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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Cava, scacco ai clan guidati da Zullo e Caputano: la pubblicità allo stadio Lamberti nelle mani della camorra

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Sono 14 le misure cautelari eseguite a Cava dè Tirreni, nei confronti dei componenti membri di un gruppo criminale dedito all’estorsione e all’usura: 11 persone sono finite in carcere e tre ai domiciliari. I reati contestati sono associazione a delinquere di stampo camorristico, associazione semplice, usura pluriaggravata, estorsione aggravata dal metodo mafioso, associazione finalizzata alla vendita e cessione di sostanze stupefacenti e detenzione illegale di armi da sparo. L’operazione congiunta, eseguita da polizia, carabinieri e Dia, è stata coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Salerno. Sono state eseguite 52 perquisizioni domiciliari che hanno riguardato complessivamente 47 indagati e cinque ulteriori persone. Il provvedimento cautelare costituisce il completamento di un’attività investigativa avviata nel novembre 2015 nell’ambito della quale erano già stati eseguiti degli arresti. Le indagini hanno permesso di accertare l’esistenza di tre distinti sodalizi criminali attivi nel territorio di Cava de’ Tirreni: due dei quali che facevano capo a Domenico Caputano e un altro a Dante Zullo. Un controllo “davvero molto penetrante” sul territorio di Cava de’ Tirreni (Salerno) reso possibile anche “dalla presenza, all’interno dei rispettivi sodalizi criminosi, di soggetti in allarmanti relazioni con appartenenti alle forze di polizia e con esponenti delle istituzioni locali”. Ha spiegato il procuratore distrettuale antimafia di Salerno, Corrado Lembo, descrivendo l’attività di tre distinti gruppi criminali sui quali si sono concentrate le indagini. Il primo dei tre gruppi è quello “facente capo a Dante Zullo”, composto complessivamente da 11 persone, che grazie alla sua forza intimidatrice era dedito alla commissione di delitti di usura aggravata, abusiva attività finanziaria, estorsione aggravata, trasferimento fraudolento di valori e violenza personale. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, il gruppo controllava “l’attività di raccolta delle inserzioni pubblicitarie presso lo stadio Simonetta Lamberti di Cava per conto della Cavese Calcio, svolta, sulla base di quanto risultava da un contratto rinvenuto nella disponibilità di Dante Zullo, da Carlo Lamberti”.
Tra i vantaggi e profitti ingiusti realizzati dal clan il procuratore segnala “l’occupazione sine titulo di un fondo in via D’Amico, già condotto dalla famiglia Rispoli e di proprietà della famiglia Montesanto-Carleo, trasformato da suolo agricolo a pista di allenamento per i cavalli, con conseguente realizzazione di un edificio, senza permesso di costruire, nel dicembre 2007 adibito a scuderia, e successiva edificazione di un ulteriore immobile abusivo adibito ad abitazione da Vincenzo Zullo nel 2017”. Un secondo gruppo, avente a capo Domenico Caputano, era composto da ulteriori 5 persone ed era “abitualmente dedito alla commissione dei delitti di usura aggravata e di estorsione, talora con ricorso al metodo mafioso”. Un terzo gruppo, sempre capeggiato da Domenico Caputano con la partecipazione di 11 persone, “aveva la finalità di gestire una vasta piazza di spaccio sul territorio di Cava de’ Tirreni”. Tra i numerosi indagati non raggiunti dai provvedimenti cautelari, il procuratore Lembo evidenzia “un elevato numero di persone che rispondono dei delitti di false dichiarazioni al pubblico ministero e di favoreggiamento personale, a riprova della forza intimidatrice esercitata dai componenti delle tre associazioni”.

Lo scorso anno erano finiti in manette Dante e Vincenzo Zullo, padre e figlio, e Vincenzo Porpora per il reato di usura, a giugno dello stesso anno, un altro gruppo di 10 personeera finito sotto inchiesta per spaccio di stupefacenti.

Cronache della Campania@2018


La Cassazione conferma i 4 anni di carcere per Cosentino ma no l’interdizione perpetua

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Confermata la condanna a 4 anni di reclusione per Nicola Cosentino, in merito alla vicenda della corruzione di un agente penitenziario del carcere di Secondigliano. Lo ha deciso la sesta sezione penale della Cassazione, che, pero’, ha annullato la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, inflitta dai giudici del merito all’ex sottosegretario all’Economia, sostituendola con quella dell’interdizione temporanea per 5 anni. L’accusa per Cosentino era quella di aver ricevuto un trattamento di favore mentre si trovava nel carcere napoletano in cambio di posti di lavoro. In primo grado, nel giugno 2016, il tribunale di Napoli nord lo aveva condannato a 4 anni, con l’interdizione perpetua, sentenza confermata in appello il 17 luglio dello scorso anno. Il ricorso presentato da Cosentino, discusso ieri in udienza pubblica a ‘Palazzaccio’, contro il verdetto di secondo grado e’ stato quindi accolto solo sul punto riguardante la pena accessoria.

Cronache della Campania@2018

Processo Materazzo, l’avvocato chiede la perizia pschiatrica per Luca e lui urla in aula: ‘Non puoi farlo’

