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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Al casinò in Svizzera con soldi falsi acquistati a Napoli: due arresti a Livorno

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Livorno. Compravano banconote false a Napoli e le spendevano nei casinò del Canton Ticino, in Svizzera: arrestate dai carabinieri di Livorno due persone, mentre una terza è stata denunciata. E’ questo il bilancio dell’operazione “Solfa”, eseguita nelle prime ore di questa mattina, su ordine della Procura della Repubblica di Livorno, dai carabinieri del comando provinciale labronico che hanno applicato un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Livorno nei confronti degli indagati per aver esportato e speso in Svizzera banconote contraffate. L’indagine coordinata da Daniele Rosa, sostituto procuratore della Repubblica di Livorno, è stata sviluppata a seguito dell’arresto il 15 dicembre scorso da parte della polizia cantonale ticinese, alla dogana di Chiasso-Brogeda (Svizzera), di due degli indagati che, a bordo dell’auto su cui viaggiavano, trasportavano 300 banconote da 50 euro contraffatte. La polizia giudiziaria federale svizzera, sulla scorta delle segnalazioni e delle informazioni pervenute da più polizie cantonali, ha poi ricostruito diversi episodi di spaccio di banconote false da 50 euro, appartenenti allo stesso lotto delle 300 sequestrate il 15 dicembre 2017, avvenuti in territorio elvetico, attribuibili ai due arrestati e ad altri ignoti complici.
Attivati i canali della cooperazione internazionale, le successive indagini condotte dal nucleo investigativo di Livorno e dalla compagnia dei carabinieri di Cecina (Livorno) hanno consentito di identificare gli altri responsabili dei reati e di accertare che gli indagati nel dicembre 2017 si sono recati almeno due volte nella provincia di Napoli per approvvigionarsi da ignoti fornitori delle banconote false. Nei giorni immediatamente successivi gli indagati hanno introdotto clandestinamente in Svizzera il contante contraffatto e presso diversi esercizi commerciali del Canton Ticino, perlopiù casinò e sale da gioco, lo hanno speso e lo hanno cambiato con valuta vera. Si stima che le banconote contraffatte complessivamente approvvigionate dagli indagati siano state almeno un migliaio (per un valore nominale di non meno 50.000 euro), acquistate ad un prezzo non superiore di 10.000 euro. Gli indagati, arrestati il 15 dicembre scorso, sono già stati condannati dall’Autorità Giudiziaria elvetica, per importazione e messa in circolazione di monete false e truffa, alla pena detentiva di 16 mesi ed alla multa di 1.500 franchi svizzeri.

Cronache della Campania@2018


Omicidio Sergio Giordano nella piana del Sele: la pentita svela i nomi dei killer

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Dopo venticinque anni, una donna – moglie di un esponente del clan che da mesi sta collaborando con la giustizia, fa luce sull’omicidio di Sergio Giordano, nipote del boss Mario Giordano, morto ammazzato nella faida della Piana del Sele che doveva definire gli assetti interni del clan Pecoraro Renna.
Sono quindi due gli indagati i quali, nella seconda metà degli anni Novanta hanno ricoperto ruoli di vertice nell’ambito del sodalizio. Secondo la nuova pista investigativa il delitto sarebbe maturato in seguito all’omicidio del capo zona Mario Giordano (zio di Sergio), trucidato il 16 febbraio 1991 per volere di Carmine Alfieri e di Ferdinando Cesarano che avevano recepito le richieste dei loro affiliati, Alfonso e Francesco Pecoraro. 
Mario Giordano fu agganciato da un commando entrato in azione poco dopo il cimitero degli inglesi mentre si trovava in auto e da Pontecagnano stava raggiungendo Salerno. All’inizio gli inquirenti inquadrarono il delitto nell’ambito di una vendetta trasversale tra bande avversarie, invece solo dopo un po’ di tempo e con l’aiuto di alcuni collaboratori, tra cui Ettore Tedesco, furono chiari i retroscena in cui maturò il delitto.
La morte del capozona Mario Giordano, secondo gli inquirenti, fece aprire una guerra intestina nell’ambito del clan che, nell’area tra Pontecagnano e Bellizzi, aveva perso il proprio referente. Sergio Giordano, nipote del boss, era pronto a prendere il posto dello zio ma non aveva fatto i conti con gli altri esponenti del sodalizio che nutrivano la stessa ambizione. Così il 31 marzo del 1993 il nipote di Mario fu crivellato da una raffica di proiettili che non gli lasciarono scampo.

Cronache della Campania@2018

Voto di scambio: a giudizio i Cesaro, Flora Beneduce e altri 24 tra imprenditori e professionisti

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Vanno a giudizio con l’accusa di corruzione elettorale il senatore di Fi Luigi Cesaro, i suoi fratelli Aniello e Raffaele (gia’ in carcere per un’altra inchiesta) e anche il figlio Armando, capogruppo del partito nel Consiglio regionale della Campania, insieme al consigliere regionale azzurro Flora Beneduce e ad altre 24 persone, tra imprenditori e professionisti. Agli imputati e’ stato notificato un decreto di citazione a giudizio diretto. Il processo avra’ inizio il 13 dicembre davanti al giudice monocratico del tribunale di NAPOLI Nord, che ha sede ad Aversa. L’inchiesta e’ relativa all’elezione di Armando Cesaro nel 2015 in Consiglio regionale: elezione – caratterizzata da un boom di preferenze – che secondo l’accusa sarebbe stata favorita da promesse e favori elargiti sul territorio.   “L’inchiesta che ha portato al rinvio a giudizio, tra gli altri, del consigliere regionale FI Armando Cesaro, della sua collega di partito Flora Beneduce, del papa’ senatore e dei suoi due zii gia’ detenuti per altre vicende, al di la’ delle responsabilita’ che saranno chiarite in sede di giudizio, rimanda ancora una volta a un sistema di becera politica e scambi di favori che stenta a tramontare. Uno scenario, quello ricostruito e descritto dai magistrati, nel quale appare assodato che l’unica maniera per racimolare preferenze elettorali resta quella dei favori e di promesse di qualunque genere. Nulla che abbia a che vedere con l’interesse della collettivita’ e il bene comune”. Cosi’ il capogruppo regionale del Movimento 5 Stelle Gennaro Saiello. “Purtroppo – sottolinea Saiello – ancora oggi siamo costretti a constatare che esistono molti territori simili a veri e propri feudi, nei quali la scalata politica la si compie riempiendo il cesto dei favori con posti di lavoro, commesse pubbliche, appalti, denaro, finanche abbonamenti in palestra. E’ contro il rovesciamento di questo sistema che e’ nato e cresce il Movimento 5 Stelle, perche’ per fortuna il numero dei cittadini onesti e di quanti sono pronti a battersi per migliorare la qualita’ della vita di tutti resta considerevolmente maggiore rispetto a quello che compone le cricche di spregiudicati affaristi che, con il loro esercito di faccendieri, spaccia per politica la brama di potere e di arricchimento”.

