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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Vietri, la Cassazione annulla la condanna: Benincasa può tornare a fare il sindaco

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Annullata la sentenza di condanna per il sindaco di Vietri sul Mare, Francesco Benincasa,  che può ritornare alla sua carica secondo quanto stabilito dai giudici della Corte di Cassazione. La condanna era stata inflitta, in appello, lo scorso gennaio il cui verdetto che aveva fatto scattare, nei confronti di Benincasa, la legge Severino.
Per gli altri imputati invece è stata dichiarata la prescrizione. Il sindaco Benincasa era rientrato nelle indagini in quanto, per l’accusa, aveva revocato troppo presto l’ordinanza adottata – dal commissario straordinario che teneva prima di lui le fila dell’ente locale – in seguito alla frana che si era staccata dal costone Rocce Rosse, consentendo così la parziale riapertura dello stabilimento balneare del Baia. A spiegare la decisione, come riportato da Il Mattino, fu lo stesso Benincasa che era stato informato del rischio che cinquanta dipendenti avrebbero potuto perdere il posto di lavoro e come, prima di firmare l’ordinanza parziale di apertura del lido balneare, avesse chiesto ai funzionari comunali di verificare che la documentazione fosse in regola.
Ottenendo rassicurazioni su tale fronte visto che agli atti c’erano la perizia giurata di due geologi e di un ingegnere, i certificati di ultimazione dei lavori e di collaudo. Coinvolti nella vicenda giudiziaria, oltre al legale rappresentante della società che gestiva la struttura ricettizia, Francesco Soglia, c’erano anche il responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune, Domenico Manzione e i consulenti tecnici, Giovanni Rea, Vincenzo Bove e Nanni Remigio di Sanza, che erano stati accusati di aver attestato l’esecuzione delle opere di bonifica e messa in sicurezza che avrebbero messo il costone Rocce rosse al riparo da cedimenti, ma che secondo la ricostruzione della magistratura salernitana erano insufficienti. Era il maggio del 2009 quando, dal costone roccioso, venne giù una frana di circa duemila metri cubi tra massi e detriti che investì il lido del Lloyd’s Baia Hotel. Secondo le accuse, quel cedimento si sarebbe potuto evitare se tutti avessero fatto fino in fondo la loro parte come chi avrebbe dovuto provvedere alla manutenzione della zona a rischio crollo.

Cronache della Campania@2018


Camorra a Giugliano, cento anni di carcere agli scissionisti delle Palazzine

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Giugliano. Cento anni di carcere: una mazzata per il clan degli scissionisti delle Palazzine di Giuglinao. Quelli delle ‘Paparelle’ che avevano osato ribellarsi allo strapotere criminale dei Mallardo sotto la guida di Gennaro Catuogno ‘o scoiattolo e Aniello de Biase, figlio di Michele detto Paparella scomparso da due anni e si pensa vittima di lupara bianca. Nonostante il rito abbreviato e quindi il conseguente sconto di pena di un terzo sono arrivate pesanti nei confronti di 12 dei 15 imputati. Assolti invece Vincenzo Micillo le due figlie di Michele De Simone. La condanna maggiore è stata inflitta a Nicola Ciccarelli: 12 anni e 2 mesi. A seguire Salvatore Pugliese 11 anni e 2 mesi, Giuseppe D’Alterio 11 anni, Aniello de Biase 10 anni e 6 mesi, Gennaro Catuogno ‘o scoiattolo 10 anni e 2 mesi, Silvano Ciccarelli  e Crescenzo Panico 9 anni e 2 mesi, Francesco Di Nardo, 8 anni, Michele De Simone 5 anni e 10 mesi, Raffaele De Simone 5 anni e 8 mesi, Domenico Smarrazzo 5 anni e 2 mesi, Antonio Guarino 2 anni e 2 mesi. Erano tutti accusati a vario titolo di associazione di stampo camorristico ed in alcuni casi anche di armi ed estorsione e traffico di droga. Dietro l’inchiesta che ha portato al processo e alle condanne la faida-lampo con i Mallardo e l’omicidio del giovane Enis Mahmoudi, ucciso nel luglio del 2017  per aver osato chiedere la tangente a un commerciante amico dei Mallardo.

Cronache della Campania@2018

Omicidio Siani 33 anni dopo, il generale Sensales: ‘Vi racconto la mia verità’

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Il generale Gabriele Sensales, comandante in pensione della compagnia di carabinieri di Torre Annunziata, dopo trentatré anni dal delitto di Giancarlo Siani all’epoca del delitto, racconta liberamente tutti i retroscena di quel terribile assassinio che gli ha cambiato la vita. Questa sorta di racconto liberatorio avviene in occasione del premio “Giancarlo Siani, uno di noi”, organizzato dal Comune di Vico Equense.
“Prima di essere ammazzato Giancarlo Siani era preoccupato. A metterlo in agitazione erano le pressioni del pretore Gargiulo. A Torre Annunziata la situazione era drammatica, in cinque anni c’erano stati nel mio territorio centoquaranta morti. Il sindaco Bertone e il pretore erano in concorrenza per la gestione degli affari illeciti in combutta con il clan Gionta, c’era stata la strage al circolo dei pescatori con otto morti: io inviavo continuamente informative e chiedevo rinforzi, ma senza risultati. Poi morì Giancarlo e il pretore interpretò il delitto come un avvertimento nei suoi confronti. Dopo la morte di Siani sono stato convocato e al procuratore Aldo Vessia ho raccontato tutto. Pochi mesi dopo sono stato trasferito a Firenze”. Questa è la testimonianza che raccoglie “Il Mattino” del generale che la sera in cui uccisero Siani era appena rientrato a casa. Ricevette una telefonata in cui lo si informava del terribile delitto compiuto. “Rimasi impietrito. Avevo accanto mio figlio che all’epoca era un bambino, ma conosceva il cronista che a volte in caserma si fermava a giocare con lui. Gli dissi la verità e lui scoppiò in lacrime. Io mi precipitai in caserma. Erano passati pochi minuti dalla sparatoria, organizzai subito dei posti di blocco sperando di beccare i killer che tornavano a Torre Annunziata. Perché ne ero sicuro: gli assassini erano partiti da là”. Il pretore Gargiulo, una volta raggiunta la caserma, fece sapere che da lì non si sarebbe mosso senza la scorta in quanto – credeva – che quell’omicidio fosse un avvertimento indirizzato alla sua persona.
“Avevo indagato e quindi sapevo che il pretore e il sindaco si contendevano certi affari. Il pretore aveva parlato a Giancarlo del primo cittadino sollecitandolo a pubblicare inchieste su di lui – spiega il generale -. Il giornalista ne diffidava ed era preoccupato delle sue continue insistenze. Ma Gargiulo ci teneva a far sapere di essere in contatto con lui. Chiudendo la bocca a Siani avevano effettivamente mandato un messaggio”.
Le indagini di Sensales si muovevano in questa direzione, convinto che il delitto fosse maturato nela città di Torre Annunziata dove il clima era incandescente, ed era altresì convinto che dietro ci fossero clan e istituzioni che si contendevano il territorio. “Lo dissi al procuratore Vessia – tuona il generale – che mi convocò poco dopo. Con lui c’erano altri due magistrati. Fu un confronto molto duro e qualche giorno dopo fui trasferito”.
Siani riscuoteva la piena fiducia del militare che lo riceveva spesso accompagnato dal giornalista dell’Ansa, Antonio Irlando. “A volte io lasciavo gli incartamenti sulla scrivania e mi allontanavo per qualche minuto, loro avevano il tempo di dare una lettura veloce. Ma Giancarlo era capace di parlare con tutti e molte cose le sapeva anche dalla strada”, confida.
Secondo una sentenza passata in giudicato Siani è stato ammazzato per aver scritto che Nuvoletta avrebbe venduto Gionta. Il generale però crede fermamente che, nel delitto, le vicende di Torre Annunziata abbiano avuto un peso determinante e che, come ha del resto ha sostenuto anche il pm Armando D’alterio, non è mai stato del tutto chiarito. “Ad esempio, dopo il delitto fu arrestato Alfonso Agnello, un fiancheggiatore dei Gionta. Rimase in carcere dieci giorni poi fu scagionato grazie a una contravvenzione fatta da un altro parente dei Gionta. Per dieci giorni in galera non ne aveva mai parlato. L’ennesima vicenda inquietante”.