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Napoli. Colpo di scena oggi nel Tribunale di Napoli, durante l’udienza, in Corte d’Assise, per l’omicidio dell’ingegnere Vittorio Materazzo, assassinato con diverse decine di coltellate davanti alla sua abitazione in via Maria Cristina di Savoia, a Napoli, la sera del 28 novembre del 2016. L’avvocato Francesco Longhini, difensore dell’imputato Luca Materazzo, fratello della vittima, accusato dell’omicidio, ha fatto richiesta di perizia psichiatrica sul suo cliente scatenandone l’ira. Luca Materazzo si e’ scagliato contro Longhini accusandolo di avere preso l’iniziativa senza prima condividerla con lui: “Non ti ho mai autorizzato – ha detto l’imputato – non puoi farlo”. Prima dell’udienza odierna Luca Materazzo ha revocato il mandato all’altro suo difensore, l’avvocato Matteo De Luca: “La richiesta – ha riferito De Luca all’Ansa – l’abbiamo concordata con l’avvocato Longhini in quanto riteniamo che Luca Materazzo abbia seri problemi di personalita’ che vanno approfonditi ricorrendo alla consulenza di uno psichiatra. Proprio su questo punto – ha spiegato ancora De Luca – e’ nato un forte contrasto con Luca, durante la pausa estiva, sfociato nella revoca del mio mandato. Ciononostante, con il collega, – ha concluso – abbiamo ritenuto che questa fosse la linea da seguire. Siamo convinti che la perizia possa fornire una spiegazione su questa vicenda cosi’ intricata”. Luca Materazzo, dall’inizio del processo, ha revocato il mandato a 5-6 avvocati. Oggi, nel corso dell’udienza, sono stati ascoltati alcuni testimoni tra cui Luigi De Tommaso, il proprietario del bar Gradini 12, di via Crispi, che ha confermato di avere visto Luca Materazzo, nel bagno del suo locale, mentre si lavava. Il tutto sarebbe accaduto dopo l’omicidio di Vittorio.
“La persona che ho visto nel mio bar e’ qui in aula. E’ lui”. Il teste si volta e indica Luca Materazzo, accusato di aver ucciso il fratello Vittorio la sera del 28 novembre 2016 con oltre 40 coltellate. L’uomo aveva gia’ raccontato agli inquirenti di averlo visto nudo, mentre tentava di pulirsi, nel bagno del suo bar a Napoli in via Crispi, nel quartiere di Chiaia, a poche centinaia di metri dal luogo del delitto. Una testimonianza importate nel corso di un processo davanti alla quarta Corte d’Assise partenopea. Il legale ritiene che Luca abbia seri problemi di personalita’ che vanno approfonditi con una consulenza psichiatrica; e a testimoniare tale circostanza ci sono una serie di mail che lo stesso Luca ha inviato al fratello Vittorio nelle quali riversava l’odio che covava nei suoi confronti. Sul punto, e’ stata anche ascoltata la sua ex fidanzata e ha spiegato che spesso Luca le raccontava di sentirsi spiato e seguito e accusava di questo Vittorio.

Cronache della Campania@2018

Il procuratore Lembo: ‘La politica a Cava aveva rapporti con i clan’. Ci sono 47 indagati

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La denuncia arriva nell’ultimo giorno da procuratore di Salerno. Corrado Lembo, illustrando i risultati dell’inchiesta che ha portato all’arresto di 14 persone a Cava dei Tirreni ha spiegato che all’interno dei tre gruppi criminali specializzati in usura, estorsione e spaccio, e sgominati nel corso di un’operazione interforze, c’erano persone “in allarmanti relazioni con appartenenti alle forze di polizia ed esponenti delle istituzioni locali, a dimostrazione della capacita’ di esercitare un controllo davvero molto penetrante sul territorio”. E tutto questo non in una zona ad alta densita’ criminale, Cava dei Tirreni. “Mi dispiace dover constatare – ha aggiunto Lembo – che anche un comune che un tempo era considerato immune da infiltrazioni criminali di tipo mafioso risulti contaminato anche per quanto riguarda i livelli d’infiltrazione istituzionale”. Undici le persone in carcere, tre ai domiciliari con le accuse di associazione a delinquere di stampo camorristico, associazione semplice, usura pluriaggravata, estorsione aggravata dal metodo mafioso, associazione finalizzata alla vendita e alla cessione di sostanze stupefacenti e detenzione illegale di armi da sparo. L’inchiesta – nella quale sono coinvolte complessivamente 47 persone – ha permesso di accertare l’esistenza di tre gruppi operanti sul territorio. Tra gli indagati non raggiunti da misure cautelari inoltre nove rispondono di false dichiarazioni al pm e altre sette di favoreggiamento personale. “Questa resistenza a collaborare con lo Stato – ha aggiunto Lembo – ci preoccupa. Perche’ quanto piu’ forte e’ la resistenza, piu’ debole e meno efficace e’ la nostra azione”. Il provvedimento, eseguito stamane insieme a 52 perquisizioni domiciliari, costituisce il completamento di un’indagine iniziata nel novembre 2015, nell’ambito della quale erano state gia’ emesse misure cautelari. I successivi accertamenti e il contributo di un collaboratore di giustizia, hanno permesso di accertare l’esistenza dei tre gruppi criminali. Al primo, composto da undici persone, vengono contestati 17 episodi di estorsione e 5 di usura con tassi oscillanti fino al 25% (dai 1500 ai 2000 euro mensili). Secondo la Procura, inoltre, il sodalizio avrebbe gestito anche l’attivita’ di raccolta delle inserzioni pubblicitarie presso lo stadio Lamberti per conto della Cavese Calcio. Ad alcuni dei componenti viene poi contestato anche il procacciamento di generi alimentari senza corrispondere alcun corrispettivo. Al secondo gruppo, invece, vengono addebitati 8 episodi di usura e uno di riciclaggio. Il terzo gruppo, composto da undici persone, aveva la finalita’ di gestire una vasta piazza di spaccio.

Cronache della Campania@2018

Il legale di Cosentino: ‘Non condivido la sentenza della Cassazione’

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“Prendo atto della sentenza della Corte di Cassazione, ma non la condivido. Ribadisco che nel caso concreto contestato a Nicola Cosentino non c’era assolutamente la corruzione”. Cosi’ l’avvocato Agostino De Caro, legale insieme a Stefano Montone dell’ex sottosegretario all’Economia, commenta la decisione della Suprema Corte di confermare i quattro anni di carcere disposti in primo grado e in appello a carico di Cosentino in relazione alla corruzione di un agente della penitenziaria in servizio al carcere napoletano di Secondigliano. Dal processo e’ emerso che l’ex coordinatore campano di Forza Italia, quando era ristretto nell’istituto partenopeo, avrebbe corrotto un agente ottenendo in cambio l’introduzione in carcere di beni come generi alimentari, vestiti e un ipod, il cui ingresso non era consentito. L’ex politico di Casal di Principe, attualmente in liberta’, non dovrebbe comunque finire in carcere, in quanto ha gia’ scontato parte delle pena in regime di carcerazione preventiva.

