generale prima che il processo fosse rinviato al 25 novembre per la requisitoria.

Cronache della Campania@2018

Aveva violentato la sua vicina di casa di soli 15 anni: arresti domiciliari per il 19enne pusher del Piano Napoli

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Boscoreale. E’ finito agli arresti domiciliari con la pesante accusa di violenza sessuale ai danni di una ragazzina di 15 anni sua vicina di casa al Piano Napoli di Boscoreale, il 19enne Luigi Miranda meglio noto come il pusher a domicilio già con numerosi precedenti per spaccio. il gip del tribunale di Torre Annunziata, Mariaconcetta Criscuolo, ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari eseguita dai carabinieri della stazione di Boscoreale. Secondo il racconto della ragazzina la violenza avvenne la sera del 26 aprile scorso. I due si conoscono da bambini. Abitano in due palazzine, una di fronte all’altra del Piano Napoli. Lui la corteggia da tempo. La ragazzina  sta tornando a casa da sola e lui ne approfitta per avvicinarla con una scusa. Lei non teme niente di grave perché conosce quel ragazzo, ma quell’invito si rivela ben presto un incubo. Il 19enne la costringe a seguirla in un box abbandonato nelle vicinanze delle loro abitazioni. E’ uno di quelli che usano i pusher per deposito droga e scambio. In pochi minuti si consuma la violenza. La ragazzina urla ma nessuno la sente. O forse è il caso di dire in quartiere dove regna l’omertà, che nessuno vuole sentirla. Torna a casa e non dice  niente ai genitori. Poi il giorno dopo il papà si accorge che qualcosa non va. lei piange e le racconta la brutta avventura. Corrono in ospedale dove i medici confermano la violenza sessuale subita dalla ragazzina e consigliano di sporgere denuncia. Padre e figlia si presentano dai carabinieri di Boscoreale. Partono le indagini, vengono prelevati i vestiti che indossava la ragazzina per rilevare tracce biologiche dell’aggressore. E ieri dopo i risultati del Dna e le indagini dei carabinieri che hanno confermato l’avvenuto stupro Miranda è stato arrestato. Il giovane, ha trascorso una buona fetta della sua adolescenza tra comunità minorile ed il carcere di Nisida, era già salito nel corso dell’anno tre volte agli onori della cronaca per due arresti per spaccio di droga e uno per guida senza patente e resistenza a pubblico ufficiale. A maggio la prima condanna a un anno di carcere, pena sospesa.

Cronache della Campania@2018

Il boss pentito dei Casalesi: ‘Niente armi ai terroristi islamici’

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Parla Salvatore Orabona, ex affiliato al Clan dei Casalesi, che ha raccontato di essersi opposto alla vendita di armi al tunisino Mohamed Kamel Eddine Khemiri che è stato condannato per terrorismo di matrice islamica. “Le armi – come riportano l’edizione odierna de “il Mattino” e Il Corriere del Mezzogiorno- non le ho volute dare a quelle persone”. Queste le parole di Orabona ai giudici. Il tunisino viene arrestato nel 2016 nell’ambito di un indagine che cerca di fare luce su un’organizzazione che fornisce documenti falsi ai clandestini. Poi liberato e condannato in seguito ad 8 anni di reclusione. Orabona, che vede la foto del 43enne sui giornali, decide di parlare e racconta di aver conosciuto l’uomo di avergli venduto della auto ma di avergli negato le armi. Infatti oltre alle auto c’era la richiesta di cinque kalashinov. “Mi sono incontrato con tunisini o algerini, non ricordo bene. Siccome io già davo delle auto di Trentola Ducenta a un tale che si chiama Massimo ed è algerino di origine, questi mi fece incontrare dei suoi compaesani o tunisini che mi chiedevano delle auto. Dopo aver parlato di auto mi hanno chiesto dei kalashnikov e lì mi sono rifiutato, ho detto no a questa proposta delle armi e ho risposto che potevo dare solo le auto. Le armi – afferma – non le ho volute dare a quelle persone”. Forse perché Orabona si rifiutò “avendo compreso – scrivono i giudici – i gravi scopi illeciti per i quali potevano essere utilizzate”. Il processo era stato affrontato dal tunisino da libero, dopo essere stato arrestato e scarcerato poi per la semplice falsificazione dei documenti. Ma le foto sui quotidiani lo hanno tradito, infatti il collaboratore di giustizia l’ha riconosciuto ed ha parlato, forse per senso di difesa del territorio. Così sono iniziate ulteriori indagini da parte degli inquirenti che hanno poi condannato, in Corte d’Assise, Khemiri a 8 anni di reclusione.

Cronache della Campania@2018

Processo al prete falso esorcista, la sorella della ragazzina in aula: ‘Don Barone la torturava’