Cronache della Campania@2018

Caso Consip, il nuovo collegio del Csm giudicherà i pm Woodcock e Carrano

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Sara’ la Sezione disciplinare del nuovo Csm, che si insediera’ alla fine del mese, a giudicare i pm di Napoli dell’inchiesta Consip Henry John Woodcock e Celestina Carrano. Il “tribunale delle toghe” attualmente in carica, presieduto da Giovanni Legnini, ha accolto l’istanza della difesa dei due magistrati, rinviando il processo al 5 novembre prossimo. Il processo, nel quale i due magistrati devono rispondere della violazione dei diritti di difesa di uno degli indagati nell’inchiesta Consip, l’ex consigliere di Palazzo Chigi Filippo Vannoni, non ricomincera’ pero’ da zero. Perche’ le due toghe hanno gia’ assicurato che davanti al nuovo collegio che li giudichera’ non chiederanno il rinnovo degli atti compiuti.
I difensori dei due magistrati, Marcello Maddalena e Antonio Patrono, avevano chiesto il rinvio del procedimento, alla luce delle considerazione che la procura di Roma sta per chiudere l’indagine sull’inchiesta Consip, come confermato anche oggi davanti al Csm dal pm Mario Palazzi. E che proprio da questi ultimi atti potrebbero emergere elementi indispensabili alla difesa di Woodcock e Carrano. E la decisione presa dalla Sezione disciplinare, dopo oltre un’ora di camera di consiglio, e’ stata presa per “garantire un compiuto esercizio del diritto di difesa”. “La concessione del rinvio dell’udienza non pregiudica la sollecita definizione del procedimento – nota il Csm nell’ordinanza emessa – anche in considerazione dell’impegno delle parti a prestare il consenso alla utilizzazione del materiale probatorio raccolto dalla Sezione disciplinare in questa composizione”.

Cronache della Campania@2018

Imprenditore ucciso ad Agrigento, 25 anni dopo arrestato il killer di Passafiume

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A 25 anni dall’omicidio, i Carabinieri di Agrigento ed i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo avrebbero individuato l’esecutore materiale dell’uccisione di Diego Passafiume, procedendo al suo arresto. In carcere è finito Filippo Sciara, agrigentino 54enne, già affiliato alla famiglia mafiosa di Siculiana.
Passafiume era stato freddato nel giorno del suo anniversario di matrimonio, il 22 Agosto 1993, a Cianciana in provincia di Agrigento, piccolo centro dell’Agrigentino. Passafiume, un onesto imprenditore 41enne nel settore del movimento terra, era stata raggiunta, mentre era alla guida della sua auto, da alcune fucilate, sparategli da un ignoto, che si era subito dileguato con altri complici, a bordo di un’autovettura. Durante le immediate ricerche, i Carabinieri ritrovarono, in fiamme, l’auto utilizzata dai killer. L’autopsia confermò che l’imprenditore era stato colpito da tre fucilate, di cui una in pieno volto. Fu subito privilegiata, nel corso delle indagini, la pista che portava ai sub appalti, settore in cui risultava ben inserito Passafiume. Dalle indiscrezioni allora raccolte, era emerso che l’imprenditore non aveva voluto piegarsi alle regole imposte dalle cosche mafiose in ordine alla spartizione dei sub appalti nel settore del movimento terra e del trasporto di inerti. Dopo una prima archiviazione delle indagini, a carico di ignoti, l’inchiesta era stata riaperta grazie anche ad alcune dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia. La morsa degli investigatori del Reparto Operativo di Agrigento però non si è mai allentata ed infatti, il “cold case” è stato risolto grazie alla raccolta ed all’incrocio di alcuni indizi raccolti nel tempo.
La svolta nelle indagini si è avuta nel luglio del 2017, quando i militari dell’Arma, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, hanno acquisito indizi di colpevolezza nei confronti di un individuo, sospettato di essere l’esecutore materiale del brutale omicidio. In particolare, grazie ad alcuni album fotografici esibiti ad alcuni parenti della vittima, che all’epoca avevano assistito alla tragica scena del delitto, i Carabinieri hanno stretto il cerchio dei loro sospetti nei confronti di Filippo Sciara, agrigentino, 54 enne, già affiliato alla “famiglia” mafiosa di Siculiana, coinvolto anche nella vicenda del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso e sciolto nell’acido. Gli elementi di prova raccolti sarebbero stati poi confermati anche dalle convergenti dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia (Pasquale Salemi, Maurizio Di Gati e Giuseppe Salvatore Vaccaro), secondo i quali l’omicidio fu commesso nel contesto mafioso territoriale, in quanto Diego Passafiume era ritenuto un imprenditore “scomodo”, che faceva troppa concorrenza alle dinamiche mafiose. E così, nelle ultime ore, su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, i Carabinieri del Reparto Operativo di Agrigento hanno eseguito nei confronti di Sciara un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Palermo per il reato di omicidio premeditato, con l’aggravante di aver agevolato l’attività di “Cosa Nostra”.

Cronache della Campania@2018

Uccise un pensionato a pugni nell’ospedale di Sessa Aurunca: il ghanese è capace di intendere e di volere

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E’ capace di intendere e di volere, e quindi puo’ stare in giudizio – e anche in carcere – il 31enne ghanese Charles Kwasi Opoku, che il 3 luglio scorso, nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Sessa Aurunca, uccise a mani nude il pensionato 77enne Luca Toscano, anch’egli ricoverato nello stesso reparto. Lo ha scritto a chiare lettere il medico-psichiatra Giuseppe Sciaudone nella perizia commissionatagli dal Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Orazio Rossi; Sciaudone ha poi confermato l’esito degli accertamenti, nel corso dell’incidente probatorio tenutosi oggi al Palazzo di giustizia. Secondo il professionista, Opoku sarebbe affetto da “disturbo di personalita’ bordeline”, ovvero una forma di disadattamento al contesto sociale che si manifesta con comportamenti impulsivi e spesso violenti. Come accaduto anche verso la fine dell’udienza, quando il ghanese, che fino a quel momento era apparso tranquillo, circondato peraltro dai poliziotti della Penitenziaria, ha iniziato a inveire fortemente verso il sostituto procuratore Domenico Musto, titolare delle indagini, che aveva manifestato l’intenzione della Procura di chiedere il giudizio immediato; alla fine, il ghanese, tra insulti e minacce al pm, non ha voluto firmare il verbale dell’incidente probatorio. Sciaudone ha anche spiegato che lo stato mentale di Opoku e’ compatibile con il carcere (il 31enne e’ recluso a Santa Maria Capua Vetere, ndr). In relazione al momento del delitto, Sciaudone ha sostenuto che “il ghanese si trovava in uno stato di mente tale da scemare grandemente, senza pero’ escludere del tutto, la capacita’ di intendere e di volere”. Sulla base della perizia tossicologica, e’ poi emerso che Opoku aveva assunto marijuana ma soprattutto tanto alcol; il suo disturbo, dunque, non fa venir meno la capacita’ di essere processato, ma necessita di “un adeguato progetto di cure”, ha affermato il medico. Se curato a dovere quindi, Opoku non sarebbe neanche pericoloso socialmente.