Cronache della Campania@2018

Mega truffa all’Inps, le dichiarazioni del commerciante Carusti. TUTTI I NOMI DEGLI INDAGATI

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Era un sistema articolato, quello emerso dalla delicata opera­zione “Leonardo”, che ieri  ha portato in carcere sei persone e all’iscrizione nel registro degli indagati di 49 persone che hanno ricevuto perquisizioni domiciliari. Anche se sono ben 600 le prspone coinvolte nella maxi inchiesta condotta dai carabinieri di Nocera Inferiore con il coordinamento della Procura e che ha con­sentito di svelare una mega truffa all’Imps e all’agenzie delle Entrate. Ai domiciliari sono finiti i commercialisti Domenico Desiderio ed Arcangelo Battimelli; i commercianti Ottavio Carusti, Aurelio Salierno e Vincenzo Carusti e il faccendiere Sabato Abagnale. Secondo quanto accertato dagli investigatori era proprio Ottavio Carusti il collante del sistema delinquenziale tra i diversi commercianti ed imprenditori che intestavano le false società a dei prestanome. a numerosi soggetti di essere direttamente coinvolti nella riscossione di denaro proveniente da benefici previ­denziali. Il personaggio di spicco di questo sistema, Otta­vio Carusti, ne parlò l’anno scorso in un interrogatorio cui si sottopose con le garanzie di­fensive del caso: “La mia atti­vità è quella di antiquario, ed in passato ho gestito diversi punti vendita (intestati a di­verse ditte, ndr). Durante le at­tività venivo avvicinato da persone che inizialmente chie­devano di essere assunte, ed erano gli stessi soggetti a pro­pormi di assumerli fittizia- mente per […] accedere ai benefici previdenziali. Al rag­giungimento dei requisiti mi­nimi provvedevo al licenziamento e, alla corre­sponsione del beneficio, avreb­bero dovuto consegnarmi il 50% dell’importo percepito”. Dopo il primo caso il resto è ve­nuto quasi fuori in modo natu­rale: “Devo ammettere che sono stato io stesso a cercare altri soggetti disposti ad inte­starsi fittiziamente aziende inesistenti previa stipula del patto che mi avrebbero versato il 50% della prestazione bene­ficiate” – dichiara Carusti – “le ditte sono quasi tutte create fittiziamente […] i soggetti che risultavano titolari delle ditte venivano da me retribuiti con la cifra settimanale tra i 150 ed i 200 euro. Per la gestione con­tabile mi sono rivolto a Batti- melli Arcangelo e Desiderio Domenico (Battimelli ha ge­stito due delle quattro aziende effettivamente esistenti, Desi­derio tutte le altre)”. Il coinvol­gimento era sicuramente diretto: “Il Desiderio era consa­pevole che le ditte fossero fitti- zie, anche perché i rapporti li aveva direttamente con me.e non con i legali rappresen­tanti”. Qui compare un altro attore importante, Aurelio Sa- lierno: “Aveva il compito di cercare i soggetti a cui inte­stare le ditte, di pagare setti­manalmente il compenso pattuito […] per tale presta­zione gli versavo 200 euro set­timanali per le spese e il 15% sul 50% degli importi pattuiti con gli operai fittizi. Tale rap­porto – prosegue l’indagato – si è interrotto tra il 2015 ed il 2016. Dopo le perquisizioni sono stato contattato (indiret­tamente, ndr) per chiedermi di incontrare Aurelio Salierno. In tale incontro mi ha chiesto di tenerlo fuori dalla presente vi­cenda giudiziaria. In cambio di una dichiarazione favorevole mi ha proposto una consegna di 8000 euro in contanti”.
Le fatture erano invece diret­tamente redatte dal Carusti: “La materiale redazione delle fatture era un mio compito. Inizialmente […] servivano a documentare una fittizia ope­ratività delle stesse ed anche per compensare i crediti Iva ed il pagamento dei contributi previdenziali. Successivamente […] iniziai ad emettere anche fatture a società e ditte
esterne. In particolare, molti soggetti nel mio circuito mi hanno chiesto di emettere fatture
per operazioni inesistenti al fine di compensare i crediti Iva”. A tali soggetti il Carusti
chiedeva “un importo quale compenso oscillante tra il 12 ed il 15% del fatturato, mi veniva
in realtà corrisposto un importo pari all’8% del fatturato”. Altri dettagli sono destinati a
comparire poiché il Carusti ha dichiarato: “Ho avuto rapporti intermediari anche con soggetti che finora ho preferito non coinvolgere nella vicenda, che mi vennero presentate da un soggetto di cui al momento preferisco non fare il nome. Tale soggetto, sapendo delle
mie difficoltà economiche, mi contattò per creare le ditte allo scopo di produrre fatture per
operazioni inesistenti”.

L’ELENCO COMPLETO DEGLI INDAGATI

Michele Vertolomo residente a Sant’Antonio Abate; Giuseppe Di Dato residente a Scafati; Nicola Capriglione residente a Sca­fati; Luisa De Luca residente a Poggiomarino; Gennaro Ranaudo residente a Poggiomarino; Nunziante Verderame residente a Scafati; Vincenzo Ferrigno residente a Scafati; Junior Pasquale La Pietra residente a San Giuseppe Vesuviano; Anna Maria Vor­tice residente a Scafati; Marcello Faraso residente a Gragnano; Anna Vitiello residente a Torre Annunziata; Pasquale Panariello residente a Sant’Antonio Abate; Salvatore Generali residente a Scafati; Paolo Ruocco residente a Sant’Antonio Abate; Caterina Di Ronza residente a Torre Annunziata; Anna D’Aniello resi­dente a Sant’Antonio Abate; Pasquale Chierchia residente a Gragnano; Carmine Donnarumma residente a Scafati; Katia Matinetti residente ad Angri; Raffaello Calvanese residente a Castel San Giorgio; Paola Rosi residente a Frosinone; Gabriella Ruggiero residente a Portici; Antonio Pentangelo residente ad Angri; Giancarlo Amodio residente a Nocera Inferiore; Davide De Crescenzo residente a Pagani; Vincenzo Calenda residente a Pagani; Mario Salvati residente a Mercato San Severino; Ge­rardo Moccaldi residente a Roccapiemonte; Giuseppina Capri­glione residente a Pagani; Antonio Capriglione residente a Sant’Egidio del Monte Albino; Salvatore Calabrese residente ad Angri; Giovanni Vastola residente a San Valentino Torio; Marco De Martino residente a Traversetolo (Pr); Filippo Bertozzi resi­dente a Cesena; Giulia Alfano residente ad Angri; Giuseppina Santarpia residente a Santa Maria la Carità; Aniello Lauritano residente a Gragnano; Angelo Ricciardi residente a Scafati; Gennaro Coppola residente a Sant’Antonio Abate; Michela Rug­giero residente a Angri; Umberto Abagnale residente a Scafati; Sukhwinder Singh residente ad Aprilia; Salvatore Gianluca Mercurio residente a Brescello (Re); Cordiano Fortunato resi­dente a Cadelbosco di Sopra (Re); Mario Casciano residente a Scafati; Salvatore Calabrese residente a Pagani; Antonella Aba­gnale residente a Sant’Antonio Abate; Raffaele Trapani resi­dente a Pagani; Giuseppe Abagnale residente a Sant’Antonio Abate; Salvatore Pagano residente ad Angri; Lucia Cuomo resi­dente a Santa Maria La Carità; Matteo Lauriola residente a La­tina; Pasqualino Sautariello residente a Cimitile; Michele Nappi residente a Scafati; Antonio Gallo residente ad Angri; Gemma Schiavo residente a Gragnano; Alfonso Lavano residente a Gra­gnano; Vincenzo Acampora residente a Sant’Antonio Abate; Salvatoer Malafronte residente a Gragnano; Michele Chiavazzo residente a Scafati.

Cronache della Campania@2018

Castellammare, rapina con sparatoria al viale Europa: chiesti 50 anni di carcere per i banditi napoletani

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Castellammare. Mezzo secolo di carcere per i cinque componenti della banda di rapinatori napoletani che la mattina del 12 maggio scorso portarono a termine una spettacolare rapina ai danni del portavalori del Banco di Napoli al viale Europa. Sono queste le richieste di condanna del pm del Tribunale di Torre Annunziata nei confronti dei cinque accusati di di tentato omicidio, rapina aggravata in concorso, lesioni personali gravissime, porto e detenzione illegale di armi, ricettazione. Le richieste sono di 6 anni per Marco Angieri, 35enne; 12 anni ciascuno per Angelo Langione, 53enne (di Cercola); e Luigi Nemolato, di 36enne (di Ponticelli); 10 anni ciascuno per Carlo Pisani, 24enne (di Barra); e Francesco Ricci, 40enne (di Cercola). I cinque erano arrivati a bordo di due a Castellammare ed erano stai ripresi più volte, come ha evidenziato l’inchiesta che ha portato al loro arresto nel dicembre scorso, dalle telecamere di video sorveglianza cittadina. Poco dopo le sette di mattina ingaggiarono anche un violento conflitto a fuoco con i vigilante e con una guardia giurata in servizio all’ospedale San Leonardo che si trova di fronte alla banca e che aveva cercato di dare un aiuto ai colleghi. I cinque riuscirono a portare via alcuni sacchi contenenti 300mila euro. Una delle auto utilizzata per la rapina fu trovata dai carabinieri nella stessa mattinata nella zona di Ponticelli. da li partirono le indagini che ha portato agli arresti e al processo.