Cronache della Campania@2018

Camorra a Cava de Tirreni: perquisito e indagato per intralcio alla giustizia Eziolino Capuano

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C’è anche Eziolino Capuano tra gli indagati dell’inchiesta della Dda di Salerno che stamane ha sgominato i tre clan che avevano messo sotto scacco l’intera città di Cava de Tirreni compresa la politica e la squadrea di calcio. Il fantasioso allenatore di calcio salernitano è accusato di  intralcio alla giustzia perhè non ha raccontato quello che sapeva rispetto ad alcuni degli indagati durante le indagini. Stamane gli  investigatori dopo averlo cercato inutilmente nei suoi ultimi domicili lo hanno trovato insieme con la sua famiglia a Pescocostanza in provincia di Potenza. Era a casa della madre. Gli investigatori hanno effettuato una perquiszione in cerca di elementi utili alle indagini. Complessivamente le perquisizioni nelle dimore di altrettanti indagati sono state 38 che sommati ai 14 arrestati (11 in carcere e 3 ai domiciliari) porta a 52 gli indagati dell’inchiesta.

I reati contestati a vario titolo sono di associazione a delinquere di stampo mafioso, usura, estorsione aggravata, detenzione illegale di armi, detenzione ai fini di spaccio di droga, associazione a delinquere. Nel mirino degli inquirenti tre gruppi di criminalita’ organizzata che operano nel territorio di Cava dei Tirreni. L’indagine ha mostrato, tra l’altro, che il gruppo di Dante Zullo, occupandosi di usura e attivita’ finanziarie abusive, ha acquisito in questo modo il controllo di molte attivita’ economiche del territorio; persino la raccolta di pubblicita’ per lo stadio ‘Simonetta Lamberti’ in cui gioca la Cavese e’ legata al boss. In un fondo in via D’Amico, poi, sempre la stessa cosca, aveva prima creato una pista per cavalli, poi realizzato nel 2007 un edificio abusivo e negli anni aveva trasformato questo nella residenza del figlio del capoclan. Dante Zullo e la moglie facevano la spesa senza pagare e tenevano le auto parcheggiate in un deposito non loro. Il secondo gruppo camorristico fa capo a Domenico Caputano, con 5 persone, si occupa di usura ed estorioni, mentre un terzo, sempre con Caputano elemento di vertice e 11 persone, gestisce una piazza di spaccio cavese. In diversi episodi, la forza intimidatrice dei clan ha costretto vittime a rilasciare false dichiarazioni e le indagini hanno mostrato anche legami tra appartenenti ai sodalizi e appartenenti alle forze dell’ordine. All’inchiesta hanno collaborato anche pentiti. In particolare Giovanni Cozzolino ex genero di Dante Zullo. un collaboratore “di famiglia” dunque che è stato in grado di svelare tutti i segreti del clan. Nelle 600 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Alfonso Scermino viene raccontata la storia della camorra cavese degli ultimi anni. Il procedimento restrittivo chiesto dal pm  Vincenzo Senatore ha riguardato in rpimo luogo il boss Dante Zullo e il figlio Vincenzo già in carcere dallo scorso anno. E poi la figlia Geraldine di 30 anni considerata non solo l’anello di congiunzione tra il padre in carcere e gli associati ma una vera capo che dava gli ordini e chiedeva il rispetto dagli associati. Con lei in carcere sono finiti anche Carlo Lamberti di 37 anni, Antonio Santoriello di 53 anni, Vinvenzo Porpora di 48 anni, Carmela Lamberti di 61 anni, Antonio Di Marino di 27 anni, Antonio Benvenuto di 52, Ciro Fattaruso di 35 anni e Domennico Caputano di 36. Ai domiciliari invece sono finiti Mario Caputano di  65 anni, Sabato Sorrentino di di 55 anni e Paolo Sorrentino di 22 anni.

Rosaria Federico

@riproduzione riservata

Cronache della Campania@2018

Importava droga dalla Spagna nei camion dell’insalata: 10 anni di carcere al narcos Liberato Spera

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Arriva la condanna per Liberato Spera, 54enne che durante l’indagine controllava gli affari del figlio Francesco, detenuto in Francia. L’organizzazione criminale che aveva la base operativa tra Castellammare di Stabia e Pompei importava droga dalla Spagna e dall’ Olanda e riforniva diverse piazze di spaccio del Napoletano e del Salernitano. L’organizzazione dedita alla vendita di droga era nata in un’azienda di trasporti di Santa Maria la Carità. I primi carichi di “insalata” erano andati a buon fine, poi il sequestro di una tonnellata di hashish a Civitavecchia e l’arresto di due trasportatori tra cui Vincenzo Sicignano che ha collaborato con gli investigatori. La condanna in primo grado emessa dal tribunale di Torre Annunziata a 10 anni di carcere. Assolto invece l’autotrasportatore Gaetano Panariello, il 56enne difeso da Gennaro Somma è stato assolto per insufficienza di prove.

Cronache della Campania@2018

Camorra a Cava, il pentito racconta: ‘Di Marino voleva uccidere Caputano’. I NOMI DI TUTTI GLI INDAGATI

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E’ stata una gola profonda che proveniva dall’interno del clan a svelare agli investigatori tutti i segreti del clan del boss Dante Zullo di Cava de Tirreni. Grazie alle sue dichiarazioni ieri la Dda di salerno ha portato atremine un importante operazione che si è conclusa con 14 arresti e 54 persone indagate tra cui il noto allenatore di calcio di Salerno, Eziolino capuano. il pentito si chiama Giovanni Sorrentino, ex imprenditore del settore auto e soprattutto ex genero di Dante Zullo. L’imprenditore dopo la rottura della relazione con la figlia del boss era diventato una delle vittime di estorsione da parte del clan e costretto a intestarsi beni e a custodire droga. Per questi episodi fu arrestato lo scorso anno ed è stato condannato a tre anni e sei mesi di reclusione, al termine del rito abbreviato celebrato davanti al Gup del tribunale di Nocera Inferiore. Ora Sorrentino ha deciso di pentirsi. tra i suoi racconti figura anche l’episodio in cui Antonio Di Marino, uno degli arrestati di ieri e  a capo di uno dei tre gruppi camorristici che controllavano Cava de Tirreni, aveva deciso di uccidere il rivale Mario Caputano.