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Dal banco dei testimoni, ieri, la Procura di Santa Maria Capua Vetere, ha ascoltato la sorella della ragazzina maltrattata da don Michele Barone. La sua testimonianza è fondamentale. Contro tutti e tutto ha intrapreso una battaglia ardua per salvare la sorellina da un meccanismo perverso che si era attivato: i genitori l’accusavano di essere la causa di ogni male, la polizia non tentò addirittura di coprire il prete per evitargli guai giudiziari. Anche il vescovo di Aversa contro e che è stato registrato dalla ragazzina stessa mentre la invitava a risolvere i dissidi familiari e a ritirare la denuncia senza la quale, oggi, sua sorella sarebbe ancora nelle mani della setta di Casapesenna.
Ieri la ragazza, come riporta Il Mattino, si è sottoposta sia all’esame dei pm Alessandro Di Vico e Daniela Pannone, sia al controinterrogatorio del collegio difensivo, composto dagli avvocati Carlo De Stavola, Camillo Irace, Maurizio Zuccaro e Giuseppe Stellato. Sette lunghe ore durante le quali la giovane ha ripercorso quanto accaduto a sua sorella, affetta da problemi psichiatrici e inizialmente in cura da specialisti. “Barone le tolse i medicinali con l’accordo dei miei genitori. Ma mia sorella stava sempre peggio. Secondo il prete, dei farmaci, non c’era bisogno: mia sorella era indemoniata”. E, per liberarla dal maligno, l’avrebbe sottoposta a duri rituali esorcistici. “Percossa, strattonata, afferrata per i capelli”: la ragazza ha mostrato le foto della vittima, oggi, dopo mesi in località protetta e quelle scattate durante il periodo in cui le uniche medicine che le venivano somministrate erano le preghiere. “E le botte”, ha aggiunto. Dopo il viaggio a Cracovia, secondo Barone la ragazzina non aveva bisogno di alcuna terapia, in quanto quelo in Polonia era – sempre secondo il prete  – il viaggio che aveva liberato la ragazzina da demonio. La circostanza di un ritrovato benessere da parte della vittima è stato quindi confermato anche dalla sorella.

Cronache della Campania@2018

Napoli, accoltellamento di Arturo, la difesa del 13enne: ‘Stava giocando a calcetto, non era li’

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La Procura dei Minorenni di Napoli ha acquisito la perizia eseguita sul cellulare di un tredicenne ritenuto coinvolto nell’aggressione di Arturo – il 17enne accoltellato dal branco lo scorso dicembre in via Foria a Napoli – grazie alla quale, secondo l’avvocato difensore del minore, si evince che quando scatto’ l’aggressione il giovane era impegnato in una partita di calcetto in un campetto parrocchiale. L’avvocato Carla Mazurelli, difensore del giovane, si e’ avvalso della collaborazione dell’ingegnere Carmine Testa, lo stesso professionista che ha eseguito le perizie per il caso di Tiziana Cantone, la giovane suicidatasi nel Napoletano dopo la diffusione su una chat di alcuni sui video hot. L’analisi delle telefonate, dei messaggi via chat e dei post sui social dimostrerebbero, secondo l’avvocato Maruzzelli, che dalle 16.44 alle 19 di quel tragico 18 dicembre 2017 il ragazzino, legato da vincoli di parentela con una famiglia malavitosa, era in compagnia di altri minorenni e del coach per giocare la partitella di calcetto. La violentissima aggressione ad Arturo, ad opera di una baby gang, scatto’, secondo gli accertamenti degli investigatori, alle 17,30.

Cronache della Campania@2018

Ucciso perchè voleva lasciare i Casalesi: arrestato il killer di Domenico Motti

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La Squadra Mobile di Caserta ha arrestato il 46enne Luigi Coscione per l’omicidio di matrice camorristica di Domenico Motti, ucciso il 31 agosto del 1993 perche’ aveva manifestato piu’ volte il desiderio di cambiare vita e allontanarsi dal clan Bidognetti. Coscione, condannato con sentenza definitiva, deve espiare una pena residua di 17 anni e tre mesi di reclusione; a suo carico l’Ufficio Esecuzioni Penali della Procura Generale della Repubblica di Napoli ha cosi’ emesso l’ordine di carcerazione eseguito dai poliziotti della Questura casertana. Le prime indagini della Dda, aperte subito dopo il fatto, non portarono ad alcun risultato; poi la collaborazione di due esponenti del clan dei Casalesi, Francesco Della Corte e Francesco Cantone, ha permesso di far luce sul delitto; il corpo di Motti fu ritrovato in una strada interpoderale di Carinaro, di fronte allo svincolo della Strada Statale Nola-Villa-Literno, crivellato di colpi espolsi da un Beretta 9X21, di quelle in uso alla forze dell’ordine, e da una pistola 7,65. I due pentiti, che hanno raccontato di aver preso parte al delitto, hanno indicato Coscione quale esecutore materiale.

Cronache della Campania@2018


Morti sospette in clinica, aperta un’indagine: riesumate sette salme

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Morti sospette dopo il ricovero in una casa di cura del Salernitano, la procura di Salerno ha aperto un’inchiesta. L’indagine affidata ai pm Claudia D’Alitto ed Elena Cosentino mira a fare luce su una vicenda estremamente complessa. Una sequenza di decessi per cause sanitarie potrebbe trattarsi non di una triste coincidenza. Il fascicolo è stato aperto dalla Procura che indaga per omicidio colposo dopo una serie di segnalazioni, sette con la precisione, per decesso dove sono emerse alcune coincidenze. Ne è nata quindi la necessità di indagare così è stata disposta la riesumazione dei cadaveri di sette persone decedute nella casa di cura per verificare i motivi della morte e verificare se il decesso è avvenuto per imperizie mediche o per altro. L’ultima riesumazione è avvenuta nel cimitero di Cava de’ Tirreni nella giornata di sabato dove è arrivato anche il medico legale per effettuare l’esame autoptico. Si tratta di due anziani, uomo e donna, deceduti uno a gennaio e l’altra dopo circa tre mesi a seguito di complicanze post operatorie. Entrambi i decessi sono avvenuti nella stessa clinica. Secondo alcune indiscrezioni l’inchiesta è partita già nello scorso luglio con il sequestro di alcune cartelle cliniche. Solo l’autopsia sui corpi potrà fare luce sulle vicende e stabilire se i pazienti sono morti per cause dovute alla struttura, quindi pulizia o personale medico, oppure per semplice fatalità cosa di cui erano convinti i parenti dei defunti che non hanno sporto denuncia. Fato o cause materiali, a spiegarlo sarà la Procura che indaga su una vicenda non poco complicata.