 

Cronache della Campania@2018

Mega truffa all’Inps, le dichiarazioni del commerciante Carusti. TUTTI I NOMI DEGLI INDAGATI

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Era un sistema articolato, quello emerso dalla delicata opera­zione “Leonardo”, che ieri  ha portato in carcere sei persone e all’iscrizione nel registro degli indagati di 49 persone che hanno ricevuto perquisizioni domiciliari. Anche se sono ben 600 le prspone coinvolte nella maxi inchiesta condotta dai carabinieri di Nocera Inferiore con il coordinamento della Procura e che ha con­sentito di svelare una mega truffa all’Imps e all’agenzie delle Entrate. Ai domiciliari sono finiti i commercialisti Domenico Desiderio ed Arcangelo Battimelli; i commercianti Ottavio Carusti, Aurelio Salierno e Vincenzo Carusti e il faccendiere Sabato Abagnale. Secondo quanto accertato dagli investigatori era proprio Ottavio Carusti il collante del sistema delinquenziale tra i diversi commercianti ed imprenditori che intestavano le false società a dei prestanome. a numerosi soggetti di essere direttamente coinvolti nella riscossione di denaro proveniente da benefici previ­denziali. Il personaggio di spicco di questo sistema, Otta­vio Carusti, ne parlò l’anno scorso in un interrogatorio cui si sottopose con le garanzie di­fensive del caso: “La mia atti­vità è quella di antiquario, ed in passato ho gestito diversi punti vendita (intestati a di­verse ditte, ndr). Durante le at­tività venivo avvicinato da persone che inizialmente chie­devano di essere assunte, ed erano gli stessi soggetti a pro­pormi di assumerli fittizia- mente per […] accedere ai benefici previdenziali. Al rag­giungimento dei requisiti mi­nimi provvedevo al licenziamento e, alla corre­sponsione del beneficio, avreb­bero dovuto consegnarmi il 50% dell’importo percepito”. Dopo il primo caso il resto è ve­nuto quasi fuori in modo natu­rale: “Devo ammettere che sono stato io stesso a cercare altri soggetti disposti ad inte­starsi fittiziamente aziende inesistenti previa stipula del patto che mi avrebbero versato il 50% della prestazione bene­ficiate” – dichiara Carusti – “le ditte sono quasi tutte create fittiziamente […] i soggetti che risultavano titolari delle ditte venivano da me retribuiti con la cifra settimanale tra i 150 ed i 200 euro. Per la gestione con­tabile mi sono rivolto a Batti- melli Arcangelo e Desiderio Domenico (Battimelli ha ge­stito due delle quattro aziende effettivamente esistenti, Desi­derio tutte le altre)”. Il coinvol­gimento era sicuramente diretto: “Il Desiderio era consa­pevole che le ditte fossero fitti- zie, anche perché i rapporti li aveva direttamente con me.e non con i legali rappresen­tanti”. Qui compare un altro attore importante, Aurelio Sa- lierno: “Aveva il compito di cercare i soggetti a cui inte­stare le ditte, di pagare setti­manalmente il compenso pattuito […] per tale presta­zione gli versavo 200 euro set­timanali per le spese e il 15% sul 50% degli importi pattuiti con gli operai fittizi. Tale rap­porto – prosegue l’indagato – si è interrotto tra il 2015 ed il 2016. Dopo le perquisizioni sono stato contattato (indiret­tamente, ndr) per chiedermi di incontrare Aurelio Salierno. In tale incontro mi ha chiesto di tenerlo fuori dalla presente vi­cenda giudiziaria. In cambio di una dichiarazione favorevole mi ha proposto una consegna di 8000 euro in contanti”.
Le fatture erano invece diret­tamente redatte dal Carusti: “La materiale redazione delle fatture era un mio compito. Inizialmente […] servivano a documentare una fittizia ope­ratività delle stesse ed anche per compensare i crediti Iva ed il pagamento dei contributi previdenziali. Successivamente […] iniziai ad emettere anche fatture a società e ditte
esterne. In particolare, molti soggetti nel mio circuito mi hanno chiesto di emettere fatture
per operazioni inesistenti al fine di compensare i crediti Iva”. A tali soggetti il Carusti
chiedeva “un importo quale compenso oscillante tra il 12 ed il 15% del fatturato, mi veniva
in realtà corrisposto un importo pari all’8% del fatturato”. Altri dettagli sono destinati a
comparire poiché il Carusti ha dichiarato: “Ho avuto rapporti intermediari anche con soggetti che finora ho preferito non coinvolgere nella vicenda, che mi vennero presentate da un soggetto di cui al momento preferisco non fare il nome. Tale soggetto, sapendo delle
mie difficoltà economiche, mi contattò per creare le ditte allo scopo di produrre fatture per
operazioni inesistenti”.

L’ELENCO COMPLETO DEGLI INDAGATI

Michele Vertolomo residente a Sant’Antonio Abate; Giuseppe Di Dato residente a Scafati; Nicola Capriglione residente a Sca­fati; Luisa De Luca residente a Poggiomarino; Gennaro Ranaudo residente a Poggiomarino; Nunziante Verderame residente a Scafati; Vincenzo Ferrigno residente a Scafati; Junior Pasquale La Pietra residente a San Giuseppe Vesuviano; Anna Maria Vor­tice residente a Scafati; Marcello Faraso residente a Gragnano; Anna Vitiello residente a Torre Annunziata; Pasquale Panariello residente a Sant’Antonio Abate; Salvatore Generali residente a Scafati; Paolo Ruocco residente a Sant’Antonio Abate; Caterina Di Ronza residente a Torre Annunziata; Anna D’Aniello resi­dente a Sant’Antonio Abate; Pasquale Chierchia residente a Gragnano; Carmine Donnarumma residente a Scafati; Katia Matinetti residente ad Angri; Raffaello Calvanese residente a Castel San Giorgio; Paola Rosi residente a Frosinone; Gabriella Ruggiero residente a Portici; Antonio Pentangelo residente ad Angri; Giancarlo Amodio residente a Nocera Inferiore; Davide De Crescenzo residente a Pagani; Vincenzo Calenda residente a Pagani; Mario Salvati residente a Mercato San Severino; Ge­rardo Moccaldi residente a Roccapiemonte; Giuseppina Capri­glione residente a Pagani; Antonio Capriglione residente a Sant’Egidio del Monte Albino; Salvatore Calabrese residente ad Angri; Giovanni Vastola residente a San Valentino Torio; Marco De Martino residente a Traversetolo (Pr); Filippo Bertozzi resi­dente a Cesena; Giulia Alfano residente ad Angri; Giuseppina Santarpia residente a Santa Maria la Carità; Aniello Lauritano residente a Gragnano; Angelo Ricciardi residente a Scafati; Gennaro Coppola residente a Sant’Antonio Abate; Michela Rug­giero residente a Angri; Umberto Abagnale residente a Scafati; Sukhwinder Singh residente ad Aprilia; Salvatore Gianluca Mercurio residente a Brescello (Re); Cordiano Fortunato resi­dente a Cadelbosco di Sopra (Re); Mario Casciano residente a Scafati; Salvatore Calabrese residente a Pagani; Antonella Aba­gnale residente a Sant’Antonio Abate; Raffaele Trapani resi­dente a Pagani; Giuseppe Abagnale residente a Sant’Antonio Abate; Salvatore Pagano residente ad Angri; Lucia Cuomo resi­dente a Santa Maria La Carità; Matteo Lauriola residente a La­tina; Pasqualino Sautariello residente a Cimitile; Michele Nappi residente a Scafati; Antonio Gallo residente ad Angri; Gemma Schiavo residente a Gragnano; Alfonso Lavano residente a Gra­gnano; Vincenzo Acampora residente a Sant’Antonio Abate; Salvatoer Malafronte residente a Gragnano; Michele Chiavazzo residente a Scafati.