Era il mese di febbraio/ marzo 2015 quando si verificò un agguato ai danni di Caputano. In quell’occasione, infatti, al mercato coperto di via Gio­vanni XXIII, verso le 23.30 circa, Di Marino e Marciano si posizionarono alle estremità opposte della strada per attendere l’arrivo di Caputano in auto. Un unico obiettivo, il loro, spa­rargli contro in quanto entrambi erano armati di pistola. Un agguato che non si è poi verificato, come riporta Cronache del Salernitano, perchè Ca­putano accortosi della loro presenza ha fatto retromarcia. Un episodio ve­rificatosi dopo la rottura tra Capu­tano e Di Marino, portando però ad una scissione nel gruppo perchè Di Marino fu seguito da Marciano e Pa­store mentre Caputano mantenne al suo fianco il restante gruppo. Al­l’epoca dell’agguato, il collaboratore di giustizia aveva una relazione con Geraldine Zullo, ragion per cui tanto Di Marino quanto Marciano lo mette­vano al corrente di tutte le loro atti­vità poiché entrambi vicino a Gerardine ed a suo padre Dante, con un legame che è andato avanti nel corso degli anni. Il “pentito” racconta poi della guerra tra clan per dividersi le piazza della droga perchè sia Di Ma­rino e Caputano si facevano la “guerra” pur di guadagnarsi il con­trollo del territorio pur essendo, en­trambi, sotto gli ordini di Dante Zullo che nulla ha fatto per tentare di farli riappacificare. Solo con l’arresto di Dante, l’equilibrio tra Caputano e Di Martino si rompe definitivamente.

Undici in carcere e tre ai do­miciliari per ipotesi di reato che vanno dall’associazione a delinquere di stampo camorri­stico all’associazione semplice, dall’usura pluriaggravata al­l’estorsione aggravata dal me­todo mafioso, all’associazione finalizzata alla vendita e ces­sione di sostanze stupefacenti e detenzione illegale di armi da sparo. A rispondere di 416 bis sono Dante Zullo, Vincenzo Zullo e Geraldine Zullo; Carlo Lamberti, Antonio Santoriello, Vincenzo Porpora, Carmela Lamberti ed Antonio Di Ma­rino; a rispondere di estor­sione ed usura aggravati dal metodo mafioso sono Dome­nico Caputano, Ciro Fattoruso, Paolo Sorrentino, ma anche Carlo Lamberti, Dante Zullo, Vincenzo Porpora, Antonio Di Marino e Geraldine Zullo men­tre Mario Caputano e Sabato Sorrentino (entrambi agli ar­resti domiciliari) solo di usura aggravata. Reato contestato anche a Carmela Lamberti in­sieme all’associazione di stampo camorristico. Poi c’era anche chi si occupava dell’as­sociazione finalizzata al traf­fico e spaccio di droga: Paolo Sorrentino (ai domiciliari), Antonio Benvenuto, Ciro Fat­toruso e lo stesso Domenico Caputano. Gli indagati invece sono Laila Kabil, Simone Tura De Marco, Rosaria Ferrara, Anto­nio Santoriello, Eduardo Antonelli, Marco Augusto, Ezio Capuano, Vincenzo Coppola, Gennaro Petrolini, Michele Saisano, Vincenzo Bisogno, Paolo Sorrentino, Giovanni Adinolfi, Antonio Benvenuto, Massimo Avagliano, Paolo De Rosa, Carmine Medolla, Mario Caputano, Debora Abbamonte, Sabato Sorrentino, Massimo Rispoli, Luigi Gior­dano, Biagio Trapanese, Espedito Faiella, Pasquale Esposito, Alessandro Senape, Paolo Ci­vetta, Rita Caputano, Terenzio Giordano, Luca Forte, Matteo Forte, Matteo Borsa, Alberto D’Amico, Benito D’Amico, Giu­seppe D’Amico, Gianpaolo Liuni, Gianluca Masullo.

Cronache della Campania@2018


Camorra a Cava, la figlia del boss portava gli ordini dal carcere agli affiliati e minacciava le vittime

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Un clan vero e proprio con un capo carismatico Dante Zullo, ‘o cavallaro, e dei luogotenenti ma anche emissari per portare gli ordini fuori dal carcere. L’inchiesta che ha portato ieri all’emissione di un’ordinanza nei confronti di 14 indagati per associazione per delinquere di stampo camorristico, usura, estorsione e spaccio di stupefacenti ha svelato i meccanismi della cosca, capeggiata da Dante Zullo. Ognuno dei componenti del clan aveva i suoi compiti e quelli più delicati erano affidati agli uomini o alle donne più fidate. Un ruolo di primo piano, nel corso dell’attività investigativa, ha assunto Geraldine Zullo, 30 anni, figlia del capo clan, finita in carcere a Santa Maria Capua Vetere. Geraldine era l’elemento di congiunzione tra Dante e Vincenzo Zullo, il padre e il fratello detenuti, con i sodali esterni. Era lei a prendere gli ordini e a recapitarli, assumendo spesso anche atteggiamenti molto decisi nei confronti di chi aveva l’ardire di dissentire. Ma non solo. A lei era affidato il compito di riscuotere interessi e capitali dell’usura, facendo leva sul nome che porta e sul suo carattere molto deciso.
A delineare il ruolo di Geraldine Zullo, oltre alle attività di indagine di carabinieri, polizia e Dia, anche le rivelazioni di Giovanni Sorrentino, il pregiudicato cavese che da gennaio scorso è diventato collaboratore di giustizia, per un periodo legato sentimentalmente alla figlia di Dantuccio Zullo ‘o cavallaro. Sorrentino che conosce bene i meccanismi del clan familiare, costretto ad allontanarsi per paura di ritorsioni, racconta fatti e misfatti dall’interno della cosca. Il collaboratore ha svelato legami e interessi dei Zullo essendo stato anche il prestanome del suocero tanto che risultava intestatario di una Mercedes C, di una Porsche Cayenne, di un ga­rage nel cuore di Cava, di contratti assicurativi, telepass e cavalli da corsa, questi ultimi la vera passione di Zullo.
Geraldine Zullo della quale gli inquirenti hanno documentato e intercettato i colloqui in carcere con i familiari è una pedina importante nello scacchiere del clan, l’unica della quale si fidava ciecamente Dantuccio che pure aveva avuto contrasti con l’altro figlio, Vincenzo, per lo spaccio di stupefacenti nella zona di Santa Lucia, gestito dalla sorella Lucia (nella foto), poi arrestata a giugno scorso nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Dia. La determinazione di Geraldine Zullo, il carattere forte, secondo gli inquirenti ha permesso a Dante Zullo di continuare a gestire i suoi affari, nonostante fosse detenuto.

 Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Processo ‘carburanti’: assolti Nicola Cosentino e i i fratelli

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La Corte d’Appello di Napoli ha assolto l’ex sottosegretario all’Economia del Pdl, Nicola Cosentino, i fratelli Giovanni e Antonio, e gli altri imputati del processo cosiddetto “Carburanti”, relativo a fatti concernenti l’azienda di famiglia dei Cosentino, l’Aversana Petroli. Le accuse erano a vario titolo di estorsione e illecita concorrenza con l’aggravante mafiosa. In primo grado l’ex politico di Casal di Principe era stato condannato a 7 anni e sei mesi di carcere, mentre ai fratelli Giovanni e Antonio erano state inflitte rispettivamente condanne a 9 anni e mezzo e 5 anni e 4 mesi. Sono stati assolti inoltre il funzionario della Regione Campania Luigi Letizia (condannato in primo grado a cinque anni e quattro mesi), i dipendenti della Q8 Bruno Sorrentino e Giovanni Adamiano (entrambi condannati a tre anni e sei mesi), e l’imprenditore ritenuto vicino al clan Zagaria Michele Patrizio Sagliocchi (sette anni in primo grado).  Nel precedente grado, il tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva gia’ dichiarato prescritto il reato per l’ex prefetto di Caserta ed ex deputato Pdl, Maria Elena Stasi, assolvendo inoltre gli ex dipendenti dell’Ufficio tecnico del Comune di Casal di Principe Vincenzo Schiavone, Giacomo Letizia e Vincenzo Falconetti. Proprio ieri Nicola Cosentino aveva subito la prima condanna definitiva, ovvero i quattro anni di carcere decisi dalla Cassazione per la corruzione di un agente della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Secondigliano. Il processo “Carburanti” riguardava l’Aversana Petroli, fondata dal padre dell’ex politico, che secondo la Dda di Napoli sarebbe stata avvantaggiata illecitamente ai danni della societa’ di un altro imprenditore, Luigi Gallo, che ha reso dichiarazioni accusatorie contro i Cosentino, cosi’ come l’ex sindaco di Villa di Briano Raffaele Zippo; per entrambi la Corte d’Appello ha disposto l’invio degli atti alla Procura per valutare la sussistenza del reato di falsa testimonianza. Tra gli episodi contestati le pressioni fatte dai Cosentino perche’ il Comune di Villa di Briano negasse l’autorizzazione – cosa effettivamente avvenuta – alla richiesta di apertura di una pompa di benzina avanzata da Gallo; ma anche i legami con la prefettura di Caserta, che secondo la Procura Antimafia, nel 2006, quando era retta dalla Stasi, cancello’ l’interdittiva antimafia a carico dell’azienda dei Cosentino nonostante il provvedimento fosse stato confermato da una sentenza del Consiglio di Stato. La Stasi divenne poi parlamentare nel partito di Cosentino.

Cronache della Campania@2018

Processo carburanti: la corte Appello invia gli atti in Procura su due falsi testimoni

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La Corte d’Appello di Napoli che questa mattina ha assolto l’ex sottosegretario Nicola Cosentino e i suoi fratelli, ha inviato gli atti in Procura per valutare l’ipotesi di falsa testimonianza dei due testimoni chiave dell’inchiesta. Il processo cosidetto dei ‘carburanti’ riguardava l’Aversana Petroli che secondo la Dda di Napoli sarebbe stata avvantaggiata illecitamente ai danni della societa’ di un altro imprenditore, Luigi Gallo, che ha reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di Cosentino, cosi’ come Raffaele Zippo, ex sindaco di Villa di Briano. Per entrambi i giudici di secondo grado hanno disposto che i pm valutino la sussistenza del reato di falsa testimonianza. Tutto ha origine nel 2011 e le indagini hanno consentito di ricostruire l’attivita’ di gestione di impianti di distribuzione carburanti svolta dalle societa’ ‘Aversana Petroli’, ‘Aversana Gas’ e ‘lP Service’, aziende ricinducibilo o nella titolarita’ di Antonio, Giovanni e Nicola Cosentino. Gli indagati, secondo l’accusa, si assicuravano il rapido rilascio di permessi e licenze per la costruzione degli impianti, anche in presenza di cause ostative. “Noi sapevamo che Nicola Cosentino sarebbe stato assolto, ma c’e’ grande amarezza per la condanna di ieri a quattro anni per corruzione di un poliziotto nel carcere di Secondigliano”. Lo dicono Agostino De Caro e Stefano Montone, i due legali dell’ex sottosegretario Nicola Cosentino. “Questo presunto reato sarebbe avvenuta mentre Cosentino era in custodia cautelare proprio per l’inchiesta dei carburanti, in cui e’ stato assolto – spiegano – per questo proviamo grande amarezza. Sapevamo di riuscire ad ottenere l’assoluzione in questo processo”. Cosentino ha subito cinque condanne in due anni, la piu’ grave per concorso esterno in associazione mafiosa a 9 anni e l’ultima sei mesi fa a 10 mesi per il processo legato all’inchiesta su una associazione segreta, la P3, per diffamazione nei confronti di Stefano Caldoro, ex presidente della Regione Campania.

Cronache della Campania@2018

Sparò ai parenti, la Cassazione annulla la sentenza per concedere altri benefici a De Blasio

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Montesarchio. Sparò ai parenti e fu condannato a tre anni di reclusione: la cassazione annulla con rinvio la sentenza nei confronti di Giuseppe Blasio, 34 anni, che due anni fa fu arrestato per tentato omicidio e spari in luogo pubblico. Su istanza del suo difensore, l’avvocato Dario Vannetiello, la Suprema Corte di Cassazione ha disposto che venga rideterminata la pena e venga ridotta. Il 27 gennaio 2016 Giuseppe De Blasio, sparando all’impazzata con una pistola a tamburo, colpì prima lo zio di striscio alla gamba,
poi il cugino con quattro di pistola alla pancia.
Ad essere attinti dai colpi di pistola furono l’omonimo Giuseppe De Blasio, 64 anni eMatteo De Blasio, il cugino. A scatenare l’ira dello sparatore una precedente lite suo padre e lo zio poi attinto. Immediata la adozione della custodia cautelare in carcere prima e degli arresti domiciliari poi, misure restrittive, durate un anno e nove mesi, imposte nei confronti di colui che, solo per circostanze fortuite ed errori di mira, non si rese protagonista di un duplice omicidio ai danni di stretti parenti, aggravato pure da futili motivi. Instaurato il giudizio abbreviato, il processo si concluse a novembre del 2016 innanzi al Gup presso il Tribunale di Benevento – dott. R. Melone – con la condanna dell’imputato alla mite pena di anni quattro, ulteriormente ridotta a giugno del 2017 dalla Corte di appello di Napoli – V sezione penale – alla sola pena totale di anni tre di reclusione, condanna questa che comprendeva sia il delitto di tentato omicidio che quello di porto in luogo pubblico di un’arma da fuoco.
Ma la più grande sorpresa è arrivata all’esito del giudizio di cassazione. In accoglimento delle tesi formulate dall’ avvocato Dario Vannetiello del Foro di Napoli, I la prima sezione penale della Suprema Corte, pur a fronte della richiesta del Procuratore Generale di dichiarare inammissibile il ricorso proposto, ha annullato la sentenza disponendo un nuovo giudizio innanzi a diversa sezione della corte d’appello di Napoli, con l’effetto di evitare l’arresto.