Cronache della Campania@2018

Scambio di voto a Scafati, i contatti telefonici ‘pericolosi’ di Aliberti e la riunione a casa della sorella del boss

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Scafati. Contatti telefonici e analisi del profilo Facebook: a piccoli passi si entra nel vivo del processo a carico dell’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti e dei suoi coimputati, per scambio di voto politico-mafioso. Un’udienza apparentemente routinaria quella che ha visto sul banco dei testimoni il maresciallo Domenico Rinaldi e il vice ispettore Marco Ciullo, entrambi in servizio alla sezione Dia di Salerno, che ha condotto le indagini sul ‘sistema’ Scafati e sui rapporti dei politici con il clan della camorra Loreto-Ridosso. Tra ritardi e intoppi tecnici, l’udienza si è protratta fino al tardo pomeriggio. Depositate le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche e ambientali chieste da pubblica accusa e difesa, il pubblico ministero della Dda Vincenzo Montemurro ha depositato l’interdittiva antimafia disposta dalla Prefettura di Salerno a carico delle imprese di pompe funebri L’Eternità e Servizi funebri srl e la sentenza di condanna con rito abbreviato carico di Alfonso Loreto e Luigi e Gennaro Ridosso, coimputati in origine di Aliberti, Nello Maurizio Aliberti, Monica Paolino, Roberto Barchiesti, Giovanni Cozzolino, Ciro Petrucci e Andrea Ridosso. Il maresciallo Rinaldi ha illustrato al collegio – presidente Raffaele Donnarumma – e alle parti i risultati delle indagini sui tabulati telefonici dell’allora sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, del fratello Nello Maurizio, Giovanni Cozzolino, Roberto Barchiesi, Raffaele Lupo e Ciro Petrucci. Tabultati analizzati dal primo gennaio del 2015 al 27 maggio del 2016, periodo a cavallo delle elezioni Regionali del maggio 2015. L’analisi dei tabulati, secondo il teste, ha riscontrato quanto sostenuto da alcuni testimoni tra i quali il pentito Alfonso Loreto e gli imprenditori Aniello Longobardi e Raffaele Lupo, soprattutto in merito alla riunione elettorale avvenuta a casa di Anna Ridosso, sorella del ras Romolo e zia di Gennaro, Luigi e Andrea Ridosso, per sponsorizzare la candidatura alla Regione di Monica Paolino. A ridosso di quell’appuntamento elettorale tra il 22 e il 30 maggio del 2015 Ciro Petrucci – all’epoca vice presidente dell’Acse, ritenuto il referente del clan Ridosso-Loreto nell’amministrazione comunale – ebbe numerosissimi contatti con Anna Ridosso e il nipote Luigi e con Giovanni Cozzolino, mentre il 30 maggio di quell’anno giorno della riunione con Monica Paolino dalle 8,30 alle 13 i telefoni cellulari di numerosi dei soggetti sotto indagine agganciavano sulla cella dello stadio comunale di Scafati, situato accanto all’abitazione di Anna Ridosso. Quella riunione a casa della sorella e dei nipoti dei capi dell’organizzazione criminale egemone a Scafati ci fu.
Dai tabulati sono emersi anche i contatti tra l’allora sindaco Angelo Pasqualino Aliberti e Andrea Ridosso, figlio di Salvatore ‘piscitiello’, ucciso in un agguato di camorra e aspirante candidato alle amministrative del 2013, al quale fu preferito Roberto Barchiesi a causa del nome ‘ingombrante’. Il ‘dato freddo’ dei tabulati forniti dalle società telefoniche per i 3 cellulari in uso all’ex sindaco parla di 22 contatti. La difesa ha insinuato il dubbio che alcune delle 22 telefonate siano semplicemente ‘doppiate’ nei tabulati ed ha ristretto il campo a 6 telefonate o contatti tra i due coimputati. Numerosi anche i contatti del fratello dell’allora sindaco Nello Maurizio Aliberti con Luigi e Gennaro Ridosso, entrambi condannati per scambio di voto e corruzione elettorale nell’ambito della stessa inchiesta, e ritenuti a capo dell’organizzazione camorristica che operava a Scafati. Numerosissimi i contatti di Nello Maurizio Aliberti anche con Giovanni Cozzolino, factotum e componente dello staff sindacale, Aniello Longobardi, Raffaele Lupo, l’Igiene Urbana e la società interinale Tempo spa. I contatti con Igiene Urbana, la ditta che si occupava della raccolta dei rifiuti nel comune di Scafati – secondo il teste Rinaldi – riscontravano quanto raccontato dai testimoni circa i rapporti e le cointeressenze del fratello dell’ex sindaco.
L’analisi del profilo Facebook di Angelo Pasqualino Aliberti e i commenti alle attività amministrative del Comune retto dalla commissione prefettizia è stata al centro della testimonianza di Marco Ciullo, vice ispettore della Dia, che ha partecipato alle indagini relative ad una fuga di notizie dal Comune di Scafati. L’attività social dell’ex sindaco, dimessosi, con l’esplosione dell’indagine a suo carico che ha determinato lo scioglimento del consiglio comunale, è stato oggetto della procura antimafia con un sequestro dei supporti informatici, effettuata dalla Dia. La difesa di Aliberti, a proposito di un documento della Commissione prefettizia pubblicato da Aliberti e ritenuto ancora riservato, ha sostenuto che quell’atto era stato già pubblicato su altri profili social ed ha prodotto un denuncia presentata da Aliberti.
La prossima udienza si celebrerà il 24 ottobre prossimo ed è prevista la testimonianza del capitano Fausto Iannaccone, della sezione Dia di Salerno, che ha seguito molti degli accertamenti delegati dalla Dda salernitana nell’ambito dell’inchiesta Sarastra.
Presente in aula sei dei 7 imputati, l’unico assente Andrea Ridosso. Tra il pubblico numerosi fedelissimi e fedelissime dell’ex sindaco, detenuto agli arresti domiciliari a Praia a Mare, arrivato in tribunale poco prima delle 11. Angelo Pasqualino Aliberti, accompagnato dalla moglie Monica Paolino, ha dialogato con i suoi legali nell’attesa dell’inizio dell’udienza, non sono mancati saluti estemporanei di amici e professionisti che hanno gravitato intorno alle sue amministrazioni.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Fine pena mai per Ciro Guarente, il ‘massacratore’ di Enzo Ruggiero