Cronache della Campania@2018

Napoli, è caccia ai nuovi signori della truffa delle carte di credito hi tech

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Napoli. Da settimane sono giunte segnalazioni di prelievi mai autorizzate a Napoli come in altre parti di Italia. Il sospetto è che nel capoluogo partenopeo ci sia una centrale dedita alla clonazione delle carte di credito o i bancomat. Secondo gli investigatori qualcuno ha elaborato uno strumento capace di leggere le carte di credito contactless semplicemente avvicinando un pos mobile. Gli esperti informatici spiegano che questo metodo è abbastanza complicato perché il raggio di trasmissione tra pos e carta è brevissimo, inferiore ai tre centimetri. Ma non si esclude che sia stato realizzato un lettore in grado di funzionare con un raggio d’azione più ampio. Alcuni ricercatori inglesi hanno già progettato uno scanner in grado di leggere i dati e le chiavi di crittografia ad una distanza di 80 centimetri. I prelievi non autorizzati, però, si fermano a 25 euro perché per importi superiori occorre il pin. Le fiamme gialle mantengono alta l’attenzione. Le tante inchiesta condotte a Napoli dimostrano come siano vive ed operino vaste organizzazioni criminali specializzate nella clonazione di carte di credito. Sono tante le persone che negli ultimi mesi si sono rivolte ad aziende specializzate nella intercettazione dei tentativi di frode creditizia.

Cronache della Campania@2018

I voti della camorra per la coppia Aliberti-Paolino: le motivazioni della sentenza di condanna per i boss

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Scafati. “Nessun dubbio in ordine all’esistenza di un accordo corruttivo tra Angelo Pasqualino Aliberti con Alfonso Loreto, Luigi Ridosso e Gennaro Ridosso volto a sostenerlo come candidato per l’elezione a sindaco garantendo/promettendo in cambio appalti/nomine. Il tutto reso possibile grazie alla forza di intimidazione che i predetti, partecipi di un clan di stampo camorristico, operante sul territorio da anni, imponevano così da essere riconoscibili e riconosciuti dai più, primo fra tutti Aliberti Angelo Pasqualino il quale, consapevole dello spessore criminale dei medesimi, originato anche dalle rispettive famiglie, non acconsentì alla candidatura diretta di un esponente di quella famiglia ma chiese l’individuazione di un altro candidato/nome apparentemente non ricollegabile alla medesima”.

E’ scritto nero su bianco nelle motivazioni della sentenza che hanno portato alla condanna di Alfonso Loreto e i cugini Luigi e Gennaro Ridosso, con rito abbreviato. Il giudice per le udienze preliminari Emiliana Ascoli ha valutato le accuse di scambio di voto politico elettorale e corruzione elettorale, violenza privata e estorsione a carico dei tre pregiudicati, ritenuti esponenti del clan Loreto-Ridosso, giungendo alla conclusione che quel patto – ipotizzato dalla procura antimafia – c’è stato anche se con sfumature diverse tra il 2013 e il 2015, cioè l’anno delle consultazioni amministrative e quelle regionali. Per il 2013 si chiama corruzione elettorale quella per la quale sono stati ritenuti responsabili i tre imputati, la sentenza emessa a luglio scorso compromette e non poco la posizione processuale dell’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, a meno che la sentenza emessa in primo grado non sia completamente ribaltata nei prossimi due gradi di giudizio, o che si arrivi ad un paradosso giudiziario con un giudizio difforme dei giudici che stanno valutando la posizione dell’ex primo cittadino e dei suoi coimputati: la moglie Monica Paolino e il fratello Nello Maurizio con l’ex staffista Giovanni Cozzolino, l’ex consigliere Roberto Barchiesi e Ciro Petrucci, ex vicepresidente dell’Acse.

Le motivazioni che hanno portato alla condanna dei tre pregiudicati sembrano condurre ad una valutazione di responsabilità anche per gli altri imputati coinvolti nel procedimento giudiziario. Il giudice Ascoli ha riconosciuto l’esistenza di un patto corruttivo per le elezioni del 2013 nelle quali fu eletto sindaco Aliberti, ma anche per le Regionali del 2015 nelle quali Monica Paolino fu eletta consigliere regionale di Forza Italia, tutt’ora in carica. A questo proposito il Gup scrive: “Quando alla competizione elettorale regionale, pacifica risulta la sussistenza di reato contestata ovvero un patto politico/elettorale/mafioso”. Nell’analisi storica dei fatti emersi sia grazie alle testimonianze sia per le prove acquisite dagli inquirenti. Per la tornata elettorale del 2013, Aliberti avrebbe fatto un patto con il clan Loreto-Ridosso che in cambio di voti gli chiesero di poter entrare – attraverso imprese apparentemente pulite – negli appalti della pubblica amministrazione. Per quelle elezioni proposero ad Aliberti la candidatura di Andrea Ridosso, fratello di Luigi, ma l’ex sindaco preferì non averlo nelle sue liste per ‘il nome’ che portava. Cosciente che sarebbe stato attaccato politicamente e mediaticamente, chiese di sostituire il nome di Andrea Ridosso con quello di un altro referente del gruppo. Fu scelto Roberto Barchiesi, zio dell’allora moglie di Alfonso Ridosso, neofita della politica che grazie al secondo posto in lista e allo scorrimento entrò subito in consiglio comunale. Ad Andrea Ridosso sarebbe andato un incarico in una cooperativa che lavorava per il Piano di Zona di cui il comune di Scafati era allora capofila. Ma qualcosa non andò per il verso giusto dopo le comunali del 2013. Aliberti nonostante avesse accettato i voti e l’nteressamento del gruppo criminale, non riusciva a rispettare i patti relativi alla concessione degli appalti. E così – secondo il giudice – rinnovando quell’accordo per le elezioni Regionali del 2015 dovette concedere poco tempo prima del voto, nell’aprile del 2015, un appalto per le pulizie all’interno dell’Acse per una ditta creata ad hoc dai Ridosso-Loreto. “Quell’appalto dell’aprile 2015 – scrive il Gup – tenuto conto della competizione in atto, distante due anni da quella precedente, caratterizzata da analogo accordo, concluso e poco o per nulla rispettato dal politico, rappresentava l’utilità di un ulteriore patto politico/elettorale/mafioso”. Secondo il giudice, Aliberti in quella fase non potette limitarsi ad offrire promesse ma dovette assicurare qualcosa di concreto ai suoi interlocutori. Per quanto riguarda le Regionali, il giudice non ha ritenuto sufficienti le prove raccolte contro Gennaro Ridosso che è stato assolto da questo capo di imputazione. Ma proprio Gennaro Ridosso è stato ritenuto colpevole di aver minacciato la giornalista Valeria Cozzolino, insieme a Nello Maurizio Aliberti, nel corso della campagna elettorale del 2013, un capo di imputazione del quale i fratelli Aliberti devono rispondere dinanzi ai giudici di Nocera Inferiore e che vede Angelo Pasquale Aliberti il mandante di un episodio di violenza privata e minacce ai danni della giornalista, messo in atto da Nello Maurizio Aliberti e Gennaro Ridosso.