Cronache della Campania@2018

Cava, minacce stile Gomorra per Sorrentino che svelò i legami di Zullo con politici e camorristi

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Minacce in stile Gomorra per il pentito che stava facendo tremare il clan Zullo-Caputano. Il pentimento di Giovanni Sorrentino, commerciante e ex genero di Dante Zullo ‘o cavallaro, ha minato le fondamenta della cosca cavese dedita all’usura, alle estorsioni e allo spaccio di stupefacenti. L’ex fidanzato di Geraldine Zullo, la spietata lady camorra della famiglia, arrestato nel 2017 decide di diventare un collaboratore di giustizia. E quando la sua scelta diventa ormai pubblica arrivano le ritorsioni e le minacce come quella fatta da Rita Caputano, sorella di Domenico, arrestato nel blitz dell’altro giorno ad una parente di Giovanni Sorrentino. L’obiettivo e far sì che Sorrentino receda o quanto meno non inguai i componenti del gruppo criminale. E allora Rita Caputano, incrociando, quella che all’epoca era la fidanzata del fratello del pentito le chiede: “Ma Giovanni si rende conto in che guaio ha trascinato la famiglia”. “Che ci vuole che una macchina si avvicini alla madre che spesso passeggia da sola con il cane?”. E poi in un’altra occasione, alla fine di novembre del 2017, aggiunge: “Allora tu fai come si fa a Napoli quando si vogliono dissociare, si attaccano i manifesti di morto”. E allo stupore della ragazza aveva aggiunto: “Ma come non hai mai visto Gomorra?”. Per gli inquirenti che hanno seguito per circa tre anni le evoluzioni del clan Zullo, le minacce rivolte dalla sorella di uno degli uomini più fidati di Dante Zullo, non possono non essere esplicitamente e volte a costringere i familiari di Sorrentino a troncare le relazioni con l’infedele. Quelle minacce e lo stato di paura avevano spinto, ulteriormente, Giovanni Sorrentino – commerciante di auto e ex fidanzato di Geraldine – a continuare nella strada di collaborazione intrapresa dopo il suo arresto. Ed è proprio Sorrentino a fornire dettagliate e riscontrate prove dell’attività della famiglia Zullo e dei suoi sodali, ma anche dei legami di Dantuccio, ex esponente del clan Bisogno, camorrista della vecchia guardia della Nuova Famiglia, con altri clan della provincia di Napoli come i Nuvoletta di Marano. E non solo.
Sorrentino ha anche fatto emergere il ruolo di insospettabili commercianti e imprenditori cavesi alcuni dei quali costretti a rivolgersi a Dante Zullo e a Domenico Caputano per ottenere dei prestiti usurai. La gran parte delle vittime sono diventate indagate perché – pur in presenza di prove e di intercettazioni inequivocabili hanno negato di essere finite nella morsa usuraia dei Zullo e dei Caputano. Numerosissimi i commercianti costretti ad ‘inchinarsi’ al cospetto di Dante Zullo, figura carismatica e capo indiscusso del clan. Visto come il camorrista della città, a lui andavano in regalo generi alimentari e di consumo: pesce, frutta, consumazioni in bar e ristoranti venivano recapitati a casa del boss o presi direttamente in negozio senza pagare. A raccontarlo è Giovanni Sorrentino, per un lungo periodo genero di Dantuccio e quindi ammesso alla sua corte oltre che utilizzato come prestanome per l’intestazione fittizia di auto e mezzi.

Ma Sorrentino non racconta solo dei legami criminali della famiglia, della spietatezza della sua ex fidanzata, del padre di lei e del fratello Vincenzo. il pentito racconta anche dei legami ‘istituzionali’ che Dante Zullo aveva con esponenti politici e in particolare con Enrico Polichetti, ex consigliere comunale poi divenuto assessore e infine vicesindaco nell’amministrazione del sindaco Servalli. Sorrentino spiega: “In particolare, in occasione delle ultime elezioni comunali del 2015, Santoriello Antonio (Alias ‘o cicatiello, nipote acquisito di Dante Zullo, autista e esattore per conto dello zio, ndr) e Dante Zullo sono stati molto attivi sul territorio per sostenere la candidatura di Enrico Polichetti, poi divenuto assessore. Polichetti, a sua volta, è stato un frequentatore abituale direi giornaliero, della scuderia, dove si intratteneva a parlare con Dante che ricordo chiamava ”o zio” oppure “zi dante”. Mi riservo di fornire ulteriori indicazioni nel paragrafo dedicato specificamente ai rapporti tra Polichetti, Zullo e Santoriello”.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Camorra, una nuova perizia per il boss finto pazzo: Gallo rischia di essere scarcerato