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Il giudice del tribunale di Napoli nord Fabrizio Finamore ha condannato all’ergastolo il 36enne Ciro Guarente, imputato per l’omicidio, avvenuto ad Aversa nel luglio del 2017, di  Vincenzo Ruggiero, ammazzato a colpi di pistola. Il cadavere fu poi fatto e pezzi e nascosto da Guarente in un garage. Questa mattina, durante la requisitoria del processo svoltosi con rito abbreviato, il sostituto della Procura di Napoli nord Vittoria Petronella aveva chiesto il massimo della pena. Guarente era reo confesso del delitto.
Oggi in aula, in un estremo tentativo di ottenere un qualche sconto sulla pena, l’ex marinaio ha letto un documento davanti alla madre e a due fratelli della vittima, chiedendo scusa per il dolore provocato. Il suo legale, Dario Cuomo, ha invocato invece le attenuanti generiche, che se accolte avrebbero fatto calare la pena, in virtu’ della collaborazione fornita da Guarente durante le indagini. Nei mesi scorsi il 36enne aveva fatto il nome della persona che gli aveva consegnato la pistola usata per il delitto, che andra’ a processo con rito ordinario nelle prossime settimane, e di altri complici su cui sono in corso i riscontri degli inquirenti. Ma il quadro di elementi raccolto durante le indagini a carico dell’ex marinaio passato poi nei ruoli civili della Marina, era troppo grave, al netto della confessione. Secondo quanto emerso, la sera del 7 luglio, Guarente si presento’ a casa di Ruggiero ad Aversa e lo ammazzo’ a colpi di pistola, fece il corpo a pezzi, lo cosparse di acido muriatico e cemento, e nascose le parti in un autolavaggio del quartiere napoletano di Ponticelli; i resti furono poi ritrovati dai carabinieri sotto un massetto di cemento nel punto dove solitamente c’era il cane da guardia, ma qualche frammento osseo della testa e di un braccio non e’ ancora stato rinvenuto. Passionale il movente; Guarente era geloso del fatto che la sua fidanzata, la trans Heven Grimaldi, convivesse in quel periodo con Ruggiero ad Aversa; pensava che tra i due coinquilini fosse scattato qualcosa, cosi’ penso’ di vendicarsi dell’attivista.

Cronache della Campania@2018

Il clan dei Casalesi negò 5 kalashnikov al terrorista Isis

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Anche i camorristi hanno un cuore: riconobbe sui giornali quell’extracomunitario arrestato per falsificazione di documenti e poi scarcerato, intui’ che i cinque kalashnikov che l’uomo gli aveva chiesto sarebbero potuti finire nelle mani dell’Isis e decise di non darglieli. E’ quanto l’ex capozona del clan dei Casalesi Salvatore Orabona, ora collaboratore di giustizia, riferi’ agli inquirenti appositamente fatti convocare per parlare di Mohamed Kamel Edine Khemiri, il tunisino di 43 anni condannato lo scorso giugno a 8 anni di reclusione per terrorismo di matrice islamica. Dopo avere visto la sua foto sui giornali Orabona decise di conferire con i magistrati. L’episodio risale all’agosto del 2016. Ai magistrati disse di avergli venduto solo alcune vetture. Null’altro. Dichiarazioni che, comunque, finora non hanno trovato alcun riscontro. Khemiri, approdato in Italia attraverso le rotte dell’immigrazione clandestina, venne arrestato e poi processato. La Corte di Assise di NAPOLI lo ha ritenuto colpevole di proselitismo e indottrinamento via web alla piu’ radicale delle ideologice terroristiche islamiche. Di essere, quindi, un attivo sostenitore dell’Isis. Salvatore Orabona, 36 anni, ex capozona del clan dei Casalesi tra Aversa e Trentola Ducenta, nel Casertano, conosceva i segreti della cosca mafiosa. Si e’ occupato dei suoi affari e sapeva dove erano nascoste le armi. Dopo il “pentimento” si e’ conquistato la fiducia degli investigatori rivelando i nascondigli degli arsenali. Ma per Giuseppe Setola, il killer piu’ spietato del clan e braccio destro del boss Francesco Bidognetti, era un nemico. Infatti tento’ di ucciderlo in un drammatico agguato scattato il 12 dicembre del 2008, quando la cosiddetta stagione del terrore inaugurata proprio da Setola (che in quel periodo aveva gia’ assassinato 18 persone) volgeva al termine. Il terribile raid contro Orabona, con decine di colpi di ak47, e contro un altro affiliato ritenuto suo nemico, Pietro Falcone fu registrato in diretta dalle forze dell’ordine che avevano installato una cimice nella vettura usata dal commando. L’audio dell’agguato fece il giro del mondo. Colpi di mitra furono esplosi mentre i sicari, forse ubriachi e drogati, intonavano canzoni neomelodiche: prima contro l’abitazione di Orabona e poi contro quella che credevano fosse la casa di Falcone, sempre a Trentola. I due obiettivi rimasero illesi. Ne fece le spese invece una donna innocente, che rimase gravemente ferita. La collaborazione di Orabona con la giustizia ha anche consentito di fare luce sulle collusioni tra la fazione Zagaria del Clan dei Casalesi, l’imprenditoria e la politica locale, nell’ambito del cosiddetto processo Medea.