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Castellammare, rapina con sparatoria al viale Europa: chiesti 50 anni di carcere per i banditi napoletani

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Castellammare. Mezzo secolo di carcere per i cinque componenti della banda di rapinatori napoletani che la mattina del 12 maggio scorso portarono a termine una spettacolare rapina ai danni del portavalori del Banco di Napoli al viale Europa. Sono queste le richieste di condanna del pm del Tribunale di Torre Annunziata nei confronti dei cinque accusati di di tentato omicidio, rapina aggravata in concorso, lesioni personali gravissime, porto e detenzione illegale di armi, ricettazione. Le richieste sono di 6 anni per Marco Angieri, 35enne; 12 anni ciascuno per Angelo Langione, 53enne (di Cercola); e Luigi Nemolato, di 36enne (di Ponticelli); 10 anni ciascuno per Carlo Pisani, 24enne (di Barra); e Francesco Ricci, 40enne (di Cercola). I cinque erano arrivati a bordo di due a Castellammare ed erano stai ripresi più volte, come ha evidenziato l’inchiesta che ha portato al loro arresto nel dicembre scorso, dalle telecamere di video sorveglianza cittadina. Poco dopo le sette di mattina ingaggiarono anche un violento conflitto a fuoco con i vigilante e con una guardia giurata in servizio all’ospedale San Leonardo che si trova di fronte alla banca e che aveva cercato di dare un aiuto ai colleghi. I cinque riuscirono a portare via alcuni sacchi contenenti 300mila euro. Una delle auto utilizzata per la rapina fu trovata dai carabinieri nella stessa mattinata nella zona di Ponticelli. da li partirono le indagini che ha portato agli arresti e al processo.

 

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Mega truffa all’Inps, le dichiarazioni del commerciante Carusti. TUTTI I NOMI DEGLI INDAGATI

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Le fatture erano invece diret­tamente redatte dal Carusti: “La materiale redazione delle fatture era un mio compito. Inizialmente […] servivano a documentare una fittizia ope­ratività delle stesse ed anche per compensare i crediti Iva ed il pagamento dei contributi previdenziali. Successivamente […] iniziai ad emettere anche fatture a società e ditte
esterne. In particolare, molti soggetti nel mio circuito mi hanno chiesto di emettere fatture
per operazioni inesistenti al fine di compensare i crediti Iva”. A tali soggetti il Carusti
chiedeva “un importo quale compenso oscillante tra il 12 ed il 15% del fatturato, mi veniva
in realtà corrisposto un importo pari all’8% del fatturato”. Altri dettagli sono destinati a
comparire poiché il Carusti ha dichiarato: “Ho avuto rapporti intermediari anche con soggetti che finora ho preferito non coinvolgere nella vicenda, che mi vennero presentate da un soggetto di cui al momento preferisco non fare il nome. Tale soggetto, sapendo delle
mie difficoltà economiche, mi contattò per creare le ditte allo scopo di produrre fatture per
operazioni inesistenti”.

L’ELENCO COMPLETO DEGLI INDAGATI

Michele Vertolomo residente a Sant’Antonio Abate; Giuseppe Di Dato residente a Scafati; Nicola Capriglione residente a Sca­fati; Luisa De Luca residente a Poggiomarino; Gennaro Ranaudo residente a Poggiomarino; Nunziante Verderame residente a Scafati; Vincenzo Ferrigno residente a Scafati; Junior Pasquale La Pietra residente a San Giuseppe Vesuviano; Anna Maria Vor­tice residente a Scafati; Marcello Faraso residente a Gragnano; Anna Vitiello residente a Torre Annunziata; Pasquale Panariello residente a Sant’Antonio Abate; Salvatore Generali residente a Scafati; Paolo Ruocco residente a Sant’Antonio Abate; Caterina Di Ronza residente a Torre Annunziata; Anna D’Aniello resi­dente a Sant’Antonio Abate; Pasquale Chierchia residente a Gragnano; Carmine Donnarumma residente a Scafati; Katia Matinetti residente ad Angri; Raffaello Calvanese residente a Castel San Giorgio; Paola Rosi residente a Frosinone; Gabriella Ruggiero residente a Portici; Antonio Pentangelo residente ad Angri; Giancarlo Amodio residente a Nocera Inferiore; Davide De Crescenzo residente a Pagani; Vincenzo Calenda residente a Pagani; Mario Salvati residente a Mercato San Severino; Ge­rardo Moccaldi residente a Roccapiemonte; Giuseppina Capri­glione residente a Pagani; Antonio Capriglione residente a Sant’Egidio del Monte Albino; Salvatore Calabrese residente ad Angri; Giovanni Vastola residente a San Valentino Torio; Marco De Martino residente a Traversetolo (Pr); Filippo Bertozzi resi­dente a Cesena; Giulia Alfano residente ad Angri; Giuseppina Santarpia residente a Santa Maria la Carità; Aniello Lauritano residente a Gragnano; Angelo Ricciardi residente a Scafati; Gennaro Coppola residente a Sant’Antonio Abate; Michela Rug­giero residente a Angri; Umberto Abagnale residente a Scafati; Sukhwinder Singh residente ad Aprilia; Salvatore Gianluca Mercurio residente a Brescello (Re); Cordiano Fortunato resi­dente a Cadelbosco di Sopra (Re); Mario Casciano residente a Scafati; Salvatore Calabrese residente a Pagani; Antonella Aba­gnale residente a Sant’Antonio Abate; Raffaele Trapani resi­dente a Pagani; Giuseppe Abagnale residente a Sant’Antonio Abate; Salvatore Pagano residente ad Angri; Lucia Cuomo resi­dente a Santa Maria La Carità; Matteo Lauriola residente a La­tina; Pasqualino Sautariello residente a Cimitile; Michele Nappi residente a Scafati; Antonio Gallo residente ad Angri; Gemma Schiavo residente a Gragnano; Alfonso Lavano residente a Gra­gnano; Vincenzo Acampora residente a Sant’Antonio Abate; Salvatoer Malafronte residente a Gragnano; Michele Chiavazzo residente a Scafati.

Cronache della Campania@2018


Torre Annunziata, la vedova del boss Venditto gestiva le piazze di spaccio della Provolera

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Torre Annunziata. Era Anna Gallo a gestire le piazze di spaccio del rione Provolera. Un traffico smantellato oggi dai carabinieri del Nucleo Operativo di Torre Annunziata che hanno eseguito un’ordinanza a carico di 22 persone, tra le quali 9 donne. Le indagini hanno individuate varie piazze di spaccio, tra le quali quella nello storico “Rione Provolera”, presso cui si rifornivano persone provenienti da tutta la Campania. Un peso nell’organizzazione lo ricopriva Anna Gallo, vedova del boss Ernesto Venditto, ucciso in un agguato nel 1999. Nel corso delle indagini sono stati sequestrati due arsenali, dove erano nascoste armi comuni e da guerra. Uno dalla polizia, rinvenuto alle spalle della chiesa del Carmine, l’altro dai carabinieri a casa di un pregiudicato.
Il gruppo aveva a disposizione diverse armi oltre alla pistola calibro 9×21 e matricola abrasa, c’erano anche una mitraglietta, un fucile calibro 12, e una pistola calibro 9 a tamburo, armi trovate in un vano nella muratura esterna alla chiesa del Carmine di Torre Annunziata. Complessivamente sono 22 gli indagati, per 9 dei quali il gip ha disposto il carcere, altri 9 beneficiano dei domiciliari e 4 si sono visti notificare una misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Cronache della Campania@2018

Traffico di droga a Napoli, la Cassazione annulla l’ordinanza per i fratelli De Matteo

