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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Duplice omicidio di Saviano, il killer chiede perdono: “Ho sbagliato”

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“Sono stato io, ho ucciso quei due ragazzi e se potessi tornare indietro nel tempo darei anche la mia vita per non fare cio’ che ho fatto. Ho sbagliato e chiedo perdono. Voglio pagare la mia pena ma non per tutto il resto della mia vita”. Sono state queste le dichiarazioni a sorpresa di Nicola Zucaro, 33 anni, di Casalnuovo, accusato di aver ucciso il 15 febbraio del 2016, con 13 colpi di pistola Francesco Tafuro e Domenico Liguori, gestori di un centro scommesse a Somma Vesuviana in provincia di Napoli, giustiziati come camorristi, in via Olivella a Saviano, per un debito di gioco contratto da un boss della zona che non voleva pagare. E’ sotto processo infatti il ras Eugenio D’Atri, colui il quale aveva scommesso 24mila euro e non aveva intenzione di pagare. La svolta nelle indagini e’ arrivata con il racconto di uno del gruppo, Domenico Altieri, poi pentitosi. In primo grado Zucaro è stato condannato all’ergastolo nel processo che si è celebrato con il rito abbreviato  invece é stato condannato a 12 anni di carcere Domenico Altieri, alias “Mimm ’o gemell”, colui che aiutò il killer Zucaro a compiere la missione di morte ordinata dal ras Eugenio d’Atri, 33 anni di Somma Vesuviana, ritenuto vicino al clan Cuccaro. Altieri che era l’uomo di fiducia del ras D’Atri ha ottenuto lo sconto di pena in quanto nel frattempo è diventato pentito e grazie al suo racconto è stato ricostruito il duplice omicidio nei dettagli.

I due ragazzi che gestivano un centro scommesse a Somma Vesuviana, avrebbero avuto la sfortuna di incontrare sulla loro strada il pregiudicato di Ponticelli. Eugenio D’Atri, abitava infatti proprio nel parco adiacente al centro scommesse nel quale si recava per effettuare grosse scommesse, spesso a credito, facendo leva sulla sua personalità criminale. L’uomo avrebbe così contratto con l’agenzia gestita dai due ragazzi un debito di gioco di circa 25mila euro. Le due vittime avrebbero inoltre pagato con la vita il fatto di aver preteso da D’Atri la restituzione di quel denaro, giusto per rendere chiaro il concetto di come stavano le cose. Francesco e Domenico, quella sera, si erano accorti che qualcosa non andava ed avevano telefonato ad un amico imprenditore per avvertirlo della presenza di un’ auto sospetta che li seguiva.Furono raggiunto in via Olivella, la strada di campagna di Saviano dove furono raggiunti dai killer e massaccrati.

In un video i carabinieri di Castello di Cisterna hanno ricostruito il duplice omicidio di Francesco Tafuro e Domenico Liguori, titolari di un centro scommesse di Somma Vesuviana uccisi il 10 febbraio scorso in una stradina di campagna di Saviano. Nel video preparato dai carabinieri c’è la ricostruzione dei fatti da parte dei carabinieri. Si vede Altieri che con uno scooter va a Somma Vesuviana presso l’agenzia Intralot delle due vittime, parla con Tafuro e fissa l’appuntamento con D’Atri e Zucaro. Attraverso immagini reperite dai Carabinieri della Compagnia di Nola durante le indagini, la chiara ricostruzione della scena particolare del crimine fino all’epicentro -il luogo del crimine- e poi il bagliore degli spari. Lungo il tragitto Altieri in sella dello scooter fa da battistrada all’auto delle vittime. Al passaggio da un incrocio, si nota l’auto dei due presunti killer, D’Atri e Zucaro, accodarsi. In una stradina buia di campagna arrivano le due auto e lo scooter.  Grazie alla telecamera di un sistema di videosorveglianza posizionata nei paraggi, appena le auto spengono i fari, si vede chiaramente il bagliore degli spari. 

 

 

Cronache della Campania@2018


Castellammare, rapina con sparatoria al viale Europa: chiesti 50 anni di carcere per i banditi napoletani

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Castellammare. Mezzo secolo di carcere per i cinque componenti della banda di rapinatori napoletani che la mattina del 12 maggio scorso portarono a termine una spettacolare rapina ai danni del portavalori del Banco di Napoli al viale Europa. Sono queste le richieste di condanna del pm del Tribunale di Torre Annunziata nei confronti dei cinque accusati di di tentato omicidio, rapina aggravata in concorso, lesioni personali gravissime, porto e detenzione illegale di armi, ricettazione. Le richieste sono di 6 anni per Marco Angieri, 35enne; 12 anni ciascuno per Angelo Langione, 53enne (di Cercola); e Luigi Nemolato, di 36enne (di Ponticelli); 10 anni ciascuno per Carlo Pisani, 24enne (di Barra); e Francesco Ricci, 40enne (di Cercola). I cinque erano arrivati a bordo di due a Castellammare ed erano stai ripresi più volte, come ha evidenziato l’inchiesta che ha portato al loro arresto nel dicembre scorso, dalle telecamere di video sorveglianza cittadina. Poco dopo le sette di mattina ingaggiarono anche un violento conflitto a fuoco con i vigilante e con una guardia giurata in servizio all’ospedale San Leonardo che si trova di fronte alla banca e che aveva cercato di dare un aiuto ai colleghi. I cinque riuscirono a portare via alcuni sacchi contenenti 300mila euro. Una delle auto utilizzata per la rapina fu trovata dai carabinieri nella stessa mattinata nella zona di Ponticelli. da li partirono le indagini che ha portato agli arresti e al processo.