Cronache della Campania@2018

Omicidio Ruggiero, il papà: ‘Guarente ha chiesto perdono e clemenza, ma lui ha avuto clemenza per Vincenzo quando lo ha ucciso?’

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“Vincenzo avrà pace solo quando tutti i componenti della banda abbiano la stessa pena nessuno può togliere la vita ad un altro essere umano paragonandolo a Dio”. Lo scrive Francesco Ruggiero, papà di Vincenzo il giovane commesso napoletano ucciso e fatto a pezzi lo scorso anno prima ad Aversa e poi in un garage di Ponticelli. Ieri è stato condannato all’ergastolo il suo assassino, Ciro Guarente. Il papà di Ruggiero nel post pubblicato stamane nel gruppo facebook “Verità e giustizia per Vincenzo Ruggiero” ripercorre le fasi dell’inchiesta e di quello che è successo ieri in aula, giorno della sentenza.”Guarente si aspettava tutt’altra pena. Si è visto perso, voleva essere punito con una pena meno inflittiva. Infatti in aula ha letto una lettera che successivamente è stata assunta come prova dove chiedeva perdono e clemenza. Ma lui per Vincenzo a avuto clemenza?”. Si è chiesto il padre dello sfortunato ragazzo ucciso e fatto a pezzi dal “Grinder Boy” di Ponticelli, Ciro Guarente per motivi di gelosia nei confronti della sua fidanzata, la trans Heven Grimaldi. La mamma di Vincenzo, Maria Esposito, che si è battuta fin dall’inizio della storia, per arrivare alla verità, ieri parlando con i giornalisti  a caldo subito dopo la lettura della sentenza aveva detto: “Giustizia è fatta. Finalmente mio figlio ha avuto giustizia. ma certamente non posso perdonare Ciro e nemmeno Heven che è la causa che ha scatenato tutto ciò”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’avvocato Luca Cerchia, difensore della famiglia di Ruggiero che ha insistito sulla ricerca della verità fino in fondo e del nome dei complici: “Vogliamo sentire i nomi dei complici, di coloro che hanno aiutato Guarente dopo l’omicidio, quando il corpo di Vincenzo è stato oltraggiato e deturpato in ogni modo, solo allora capiremo che il pentimento è veramente in atto e potremmo prendere in considerazione l’idea di cominciare a perdonare”. Domani intanto ci sarà la seconda udienza, presso la seconda sezione della corte d’Assise del processo che vede come imputato il pregiudicato di Ponticelli, Francescio De Turris, colui che aveva fornito la pistola a Guarente con la quale è stato ucciso Vincenzo Ruggiero nella casa di Aversa.Si darà l’incarico ai tecnici che dovranno trascrivere le intercettazioni. In quella sede si potrà capire anche quando verrà ascoltato nuovamente Ciro Guarente, che è stato chiamato come teste proprio da De Turris. Sia gli avvocati della vittima che la procura chiederanno che l’omicida sia tra i primi a parlare dinanzi al giudice.

Cronache della Campania@2018

Falsi incidenti: 27 misure cautelari per tre Giudici di Pace di Torre Annunziata, avvocati e periti assicurativi. TUTTI I NOMI

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Torre Annunziata. Corruzione in atti giudiziari: ordinanza di custodia cautelare per alcuni giudici di pace in servizio al Tribunale di Torre Annunziata. E’ stata notificata in queste ore una misura cautelare a carico 22 persone emessa dal tribunale di Roma.
La misura è stata emessa in merito ad una serie di corruzioni messe in atto dai giudici, tra i togati raggiunti dalla misura anche due giudici di Scafati e del comprensorio vesuviano.  Si tratta di Antonio Ianniello e Raffaele Ranieri. Un terzo giudice di pace raggiunto dalla misura cautelare è il napoletano Paolo Formicola.Nell’inchiesta ci sono i nomi anche di numerosi avvocati del foro di Torre Annunziata, alcuni dei quali sono stati raggiunti stamane da misure cautelari. Tra di essi anche l’ex consigliere comunale del Pd di Castellammare di Stabia, Rodolfo Ostrifate. Gli indagati sono 27 e tra essi ci sono anche alcuni periti assicurativi. L’inchiesta riguarda centinaia di episodi di falsi incidenti stradali.

Ecco i nomi degli indagati

Antonio Ianniello, 55 anni, di Scafati- Giudice di pace
Paolo Formicola, 55 anni di Napoli- Giudice di pace
Raffaele Ranieri, 58 anni, di Scafati- Giudice di pace
Rosaria Giorgio, 41 anni di Scafati
Carmela Coppola, 41 anni di Pompei
Filippo Costanzo, 54 anni di Scafati
Gennaro Amarante, 56 anni di Scafati
Antonio Cascone, 56 anni di Scafati
Aniello Guarnaccia, 45 annidi Castellammare di Stabia
Edoardo Cuomo, 42 anni di Pagani
Nicola Basile, 41 anni di Castellammare di Stabia
Ivo Varcaccio Garofalo, 40 anni di Torre annunziata
Guido Varcaccio Garofalo, 44 anni di Torre Annunziata
Ostrifate Rodolfo,44 anni- avvocato di Castellammare di Stabia
Pasquale Esposito,, 46 anni di Gragnano
Francesco Afeltra, 32 anni di sant’Antonio Abate
Luigi Ascione, 59 anni di Portici
Ciro Guida, 45 anni di Pompei
Enrico Tramontano Guerritore,, 45 anni di Poggiomarino
Vincenzo Calvanese, 51 anni di Nocera Superiore
Fabio Donnarumma, 39 anni di Pompei
Liberato Esposito, 40 anni di Castellammare di Stabia
Dario Luzzetti, 47 anni di Torre del Greco
Salvatore Verde, 46 anni di Torre Annunziata
Vincenzo Elefante, 35 anni di Castellammare di Stabia
Marco Vollono, 52 anni di Castellammare di Stabia
Luigi Coppola, 41 anni di Castellammare di Stabia