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Napoli. Droga nel Bronx dalla Colombia: la Cassazione annulla l’ordinanza cautelare per i fratelli Daniele e Antonio De Matteo, gli imprenditori arrestati a febbraio scorso nell’ambito di un’inchiesta dell’antimafia napoletana sul narcotraffico, con base operativa a Napoli est tra Ponticelli e San Giovanni a Teduccio. La sesta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi formulati dagli avvocati Dario Vannetiello e Salvatore Impradice, nonostante la richiesta di rigetto formulata dal procuratore generale. Il collegio presieduto dal giudice Petruzzellis ha annullato entrambe le ordinanze emesse per i fratelli De Matteo dalla decima sezione del Tribunale del Riesame di Napoli. Il 20 febbraio scorso, la Polizia arrestò 17 persone tra le quali Daniele De Matteo, insospettabile imprenditore, ritenuto al vertice della cosca con interessi economici in Spagna. Referente per la città di Massa Carrara era – per gli inquirenti – Antonio De Matteo, fratello del promotore e rimasto latitante fino al mese scorso quando è stato arrestato a Madrid.
Ieri la clamorosa decisione della Corte di Cassazione che ha annullato entrambe le ordinanze nei confronti dei fratelli De Matteo e ha rinviato gli atti al Riesame disponendo un nuovo giudizio sul caso. L’annullamento disposto dalla cassazione è intervenuto per entrambi i fratelli De Matteo sia sulla gravità indiziaria in merito al delitto di associazione a delinquere finalizzato al narcotraffico, sia sul tema delle esigenze cautelari.
Se appare sorprendente l’annullamento intervenuto per il promotore ed organizzatore De Matteo Daniele considerata anche la pluralità di episodi illeciti a lui contestati, non è di minore importanza l’annullamento di cui ha beneficiato De Matteo Antonio, visto che il pericolo di fuga e quindi le esigenze cautelari sembravano conclamate dal periodo di latitanza. Secondo l’avvocato Dario Vannetiello, la decisone assunta dai giudici della Cassazione potrebbe incidere sull’importante giudizio di merito pendente innanzi al Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Napoli, dott. ssa De Bellis, magistrato che dovrà decidere in sede di giudizio abbreviato.
Essendo stata messa seriamente in discussione la misura cautelare adottata dai giudici napoletani nei confronti del promotore ed organizzatore del gruppo, pare incrinarsi l’intero teorema accusatorio mosso nei confronti di ben ventotto associati.
La direzione distrettuale antimafia aveva già formulato pesanti condanne nei confronti di decine di affiliati, tra cui quella di anni 14 di reclusione invocata per il promotore De Matteo Daniele.
La decisione della Cassazione potrebbe indebolire il castello accusatorio costruito dopo anni di intercettazioni e di servizi di osservazione e pedinamento svolti su tutto il territorio nazionale. Il prossimo appuntamento è fissato il quattro ottobre per il prosieguo del giudizio abbreviato, giorno in cui inizieranno le discussioni dei difensori dei numerosi imputati.

Cronache della Campania@2018

Camorra, dietro la scomparsa di Tarantino ci sono sei morti che hanno la stessa matrice interna al clan Amato-Pagano

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E’ stato uno dei pentiti del clan Amato-Pagano a condurre nella prima mattinata di ieri i carabinieri in via Madonna delle Grazie a Melito e far scoprire il corpo di Davide Tarantino, il 45enne di Melito scomparso dalla sera del 25 febbraio del 2016. Daddà, come era conosciuto in giro il pusher che gestiva insieme con Antonio Ruggiero o’ russo (altra vittima della lupara bianca) la piazza di spaccio della 219 a Melito, secondo gli investigatori, che dopo aver trovato il corpo, che presentava ferite da arma da fuoco, sono alla ricerca degli ultimi riscontri alle dichiarazioni fornite dal pentito per far scattare i provvedimenti nei confronti di mandanti e killer, sarebbe stato ucciso nell’ambito della mini faida interna di quel periodo tra gli Amato-Pagano. La vittima infatti, così come Ruggiero, facevano parte dell’ala Mugnanese della famiglia e del clan che all’epoca era retta da Mariano Riccio, genero del super boss Cesare Pagano e che aveva estromesso dalla guida della cosca degli scissionisti tutti i melitesi, compresi quelli vicini alla donna boss “zia” Rosaria Pagano. L’arresto di Riccio scatenò una guerra interna al clan con una serie di eventi delittuosi che si sono conclusi nel giugno del 2016 con il duplice omicidio nelle palazzine della 219 di Melito di Alessandro Laperuta e Achir Mohammed Nuvo compiuto dal figlio minorenne di zia Rosaria che compirà 18 anni il prossimo 7 dicembre e condannato a 18 anni di carcere nel gennaio scorso. In questa faida interna agli Amato-Pagano si inserisce anche la duplice eliminazione e relativa scomparsa di Davide Tarantino e prima ancora di Antonio Ruggiero. ma anche di Luigi Di Rupo, 24 anni, di Mugnano, trucidato il 5 gennaio 2016 in un bar di Melito e a cui fece seguito anche l’omicidio di Giovanna Arrivoli, detta Giò, la donna che voleva essere un uomo e aspirava anche ad essere un boss della camorra di Melito, rapita, torturata, uccisa e trovata cadavere il 16 maggio 2016, semisepolta in uno spiazzo di campagna abbandonato, in via Giulio Cesare a Melito. Secondo la denuncia presnetata dalla moglie di tarantino, il 43enne sarebbe uscito di casa a Secondigliano verso le 18,30 dicendole che sarebbe tornato di li a poco. Le celle del suo telefono, come ricostruito dagli investigatori nel corso dell’indagine per il suo ritrovamento, agganciano la zona di via Bakù verso le 19. Poi verso le 20,30 nei pressi della Metropolitana al confine con Chiaiano. Il telefono non è mai stato trovato, la moglie lo aveva chiamato fino alla mattina seguente, Aveva squillato  a vuoto. Davide tarantino probabilmente a quell’ora era già stato ucciso. la sua auto fu trovata due giorni dopo nei pressi di lago Patria in via Circumvallazione al Lago. Era chiusa e parcheggiata, probabilmente da chi  lo ha ucciso o chi aiutato gli assassini perchè non era stato inserito il sistema di blocco di sicurezza sotto lo sterzo. Probabile che l’auto sia stata portata li per depistare le indagini visto che il corpo poi è stato trovato al confine tra Melito e Giugliano. Gli investigatori sembrano convinti che quel filo rosso sangue che unisce i due scomparsi (Ruggiero e Tarantino) e i 4 uccisi (Di Rupo, Arrivoli, Laperuta e Nuvo) faccia parte di un unico di disegno di “pulizia” interna al clan degli Amato-Pagano.

(nella foto il luogo dove fu ritrovata la Fiat Panda nera di Davide Tarantino, da sinistra con Antonio Ruggiero, Giovanna Arrivoli, Luigi Di Rupo, Achir Mohammed Nouvo e Alessandro Laperuta)

 

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Omicidio Landieri, fine pena mai per il boss Cesare Pagano e due killer

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Fine pena mai: è questa le pesante richiesta avanzata dalla Dda di Napoli al processo per l’omicidio della vittima innocente (una delle tante) della prima faida Scampia: il giovane disabile Antonio Landieri ucciso il 6 novembre del 2004 ai Sette Palazzi di Scampia. Il massimo della pena è stato chiesto per il boss Cesare Pagano (uno dei mandanti) e per due dei killer che fecero fuoco all’impazzata contro un gruppo di giovani ovvero Davide Francescone e Giovanni Esposito o’ muorto. Sedici anni di carcere sono stati invece chiesto per l’altro killer ora pentito e grazie alle cui dichiarazioni si è riaperto il caso: ovvero Gennarro Notturno o’ sarracino. Si tratta di un’inchiesta cimplessa e che ha avuto due stop dai magistrati e poi ripartita grazie al pentimento di Gennaro Notturno. In un primo momento erano stati arrestati Cesare Pagano (indicato come il mandante), Gennaro Notturno ‘o saraccino (il killer che rimase ferito dal fuoco amico), Giovanni Esposito (altro killer), Davide Francescone e Pietro Caiazza ‘o frauelese, armiere del clan e padre dei tre pentiti Michele, Antonio e Paolo. Il gip respinse la richiesta di arresto formulata dalla Dda nei confronti di altre sei persone, ovvero Giovanni Piana, Pasquale Riccio, il boss Raffaele Amato ‘ a vicchiarella, Arcangelo Abete, Gennaro Marino ‘o mekkei ed Enzo Notturno. L’agguato era stato deciso per punire i fratelli Meola, fedelissimi dei Di Lauro che gestivano una piazza di spaccio ai Sette Palazzi.

(nella foto grande la giovane vittima innocente Antonio Landieri e nei riquadri da sinistra in alto Cesare Pagano,Gennaro Notturno, Pietro Caiazza, Davide Francescone e Giovanni Esposito )

Cronache della Campania@2018

Drogata e violentata nell’hotel di lusso a Capri da un turista americano: la manager conferma le accuse

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Napoli. Ha raccontato ancora una volta in procura quanto avvenuto l’ultima notte di soggiorno a Capri. Ieri la turista francese che accusa un americano di averla violentata nella camera d’albergo ha varcato la soglia del tribunale di Napoli. La donna, manager francese, ha confermato quanto detto in una prima deposizione. L’interrogatorio – così come riporta l’edizione odierna de “il Mattino” – è durato circa quattro ore. E’ la sua ultima notte di soggiorno sull’isola di Capri, fa caldo e preso atto del malfunzionamento dell’impianto di climatizzazione, la donna accetta l’ospitalità del turista americano. Non era sola, con lei c’era anche un’amica. Dopo la cena, racconta di aver bevuto e in uno di quei cocktail assunti quella sera sarebbe stata sciolta della droga provocando una reazione di stordimento. Ed è proprio a questa reazione di stordimento che ha fatto riferimento la donna. Le immagini delle telecamere di videosorveglianza acquisite dagli agenti del commissariato di Capri il giorno dopo al presunto stupro mostrano le due donne che entrano insieme all’ospite in camera. Una volta all’intero il turista avrebbe abusato della manager approfittando di un momento in cui l’amica si era allontanata. La Procura è alla ricerca di ulteriori elementi utili per le indagini. La Procura indaga per violenza sessuale e concentra la sua attenzione sulle sostanze stupefacenti sciolte in un drink offerto dal turista americano e sulle potenziali testimonianze della vicenda.