 

Cronache della Campania@2018

Le rivelazioni del pentito: ‘Feola fu ucciso perché non volle pagare il pizzo ai casalesi’

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Vincenzo Feola stava aprendo il cancello della sua ditta di calcestruzzo, era il 21 ottobre 1992 quando di prima mattina i sicari gli si avvicinarono e fecero fuoco uccidendolo. Un omicidio di camorra che porta la firma del clan dei Casalesi a San Nicola la Strada. Dopo 26 anni il collaboratore di giustizia Cipriano D’Alessandro nel tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha ricostruito il movente dell’omicidio. “Non volle pagare la tangente del Clan che chiedeva 2mila lire su ogni metro cubo di cemento e per questo venne ucciso”. Oltre ai giudici in aula c’era la figlia dell’imprenditore. Per questo omicidio in primo grado sono già stati condannati Ernesto De Angelis, 14 anni di carcere, Francesco Bidognetti, 30 anni di carcere e Cipriano D’Alessandro a 10 anni. In Corte d’Assise sono invece imputati Andrea Cusano e Giuseppe Misso. Cusano gode della misura restrittiva dell’obbligo di dimora a Como, grazie anche alla sua buona condotta e al suo impegno in Caritas. Cusano viene accusato di aver dato appoggio al clan nel periodo dell’omicidio anche se è da comprendere la sua vicinanza al clan. Alcuni pentiti lo avrebbero definito come uomo vicino a Michele Iovine egemone a Caserta. La vicenda Feola, come ricorda Il Mattino, fu affrontata due anni da fa Alessandro D’Alessio pubblico ministero della Dda di Napoli, ascoltando per primo le confessioni del più anziano dei collaboratori di giustizia Dario De Simone e gli altri. Attraverso la Cedic, il consorzio del calcestruzzo, i Casalesi si assicuravano il monopolio assoluto nel settore del cemento. Il colosso fu fondato nel 1984 da Antonio Bardellino e rifornì tutto il casertano. E chi decideva di uscire dal sistema finiva male. Della vicenda tangenti ne parlò anche il ormai defunto Carmine Schiavone nel 1993 “Mille lire a metro cubo i soci dovevano darli al clan. Il prezzo lo decidevamo noi per Caserta; altrove l’ultima parola spettava a Carmine Alfieri con un sistema pressoché uguale”.

Cronache della Campania@2018

Napoli, aggressione ad Arturo: una perizia riapre il caso sul nipote del boss della Sanità

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“Tra le 17.00 e le 17.40 C.T., alias il panaro, era impegnato nel disputare la semifinale di un torneo di calcetto nel quartiere di San Carlo all’Arena, all’interno del campetto della chiesa di Santa Maria degli Angeli”. La firma è quella del consulente Carmine Testa, professionista oggi al lavoro per conto della famiglia del ragazzino indagato per il tentato omicidio di Arturo, lo studente circondato e accoltellato dal branco il 18 dicembre scorso in via Foria  a Napoli. Nei suoi confronti è in corso un procedimento amministrativo, con tanto di interventi di assistenti sociali, mentre è di questi giorni un elemento di novità. Difeso dall’avvocato Carla Maruzzelli, il ragazzino nega di aver fatto parte del branco che ha aggredito Arturo. E la sua posizione, come riporta Il Mattino,  viene sostenuta da una consulenza di parte che scava nella trama di contatti intrecciata da C.T. che quel giorno passa buona parte della mattinata e del primo pomeriggio ad organizzare una partita di calcio: “Chi teniamo in porta? Chi mettiamo? Quello la partita se la viene solo a vedere…”. Alla luce dei messaggi facebook e delle conversazioni via whatsapp, l’appuntamento per tutti è alle 16.30: “Ci vediamo alle quattro e mezza oggi in miez a pacella” – una piazzetta in zona San Carlo all’Arena -. Alle 15.50, c’è un vocale in cui C.T. comunica all’amico di calcetto i cambi di squadra.
Seguendo le conversazioni del minore, vengono identificati anche gli altri componenti della squadra, anche dei cambi all’interno del gruppo, che poi sono stati decisi dal “mister”, il più braco tra di loro. Ma ci sono altre conversazioni che attirano l’attenzione del consulente di parte. Alle 16.44 C.T. contatta l’amico Vincenzo, dicendogli di”scendere” dalla propria abitazione, che si “trovano tutti quanti lì”. Continuano le conversazioni via chat, a proposito del chi dovesse giocare il ruolo in porta, fino alla conclusione: “facimm paura”. 
Alle 18.38 del 18 dicembre C.T. riprende la conversazione con l’amico e l’aggressione ai danni di Arturo si è già consumata (tra le 17.20 e le 17.25) quindi, – secondo le conclusioni di parte – C.T. doveva essere impegnato nella partita in parrocchia. Contro il minore, all’epoca dei fatti neanche quattordicenne, la Mobile ha raccolto alcuni elementi ritenuti validi da pm e giudici: contro C.T., le accuse di uno dei minori arrestati, che lo tira esplicitamente in ballo. Ma c’è di più: stando ad alcune intercettazioni, emerge il timore dei presunti aggressori nel parlare di C.T., visto il suo rapporto di parentela con un presunto camorrista del Rione Sanità.