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Morti sospette in clinica: indagati cinque medici

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Sono cinque i medici indagati dalla Procura di Salerno nell’ambito di un’inchiesta scattata dopo alcune morti sospette di almeno sette persone avvenute in una clinica nel salernitano. I giudici del tribunale di Salerno indagano con l’accusa di omicidio colposo. Sono stati nominati due medici legali che hanno effettuato gli esami sui cadaveri riesumati nei giorni scorsi. Entro due mesi i due tecnici dovranno giungere a delle conclusione e stabilire l’esatta causa dei decessi giunti dopo interventi chirurgici avvenuti in una clinica nel salernitano.
La pista seguita dalla Procura è quella che vede tra le cause principali le non ottimali condizioni igienico-sanitarie ma non si esclude l’eventualità di errore medico. L’arco temporale è di dodici mesi. Si parte dal settembre del 2017, l’inchiesta è partita lo scorso luglio in seguito ad una denuncia dei familiari di un paziente ricoverato e poi morto presso la struttura in questione. Così dopo il sequestro delle cartelle cliniche la Procura ha aperto il procedimento ed iniziato tutti gli accertamenti del caso. Sull’indagine trapela nulla, c’è il massimo riserbo da parte degli inquirenti. Gli indagati per ora sono cinque, si tratta di cinque medici che nei prossimi giorni saranno ascoltati dagli investigatori. Il quadro chiaro della vicenda si avrà solo dopo gli esiti degli esami autoptici.

Cronache della Campania@2018


Napoli, Luca Materazzo si sfoga in aula: ‘Io maltrattato dai media’

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“Chiedo ai media piu’ precisione, rispetto il diritto di cronaca ma non merito il trattamento che la stampa mi sta riservando”. A conclusione dell’udienza del processo che lo vede imputato con l’accusa di essere l’assassino di suo fratello Vittorio, Luca Materazzo ha chiesto e ottenuto il permesso dalla Corte di Assise di rilasciare dichiarazioni spontanee nelle quali ha espresso tutta la sua amarezza. “Ci sono persone li’ fuori che mi vogliono bene, – ha detto ancora – che hanno il diritto di capire cosa sta succedendo. La verita’ non deve essere deformata”. Oggi, durante la seconda udienza dopo la pausa estiva, sono stati ascoltati gli agenti della polizia di stato che hanno eseguito accertamenti scientifici, subito dopo l’omicidio di Vittorio Materazzo, l’ingegnere ucciso con decine di coltellate, davanti la sua abitazione, a NAPOLI, il 28 novembre del 2016. Ascoltata anche una ex fidanzata dell’imputato.

Cronache della Campania@2018

Giudici corrotti a Torre Annunziata, bustarelle e favori sotto l’occhio della telecamera: ecco chi è finito in carcere

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Torre Annunziata. Corruzione, falso, rivelazione del segreto d’ufficio, favoreggiamento: il sistema di corruzione e favori orchestrato da un gruppo di giudici di pace in servizio al Tribunale di Torre Annunziata è stato smascherato. Diciotto le persone finite in carcere, cinque ai domiciliari, una misura cautelare è stata rigettata, mentre tre sono indagati a piede libero. Un sistema smascherato grazie ad una telecamera nascosta nello studio professionale dell’avvocato Antonio Iannello, 55 anni, civilista di Scafati e giudice di pace a Torre Annunziata. In 45 giorni di video riprese, i finanzieri che hanno seguito le indagini hanno registrato 37 episodi delittuosi. Bustarelle per stabilire risarcimenti nell’ambito di procedimenti civili di risarcimento danno per sinistri stradali, percentuali sulla nomina di Ctu del Tribunale, favori per aggiustare sentenze presso giudici amici come Raffaele Ranieri, arrestato anch’egli e finito in carcere, e Paolo Formicola – ai domiciliari -. “Non solo è emerso che Iannello continui ad esercitare la professione di avvocato difensore nonostante la nomina a Giudice onorario comporti il divieto assoluto di svolgere l’attività – scrive il Gip Costantino De Robbio che ha spedito Iannello nel carcere di Poggioreale – ma l’indagato, noncurante del giuramento di fedeltà alla Costituzione ed allo Stato, ha sistematicamente preteso ed accettato compensi dai legali delle parti nelle controversie a lui affidate per favorirne gli interessi, ha preso denaro da consulenti tecnici per nominarli CTU nei procedimenti inerenti sinistri stradali, è giunto al punto di farsi dettare dagli avvocati i provvedimenti giurisdizionali lascianclo ai patrocinatori di parte la decisione sul quantum, la determinazione delle percentuali di responsabilità da attribuire a ciascuno dei soggetti coinvolti nel sinistro e la determinazione di spese ed onorari in favore di avvocati e legali”.
Il sistema messo su da Iannello prevedeva, inoltre, secondo quanto emerso dalle indagini l’esclusione sistematica di tutti coloro – avvocati e consulenti tecnici – che non si mostravano pronti al versamento della tangente. Erano persone ‘poco perbene’ come li definiva lui nel corso delle conversazioni intercettate dai finanzieri.
Il sistema è stato scoperto e il sistema Iannello è stato distrutto, ma non si può pensare, che sia finito del tutto. Ad aiutare l’avvocato giudice di Pace ad eludere le investigazioni anche esponenti delle forze dell’ordine. Dopo la notifica della proroga delle indagini a suo carico, il giudice ha iniziato una vera e propria bonifica delle prove. Ed ha chiesto ad amici-esponenti delle forze dell’ordine di aiutarlo ad eludere le indagini. Nel registro degli indagati sono finiti per rivelazioni del segreto istruttorio un finanziere: Tommaso Forte (indagato), un maresciallo in servizio presso la sezione della Polizia giudiziaria di Salerno, Gennaro Amarante, e un maresciallo in servizio al nucleo operativo di Torre Annunziata Antonio Cascone (gli ultimi due finiti agli arresti domiciliari).
Dopo essere venuto a conoscenza dell’indagine a suo carico e del procedimento pendente presso la Procura di Roma, Antonio Iannello e i suoi coindagati hanno fatto di tutto per eludere le indagini. Su consiglio del collega Paolo Formicola ha tentato ben due bonifiche da ‘cimici’ nel suo studio: tutto mentre i finanzieri assistevano – attraverso una telecamera nascosta – alle operazioni.
A marzo scorso, Formicola inviò un tecnico di sua fiducia nell’ufficio del collega e ad una prima analisi con un metal detector sembrava che fosse tutto tranquillo, salvo poi scoprire pochi giorni dopo, grazie ad un elettricista che nelle prese della corrente vi era una ‘cimice’ audio, prontamente resa inattiva dagli inquirenti. Ma l’occhio ‘segreto’ dei finanzieri ha funzionato abbastanza per scoprire come Iannello intascava mazzette di banconote da 50 euro e le nascondeva, affidando danaro contante e agende ad alcuni complici come un’avvocatessa sua collega di studio Rosaria Giorgio, per nascondere tutto nel ‘garage’. L’avvocatessa è finita agli arresti domiciliari stamane. Di soldi i finanzieri che hanno eseguito le misure cautelari e le perquisizioni ne hanno già trovato, e tanto. Sarebbero il frutto di mesi, forse anni, di corruttele.

