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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Camorra, scarcerato il figlio del boss: tensione a Soccavo

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Napoli. E’ stato scarcerato per fine pena Alfredo junior Vigilia, figlio del boss di Soccavo  Alfredo “’o nir” e con lui il suo amico fidato e complice Salvatore Scotti di 27 anni. I due erano stati arrestati da incensurati nel 2015 per il reato di estorsione. Condannati a 4 anni di carcere in Appello sono tornati in libertà pochi giorni prima di Ferragosto grazie ai vari benefici. Secondo quanto ricostruisce Il Roma i due erano stati arrestati nel 2015 perché avevano minacciato di morte a più riprese un imprenditore che lavora a Soccavo, titolare di una sala giochi, intimando-gli di versare diecimila euro o in alternativa la somma di centomila euro qualora avesse deciso di chiudere il proprio esercizio commerciale. La scarcerazione del figlio del boss desta non poche preoccupazioni nel quartiere di Soccavo dove dopo una serie di frizioni tra lo stesso clan Vigilia e i Sorianiello-Grimaldi-Scognamiglio che lo scorso anno avevano fatto registrare numerosi agguati sembra reggere una sorta di ‘pax mafiosa’ in nome del business della droga. I Vigilia, secondo l’ultima relazione della Dia, si sarebbero alleati con i Pesce-Marfella di Pianura.

 

Cronache della Campania@2018


Napoli, il boss pentito: ‘Doberman fu ucciso perchè stava recuperando 60mila euro senza dirmi niente’

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Napoli. “Francesco Russo ‘Dobermann’ era un nostro affiliato e stava tra i quartieri Marianella e Chiaiano. Ne ho decretato la morte e con lui, quella del figlio Ciro e del suo autista Vincenzo Moscatelli in quanto venni a sapere che stava facendo un recupero di 50-60mila euro con persone di Sant’Antimo senza fare capo a me. Lo mandai a chiamare per metterlo in condizioni di parlarmene, ma non mi disse niente. Così andai da Cesare Pagano e gli chiesi di risolvermi questo problema”.  la terribile confessioni sul movente del triplice omicidio con lupara bianca è del boss Antonio Lo Russo, l’ultimo in ordine di tempo della famiglia dei “Capitoni” di Miano a passare dalla parte dello Stato. La sua confessione è stata determinante per l’emissione delle 7 misure cautelari a carico di mandanti, organizzatori ed esecutori di quel triplice orrendo delitto. Ma il pentito Antonio Lo Russo ha raccontato agli investigatori un  inedito retroscena , come riportato da Il Roma, e che riguarda uno dei partecipanti al delitto per il quale era stata decisa l’uccisione perchè ‘parlava troppo’. Ecco cosa ha raccontato Lo Russo a proposito del mancato omicidio di un altro suo affiliato: Oreste Sparano. “Sulla dinamica del triplice omicidio non ho chiesto né saputo per molto tempo i dettagli. Ho appreso poi in seguito da Ettore Bosti alcuni particolari. Mi raccontò che Oreste Sparano gli aveva confidato di aver preso parte all’esecuzione dei delitti e di essere rimasto ferito. Disse anche che erano stati uccisi in una casa e aveva partecipato anche Carmine Amato “’a vecchierella”. Allora mi preoccupai che Oreste stesse raccontando in giro ciò che aveva fatto e la cosa non mi piaceva affatto. Così andai a trovare “Cesarino” (Cesare Pagano, ndr) che era latitante a Quarto e gli chiesi di uccidere Oreste perché non mi fidavo di lui. “Cesarino” si rese disponibile, ma poi Sparano non è stato ucciso”. Nell’inchiesta del triplice omicidio sono coinvolti Carmine Amato,  il boss Cesare Pagano, Francesco Biancolella di Mugnano; Lucio Carriola, Mario Riccio, genero del boss Cesare Pagano; Oscar Pecorelli, o’ malommo e Oreste Sparano. Il mandante dell’omicidio sarebbe il boss pentito Antonio Lo Russo che secondo l’altro pentito Biagio Esposito, aveva chiesto la “cortesia” al gruppo del suo compare di matrimonio Cesare Pagano, di eliminare  o’ dobermann che stava diventando troppo autonomo. Sono indagati a piede libero anche altri due collaboratori di giustizia coinvolti nella vicenda ovvero Antonio Caiazza e Carmine Cerrato “taekendò”. Alla trappola mortale di Mugnano parteciparono, secondo i pentiti, pure Mirko Romano (presunto esecutore materiale) e Antonino D’Andò detto “Tonino ’o russ”, che organizzò e attuò il tranello facendo credere alle vittime di un appuntamento con gente dei Ferrara di Villaricca. Entrambi successivamente ammazzati, il secondo vittima di lupara bianca.