Cronache della Campania@2018

Nocera Inferiore: Omicidio Ferrara, si torna in appello

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Colpo di scena nell’iter processuale per l’omicidio del 21enne nocerino Dario Ferrara, avvenuto a Villanova il 29 aprile del 2015. Si dovrà tornare in Appello. Lo ha deciso la  Corte di Cassazione con richiesta esplicita di una revisione della pena, valutando sia le attenuanti generiche che le circostanze aggravanti. Secondo le prime due sentenze, Ferraro si sarebbe avvicinato a Dario, per poi aggredirlo dopo un rapido scambio di battute. Dario Ferrara sarebbe stato colpito due volte alla testa con un casco. Secondo i due gradi di giudizio, non vi era la volontà da parte di Ferraro di uccidere. In entrambi i gradi di giudizio, la condanna è stata di 18 anni di reclusione.

Cronache della Campania@2018

Tragedia alla Solfatara: venerdì l’incarico a sette “super periti”

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Sara’ conferito venerdì prossimo l’incarico ai 7 “super periti” nominati dal Gip di Napoli che, nell’ambito delle indagini sulla tragedia della Solfatara di Pozzuoli dello scorso 12 settembre, in cui persero la vita 3 turisti, prenderanno parte all’incidente probatorio chiesto lo scorso 30 luglio dai pm di Napoli titolari del fascicolo Anna Frasca e Giuliana Giuliano. Lo rende noto l’avvocato Alberto Berardi, del Foro di Padova, che assiste i familiari delle vittime con l’avvocato Vincenzo Cortellessa e lo Studio 3A. Quel giorno asfissiati dai gas, morirono il piccolo Lorenzo Carrer, il padre, Massimiliano, e la madre, Tiziana Zaramella. Sopravvisse solo il figlio piu’ piccolo della coppia, che oggi ha 9 anni e vive con la zia. Dall’inchiesta sono emerse gravi lacune sul piano della sicurezza sia per i visitatori sia per il personale impiegato nell’area, da allora sotto sequestro: tra queste i camminamenti non tracciati, mancanza di segnaletica, nessuno studio preliminare sulla crosta calpestabile. Le violazioni emerse hanno portato alla iscrizione nel registro degli indagati, per il reato di disastro colposo, di Giorgio Angarano, amministratore della Vulcano Solfatara srl, di altri cinque soci della societa’ che gestisce l’area e della stessa societa’. L’obiettivo dei magistrati, coordinati dal procuratore aggiunto Giuseppe Lucanatonio, e’ ottenere dai periti uno studio esaustivo sui rischi del vulcano Solfatara dal quale ricavare gli interventi di messa in sicurezza. I consulenti chiamati ad assolvere questo compito provengono da prestigiose universita’ italiane: del collegio peritale faranno parte il prof. Giovanni Battista Crosta, direttore della Sezione di Scienze Geologiche e Geotecniche del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente, del Territorio e della Terra dell’Universita’ di Milano Bicocca; il prof. Orlando Vaselli, docente in Geochimica e Vulcanologia, direttore di Scienze della Terra all’Universita’ di Firenze; il prof. Giuseppe Tito Aronica, docente in Ingegneria Idraulica all’Universita’ di Messina; il prof. Claudio Giulio Di Prisco, docente in Geotecnica al Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano; il prof. Angelo Baggiani, docente in Igiene generale e applicata al Dipartimento di Ricerca Transnazionale NTMC, all’Universita’ di Pisa; il geofisico Giuseppe Marino, esperto nello specifico settore dell’Idrogeologia; l’ing. Maurizio D’Amico, con specifica competenza in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. Soddisfazione e’ stata espressa dall’avvocato dei familiari delle vittime: “E’ l’ennesima conferma del certosino lavoro che sta facendo la Procura per la completa ricostruzione della filiera delle responsabilita’ e per evitare che tragedie cosi’ immani e assurde si ripetano”, ha detto l’avvocato Berardi. “Il collegio peritale e’ di altissimo profilo – ha aggiunto l’avvocato – che rappresenta una garanzia assoluta per monitorare tutti i gravi pericoli insiti in quel sito, che non possono che precluderne la fruizione, e per determinare i requisiti di sicurezza e gli interventi necessari per poterlo riaprire al pubblico”.

Cronache della Campania@2018

Morte dell’operaio nel pastificio: nominato il perito per verificare il corretto funzionamento delle macchine

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Fa un importante passo avanti l’inchiesta della Procura di Nola sulla morte dell’operaio 32enne Aniello Bruno avvenuto all’interno del pastificio Ferrara nella zona industriale di Polvica di Nola. Il pm Aurelia Caporale che coordina l’inchiesta ha conferito l’incarico  di consulente tecnico all’ingegnere Gerardo Mirabelli. Il professionista salernitano dovrà accertare le modalità e le cause con cui è avvenuto il tragico incidente sul lavoro avvenuto il 13 luglio.