In carcere sono finiti avvocati, consulenti tecnici e i giudici di pace corrotti:

1. AFELTRA Francesco
2. BASILE Nicola
3. COPPOLA Luigi
4. CUOMO Eduardo
5. DONNARUMMA Fabio
6. ELEFANTE Vincenzo
7. ESPOSITO Liberato
8. GUIDA Ciro
9. GUARNACCIA Aniello
l0.IANNELLO Antonio
11.LUZZETTI Dario
12. OSTRIFATE Rodolfo
L3. RANIERI Raffaele
14. TRAMONTANO GUERRITORE Enrico
15. VARCACCIO GAROFALO Guido
L6. VARCACCIO GAROFALO lvo
17. VERDE Salvatore
18. VOLLONO Marco

Ai domiciliari invece ci sono:

l. AMARANTE Gennaro
2. CASCONE Antonio
3. COPPOLA Carmela
4. FORMICOLA Paolo
5. GIORGIO Rosaria

E’ stata rigettata la misura cautelare chiesta dal pm Maria Letizia Golfieri per il nocerino Vincenzo Calvanese.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Processo Materazzo, l’investigatore in aula: ‘Luca tradito dagli indumenti e perché trovato senza calzini’

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Malgrado facesse molto freddo non aveva i calzini ai piedi, Luca Materazzo, il giorno dopo l’omicidio del fratello Vittorio, ucciso davanti la sua casa a Napoli, la sera del 28 novembre 2016. Luca e’ sotto processo a Napoli con l’accusa di essere l’assassino di Vittorio. A notare questo particolare e’ stato un poliziotto della Scientifica che, durante un sopralluogo nell’abitazione dell’imputato, per un presunto furto, aveva notato sul comodino della stanza da letto di Luca due confezioni vuote di calze, dello stesso tipo, della stessa misura e marca di quelli trovati in una busta la sera prima nei pressi del luogo dell’omicidio. Calze ritenute dagli investigatori, insieme con altri indumenti insanguinati, riconducibili all’assassino. A casa di Luca, ha riferito l’agente rispondendo alle domande del pubblico ministero, mancava anche un casco per la motocicletta. Durante il sopralluogo del 29 novembre vennero trovati e sequestrati anche altri reperti, come un asciugamano dello stesso tipo di quelli trovati il giorno prima durante le prime indagini. Venne pure eseguito, con il consenso di Luca Materazzo, un prelievo di materia organica per eseguire l’esame del Dna che potrebbe essere la prova principe per incastrare o scagionare l’imputato. Luca Materazzo oltre ad aver criticato i media richiedendo un comportamento corretto nei suoi confronti ha espresso dubbi anche sulla condotta delle forze dell’ordine, in particolare quando sono stati fatti accertamenti su un presunto furto nella sua abitazione avvenuto dopo l’assassinio di Vittorio: “Sono stato costretto a firmare il verbale di sequestro”, ha detto facendo riferimento ad alcuni reperti prelevati durante un sopralluogo nella sua casa”. L’imputato ha anche voluto sottolineare di non avere mai denunciato un furto nella sua abitazione – come invece poco prima aveva affermato un agente ascoltato come teste – e che i poliziotti entrarono nella sua abitazione forzando la porta d’ingresso: “Avevano le chiavi, ma c’erano le mie inserite, non riuscivano ad aprire e quindi hanno forzato. Non me ne sono accorto, la camera da letto e’ lontana dall’ingresso e non sentito niente”. L’imputato, per diradare ogni dubbio sulla richiesta di perizia psichiatrica avanzata nella scorsa udienza dall’avvocato Francesco Longhini, poco prima esautorato, ha fatto sapere che le relazioni degli psicologi del carcere con i quali sta collaborando, “sono positive”, e che malgrado sia detenuto sta comunque portando avanti con successo tantissime attivita’ di volontariato, tra cui l’insegnamento delle lingue straniere. Materazzo ha anche risposto al pm che, nella precedente udienza, l’aveva accusato di rallentare appositamente l’iter giudiziario, revocando continuamente l’incarico ai suoi avvocati difensori (5-6 quelli a cui finora ha rimesso il mandato, ndr). Contestate anche le dichiarazioni a suo sfavore rese da alcuni testimoni 15 giorni fa. La prossima udienza e’ stata fissata alle 9,30 del prossimo 4 ottobre.