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Boscotrecase. Forse sarà necessaria una nuova perizia medico legale per stabilire se il boss Giuseppe Gallo, narco trafficante internazionale, detto o’ pazzo, è capace di intendere e di volere. E per questo che i giudici del Tribunale di Torre Annunziata (pre­sidente di collegio Maria Laura Ciollaro)hanno deciso di rinviare la requisitoria del pm Sergio Ferrigno, in attesa di stabilire se sia necessaria una nuo­va, ulteriore, perizia psichiatrica sul boss finto pazzo. Il colpo di scena è arrivato ieri nel corso del processo che lo vede imputato per truffa all’Inps. Gallo infatti ha incassati un assegno di invalidità mentale di 747 euro al mese dal 2004 al 2009. A inizio proces­so, due anni fa, il dottor Vincenzo Rio, perito del tribunale, scrisse una prima pagina giudiziaria sul tema, dando il via al processo: “Ho visi­tato Giuseppe Gallo nella sua cella di Ascoli Piceno a novembre di 5 anni fa e non soffriva del disturbo che l’aveva portato al riconosci­mento del 100% di invalidità civi­le dell’accompagnamento. La sua patologia esiste, ma è intorno al 35%. Quindi può stare sotto pro­cesso e non deve incassare la pen­sione. Schizofrenico? No, però Gal­lo ha disturbi di personalità evi­denti”.  ma ieri il suo avvocato, Ferdinando Striano, ha prodotto una sentenza di assoluzione del Tribunale di Parma che lo ha ritenuto non in grado di intendere e di vo­lere nel processo per il danneggiamento della cella del carcere di Parma dove Gallo è detenuto in regime di 41bis. Ora bisognerà attendere le decisioni dei giudici del Tribunale di Torre Annunziata. In caso di accoglimento e di assoluzione per il boss Peppe o’ pazzo potrebbero anche aprirsi le porte del carcere.

 

Cronache della Campania@2018

La banda della finta banca di Salerno chiede di patteggiare la pena

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Hanno chiesto di patteggiare la pena due degli undici indagati (in cinque finirono ai domiciliari) dell’inchiesta che nel marzo scorso fece scoprire una clamorosa truffa ai danni di decine di ignari risparmiatori che si rivolegvano a una finta banca con  una prestigiosa sede, al confine tra Salerno e Pontecagnano. Si tratta di Domenico Pepe, 31 anni di Nocera Inferiore e Giuseppe Strazzullo, 44 anni, napoletano. L’udienza è stata rinviata al 24 settembre quando, davanti al collegio difensivo  sarà definita anche la posizione degli altri imputati.
L’indagine partì dalla denuncia di alcuni imprenditori vittime del raggiro che avrebbe fruttato più di un milione di euro alla banda.

Cronache della Campania@2018


Camorra, scarcerati i fratelli Simeoli, figli del ras Antonio

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Sono stati scarcerati i fratelli Luigi e Benedetto Simeoli, imprenditori edili legati al clan Polverino. I due ras del mattone di Marano, figli di Antonio (detenuto in regime di 41 bis), hanno ottenuto gli arresti domiciliari.Erano stati condannati in primo grado rispettivamente a 14 e 13 anni di carcere, poi ridotti in appello a 8 anni e 4 mesi, di cui cinque già scontati. Il tribunale di sorveglianza ha accolto la richiesta presentata dai loro legali. Ai due restano da scontare poco più di un anno di arresti in casa. Luigi e Benedetto Simeoli furono arrestati nell’ottobre del 2013, come ricorda Il Mattino, nel corso di un blitz durante il quale fu acciuffato anche Antonio Simeoli, fondatore della Sime costruzioni e amministratore di fatto di numerose cooperative edilizie, molti delle quali confiscate dallo Stato.

Cronache della Campania@2018

Benevento, omicidio del pedofilo: il gip invalida la perizia sui reperti

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Benevento. Omicidio Matarazzo: il Gip invalida la perizia della procura sui reperti ritrovati sul luogo del delitto e accoglie la richiesta di incidente probatorio per l’unico indagato: Lucio Iorillo, il 58enne padre della 15enne violentata da Giuseppe Matarazzo, l’ex pastore di 45 anni di Frasso Telesino, ucciso dopo essere uscito dal carcere. Gli esami irripetibili disposti dalla procura sono stati annullati dal gip del tribunale di Benevento. Gli stessi esami si svolgeranno quindi con una modalità diversa. Non sarà una perizia della procura a valutare le prove raccolte nei confronti di Iorillo, ma l’incidente probatorio che sarà portato poi in giudizio. E’ stata una scelta della difesa di Lucio Iorillo, il 58enne padre della 15enne che fu trovata impiccata a un albero vicino casa sua il 6 gennaio 2008. Le indagini su quel suicidio portarono a scoprire che Giuseppe Matarazzo, all’epoca 35enne, aveva avuto una relazione con l’adolescente e per questo fu processato e condannato a 11 anni di reclusione per violenza sessuale su minore. Matarazzo aveva finito di scontare quella condanna nel giugno scorso, e il 19 luglio poco dopo le 20 un suv si trovò nei pressi della sua abitazione. Due uomini a bordo chiesero a Matarazzo, che era in compagnia della madre, di avvicinarsi per chiedere alcune informazioni. La madre del pastore rientrò in casa, il 45enne fu ucciso a bruciapelo con 5 colpi di pistola, esplosi dall’auto che poi si dileguò tra le contrade di Frasso Telesino. Le indagini svolte dai carabinieri del comando provinciale di Benevento sono state sempre indirizzate sulla famiglia della 15enne morta dieci anni fa. Il padre, Lucio Iorillo nelle scorse settimane è stato anche arrestato per detenzione illegale di armi. Avrebbe però un alibi forte; insieme alla moglie, la sera del 19 luglio scorso, sarebbe rimasto fino a tardi a casa di amici a Sant’Agata de’ Goti. L’incidente probatorio disposto dal gip Flavio Cusani comincerà il 9 ottobre prossimo, quando sarà affidato l’incarico ai carabinieri del Racis di Roma, che dovranno esaminare le tracce biologiche rinvenute su due cicche di sigaretta, su un sasso e su un rametto di legno trovati sul luogo del delitto. Iorillo potrà nominare un perito di parte che assista agli esami.

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Castellammare, rapina con sparatoria al viale Europa: chiesti 50 anni di carcere per i banditi napoletani

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Castellammare. Mezzo secolo di carcere per i cinque componenti della banda di rapinatori napoletani che la mattina del 12 maggio scorso portarono a termine una spettacolare rapina ai danni del portavalori del Banco di Napoli al viale Europa. Sono queste le richieste di condanna del pm del Tribunale di Torre Annunziata nei confronti dei cinque accusati di di tentato omicidio, rapina aggravata in concorso, lesioni personali gravissime, porto e detenzione illegale di armi, ricettazione. Le richieste sono di 6 anni per Marco Angieri, 35enne; 12 anni ciascuno per Angelo Langione, 53enne (di Cercola); e Luigi Nemolato, di 36enne (di Ponticelli); 10 anni ciascuno per Carlo Pisani, 24enne (di Barra); e Francesco Ricci, 40enne (di Cercola). I cinque erano arrivati a bordo di due a Castellammare ed erano stai ripresi più volte, come ha evidenziato l’inchiesta che ha portato al loro arresto nel dicembre scorso, dalle telecamere di video sorveglianza cittadina. Poco dopo le sette di mattina ingaggiarono anche un violento conflitto a fuoco con i vigilante e con una guardia giurata in servizio all’ospedale San Leonardo che si trova di fronte alla banca e che aveva cercato di dare un aiuto ai colleghi. I cinque riuscirono a portare via alcuni sacchi contenenti 300mila euro. Una delle auto utilizzata per la rapina fu trovata dai carabinieri nella stessa mattinata nella zona di Ponticelli. da li partirono le indagini che ha portato agli arresti e al processo.