Le operazioni tecnico-peritali sul pallettizzatore dove è avvenuto il tragico evento cominceranno giovedì mattina, alla presenza dei legali delle parti coinvolte e dei consulenti tecnici nominati, ingegnere Vincenzo Bifulco (CTP parte nominato dai familiari del giovane Aniello Bruno) ed ingegnere Massimo Morelli (CTP nominato dagli indagati).Il Magistrato inquirente vuole vederci chiaro ed approfondire la questione, e oltre alla dinamica del fatto, vuole verificare la conformità della macchina a tutte le normative vigenti, la presenza di dispositivi di sicurezza e soprattutto se questi dispositivi fossero funzionanti o meno. Nell’inchiesta sono indagati i dirigenti dell’azienda e il responsabile della sicurezza.

Cronache della Campania@2018

Esplosione alla Pignasecca: la Procura ipotizza il reato di strage

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Napoli. Per l’esplosione che ieri mattina ha distrutto un appartamento alla Pignasecca, nel cuore di Napoli, ucciso una donna e ferito due persone, la procura ritiene che possa configurarsi l’ipotesi di strage. I pm Stefania Di Dona e Michele Caroppoli, coordinati dal procuratore capo Giovanni Melillo, hanno raccolto elementi per ipotizzare che quell’edificio di vico don Minzoni potesse crollare per intero; Antonio Cavalieri, il 32enne figlio di Rita Recchione, la donna uccisa dalla scoppio, secondo una ipotesi di indagine, avrebbe avuto intenzione di far saltare in aria tutto il palazzo. Uno degli inquilini al piano terra, a quanto apprende l’Agi, quando ha saputo che stava per arrivare l’ufficiale giudiziario a notificare l’atto di sfratto, avrebbe chiuso il contatore che distribuisce il gas a tutta la palazzina. Gia’ a ridosso dell’esplosione, molti dei residenti della zona hanno dichiarato ai cronisti che sapevano che l’uomo aveva avrebbe tentato un gesto eclatante. Le condizioni del 32enne sono migliorate e, anche se in prognosi riservata, non e’ piu’ in pericolo di vita. Questo potrebbe spingere gli inquirenti a notificargli un avviso di garanzia o anche una misura cautelare. La sorella Francesca sta bene, ha chiesto della madre, ma non le e’ stato spiegato nulla per ora. Soffre di una grave disabilita’ fisica che la rende non autonoma. Il proprietario dell’edificio, che ha chiesto lo sfratto alla famiglia Recchione, “morosa da molti anni”, si dice amareggiato ma non sente su di se il peso della responsabilita’. “Non e’ colpa mia, ho fatto valere un mio diritto. Ho inviato i tecnici sul posto per cercare di fargli fare un sopralluogo e cercare di far rientrare il prima possibile tutti gli inquilini”, spiega.

Cronache della Campania@2018


Castellammare, camorra e mercato del pesce di Salerno: assolti Michelino D’Alessandro e i suoi prestanome

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Castellammare. La camorra di Castellammare, e per essa il clan D’Alessandro, non aveva messo le mani sugli affari e sulla gestione del porto di Salerno e per questo che il Tribunale di Salerno ha assolti i 17 imputati al processo. La Dda aveva chiesto l’arresto di tutti, fatta eccezione per un maresciallo della Guardia Costiera, accusato di avere fatto delle “soffiate” sui controlli alle ditte. Tra gli assolti c’è Michelino D’Alessandro, nipote omonimo del defunto padrino di Scanzano e figlio di Luigi, detto Gigginiello uscito dal carcere pochi mesi fa dopo circa 30 anni. Secondo la Dda il clan D’Alessandro attraverso le ditte DaMi Fish e la Ittica Stabile srl aveva il controllo del mercato del pesce nel porto di Salerno. Nonostante Michele D’Alessandro fosse detenuto, il business era nelle loro mani grazie a una fitta rete di prestanome tra cui sua moglie, Giovanna Girace e ii cognato Nunzio Girace detto ’o mericano, vittima di un agguato di camorra nell’autunno 2013 e indagato per evasione fiscale. Sarebbero stati loro due i veri padroni della “Ittica Stabile srl” il cui formale proprietario  risulta essere Aniello Stabile che aveva ereditato l’attività aperta da suo padre 50 anni fa,. Il processo si è svolto con rito abbreviato. Tutti assolti dunque perché il fatto non sussiste: oltre Michelino D’Alessandro anche  Valeria, Giovanna e Nunzio Girace, Antonio Verdoliva e Giuseppe Ragone, e poi gli uomini ritenuti vicini ai Gallo-Cavalieri di Torre Annunziata, Nunzio Palumbo,  Aniello Lambiase, Antonio Esposito e Aniello Stabile.