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Omicidio Ruggiero, mercoledì il processo al ‘massacratore’ Ciro Guarente

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Si aprirà dopodomani davanti al gup Fabrizio Finamore del Tribunale di Napoli Nord il processo a carico di Ciro Guarente il “grinder boy” di Ponticelli accusato del macabro omicidio di Vincenzo Ruggiero, lo sfortunato commesso napoletano ucciso e fatto a pezzi due anni fa prima in una casa di Aversa e  poi sotterrato in un garage di Ponticelli. L’ex dipendente della Marina Militare autore di un omicidio in stile “macelleria messicana” ha avanzato la richiesta di rito abbreviato e avendo confessato in fase di indagine conto di ottenere uno sconto di pena. E non è escluso che il suo avvocato avanzi la richiesta di perizia psichiatrica per ottenere ulteriori benefici. Mercoledì quindi si scopriranno le carte e si conosceranno le posizioni della Procura e della difesa. Intanto la scorsa settimana davanti alla Seconda Sezione della Corte di Assise di Napoli (presidente Barbarano) si è svolta prima udienza a carico di Francesco de Turris, pregiudiocato di Ponticelli accusato di aver fornito a Guarente la pistola con la quale uccise nella casa di aversa il giovane Ciro Ruggiero. La prossima udienza è prevista per venerdì.

 

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Napoli: uccisero un loro amico per timore che parlasse dell’omicidio di Genny Cesarano: ordinanza per 4 dei clan Lo Russo

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Napoli. In data odierna, la Squadra Mobile di Napoli ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, a carico di 4 soggetti, esponenti del clan camorristico dei “Lo Russo”, operante nei quartieri di Miano, Piscinola e Chiaiano, ritenuti responsabili, a vario titolo di omicidio, detenzione e porto illegale di arma comune da sparo, aggravati dall’art. 7 legge 203/91, associazione per delinquere di stampo camorristico e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
Le indagini, coordinate dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, hanno consentito di acquisire gravi indizi di colpevolezza a carico di BUONO Antonio, nato a Napoli il 6.1.1990 e PERFETTO Ciro, nato a Napoli il 14.2.1996 che si sono resi responsabili dell’omicidio di DI NAPOLI Vincenzo consumato a Miano il 9 dicembre del 2015.
Le dichiarazioni del capoclan Carlo LO RUSSO e soprattutto del suo uomo di fiducia TORRE Mariano che di recente ha maturato la scelta di collaborare con la giustizia, riscontrate dalle indagini svolte dalla Squadra Mobile, hanno consentito di far piena luce sul movente dell’efferato delitto, sui mandanti e sugli esecutori materiali.
La decisione di uccidere DI NAPOLI Vincenzo fu presa da Ciro PERFETTO il quale temeva che la vittima, che aveva partecipato all’omicidio di Genny CESARANO, potesse “tradirli”.
Tra i destinatari del provvedimento restrittivo figurano anche MONTEPICCOLO Antonio nato a Napoli l’8.12.1986 che aveva il compito di accompagnare Carlo LO RUSSO nei suoi spostamenti, di custodire le armi del clan, di fornire supporto ai membri del gruppo di fuoco nella esecuzione degli omicidi e di confezionare la sostanza stupefacente da vendere nelle piazze di spaccio rientranti sotto il controllo del clan e DE MUSIS Antonella, nata a Napoli il 27.10.1983 che era punto di riferimento per i componenti del gruppo di fuoco ai quali forniva supporto logistico e materiale prima e dopo la commissione degli omicidi.

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Camorra, il pentito Torre: “Carlo Lo Russo mi ha plagiato, ho commesso molti omicidi”

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Napoli. “Prima non ero un killer, ma quando Carlo Lo Russo è uscito dal carcere mi ha plagiato”. Mariano Torre, condannato all’ergastolo sei mesi fa per l’omicidio di Genny Cesarano, spiega così ai pm della Dda come è stato assoldato da Carlo Lo Russo quando questi è uscito dal carcere. Era il gennaio del 2015 quando il boss Lo Russo venne scarcerato dopo trent’anni di reclusione, chiamò attorno a sè giovani rampolli della cosca che da pusher furono ‘promossi’ a sicari. Il più piccolo aveva appena compiuto 18 anni, il più grande ne aveva 26. E’ stato lo stesso capoclan a raccontarlo dopo il suo clamoroso pentimento avvenuto un anno e mezzo fa, che ha scatenato un terremoto di arresti sia per gli omicidi che hanno segnato una stagione di sangue nell’area Nord di Napoli, che per il riciclaggio del tesoro che negli anni Lo Russo ha accumulato intestato ad imprenditori e prestanome. Uno dei suoi fedelissimi era Mariano Torre, che sei mesi fa, dopo la condanna all’ergastolo per l’omicidio di Genny Cesarano, il 17enne colpito per errore il 6 settembre 2015 nel rione Sanità, ha deciso di pentirsi. Torre racconta come il capoclan lo avesse plagiato. Le sue dichiarazioni sono alla base dell’ordinanza che questa mattina ha portato a quattro arresti per l’omicidio del 9 dicembre 2015, vittima Vincenzo Di Napoli. Mariano Torre, con i compagni di cosca Luigi Cutarelli, Antonio Buono e Ciro Perfetto (questi ultimi due destinatari del provvedimento restrittivo), ha commesso cinque omicidi. Almeno si tratta di quelli contestati in ordinanze di custodia cautelare anche se lo stesso Torre ha riferito di aver sparato molte altre volte e ci sono altre indagini in corso che potrebbero sfociare in ordinanze a breve. “Ho commesso tanti omicidi, prima non ero un killer – dice agli inquirenti – facevo parte del clan, facevo parte del sistema, ma non ero un assassino. Lo sono diventato quando è stato scarcerato Carlo Lo Russo, il quale mi ha plagiato facendomi diventare quello che non volevo essere”, e la Dda partenopea che lo ritiene un collaboratore più che attendibile. Tra le persone indagate c’è anche Antonella De Musis, l’ultima compagna di Lo Russo e i suoi racconti sono ritenuti molto dettagliati. Le sue dichiarazioni, di recente, hanno permesso di ricostruire l’omicidio di Pietro Esposito, boss della Sanità assassinato anch’egli per ordine di Lo Russo a dicembre di tre anni fa.

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Torre Annunziata, la nonna pusher al telefono con il figlio: ‘Qua comando io e decido chi deve andare via…’. LE INTERCETTAZIONI

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Torre Annunziata. Gli investigatori non hanno dubbi sul ruolo di guida della nonna pusher Anna Gallo detta ninnacchera del gruppo di  spacciatori del rione Provolera di Torre Annunziata. La vedova del defunto boss Ernesto Venditto, capo dei cosiddetti “Bicchierini” , arrestata tre giorni fa insieme ad altre 20 persone tra familiari diretti e suoi pusher aveva il controllo totale del traffico di droga. Lo dice lei stesso al figlio Andrea al telefono: “Qua dentro comando io e chi deve andare via lo decido io ..”. Spiega al suo primogenito che ha aperto un piazza di spaccio a Latina i motivi che hanno determinato la sua decisione, individuati nell’incapacità dei giovani di gestire in maniera ponderata gli introiti derivanti dalla vendita degli stupefacenti  e tenendo il giovane nipote Andrea Gallo sotto il suo diretto controllo e nel riportare al figlio Andrea quanto accade a Torre Annunziata, riferisce di aver “messo a posto i ragazzi” separandone le aree di interesse: 2é una questione di cervello che non ce l’hanno in testa”. dice ancora Ninnacchera al figlio. Ma la sua capacità di essere leader anche nei momenti di difficoltà è dimostrtata nella telefonata intercettata  poco dopo il suo ritorno a casa agli arresti domiciliari nel maggio scorso dopo che era stata fermata dai carabinieri alla stazione della Circum di Torre annunziata rassicura ancora una volta il figlio Andrea al telefono che a un certo punto aveva detto alla madre che nel corso del processo con rito direttissimo avrebbe dovuto dire che quella droga era per lui che è un consumatore.