I tre imputati, giudicati con rito abbreviato, sono stati inoltre riconosciuti colpevoli di estorsione ai danni degli imprenditori conservieri Aniello e Fabio Longobardi ai quali sono stati condannati a risarcire i danni. Hanno imposto alle vittime i servizi di pulizia all’interno delle proprie fabbriche, nonchè il versamento di somme di danaro per prestazioni inesistenti. Ma Aniello Longobardi fu anche costretto ad acquistare, attraverso Luigi Ridosso, partite di pomodoro prodotte da Raffaele Lupo, ex consigliere comunale e imprenditore ortofrutticolo.

Le accuse formulate dall’antimafia ai tre imputati – tranne quella che riguarda le Regionali 2015 per Gennaro Ridosso – sono tutte provate per il giudice che a luglio ha emesso la sentenza. A pesare, oltre alle prove emerse nel corso delle indagini, anche le dichiarazioni autoaccusatorie fatte in aula da Luigi Ridosso il 19 luglio scorso. “A cristallizzazione del quadro probatorio – scrive il giudice nelle motivazioni – in data 19 luglio 2018, Luigi Ridosso, nel corso dell’udienza in discussione ammetteva gli addebiti depositando memoriale con il quale si riconosceva colpevole non solo dei fatti contestati ma anche di altri oggetto di procedimento definito con sentenza di condanna il 3 maggio 2018”. Pesanti anche le pene per i due cugini Ridosso, Luigi condannato a 5 anni e 8 mesi e Gennaro a sei anni e 4 mesi, mentre per il pentito Alfonso Loreto è stata disposta una condanna ad un anno e 2 mesi, sette anni e due mesi complessivamente per la sentenza emessa a maggio.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018


Imprenditore ucciso ad Agrigento, 25 anni dopo arrestato il killer di Passafiume

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A 25 anni dall’omicidio, i Carabinieri di Agrigento ed i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo avrebbero individuato l’esecutore materiale dell’uccisione di Diego Passafiume, procedendo al suo arresto. In carcere è finito Filippo Sciara, agrigentino 54enne, già affiliato alla famiglia mafiosa di Siculiana.
Passafiume era stato freddato nel giorno del suo anniversario di matrimonio, il 22 Agosto 1993, a Cianciana in provincia di Agrigento, piccolo centro dell’Agrigentino. Passafiume, un onesto imprenditore 41enne nel settore del movimento terra, era stata raggiunta, mentre era alla guida della sua auto, da alcune fucilate, sparategli da un ignoto, che si era subito dileguato con altri complici, a bordo di un’autovettura. Durante le immediate ricerche, i Carabinieri ritrovarono, in fiamme, l’auto utilizzata dai killer. L’autopsia confermò che l’imprenditore era stato colpito da tre fucilate, di cui una in pieno volto. Fu subito privilegiata, nel corso delle indagini, la pista che portava ai sub appalti, settore in cui risultava ben inserito Passafiume. Dalle indiscrezioni allora raccolte, era emerso che l’imprenditore non aveva voluto piegarsi alle regole imposte dalle cosche mafiose in ordine alla spartizione dei sub appalti nel settore del movimento terra e del trasporto di inerti. Dopo una prima archiviazione delle indagini, a carico di ignoti, l’inchiesta era stata riaperta grazie anche ad alcune dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia. La morsa degli investigatori del Reparto Operativo di Agrigento però non si è mai allentata ed infatti, il “cold case” è stato risolto grazie alla raccolta ed all’incrocio di alcuni indizi raccolti nel tempo.
La svolta nelle indagini si è avuta nel luglio del 2017, quando i militari dell’Arma, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, hanno acquisito indizi di colpevolezza nei confronti di un individuo, sospettato di essere l’esecutore materiale del brutale omicidio. In particolare, grazie ad alcuni album fotografici esibiti ad alcuni parenti della vittima, che all’epoca avevano assistito alla tragica scena del delitto, i Carabinieri hanno stretto il cerchio dei loro sospetti nei confronti di Filippo Sciara, agrigentino, 54 enne, già affiliato alla “famiglia” mafiosa di Siculiana, coinvolto anche nella vicenda del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso e sciolto nell’acido. Gli elementi di prova raccolti sarebbero stati poi confermati anche dalle convergenti dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia (Pasquale Salemi, Maurizio Di Gati e Giuseppe Salvatore Vaccaro), secondo i quali l’omicidio fu commesso nel contesto mafioso territoriale, in quanto Diego Passafiume era ritenuto un imprenditore “scomodo”, che faceva troppa concorrenza alle dinamiche mafiose. E così, nelle ultime ore, su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, i Carabinieri del Reparto Operativo di Agrigento hanno eseguito nei confronti di Sciara un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Palermo per il reato di omicidio premeditato, con l’aggravante di aver agevolato l’attività di “Cosa Nostra”.

Cronache della Campania@2018

Uccise un pensionato a pugni nell’ospedale di Sessa Aurunca: il ghanese è capace di intendere e di volere

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E’ capace di intendere e di volere, e quindi puo’ stare in giudizio – e anche in carcere – il 31enne ghanese Charles Kwasi Opoku, che il 3 luglio scorso, nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Sessa Aurunca, uccise a mani nude il pensionato 77enne Luca Toscano, anch’egli ricoverato nello stesso reparto. Lo ha scritto a chiare lettere il medico-psichiatra Giuseppe Sciaudone nella perizia commissionatagli dal Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Orazio Rossi; Sciaudone ha poi confermato l’esito degli accertamenti, nel corso dell’incidente probatorio tenutosi oggi al Palazzo di giustizia. Secondo il professionista, Opoku sarebbe affetto da “disturbo di personalita’ bordeline”, ovvero una forma di disadattamento al contesto sociale che si manifesta con comportamenti impulsivi e spesso violenti. Come accaduto anche verso la fine dell’udienza, quando il ghanese, che fino a quel momento era apparso tranquillo, circondato peraltro dai poliziotti della Penitenziaria, ha iniziato a inveire fortemente verso il sostituto procuratore Domenico Musto, titolare delle indagini, che aveva manifestato l’intenzione della Procura di chiedere il giudizio immediato; alla fine, il ghanese, tra insulti e minacce al pm, non ha voluto firmare il verbale dell’incidente probatorio. Sciaudone ha anche spiegato che lo stato mentale di Opoku e’ compatibile con il carcere (il 31enne e’ recluso a Santa Maria Capua Vetere, ndr). In relazione al momento del delitto, Sciaudone ha sostenuto che “il ghanese si trovava in uno stato di mente tale da scemare grandemente, senza pero’ escludere del tutto, la capacita’ di intendere e di volere”. Sulla base della perizia tossicologica, e’ poi emerso che Opoku aveva assunto marijuana ma soprattutto tanto alcol; il suo disturbo, dunque, non fa venir meno la capacita’ di essere processato, ma necessita di “un adeguato progetto di cure”, ha affermato il medico. Se curato a dovere quindi, Opoku non sarebbe neanche pericoloso socialmente.