Cronache della Campania@2018

Fine pena mai per boss e killer dei clan Birra e Lo Russo

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Niente sconti: fine pena mai per i vertici del clan Birra-Iacomino di Ercolano e il clan Lo Russo di Miano. Tutti impegnati nello scambio di favori reciproci di morti ammazzati durante la guerra di camorra che ha insanguinato Ercolano negli ultimi venti anni.  Il procuratore generale  ha chiesto di confermare il massimo della pena per i sei imputati  accusati di 4  dei tantissimi omicidi compiuti in quegli anni: Giovanni Birra, Stefano Zeno e Giacomo Zeno di Ercolano e per  Raffaele Perfetto ‘muss e’ scigna’ – l’anello di congiunzione tra i Lo Russo e i Birra – Carlo Serrano e Vin­cenzo Bonavolta, detto scenzore il famoso killer dei sette secondi. I quattro omicidi per i quali sono stati chiesti gli ergastoli sono quelli di Giuseppe Borrelli – ucciso nel 1997 e ritenuto legato agli Ascione-Papale – il duplice massacro di Lucio Di Giovanni e Raffaele Di Grazia, colpiti a morte nel 2000 da­vanti alla statua di Padre Pio a Ercolano perché accusati di aver provato a “smarcarsi” dai vecchi clan. Poi ancora l’aggua­to che ha portato alla morte di Giuliano Cioffi, ucciso a Quarto nel 2001 e ritenuto a sua volta legato ai nemici dei Birra.

(da sinistra nella foto Giovanni Birra, Stefano Zeno, Giacomo Zeno, Raffaele Perfetto, Vincenzo Bonavolta e Carlo Serrano)

Cronache della Campania@2018

Camorra a Cava de Tirreni: perquisito e indagato per intralcio alla giustizia Eziolino Capuano

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C’è anche Eziolino Capuano tra gli indagati dell’inchiesta della Dda di Salerno che stamane ha sgominato i tre clan che avevano messo sotto scacco l’intera città di Cava de Tirreni compresa la politica e la squadrea di calcio. Il fantasioso allenatore di calcio salernitano è accusato di  intralcio alla giustzia perhè non ha raccontato quello che sapeva rispetto ad alcuni degli indagati durante le indagini. Stamane gli  investigatori dopo averlo cercato inutilmente nei suoi ultimi domicili lo hanno trovato insieme con la sua famiglia a Pescocostanza in provincia di Potenza. Era a casa della madre. Gli investigatori hanno effettuato una perquiszione in cerca di elementi utili alle indagini. Complessivamente le perquisizioni nelle dimore di altrettanti indagati sono state 38 che sommati ai 14 arrestati (11 in carcere e 3 ai domiciliari) porta a 52 gli indagati dell’inchiesta.

I reati contestati a vario titolo sono di associazione a delinquere di stampo mafioso, usura, estorsione aggravata, detenzione illegale di armi, detenzione ai fini di spaccio di droga, associazione a delinquere. Nel mirino degli inquirenti tre gruppi di criminalita’ organizzata che operano nel territorio di Cava dei Tirreni. L’indagine ha mostrato, tra l’altro, che il gruppo di Dante Zullo, occupandosi di usura e attivita’ finanziarie abusive, ha acquisito in questo modo il controllo di molte attivita’ economiche del territorio; persino la raccolta di pubblicita’ per lo stadio ‘Simonetta Lamberti’ in cui gioca la Cavese e’ legata al boss. In un fondo in via D’Amico, poi, sempre la stessa cosca, aveva prima creato una pista per cavalli, poi realizzato nel 2007 un edificio abusivo e negli anni aveva trasformato questo nella residenza del figlio del capoclan. Dante Zullo e la moglie facevano la spesa senza pagare e tenevano le auto parcheggiate in un deposito non loro. Il secondo gruppo camorristico fa capo a Domenico Caputano, con 5 persone, si occupa di usura ed estorioni, mentre un terzo, sempre con Caputano elemento di vertice e 11 persone, gestisce una piazza di spaccio cavese. In diversi episodi, la forza intimidatrice dei clan ha costretto vittime a rilasciare false dichiarazioni e le indagini hanno mostrato anche legami tra appartenenti ai sodalizi e appartenenti alle forze dell’ordine. All’inchiesta hanno collaborato anche pentiti. In particolare Giovanni Cozzolino ex genero di Dante Zullo. un collaboratore “di famiglia” dunque che è stato in grado di svelare tutti i segreti del clan. Nelle 600 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Alfonso Scermino viene raccontata la storia della camorra cavese degli ultimi anni. Il procedimento restrittivo chiesto dal pm  Vincenzo Senatore ha riguardato in rpimo luogo il boss Dante Zullo e il figlio Vincenzo già in carcere dallo scorso anno. E poi la figlia Geraldine di 30 anni considerata non solo l’anello di congiunzione tra il padre in carcere e gli associati ma una vera capo che dava gli ordini e chiedeva il rispetto dagli associati. Con lei in carcere sono finiti anche Carlo Lamberti di 37 anni, Antonio Santoriello di 53 anni, Vinvenzo Porpora di 48 anni, Carmela Lamberti di 61 anni, Antonio Di Marino di 27 anni, Antonio Benvenuto di 52, Ciro Fattaruso di 35 anni e Domennico Caputano di 36. Ai domiciliari invece sono finiti Mario Caputano di  65 anni, Sabato Sorrentino di di 55 anni e Paolo Sorrentino di 22 anni.