Andrea: Oi;
Ninnacchera: Oi;
Andrea: Oi;
Ninnacchera:Oi, tutto apposto;
Andrea: Ok, tutto apposto dai, io mp mi sto calmando, ho preso una pillola ..
Ninnacchera: No, non preoccuparti, domani vado a fare La causa con il rito direttissima;
Andrea: La causa direttissima ?
Ninnacchera.- Si si;
Andrea: Mamma è da qua (ndr, dipende da qua, da dove vivo io, hanno captato la conversazione)_ perchè ieri hai detto il fatto del regalo;
Ninnacchera: Cosa ?
Andrea: lo penso che dipenda da qua e “stiamo tutti sotto” (ndr; siamo lutti monìtorati);
Ninnacchera: Si siamo sotto sotto, me lo ha detto quello;
Andrea: E no, è qua perchè tu hai detto ti porto un bel regalo;
Ninnacchera: Si;
Andrea: Hai capito, perchè ieri …
Ninnacchera: “l telefoni si devono togliere di mezzo”, dal basta;
Andrea: Non solo, però qua con questa qua, capiscimi, quelli (ndr, fa riferimento a persone torresi che lui frequenta che vivono a Latina)
Nnnacchera: Mh;
Andrea: lo penso che proprio loro …
Ninnacchera: No, no no;
Andrea: Stanno sotto loro;
Ninnacchera: Si sotto, sopra, in mezzo …..
Andrea: Perchè quando ieri mi hai chiamato, io stavo a casa loro;
Ninnacchera.· Si. no mi aspettovano (ndr, Carabinieri) da stamattina là sotto;
Andrea: Eh;
Nìnnacchera: Dai, va bene comunque ….
Andrea: Mamma ma se si mette male digli che me la facevo io (ndr, digli che la cocaina era destinata a me e che la devo consumare io);
Ninnacchera: Nooo, ho fatto la signora, ho detto ho sbagliato e mi “accuso il reato”;
Andrea: Secondo me loro (ndr, Carabinieri) lo sanno;
Nìnnacchera: Si, si tutto appossto;
Andrea: Sanno tutto, però erano convinti che era una cosa grossa ..
Ninnacchera: Eh, ora l’hanno vista che la cosa è piccola;
Andrea: E digli che me lo faccio io mamma, ma a chi vogliono rompere il cazzo!’
Ninnacchera: No ma quando mai, io mi sono accusata il reato;
Andrea: Loro lo sanno;
Ninnacchera: Ho dichiarato che lo portavo a Napoli (ndr, e non a Latina), dai;
Andrea: Io penso che sanno tutto, gli puoi dire la verità se è qualcosa, mio figlio si jà..
Ninnacchera: Ma quando mai, Andrea non causiamo altri problemi da qui dentro (ndr, dal telefono), dai, dai, dai;
Andrea: Cosa dobbiamo fare ?
Ninnacchera: Dai;
Andrea: Va bene dai.
Mnnacchera: Dai, ciao.
Andrea: Dai, ciao.

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‘Dopo l’omicidio festeggiammo e poi andammo a portare le condoglianze al padre’, il macabro racconto dell’omicidio di Enzo Di Napoli

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“Feci quell’omicidio a malincuore, quando me lo chiese Ciro Perfetto, mi limitai a fargli notare che stavamo andando ad ammazzare uno di noi. Poi ricordai allo stesso Perfetto che non dovevamo mettere un ragazzo come Di Napoli nel gruppo di quelli che andavano a sparare alla Sanità”. Storie di camorra e tradimenti, storie di morti ammazzati, di condoglianze di circostanza e di amicizie calpestate per volere del boss. E’ il 13 dicembre del 2017 quando Mariano Torre da pochi giorni collaboratore di giustizia e sul groppone già due condanne all’ergastolo in primo grado racconto di un altro cruento assassinio compiuto da lui e dal suo gruppo. Ma questa volta nel suo raconto c’è anche l’amarezza, il rancore di aver ucciso un amico.  Mariano Torre, uno dei killer della batteria di fuoco del boss pentito (lo ha fatto prima di  lui) Carlo Lo Russo parla dell’omicidio di Vincenzo Di Napoli, il 17enne della don Guanella ucciso il 9 dicembre del 2015. Oltre ai pentiti Mariano Torre ( il killer) e a Carlo Lo Russo (il mandante) ieri sono stati arrestati gli altri partecipanti all’agguato ovvero Ciro Perfetto (nipote di Lo Russo) e Antonio Buono, Antonella De Musis, compagna del boss che ospitò i sicari e il 32enne Antonio Montepiccolo (l’unico che era libero) che fornì le armi e i vestiti al gruppo di fuoco. E come spesso accade dopo gli omicidi di camorra i sicari festeggiarono e lo fecero in un ristorante in cui erano soliti ritrovarsi. C’erano Torre, Buono e la De Musis. Tutti il gruppo di killer arrestati ieri compresa la giovane vittima aveva partecipato insieme con Luigi Cutarelli ed altre persone ancora da identificare alla stesa al rione Sanità del settembre precedente in cui era rimasto ucciso la giovane vittima innocente Genny Cesarano.  ha raccontato Mariano Torre “È un omicidio che ho compiuto a malincuore e spiego come è stato deciso. È stato Ciro Perfetto a volere che venisse ucciso, pronunciando testualmente queste parole: si deve ammazzare Vincenzo Di Napoli. Io rimasi sorpreso perché Vincenzo era uno di noi e gli chiesi per quale motivo dovevamo ucciderlo. Ciro mi spiegò che lo vedeva strano nel senso che non usciva di casa, non stava più in mezzo a noi e non aveva più fiducia in lui. Io non capivo e allora Ciro fu ancora più preciso, facendo riferimento alla partecipazione di Vincenzo al-l’omicidio di Genny Cesarano. Io gli ricordai che la notte dell’omicidio io avevo pensato che la presenza di Vincenzo non fosse opportuna e lui mi aveva tranquillizzato. Comunque Ciro non volle sentire ragioni: disse che Vincenzo doveva morire perché non si fidava più di lui. Andammo da Carlo Lo Russo per avere il suo permesso e ci recammo a casa di “Enzo o’ signo-e” (Vincenzo Lo Russo, nipote del boss ndr), dove in quel periodo Carlo si incontrava con Antonella. Andai con Ciro Perfetto da Carlo, che ricordo si era appena svegliato, era primo pomeriggio. Oltre a Carlo c’era Antonella. Ciro parlò con Carlo e gli disse ciò che aveva già detto a me e cioè che non si fidava più di Vincenzo e che aveva partecipa-o all’omicidio di Genny. Carlo ci diede l’okay. Io e Ciro ce ne andammo e ricordo che Carlo si raccomandò di fare presto perché doveva ritirarsi per le 19. Io e Ciro tornammo al Rione, dove ci attendevano Buono e Luigi e ci organizzammo. La scusa per attirarlo in trappola fu la droga”. Anche il boss pentito Carlo Lo Russo ha confermato questa versione: “Diedi il via libera, mi venne chiesto da Ciro Perfetto, che aveva notato il cambio di atteggiamento di Vincenzo Di Napoli dopo l’omicidio del ragazzino della Sanità Genny Cesarano. Mi fece notare che non scendeva più in strada e non faceva più la droga con noi. Anzi, mi fu anche detto che stava riallacciando i rapporti con i nostri nemici del rione Sanità”. Il racconto del killer pentito si arricchisce di un ulteriore macabro particolare: ‘Il giorno dopo l’omicidio andarono a casa di Aniello Di Napoli (padre della vittima ucciso poi ad aprile del 2016 perché stava facendo troppe domande in giro sulla morte del figlio) per un abbraccio fraterno e solidale: “Se non ci fossimo andati – ha spiegato Torre – avrebbe fatto ricadere su di noi sospetti e propositi di vendetta. Invece, la nostra presenza lo spinse a credere che erano stati quelli del rione Sanità”.