Cronache della Campania@2018

Tassate le tangenti percepite dagli ex dirigenti dell’ospedale di Caserta arrestati nel 2017

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Grazie al protocollo investigativo siglato nell’ottobre 2017 tra il Comando Provinciale della Guardia di Finanza e la Procura di Santa Maria Capua Vetere è stata data – tra l’altro -concreta attuazione alla previsione normativa sancita nell’art. 36 del dpr 600 del 1973 secondo cui gli organi inquirenti comunicano alla Guardia di Finanza i fatti accertati che costituiscono anche una violazione alle norme tributarie.
Il caso più diffuso di applicazione del flusso informativo in parola è proprio quello dei proventi illeciti derivanti dalla commissione di reati a sfondo economico patrimoniale come le truffe a danno della pubblica amministrazione e le condotte corruttive, atteso che ai sensi dell’art. 14 della legge 537 del 1993 anche questi “guadagni” illeciti devono essere tassati, a prescindere dall’eventuale sequestro di beni, anche per equivalente, disposto dall’Autorità Giudiziaria in diversi e successivi periodi d’imposta.
Il principio sotteso al sopra delineato quadro normativo è quello per cui anche i proventi illegali nel momento in cui sono percepiti e fintanto non siano recuperati al patrimonio pubblico creano ricchezza occulta per il beneficiario e quindi determinano il conseguente obbligo di pagarci le relative tasse, secondo il principio costituzionale della progressività che caratterizza il nostro sistema tributario. Così dopo la chiusura delle indagini e la richiesta di rinvio a giudizio di ottobre 2017 il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Caserta ha richiesto gli atti dell’indagine sulla corruzione nell’aggiudicazione e nel controllo degli appalti dell’ospedale di Caserta in cui venivano ricostruite molteplici condotte illecite commesse dalla dirigenza della struttura ospedaliera fino al 2014.In particolare è stata presa in esame, sotto il profilo tributario, la posizione di C.I., all’epoca dei fatti Direttore Sanitario prima, e Direttore Medico di Presidio dopo, nonché Responsabile della regolare esecuzione dei contratti dell’Azienda Sanitaria S. Anna e S. Sebastiano di Caserta, e di P.P., già Responsabile del settore funzionale servizi appaltati, all’epoca dei fatti in pensione ma assiduamente presente negli uffici amministrativi dell’ospedale quale “collaboratore personale” del dirigente con lui coindagato.

Cronache della Campania@2018

Voti in cambio di case: anche sesso per ottenere alloggi

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Luca Pasqualini, uno dei tre consiglieri comunali arrestati oggi dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta sugli alloggi popolari scambiati con voti elettorali, avrebbe agevolato l’assegnazione di un alloggio popolare al quartiere Stadio ad una donna che, per ottenerlo, si sarebbe “concessa” al politico in due occasioni. Il risvolto emerge a pagina 15 dell’ordinanza dove il gip scrive come il politico, in qualita’ di responsabile all’Ufficio Casa del Comune di Lecce, “si faceva promettere e dare utilita’ consistite in prestazioni sessuali da (*) effettivamente intervenute in almeno due occasioni”. Atti che sarebbero stati preordinati all’assegnazione, illegittima per gli investigatori, di un alloggio Erp alla donna e al marito all’oscuro dell’accaduto. La donna, sempre secondo l’ordinanza, avrebbe dato la disponibilita’ ‘a ricambiare’ con atti sessuali l’impegno del politico a concludere la vicenda dell’assegnazione. E cio’ – per gli inquirenti – sarebbe effettivamente avvenuto nell’ufficio di Pasqualini, come specifica il gip, in due occasioni, a giugno e a novembre del 2014. Nel pomeriggio intanto gli investigatori della Guardia di Finanza hanno effettuato una perquisizione negli uffici comunali acquisendo ulteriore documentazione.

Cronache della Campania@2018

Camorra & politica a Scafati, il Comune non presenta il ‘conto’ per il risarcimento ai boss condannati

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Scafati. Camorristi condannati per voto di scambio e corruzione elettorale: il Comune non chiede il risarcimento danni per conto dei cittadini di Scafati. E’ stata vana la costituzione di parte civile nel processo che si è celebrato con rito abbreviato dinanzi al Gup Emiliana Ascoli del Tribunale di Salerno, nei confronti di Alfonso Loreto, Gennaro e Luigi Ridosso. L’avvocato, designato dalla commissione prefettizia che regge le sorti del Comune di Scafati dopo lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche, non ha presentato le proprie conclusioni nella fase di discussioni decretando – secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, richiamato dal giudice nella motivazione – una revoca tacita della propria costituzione. Non pagheranno, dunque, nessun risarcimento i primi tre imputati condannati per corruzione elettorale e scambio di voto, oltre che violenza privata aggravata dal metodo mafioso. Il giudice per le udienze preliminari nel dispositivo di sentenza ha riconosciuto il risarcimento del danno per le altre parti civili costituite, gli imprenditori Aniello e Fabio Longobardi e per la giornalista Valeria Cozzolino, escludendo il Commissario straordinario del Comune di Scafati. “Nessuna pronuncia, poi, in ordine alla richiesta inoltrata dal Comune di Scafati – scrive il giudice nella sua sentenza – in persona del commissario straordinario, con la costituzione di parte civile, atteso che, ai sensi degli artt. 82 comma II e 523 II Cpp la mancata presentazione delle conclusioni scritte configura la revoca tacita della costituzione in giudizio in quanto, trattandosi di pretesa civilistica, è necessario acquisire processualmente, con stabile documentazione, le precise richieste della parte”.
Tacita revoca della costituzione, dunque, e nessuna possibilità di chiedere i danni – anche di immagine – per i cittadini scafatesi, costretti a subire l’onta dello scioglimento per infiltrazioni camorristiche del consiglio comunale per il patto scellerato che secondo l’accusa esisteva tra l’ex sindaco di Scafati Angelo Pasqualino Aliberti, familiari e fedelissimi, e il clan Loreto-Ridosso. Seppure simbolica, la richiesta di risarcimento danni ai tre pregiudicati sarebbe stata un ottimo segnale di ripristinata legalità nell’ambito dell’amministrazione pubblica. Occasione mancata per la commissione straordinaria che pure si era costituita parte civile. Bisognerà capire cosa è accaduto nelle fasi finali del processo e sperare che sia stato solo un ingenuo, seppur grave, errore di distrazione.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Camorra, triplice omicidio: chiesto il processo immediato per il genero del boss. I pentiti: ‘C’era sangue dappertutto’