Rosaria Federico

@riproduzione riservata

Cronache della Campania@2018

Fine pena mai per boss e killer dei clan Birra e Lo Russo

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Niente sconti: fine pena mai per i vertici del clan Birra-Iacomino di Ercolano e il clan Lo Russo di Miano. Tutti impegnati nello scambio di favori reciproci di morti ammazzati durante la guerra di camorra che ha insanguinato Ercolano negli ultimi venti anni.  Il procuratore generale  ha chiesto di confermare il massimo della pena per i sei imputati  accusati di 4  dei tantissimi omicidi compiuti in quegli anni: Giovanni Birra, Stefano Zeno e Giacomo Zeno di Ercolano e per  Raffaele Perfetto ‘muss e’ scigna’ – l’anello di congiunzione tra i Lo Russo e i Birra – Carlo Serrano e Vin­cenzo Bonavolta, detto scenzore il famoso killer dei sette secondi. I quattro omicidi per i quali sono stati chiesti gli ergastoli sono quelli di Giuseppe Borrelli – ucciso nel 1997 e ritenuto legato agli Ascione-Papale – il duplice massacro di Lucio Di Giovanni e Raffaele Di Grazia, colpiti a morte nel 2000 da­vanti alla statua di Padre Pio a Ercolano perché accusati di aver provato a “smarcarsi” dai vecchi clan. Poi ancora l’aggua­to che ha portato alla morte di Giuliano Cioffi, ucciso a Quarto nel 2001 e ritenuto a sua volta legato ai nemici dei Birra.

(da sinistra nella foto Giovanni Birra, Stefano Zeno, Giacomo Zeno, Raffaele Perfetto, Vincenzo Bonavolta e Carlo Serrano)

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La Procura chiede il processo immediato per gli stupratori di Meta

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La procura di Torre Annunziata, come previsto e come anticipato a luglio dal nostro sito, ha chiesto il processo immediato per gli otto presunti violentatori della turista inglese nell’hotel Alimuri di Meta (estraneo alla vicenda). In cinque sono in carcere dal mese di maggio mentre tre sono stati individuati il mese scorso e sono a piede libero. Il gip ha accolto l’istanza e ha fissato per il 23 novembre la data di inizio del processo. La battaglia procedurale tra accusa e difesa è appena agli inizi perchè i cinque potrebbero chiedere un rito abbreviato che consetirebbe loro di accedere ad un eventuale sconto di pena di un terzo in caso di condanna. ma non è finita perché ad ottobre è fissato il ricorso presentato dalla difesa contro il no del Riesame agli arresti domiciliari. A novembre, invece, potrebbe essere la Cassazione a esprimersi sulla permanenza in cella dei cinque o sulla scarcerazione. Gli ex dipendenti dell’albergo dove fu violentata la turista inglese sono in cella dal mese di maggio. Per la difesa infatti mancherebbero i presupposti della custodia cautelare in carcere, tantomeno sussisterebbe il pericolo di fuga, visto che gli indagati non avrebbero gli appoggi né il denaro per affrontare un’ipotetica latitanza; stesso discorso per il rischio di inquinamento delle prove, visto che l’indagine è ormai conclusa; da escludere anche la reiterazione del reato, visto che gli indagati sono incensurati e non si sono macchiati di altri misfatti dal 2016 a oggi. Ma gli avvocati Alfredo e Mariorosario Romaniello legali del  bar di Vico Equense, Fabio De Virgilio si preparano a giocare una carta importante visto che hanno commissionato una perizia a un esperto di tossicologia. L’obiettivo é quello di smontare la tesi dell’accusa secondo la quale il barman, con il collega di Portici, Antonino Miniero, avrebbe drogato la turista inglese prima di abusarne sessualmente in piscina e poi lasciarla “in pasto” agli altri. La donna a giugno ha confermato le accuse nel corso di un drammatico incidente probatorio svoltosi davanti al gip Emma Aufieri. In aula erano presenti anche i cinque arrestati: Antonino Miniero, di Portici, Gennaro Davide Gargiulo di Massa Lubrense, Raffaele Regio e Francesco Ciro D’Antonio entrambi di Torre del Greco e Fabio De Virgilio di Vico Equense e i tre indagati a piede libero Catello Graziuso di Castellammare di Stabia, Vincenzo Di Napoli di Meta di Sorrento e Francesco Guida di Sant’Agnello.

Cronache della Campania@2018

Angri, anziana muore in ospedale dopo intervento chirurgico: 10 medici indagati

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La procura di Nocera Inferiore ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo con dieci medici indagati per la morte di Clementina Franza, 78enne di Angri, che è deceduta tre giorni dopo essersi sottoposta ad un intervento all’ospedale Umberto I di Nocera. La donna era giunta in ospedale lunedì con la pelle di colore giallastro, fattore generalmente dovuto a valori del sangue squilibrati. La paziente si era sottoposta ad intervento endoscopico. Il sospetto dei camici bianchi era la presenza di calcoli nelle vie biliari. Le condizioni della donna, in serata, però non erano migliorate. I medici non avevano riscontrato complicanze nella cartella clinica della 78enne escludendo quindi un ulteriore intervento. Dopo tre giorni la situazione si è aggravata così è stata trasferita in rianimazioni, nella stessa giornata la donna è morta. Nella giornata di domani, su disposizione della Procura, sarà effettuata l’autopsia sul corpo della donna. Bisognerà comprendere se è morta per cause naturali o per altro.