Cronache della Campania@2018

Torre del Greco, fabbro ucciso per errore: condanne ridotte in Appello al boss Tutti e a uno dei killer

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Voleva vendicare la morte del fratello, assassinato in un agguato di camorra. Ma il killer del clan Falanga di Torre del Greco sbaglio’ persona e il 26 settembre 1998 uccise per errore Vincenzo Cardone, 23 anni, che assomigliava al reale obiettivo del raid, un affiliato dei Chierchia di Torre Annunziata. Questa mattina la Corte d’assise d’appello di Napoli ha ridotto la pena dai 30 anni inflitti ai 20. Imputati sono il boss mandate, Sebastiano Tutti, difeso dall’avvocato Leopoldo Perone, e uno dei sicari, Antonio Scognamiglio, difeso dall’avvocato Antonio Del Vecchio. Uno dei sicari, Antonio Mennella, lo scorso anno ha deciso di pentirsi e ha raccontato ai pm tutte le fasi dell’agguato che e’ rimasto senza alcun colpevole per oltre venti anni. Sebastiano Tutti aveva chiesto ad Antonio Scognamiglio di vendicarlo, e questi tento’ di farlo insieme ad Antonio Mennella, che sparo’ tre colpi di pistola. Cardone era del tutto estraneo agli ambienti criminali ma venne scambiata per una persona appartenente al clan avversario, ritenuto coinvolto nell’omicidio di Santo Tutti avvenuto una settimana prima. A indurre in errore i killer, il fatto che avesse aveva lo stesso motorino e frequentasse gli stessi ambienti dell’uomo che doveva essere ucciso. Santo Tutti era stato vittima di un ‘commando’ di quattro persone armate che gli spararono mentre era seduto in un ristorante della cittadina vesuviana. Pe il fratello Sebastiano, allora elemento di spicco del clan Falanga, a fornire appoggio ai sicari e ad aiutarli nella fuga era stato un affiliato dei Chierchia di cui voleva la morte. La vittima designata fino a pochi minuti prima dell’agguato del 26 settembre di 18 anni fa aveva utilizzato il motorino dell’incensurato che fu ucciso al posto suo, visto dai killer proprio in sella a quello scooter, nei pressi del bar di Torre del Greco frequentato dal vero bersaglio e pure di spalle.

 

nella foto Antonio Scognamiglio e Sebastiano Tutti)

Cronache della Campania@2018

Camorra: la Cassazione conferma le condanne al gruppo scissionista dei Nappello

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La Corte di cassazione, II sezione penale, presieduta dal dott. Prestipino e che ha visto relatore dei fatti di causa il dott. Di Pisa, ha messo la parola fine all’inchiesta della direzione distrettuale antimafia che portò alla sbarra i vertici della compagine e decine di affiliati al clan Lo Russo.
Ventinove i ricorrenti: Barbato Maria, Borzacchiello Angela, Brillante Francesco, Cardillo Antonio, Centanni, Mario, Cerchio Salvatore, Cinicolo Francesco Saverio, Cinicolo Antonio, Culiersi Ciro, Culiersi Daniele, D’Abile Emanuel, D’Angelo Ignazio, Della Corte Giovanni, De Simini Antonio, La Hara Salvatore, Lo Russo Mario, Lo Russo Carlo, Luongo Pasquale, Madonna Gianluca, Marino Salvatore, Nappello Valerio, Nappello Carlo, Palumbo Gennaro, Parravano Alessandro, Polverino Pietro, Prota Emanuele, Silvestri Salvatore, Simonetti Pietro, Vitaliano Michele.
Le imputazioni riguardavano sia l’associazione di tipo mafioso, sia la associazione finalizzata ad un imponente traffico di sostanze stupefacenti. Nel capo di imputazione veniva contestato al potente gruppo dei Lo Russo di aver operato per ben quindici anni. I mezzi di prova acquisiti durante le indagini grazie alle intercettazioni si sono arricchiti con il contributo offerto agli inquirenti dai vertici della associazione poi divenuto collaboratori di giustizia. Pesanti le condanne inflitte in data 24.01.17 dalla Corte di appello di Napoli, le quali sono divenute quindi irrevocabili all’esito della dichiarazione di inammissibilità di tutti i ricorsi proposti dai numerosi difensori decisa dalla Corte di cassazione. Viceversa, la Suprema Corte, condividendo le ragioni giuridiche formulate dagli avvocati Dario Vannetiello ed Annamaria Ziccardi, ha annullato la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli relativamente alla confisca che fu imposta ai danni del narcotrafficante Salvatore La Hara, soprannominato “ o pazzo”, al quale furono a suo tempo sequestrati beni per ingente valore, rappresentati da un immobile, conti correnti bancari e postali nonché due autovetture. Così si riapre la speranza per La Hara e per i suoi familiari di ottenere di nuovo i suoi beni. Il nuovo giudizio sul tema si svolgerà innanzi ad altra sezione della Corte di appello di Napoli dopo che la Cassazione renderà note le motivazioni per le quali ha sposato le tesi degli avvocati Vannetiello e Ziccardi.

Cronache della Campania@2018

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