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Il Tribunale dei minorenni di Napoli ha chiesto il processo immediato per Mariano Riccio, genero del boss Cesare Pagano ed ex reggente del clan degli scissionisti degli Amato-Pagano. Riccio è accusato del triplice omicidio avvenuto il 15 marzo del 2009 in cui furono uccisi Francesco Russo “’o dobermann”, il figlio Ciro e il guardaspalle Vincenzo Moscatelli Riccio, era finito in manette a maggio scorso insieme con altre 8 persone tra cui il suocero, ma l’ordinanza era stata annullata dal Tribunale del Riesame perché di competenza del Tribunale dei Minori in quanto all’epoca dei fatti  Riccio, seppur per un solo giorno, non aveva ancora compiuto 18 anni. La Procura per i Minorenni, come ricorda Il Roma, aveva fissato il giudizio immediato all’inizio del prossimo febbraio, ma l’avvocato Domenico Dello Iacono, che lo assiste, ha invece chiesto che sia processato con il rito abbreviato. Il 30 maggio scorso la Dda di Napoli aveva ottenuto gli arresti in carcere di Carmine Amato, 37anni, detenuto nel carcere di Viterbo; Cesare Pagano, 48 anni, detenuto nel carcere di Cuneo; Francesco Biancolella, 66 anni di Mugnano (l’unico libero); Lucio Carriola, 43 anni, detenuto nel carcere di Terni; Mario Riccio, 26 anni, di Mugnano, detenuto nello stesso carcere; Oscar Pecorelli, 39 anni, in carcere a Tolmezzo; Oreste Sparano, 32 anni, detenuto nel carcere de l’Aquila. Il mandante dell’omicidio sarebbe il boss pentito Antonio Lo Russo che secondo l’altro pentito Biagio Esposito, aveva chiesto la “cortesia” al gruppo del suo compare di matrimonio Cesare Pagano, di eliminare  o’ dobermann che stava diventando troppo autonomo.

A fare luce su quell’orrendo delitto ci ha pensato il pentito Antonio Caiazza  che nel febbraio del 2016 ha raccontato in un verbale allegato all’ordinanza cautelare che ha colpito mandanti ed esecutori del triplice omicidio “Fu Cesare Pagano-ha raccontato- a indicarmi il posto dove dovevano recarmi per andare a pulire la casa dove era stato compiuto l’omicidio. Io non conoscevo neanche i nomi dei morti. Quando sono entrato c’era sangue ovunque e un cadavere a terra con due colpi in testa. Poi ho saputo essere Francesco Russo detto “doberman”, suo figlio inginocchiato su un lettino e l’altro a terra ma con la testa sul divano. Non c’era nulla perpoter pulire la casa, cosi’ uscii e andai a comprare i secchi per lavare a terra, la varechina, i guanti e le buste di plastica. Una volta ripulito tutto denudammo i cadaveri e li mettemmo nel cellophane”. Poi Caiazza racconta di aver caricato i corpi in un’auto e di aver bruciato i vestiti in un terreno a Mugnano. Un altro pentito eccellente Carmine Cerrato detto “takendò” , cognato del boss  ha spiegato invece come avvenne l’occultamento dei cadaveri. “Cesare Pagano mi disse di sotterrarli. Iniziammo a scavare con le pale ma non riuscimmo a coprire per bene i corpi. Il giorno dopo tornammo con Francesco Biancolella, con un bobcat e ricoprimmo il tutto per bene”. Ma i tre cadaveri non sono mai stati ritrovati perché sostiene il gip Roberta Attena, qualcuno li avrebbe fatti sparire per paura dei pentiti. Anche Biagio Esposito, uno dei killer più spietati che è stato al servizio degli scissionisti, e pure lui pentito, ha raccontato agli inquirenti alcuni passaggi importanti relativi al triplice omicidio: “Ho partecipato al triplice omicidio. Abbiamo spara-
to loro in una casa vecchia di Mugnano di Salvatore Cipolletta. Una volta uccisi, i corpi so-
no stati fatti scomparire da Francesco Biancolella detto “Ciccio o’ monaco” con l’aiuto di Antonio Caiazza, Lucio Carriola, Ferdinando Murolo e “Mariano”, genero di Cesare Pagano, che poi si occuparono di pulire l’appartamento. Fu un favore ai Lo Russo”.

Cronache della Campania@2018

Tassate le tangenti percepite dagli ex dirigenti dell’ospedale di Caserta arrestati nel 2017

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Grazie al protocollo investigativo siglato nell’ottobre 2017 tra il Comando Provinciale della Guardia di Finanza e la Procura di Santa Maria Capua Vetere è stata data – tra l’altro -concreta attuazione alla previsione normativa sancita nell’art. 36 del dpr 600 del 1973 secondo cui gli organi inquirenti comunicano alla Guardia di Finanza i fatti accertati che costituiscono anche una violazione alle norme tributarie.
Il caso più diffuso di applicazione del flusso informativo in parola è proprio quello dei proventi illeciti derivanti dalla commissione di reati a sfondo economico patrimoniale come le truffe a danno della pubblica amministrazione e le condotte corruttive, atteso che ai sensi dell’art. 14 della legge 537 del 1993 anche questi “guadagni” illeciti devono essere tassati, a prescindere dall’eventuale sequestro di beni, anche per equivalente, disposto dall’Autorità Giudiziaria in diversi e successivi periodi d’imposta.
Il principio sotteso al sopra delineato quadro normativo è quello per cui anche i proventi illegali nel momento in cui sono percepiti e fintanto non siano recuperati al patrimonio pubblico creano ricchezza occulta per il beneficiario e quindi determinano il conseguente obbligo di pagarci le relative tasse, secondo il principio costituzionale della progressività che caratterizza il nostro sistema tributario. Così dopo la chiusura delle indagini e la richiesta di rinvio a giudizio di ottobre 2017 il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Caserta ha richiesto gli atti dell’indagine sulla corruzione nell’aggiudicazione e nel controllo degli appalti dell’ospedale di Caserta in cui venivano ricostruite molteplici condotte illecite commesse dalla dirigenza della struttura ospedaliera fino al 2014.In particolare è stata presa in esame, sotto il profilo tributario, la posizione di C.I., all’epoca dei fatti Direttore Sanitario prima, e Direttore Medico di Presidio dopo, nonché Responsabile della regolare esecuzione dei contratti dell’Azienda Sanitaria S. Anna e S. Sebastiano di Caserta, e di P.P., già Responsabile del settore funzionale servizi appaltati, all’epoca dei fatti in pensione ma assiduamente presente negli uffici amministrativi dell’ospedale quale “collaboratore personale” del dirigente con lui coindagato.