Cronache della Campania@2018

Camorra: arrestato a Giugliano affiliato al clan Mallardo

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I carabinieri dell’aliquota operativa della compagnia di Giugliano hanno arrestato, dando esecuzione a un ordine di carcerazione emesso dalla Procura della Corte d’Appello di Napoli, un 39enne del luogo, Michele Di Nardo, ritenuto affiliato al clan camorristico dei Mallardo. L’uomo dovrà scontare quattro anni di reclusione per estorsioni aggravate dal metodo mafioso ai danni di distributori di carburante e per una rapina aggravata in concorso. I reati, commessi a Giugliano, risalgono all’aprile 2009. Il 39enne è stato portato in carcere a Secondigliano. Nel 2003 da latitante fu arrestato mentre trascorreva le vacanze a Palinuro con la fidanzata perché la sua compagna postò la foto su facebook e fu individuato e catturato.

Cronache della Campania@2018


Napoli, reparto chiuso all’Ospedale del Mare: legittimo il licenziamento del primario

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Il giudice del Tribunale del Lavoro di Napoli, Rosa Mole’, ha respinto il ricorso presentato dall’ex primario del reparto di chirurgia vascolare dell’Ospedale del Mare, Francesco Pignatelli, contro la revoca dell’incarico in quanto ritenuto responsabile, dai vertici dell’Asl Napoli 1 Centro, di avere illecitamente trasferito i pazienti e chiuso il reparto lo scorso mese di luglio in concomitanza con una serata di festa. L’episodio fu denunciato dal consigliere regionale dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli. Secondo quanto evidenzio’ Borrelli, componente della commissione Sanita’ del Consiglio regionale della Campania, il reparto di chirurgia vascolare dell’Ospedale del mare venne chiuso per permettere al personale sanitario di partecipare a una festa. A seguito dell’evento, il direttore della Asl Napoli 1 centro, Mario Forlenza, gli aveva revocato l’incarico. Pignatelli ha impugnato il provvedimento davanti al giudice del lavoro che, tuttavia, ha respinto il ricorso. Il giudice ha anche condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite per 1500 euro. “Come ci aspettavamo – spiega Borrelli – il giudice del lavoro ha sentenziato che non c’e’ stata nessuna azione mediatica ai suoi danni e la revoca del primariato decisa dal direttore generale dell’Asl Napoli 1 nei confronti del professor Pignatelli e’ sacrosanta”. “Il Giudice ha, nei fatti, confermato quel che avevamo denunciato ed evidenziato” ha aggiunto Borrelli per il quale “il fatto che non ci fossero pazienti gravi non giustifica in alcun modo la chiusura del reparto a cui avrebbero potuto essere indirizzati anche pazienti inizialmente curati in altri ospedali visto che li’, all’ospedale del mare, risultavano posti letto liberi e disponibili e che, non trovando posto, avrebbero potuto avere conseguenze gravi, anche letali”. “Ora si vada avanti -prosegue- con tutti gli altri procedimenti in atto anche per capire se e’ giusto che il professor Pignatelli, reintegrato nel suo vecchio ruolo all’Ospedale Vecchio Pellegrini, non abbia mai ripreso servizio ricorrendo prima alle ferie e poi ai congedi per malattia” ha aggiunto Borrelli per il quale “su questa vicenda bisogna andare fino in fondo, chiarendo tutte le responsabilita’ e prendendo provvedimenti esemplari, cosi’ come s’e’ cominciato a fare revocando l’incarico di primario”.

Cronache della Campania@2018

Droga e camorra: 75 anni di carcere per le nuove leve della Vanella-Grassi

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Mano pesante dei giudici della Corte di Appello di Napoli nei confronti delle nuove leve del clan della Vanella Grassi di Secondigliano. Quasi un secolo di carcere  per gli otto esponenti del gruppo legato a Umberto Accurso, anche se per alcuni è arrivata una piccola riduzione di pena rispetto al primo grado. Erano tutti accusati di associazione di tipo camorristico e traffico di droga. I giudice del secondo grado hanno confermato la sentenza per Joanderson Monaco, 12 anni e otto mesi. Invece 9 anni e 5 mesi a testa in continuazione del reato per Diego Colurcio, per Umberto De Vitale e per Pasquale Lucarelli, che in primo grado avevano avuto 12 anni a testa. Nove anni di carcere invece è la condanna per Salvatore Frasca (in primo grado 12 anni). Va un poco meglio a Ciro Barone e Alessandro Frate che si vedono ridurre la pena a 8 anni e 8 mesi. Leggera riduzione infine per Daniele Granata che è stato condannato a 8 anni e due mesi mentre in primo grado aveva avuto 9 anni e 4 mesi. A inchiodare i presunti affiliati alla Vanella Grassi di Secondigliano sono state le dichiarazioni degli ex reggenti della cosca ovvero i pentiti Antonio Accurso, fratello di Umberto, e Rosario Guarino detto “Joe Banana”.