 

Cronache della Campania@2018

Camorra, sei secoli di carcere per il clan della Vanella-Grassi. TUTTE LE CONDANNE

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Circa sei secoli di carcere sono stati inflitti dai giudici della Corte di Appello di Napoli per i 49 imputati tra boss e gregari della Vanella-Grassi appartenenti al gruppo dei Leonardi, i “Girati” che scatenarono la terza faida di Scampia contro gli Abete-Abbinante e che in primo grado lo scorso anno sono stati condannati a 641 anni di carcere dal gup Francesca Ferri. Hanno tutti incassato condanne pesantissime, pentiti compresi, come il boss pentito Antonio Leonardi, ex braccio destro di Paolo Di Lauro, “Ciruzzo ‘o milionario”.
Ha incassato una condanna definitiva in continuazione a 18 anni mentre in primo grado era stato condannato a dieci anni e otto mesi nonostante ci fossero i benefici della collaborazione con la giustizia e lo sconto di un terzo per il rito abbreviato, la condanna lo inchioda comunque per il suo ruolo apicale. Mentre i figli Alfredo, Felice e Giovanni, anche loro collaboratori di giustizia, hanno rispettivamente rimediato 15 anni e 4 mesi, 12 anni e 10 mesi, 10 anni e dieci mesi di carcere.
Sei anni per Umberto Accurso, l’ultimo dei capi dei “girati” della Vanella-Grassi in ordine cronologico latitane per oltre due anni e arrestato nel maggio del 2016 a Qualiano dopo la sceneggiata dell’attentato contro la caserma dei carabinieri di Secondigliano; “solo” quattro anni invece per Rosario Guarino, alias Joe banana, altro esponente storico del gruppo della Secondigliano vecchia capace di strappare – a colpi di morti ammazzati – spazi di autonomia criminale prima contro i Di Lauro (siamo nel 2007), poi contro gli scissionisti del clan Abete.
Il processo ha svelato in larga parte quelli che sono stati gli scenari e le alleanze di una delle guerre di camorra più sanguinose dell’ultimo ventennio, quella, per intenderci, che ha visto il gruppo dei Leonardi e quello della Vanella Grassi contrapporsi al cartello residuo degli “Scissionisti” della prima ora, ovvero gli Abete-Abbinante. Nel biennio 2012-2014, le strade di Napoli Nord tornano così a essere inondate da un fiume di sangue. Poi, però, succede qualcosa. All’inizio del 2014 il boss Antonio Leonardi decide di interrompere il vincolo camorristico e di passare dalla parte dello Stato.
A stretto giro di posta fanno altrettanto i figli Alfredo, Felice e Giovanni. I ras iniziano così a parlare con gli inquirenti della Direzione distrettuale Antimafia, svelando volti e retroscena della Terza faida di Secondigliano. L’inchiesta approda rapidamente a una svolta. A giugno 2015 la Procura emette infatti 44 ordinanze di custodia cautelare in carcere. I reati contestati vanno dal 416 bis, al traffico di droga e di armi. Nel faldone finiscono anche due tentati omicidi, quello di Giovanni Esposito “’o  muort” (avvenuto il 4 luglio del 2012) e quello di Giovanni Giordano (il 12 novembre 2012), entrambi affiliati agli Abbinante. Tra i destinatari dell’arresto c’erano anche ras del calibro di Antonio Mennetta “Er Nino” e Arcangelo Abbinante, sul fronte opposto degli Abete.
L’inchiesta aveva tra l’altro preso il via anche grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali partite proprio in seguito tentato omicidio di Giovanni Esposito, cognato degli Abbinante, e dalla ricerca di alcuni latitanti dei clan in quel momento in guerra. Gli investigatori scoprirono così una lunga serie di retroscena in merito ai traffici di droga.
Saltarono quindi fuori anche le spedizioni a Roma di grossi carichi di cocaina e la disponibilità delle armi utilizzate per i due agguati e altre incursioni armate per la riconquista dei lotti G, H e K di via Labriola e della Vela celeste, piazze di spaccio contese tra la “Vinella” e gli Abete-Abbinante. Assai nutrito il gruppo di pentiti che ha supportato le indagini. In primo luogo, provenendo dall’interno ai massimi livelli, è risultata decisiva la collaborazione del boss Antonio Leonardi e dei figli. Riscontri importanti sono arrivati pure dalle vecchie conoscenze dei pm: su tutti Rosario Guarino “Joe banana”, i fratelli Annunziata, Gianluca Giugliano, Armando De Rosa, Mario Pacciarelli, Fabio Vitagliano e Giovanni Illiano. Ieri la stangata giudiziaria.

TUTTE LE CONDANNE 

ABATE LUIGI  12 anni e 8 mesi  ( 10 ANNI in primo grado)

ACCURSO UMBERTO confermati 6 ANNI

ANNUNZIATA CARMINE confermati 2 ANNI

ANNUNZIATA GAETANO confermati 2ANNI

ARUTA LUIGI  8 anni e 8 mesi (10 ANNI in primo grado)

AURILIO SALVATORE confermati 20 ANNI

BARBATO SALVATORE confermati 16 ANNI E 8 MESI

BARONE FRANCESCO  confermati 14 ANNI

BATTAGLIA CARMINE confermati 17 ANNI E 4 MESI

CAPALDO SALVATORE confermati 16 ANNI E 8 MESI

CAPUTO SALVATORE confermati 16 ANNI E 8 MESI

CASTIELLO CIRO confermati 6 ANNI E 8 MESI

CROCE MARIA  confermati 10 ANNI E 10 MESI

DATI VINCENZO  16 anni (18 ANNI E 4 MESI

DE SIMONE VINCENZO confermati 12 ANNI E 4 MESI

DI GENNARO ANTONIO confermati 20 ANNI

DELL’ANNUNZIATA LUCA confermati 8 ANNI

DELL’AVERSANA SALVATORE confermati 8 ANNI

ESPOSITO MARCO confermati 16 ANNI E 8 MESI

ESPOSITO VINCENZO confermati 16 ANNI E 8 MESI

GIANNINO VIRGINIO confermati 8 ANNI

GUARINO ROSARIO confermati 4 ANNI

IORIO GENNARO confermati 20 ANNI

LEONARDI ALFREDO confermati 15 ANNI E 4 MESI

LEONARDI ALFREDO CL. 85  confermati 8 ANNI

LEONARDI ANTONIO CL. 60 18 anni  (in primo grado 10 ANNI E 8 MESI)

LEONARDI FELICE  18 anni e 6 mesi ( in primo grado 12 ANNI E 10 MESI)

LEONARDI GIOVANNI  9 anni e 8 mesi ( in primo grado 10 ANNI)

LUCARELLI ANTONIO 16 anni e 4 mesi (in primo grado 6 ANNI)

MAGELLI GENNARO  confermati 10 ANNI

MAOLONI PIETRO confermati 16 ANNI E 8 MESI

MARCHESE GIUSTINA confermati 16 ANNI E 8 MESI

MARINO ANGELO  14 anni (in primo grado15 ANNI E 4 MESI)

MAROTTA ANTONIO confermati 12 ANNI E 4 MESI

MAROTTA VITTORIO confermati 12 ANNI E 4 MESI

MINCIONE ANTONIO  14 anni (in primo grado16 ANNI E 6 MESI)

MINCIONE NICOLA confermati 20 ANNI

MINCIONE PASQUALINA confermati14 ANNI E 8 MESI

MINCIONE RAFFAELE  15 anni e 4 mesi (in primo grado 20 ANNI)

MINICHINI GIUSEPPE confermati 5 ANNI E 4 MESI

PARZIALE GAETANO confermati 18 ANNI E 8 MESI

PIEDIMONTE SALVATORE  17 anni e 4 mesi (in primo grado 20 ANNI)

RICCIO GAETANO confermati 16 ANNI E 8 MESI

SELVA ADRIANO confermati 6 ANNI

SILVESTRO MICHELE confermati 20 ANNI

STRAZZULLI FRANCESCO confermati 15 ANNI

VANACORE ALFONSO  16 anni (in primo grado 18 ANNI)

ALTERA ANTONIO  9 anni e 8 mesi

(nella foto da sinistra Antonio Leonardi, Umberto Accurso, Nicola Mincione , Angelo Marino, Rosario Guarino, Pietro Maoloni, Antonio Di Gennaro, Alfonso Vanacore, Salvatore Piedimonte, Francesco Barone, Vincenzo Dati, Gaetano Parziale)

Cronache della Campania@2018

Omicidio di Mariarca Mennella: giovedì la sentenza per l’ex marito assassino

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E’ attesa per giovedi’ prossimo la sentenza del Tribunale di Venezia per l’omicidio di Maria Archetta Mennella, detta Mariarca, la 38enne di Torre del Greco  assassinata dall’ex marito, Antonio Ascione, pizzaiolo di 45 anni anche lui di Torre del Greco, che rischia l’ergastolo. L’assassino, reo confesso, ha scelto il rito abbreviato. Il femminicidio fu commesso all’alba dello scorso 23 luglio, a Musile di Piave, in Veneto, dove la donna, dopo la separazione, si era trasferita con i suoi due figli di 16 e 10 anni. Proprio consentire al padre di rivederli l’aveva temporaneamente riaccolto in casa. La donna venne uccisa con diverse coltellate inferte, come ha evidenziato l’autopsia, mentre la vittima dormiva. La famiglia della vittima, assistita dall’avvocato Alberto Berardi e dallo Studio 3A, si attende una condanna all’ergastolo in quanto l’omicidio sarebbe stato premeditato e non frutto di un raptus. Le famiglie Mennella e Ascione, secondo quanto si apprende, non saranno in aula giovedi’.

Cronache della Campania@2018

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