Cronache della Campania@2018


Voti in cambio di case: anche sesso per ottenere alloggi

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Luca Pasqualini, uno dei tre consiglieri comunali arrestati oggi dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta sugli alloggi popolari scambiati con voti elettorali, avrebbe agevolato l’assegnazione di un alloggio popolare al quartiere Stadio ad una donna che, per ottenerlo, si sarebbe “concessa” al politico in due occasioni. Il risvolto emerge a pagina 15 dell’ordinanza dove il gip scrive come il politico, in qualita’ di responsabile all’Ufficio Casa del Comune di Lecce, “si faceva promettere e dare utilita’ consistite in prestazioni sessuali da (*) effettivamente intervenute in almeno due occasioni”. Atti che sarebbero stati preordinati all’assegnazione, illegittima per gli investigatori, di un alloggio Erp alla donna e al marito all’oscuro dell’accaduto. La donna, sempre secondo l’ordinanza, avrebbe dato la disponibilita’ ‘a ricambiare’ con atti sessuali l’impegno del politico a concludere la vicenda dell’assegnazione. E cio’ – per gli inquirenti – sarebbe effettivamente avvenuto nell’ufficio di Pasqualini, come specifica il gip, in due occasioni, a giugno e a novembre del 2014. Nel pomeriggio intanto gli investigatori della Guardia di Finanza hanno effettuato una perquisizione negli uffici comunali acquisendo ulteriore documentazione.

Cronache della Campania@2018

Castellammare, liberi e spediti in una comunità di recupero i tre baby stupratori legati al clan D’Alessandro

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Castellammare. Sono tornati in libertà dopo soli tre mesi di detenzione negli istituti per minori i tre baby stupratori stabiesi legati al clan D’Alessandro. Il tribunale per i minori ha accolto le richieste avanzate dai difensori (Gennaro Somma e Antonio De Martino) dei tre decidendo il loro trasferimento in una comunità di recupero per poi chiedere la messa alla prova. li potranno studiare e soprattutto capire il loro errore. Nel frattempo la 12enne di Gragnano ha lasciato la zona e si è trasferito al Nord per timore di ritorsioni nei suoi confronti. Decisione arrivata dopo un drammatico faccia a faccia quello andato in scena nelle aule del tribunale per i minori di Napoli nel luglio scorso. Per la prima volta la dodicenne di Gragnano vittima del branco di baby stupratori legati al clan D’Alessandro di Castellammare si erano incontrati. Alla presenza di una psicologa e degli avvocati delle parti nel corso dell’audizione protetta la ragazzina aveva confermato le accuse nei confronti dei tre violentatori. ripercorrendo, non senza difficoltà e non senza interruzioni dovute all’emozione di quei brutti momenti, che cosa accadde quella sera di aprile quando fu violentata e filmata in gruppo in una stanza delle Terme di Stabia. Uno dei ragazzi era stato il suo fidanzatino e poi si erano lasciati per gli atteggiamenti violenti che aveva nei suoi confronti. L’aveva costretta a fumare uno spinello e poi a fare sesso e poi l’aveva ricattata chiedendole dei soldi in cambio del silenzio e perché non diffondesse le foto e le immagini dei rapporti alle sue amiche e alla sue prof. Poi nel mese di aprile ci sarebbe stata la violenza di gruppo organizzata da un altro ragazzino, amico del suo ex, e parente stretto di un boss del clan D’Alessandro. I tre, difesi dagli avvocati Antonio De Martino e Gennaro Somma, dal canto loro avevano invocato il perdono. E ora dopo tre mesi è arrivata la decisione che li ha portati fuori dal carcere, la Procura minorile  si avvia a chiedere il giudizio immediato.

Cronache della Campania@2018

Scandalo all’Asl Napoli 2, cure domiciliari anche ai morti: decine di indagati

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Un quinquennio d’oro, almeno secondo le prime indagini condotte dai carabinieri. Prestazioni mediche per pazienti deceduti, un vero e proprio fiume di denaro sbloccato grazie ai dirigenti Asl, commissari e di chi avrebbe dovuto controllare e interrompere un vero e proprio danno erariale nei confronti della sanità campana che non vive un periodo florido. Sull’indagine per ora c’è massimo riserbo ma il sospetto è che un gruppo nutrito di persone all’interno dell’Asl abbia messo a segno un vero sistema capace di ricevere pioggia di fondi. Secondo quanto riportato dall’edizione odierna de Il Mattino per anni sono state dichiarate effettuate prestazioni mediche a domicilio con documenti che sono stati ritenuti validi e che hanno permesso lo sblocco dei pagamenti. Inoltre quando moriva un paziente titolare di cure a domicilio la prestazione non veniva interrotta ma continuata grazie alla compilazione di documenti falsi. Pare siano oltre 20 le persone coinvolte e deferite alla Procura di Napoli Nord, titolare dell’inchiesta. Si tratta di direttori generali, commissari e dirigenti. Per loro pendono le accuse di falso, truffa, abuso d’ufficio. Queste alcune ipotesi mosse dagli investigatori. Tutto è partito da controlli a campione condotti dai carabinieri su alcune posizione di assistiti a domicilio. Ad attirare l’attenzione dei militari un caso di omonimia che ha spinto gli investigatori a scavare a fondo. Due pazienti che risiedevano nella stessa area metropolitana: stessa età, stesso nome ma comune differente. I militari stanno ripercorrendo tutte le prestazioni sanitarie a domicilio effettuate e il terribile sospetto è che le persone coinvolte siano davvero tantissime, una nuova tegola si abbatte sulla sanità campana attualmente commissariata.

Cronache della Campania@2018

Affittarono la ‘Torre dei Ladri’ per uffici mai utilizzati: condannati gli ex amministratori della Provincia di Salerno