 

 

Cronache della Campania@2018

Uccise genitori con un coltello nel sonno, giudizio immediato

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Disposto il giudizio immediato davanti alla Corte d’Assise di Napoli per Graziano Afratellanza, il 40enne che lo scorso 20 novembre scorso uccise con fendenti alla gola i genitori, Francesco Afratellanza, 80 anni, e Antonietta della Gatta, 78 anni, mentre dormivano nella loro abitazione di Parete, nel Casertano. A disporre il giudizio per il 40enne in cura per problemi psichici, ma in carcere, e’ stato il gip del Tribunale di Napoli Nord.

Graziano Afratellanza era fuggito dopo il delitto e ritrovato dai carabinieri del Reparto Territoriale di Aversa, coordinati dal maggiore Antonio Forte, in via Santa Maria a Cubito, nel territorio di Villa Literno. Il 40enne dopo l’arresto non ha mai ammesso di aver ucciso nel sonno i familiari. La difesa punterà molto sulla salute mentale dell’indagato e sulla sua capacità di intendere e volere al momento del fatto. L’uomo, un anno fa, aveva subito un trattamento sanitario obbligatorio, e poi era tornato a casa in via Scipione l’Africano, dove è avvenuto il duplice delitto. Le due vittime Francesco Afratellanza, 82 anni e la moglie Antonietta Della Gatta, 79 anni, originaria di Gricignano di Aversa, sono nella sala mortuaria dell’ospedale di Aversa in attesa dell’esame autoptico disposto dalla procura di Napoli Nord.

Cronache della Campania@2018

Napoli, Luca Materazzo cambia di nuovo avvocato: ‘Non sono pazzo’

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Napoli. Era nell’aria il nuovo colpo di scena dopo l’ultima lite in Tribunale tra LUca Materazzo e i suoi avvocati nel corso dell’udienza precedente e così ieri è arrivata la conferma. Luca Materazzo, ritenuto responsabile dell’omicidio del fratello Vittorio, ucciso con oltre 30 coltellate per motivi di eredità due anni fa nel quartiere di Chiaia ha revocato il mandato all’avvocato Francesco Longhini, che lo aveva assistito negli ultimi mesi assieme all’avvocato Matteo De Luca. Dopo la conclusione del rapporto con i primi due legali, i penalisti Gaetano e Maria Luisa Inserra, ieri è arrivata la nuova scelta che conferma la rottura con l’avvocato Longini. Il suo difensore  la scorsa settimana aveva chiesto alla Corte di approvare una perizia psichiatrica per definire le condizioni mentali di Luca e la sua aderenza al ritratto dell’assassino che sta emergendo da testimonianze e prove portate a dibattimento. Ma l’imputato, che era stato arrestato in Spagna dopo oltre un anno di latitanza, aveva urlato al suo difensore: ‘Non te lo puoi permettere’ perchè non vuole passare come una persona incapace di intendere e di volere.
Il presidente della prima corte di Assise di Napoli, Giuseppe Provitera ha deciso di accordare altri sette giorni all’imputato per scegliere un nuovo difensore.

Cronache della Campania@2018

Omicidio ai Quartieri Spagnoli: chiesti 30 anni di carcere per il baby killer Francesco Valentinelli

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Napoli. Chiesti 30 anni di carcere per Francesco Velentinelli, il baby killer dei Quartieri Spagnoli che il 17 novembre dello scorso anno ucciso suo zio Gennaro Verrano in piazzetta Santa Teresa agli Spagnoli. Omicidio diventato famoso per la diffusione fatta dagli investigatori del filmato in cui si mostrano le fasi di preparazione e di esecuzione dell’omicidio avvenuto davanti a decine di persone. Il pm Ludovica Giugni della Dda di napoli ha chiesto una pena esemplare per il 23enne nel processo che si sta celebrando con rito abbreviato davanti al gup Linda Comella e nel quale sono imputati per favoreggiamento Patrizia Tomei,  Maria Pelliccia, Adriana Improta, Domenico D’Aniello e Genoveffa Mazzocchi. Dietro l’omicidio lo scontro familiare per la gestione delle piazze di spaccio. il giovane Valentinelli è il figlio della nota Angela Farelli detta “Briosche’, pusher e gestrice di una piazza di spaccio in vico Tre re a Toledo, la vittima, suo parente, era un noto pregiudicato nonchè il padre di Francesco Verrano detto “checco lecco”, appena 20 anni e già condannato a 8 anni di carcere per l’omicidio di Mario Mazzanti figlio del boss delle Chianche. Francesco Valentinelli un mese dopo l’omicidio fu arrestato grazie alle indagini lampo dei carabinieri e nel corso dell’udienza di convalida ammise la sua responsabilità e spiegò  la sua versione dei fatti: “l’ho fatto per difendermi perché da come si era messo sullo scooter ho temuto che stesse per spararmi”.

Cronache della Campania@2018

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