 

Cronache della Campania@2018

Duplice omicidio di Saviano, il killer chiede perdono: “Ho sbagliato”

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“Sono stato io, ho ucciso quei due ragazzi e se potessi tornare indietro nel tempo darei anche la mia vita per non fare cio’ che ho fatto. Ho sbagliato e chiedo perdono. Voglio pagare la mia pena ma non per tutto il resto della mia vita”. Sono state queste le dichiarazioni a sorpresa di Nicola Zucaro, 33 anni, di Casalnuovo, accusato di aver ucciso il 15 febbraio del 2016, con 13 colpi di pistola Francesco Tafuro e Domenico Liguori, gestori di un centro scommesse a Somma Vesuviana in provincia di Napoli, giustiziati come camorristi, in via Olivella a Saviano, per un debito di gioco contratto da un boss della zona che non voleva pagare. E’ sotto processo infatti il ras Eugenio D’Atri, colui il quale aveva scommesso 24mila euro e non aveva intenzione di pagare. La svolta nelle indagini e’ arrivata con il racconto di uno del gruppo, Domenico Altieri, poi pentitosi. In primo grado Zucaro è stato condannato all’ergastolo nel processo che si è celebrato con il rito abbreviato  invece é stato condannato a 12 anni di carcere Domenico Altieri, alias “Mimm ’o gemell”, colui che aiutò il killer Zucaro a compiere la missione di morte ordinata dal ras Eugenio d’Atri, 33 anni di Somma Vesuviana, ritenuto vicino al clan Cuccaro. Altieri che era l’uomo di fiducia del ras D’Atri ha ottenuto lo sconto di pena in quanto nel frattempo è diventato pentito e grazie al suo racconto è stato ricostruito il duplice omicidio nei dettagli.

I due ragazzi che gestivano un centro scommesse a Somma Vesuviana, avrebbero avuto la sfortuna di incontrare sulla loro strada il pregiudicato di Ponticelli. Eugenio D’Atri, abitava infatti proprio nel parco adiacente al centro scommesse nel quale si recava per effettuare grosse scommesse, spesso a credito, facendo leva sulla sua personalità criminale. L’uomo avrebbe così contratto con l’agenzia gestita dai due ragazzi un debito di gioco di circa 25mila euro. Le due vittime avrebbero inoltre pagato con la vita il fatto di aver preteso da D’Atri la restituzione di quel denaro, giusto per rendere chiaro il concetto di come stavano le cose. Francesco e Domenico, quella sera, si erano accorti che qualcosa non andava ed avevano telefonato ad un amico imprenditore per avvertirlo della presenza di un’ auto sospetta che li seguiva.Furono raggiunto in via Olivella, la strada di campagna di Saviano dove furono raggiunti dai killer e massaccrati.

In un video i carabinieri di Castello di Cisterna hanno ricostruito il duplice omicidio di Francesco Tafuro e Domenico Liguori, titolari di un centro scommesse di Somma Vesuviana uccisi il 10 febbraio scorso in una stradina di campagna di Saviano. Nel video preparato dai carabinieri c’è la ricostruzione dei fatti da parte dei carabinieri. Si vede Altieri che con uno scooter va a Somma Vesuviana presso l’agenzia Intralot delle due vittime, parla con Tafuro e fissa l’appuntamento con D’Atri e Zucaro. Attraverso immagini reperite dai Carabinieri della Compagnia di Nola durante le indagini, la chiara ricostruzione della scena particolare del crimine fino all’epicentro -il luogo del crimine- e poi il bagliore degli spari. Lungo il tragitto Altieri in sella dello scooter fa da battistrada all’auto delle vittime. Al passaggio da un incrocio, si nota l’auto dei due presunti killer, D’Atri e Zucaro, accodarsi. In una stradina buia di campagna arrivano le due auto e lo scooter.  Grazie alla telecamera di un sistema di videosorveglianza posizionata nei paraggi, appena le auto spengono i fari, si vede chiaramente il bagliore degli spari. 

 

 

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Castellammare, rapina con sparatoria al viale Europa: chiesti 50 anni di carcere per i banditi napoletani

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Castellammare. Mezzo secolo di carcere per i cinque componenti della banda di rapinatori napoletani che la mattina del 12 maggio scorso portarono a termine una spettacolare rapina ai danni del portavalori del Banco di Napoli al viale Europa. Sono queste le richieste di condanna del pm del Tribunale di Torre Annunziata nei confronti dei cinque accusati di di tentato omicidio, rapina aggravata in concorso, lesioni personali gravissime, porto e detenzione illegale di armi, ricettazione. Le richieste sono di 6 anni per Marco Angieri, 35enne; 12 anni ciascuno per Angelo Langione, 53enne (di Cercola); e Luigi Nemolato, di 36enne (di Ponticelli); 10 anni ciascuno per Carlo Pisani, 24enne (di Barra); e Francesco Ricci, 40enne (di Cercola). I cinque erano arrivati a bordo di due a Castellammare ed erano stai ripresi più volte, come ha evidenziato l’inchiesta che ha portato al loro arresto nel dicembre scorso, dalle telecamere di video sorveglianza cittadina. Poco dopo le sette di mattina ingaggiarono anche un violento conflitto a fuoco con i vigilante e con una guardia giurata in servizio all’ospedale San Leonardo che si trova di fronte alla banca e che aveva cercato di dare un aiuto ai colleghi. I cinque riuscirono a portare via alcuni sacchi contenenti 300mila euro. Una delle auto utilizzata per la rapina fu trovata dai carabinieri nella stessa mattinata nella zona di Ponticelli. da li partirono le indagini che ha portato agli arresti e al processo.

 

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