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Salerno. Si chiama Torre dei Ladri, un immobile di cinquecento metri quadri nel cuore del centro storico di Salerno. Per anni la Provincia di Salerno ha pa­gato il canone per il fitto della struttura ma mai utilizzata. E così, la seconda sezione centrale di Appello della Corte dei Conti ha condannato l’ex giunta pro­vinciale presieduta da Angelo Villani al pagamento di quasi 200mila euro per il danno erariale.
Originariamente l’immobile era destinato al museo della scuola medica salernitana, l’anno successivo (nel 2007) viene ind­ividuato, dalla giunta provinciale, come sede di uffici provinciali. Canone mensile: 12mila euro. Ma nel 2009 gli uffici – secondo una denuncia presen­tata dalla nuova giunta provinciale su­bentrata all’esecutivo Villani – “sono ancora in stato di abbandono e con la­vori non del tutto completati”. Ma non solo. Le successive indagini della Pro­cura della Corte dei Conti, come riporta Cronache del salernitano, hanno evi­denziato ” l’irrazionalità della scelta per l’elevata difficoltà di accesso e la presenza di barriere architettoniche per raggiungere l’immobile, situato al vertice angusto di una importante via del centro storico”. Scrive, infatti, la Procura: “Piccola piazza M. D’Aiello, nel cuore degli angusti e affollati spazi dell’antico centro, il cui accesso con autovettura è consentito solo ai resi­denti -zona a traffico limitato, Ztl- con possibilità di parcheggio limitato – non sono evidenziabili, peraltro, posti eventualmente riservati a disabili”. A quasi 200mila euro ammonta la con­danna inflitta dalla Corte dei Conti a ex amministratori ed ex dirigenti pro­vinciali. Più di 52mila euro la somma che l’ex presidente della Provincia di Salerno, Angelo Villani, dovrà risarcire all’Ente. Ventisemila euro dovranno essere invece sborsati Gennaro Caliendo. Oltre centoquindicimila euro dovranno essere divisi tra gli ex componenti della giunta Villani. Si tratta di Francesco Alfieri (ex sindaco di Agropoli ed attuale capostaff del pre­sidente della Regione Vincenzo De Luca), di Maddalena Arcella, Gaetano Arenare, Massimo Cariello (attuale sindaco di Eboli), Corrado Martinan­gelo e Giovanni luliano. Millesettecentocinquanta euro dovranno essere sborsati dagli ex assessori Rocco Giu­liano (attuale primo cittadino di Polla) e da Guerrino Terrone. Infine, con­danna da 5400 euro per il funzionario Catello Bonadia. Somme, tra l’altro, tutte da maggiorare della rivaluta­zione e degli interessi. Assolto, invece, il dirigente Angelo Cavaliere.

Cronache della Campania@2018

Camorra, la strage mancata contro gli affiliati dei Lo Russo: ‘I Mallo misero le pistole in faccia a Perfetto e Cutarelli’

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Si è rischiato un violento spargimento di sangue durante la guerra di camorra nel 2016 nei quartieri Miano-don Guanella e tutta la zona a Nord di Napoli e che ha visto come protagonisti il clan Lo Russo, all’epoca controllato dal boss pentito Carlo Lo Russo. Il reggente della famiglia dei “Capitoni” aveva dato incarico a tutto il suo gruppo di fuoco di portargli la “testa di Walter Mallo” il giovane boss emergente del don Guanella che aveva deciso di prendersi le piazze di spaccio dei Lo Russo. Ma uno degli agguati che i killer del clan Lo Russo avevano organizzato nei confronti di Mallo e dei suoi stava per  trasformarsi in un bagno di sangue per i Lo Russo che furono intercettati e bloccati dai fedelissimi di Mallo. E’ quanto emerge dalla carte processuale e dall’inchiesta che vede coinvolti una quarantina di personaggi legati al vecchio clan Lo Russo e agli scissionisti dei Nappello. Per 25 di questi, che hanno fatto ricorso al processo con rito abbreviato la Dda nel mese di luglio ha chiesto 350 anni di carcere.

In una intercettazione all’ dell’autovettura di Antonio Sannino, uno degli affiliati finiti sotto processo e per il quale sono stati chiesti 20 anni di carcere racconta a Davide Davide (pure per lui chiesti 20 anni di carcere) un episodio verificatosi il 25 febbraio del 2016. Ciro Perfetto Ciro e Luigi Cutarelli (due dei killer più spietati el clan Lo Russo)erano stati cacciati in malo modo dalla roccaforte di Walter Mallo, ed i componenti del gruppo avevano anche puntato le armi al loro indirizzo. Come risposta, la squadra di Perfetto si era armata con l’intento di punirli. Sannino racconta in auto a Davide Davide che aveva incontrato Gennaro Ruocco nel rione San Gaetano, il quale gli aveva chiesto un passaggio e che la squadra era quasi al completo: oltre al Gennaro Ruocco c’erano Giacomo Musto,  Gaetano Caso e  Vincenzo Carrino. Alla fine però la loro missione di morte non andò in porto perchè Musto e Carrino furono fermati in via Vittorio Veneto da una pattuglia dei carabinieri della stazione di Marianella.
Ecco uno sstralcio dell’intercettazione ambientale a bordo della Renault Clio in uso a Davide Davide .Sono le 2,17. di notte quando in auto entra Antonio Sannino  che racconta:
Antonio Sannino Uah, che sucutata che hanno preso questi qua nella 25! Luigi (N.d.R. CUTARELLI Luigi), Ciro (N.d.R. PERFETTO Ciro) …(incomprensibile)… (N.d.R. si riferisce al fatto che sono stati cacciati malamente dagli isolati 56-57-58-59 del Rione Don Guanella, roccaforte del gruppo di MALLO Walter). (N.d.R. pausa) Bello e buono, è atterrata la squadretta, tutti quanti …(incomprensibile)… con le pistole addosso, cose… (N.d.R. intende che all’improvviso è arrivato tutto il gruppo di fuoco armato)
Davide Davide: ma dove?
Antonio Sannino: Che noi stavamo qua, io ed Enzo (N.d.R. si riferisce a PISTONE Vincenzo), scendendo, bello e buono, RUOCCO (N.d.R. RUOCCO Gennaro): “Scigntell’! Scigntell’! Scigntell’! (N.d.R. alias di SANNINO Antonio) Ho detto: “Che è, o’ RUOCCO?!”. Comunque è salito lui con me (N.d.R. intende a bordo del proprio scooter), dai, ed Enzo nella macchina di Luigi, nel San Gaetano (N.d.R. rione San Gaetano del quartiere Miano), dice che li hanno puntati pure! (N.d.R. con le pistole)
Davide Davide: le guardie?
Antonio Sannino: No, le guardie! Quelli là! (N.d.R. intende i soggetti facenti parte del gruppo di MALLO Walter) …(incomprensibile)… RUOCCO …(incomprensibile)… dal San Gaetano… (N.d.R. pausa) …(incomprensibile)… o’ Checco (N.d.R. CARRINO Vincenzo), Giacomino (N.d.R. MUSTO Giacomo), Nino (N.d.R. CASO Gaetano)…
Davide Davide :Cristofaro? (N.d.R. SIBILLO Cristofaro)
Antonio Sannino: No, loro no! Eh, stava pure …(incomprensibile)…, fratè!
Davide Davide: Ma li hanno abboffati pure di mazzate? (N.d.R. li hanno picchiati)
Antonio Sannino: No, non li hanno neanche picchiati, gli hanno fatto il fermo a loro! (N.d.R. intende che sono stati controllati dalle forze dell’ordine).

Renato Pagano

1.continua

@riproduzione riservata

 

(nerlla foto da sinistra Walter Mallo, Ciro Perfetto, Luigi Cutarelli, Antonio Sannino, Davide Davide)

Cronache della Campania@2018

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