Cronache della Campania@2018

Giugliano, pusher trovato con mezzo chilo di droga: condannato ‘solo’ a due anni di carcere

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Attende la data del processo di Appello il pusher di Pozzuoli ma domiciliato a Giugliano, Elia Bellafronte. L’uomo era stato arrestato nel marzo scorso perchè trovato in possesso di 440 grammi di marijuana e un bilancino di precisione oltre a tutto l’occorrente per confezionare le dosi. Il gup Nicola Erminio Paone del tribunale di Napoli Nord  lo ha condannato a due anni di carcere nel processo che si è svolto con rito abbreviato. Il pm ne aveva chiesti 4. Grazie alla puntuale e precisa difesa degli avvocati Massimo Viscusi ed Emiliano Vaccarella, il 37enne pregiudicato è riuscito ad ottenere una pena ridotta che gli ha consentito di non andare in carcere. Ora si attende la fissazione della data del processo di Appello dove i suoi legali confidano di ottenere una ulteriore riduzione della pena.

 

Cronache della Campania@2018

Solo contro tutti, anche dopo la morte: l’assalto del branco a Ciccio Augeri e l’omertà dei testimoni

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Solo contro tutti: anche dopo la morte. E’ la triste e amara storia di Francesco Ciccio Augieri, il 23enne studente di biologia di Cosenza ucciso la notte del 22 agosto scorso a Diamante dalla stupida follia omicida un branco di ragazzini. “L’omicidio di Augeri è l’epilogo insensato di una lite tra due giovani, i quali prima dell’accaduto non avevano alcun rapporto di frequentazione, lite scaturita da una banale incomprensione verificatasi pochi minuti prima”: la ricostruzione del Giudice Marcello De Chiara che ha convalidato il fermo di Francesco Schiattarelli, accusato dell’omicidio di Francesco Augeri, applicando un’ordinanza di custodia cautelare è un racconto drammatico di una morte assurda, senza motivo, nella quale la follia del branco ha avuto la meglio sul senno e sul destino di un giovane di 23 anni. Il giudice analizza e censura sia la reticenza dei testimoni e dei protagonisti sia le pecche degli inquirenti che avrebbero tralasciato dei particolari importanti e determinanti per fare chiarezza sulla notte di Diamante, quella del 22 agosto scorso. In primis l’omertà: “Resta, però, forte la sensazione che non tutti abbiano detto ciò che sapevano, preferendo tutelare il colpevole di un omicidio, piuttosto che coadiuvare le autorità – scrive il giudice Marcello De Chiara -: da tutti i verbali trasmessi, traspare, infatti, una nemmeno troppo celata reticenza, da parte dei minori, ma ancor di più dei loro genitori, alcuni dei quali, addirittura, sulla base di inaccettabili motivazioni, si opponevano (!) a che gli organi di polizia visionassero i cellulari dei propri figli, ancorché contenenti conversazioni con le persone indagate”. Carnefici e vittime, frequentavano gli stessi luoghi e lo stesso locale, il bar Ketty, come tutti i protagonisti di questa assurda vicenda e sono stati anche a pochi metri di distanza l’uno dall’altro prima che i loro destini si incrociassero e scontrassero sulla via della morte. Lungo la discesa Corvino e sotto la statua di Padre Pio, sul ponte che porta al lungomare di Diamante, si consuma la vita di Francesco Augeri, 23enne cosentino, laureando in biologia, figlio di un medico e amico di Raffaele Criscuolo, 28enne laureato in lettere, residente a Boscotrecase e colpevole del primo attrito con i ragazzi napoletani del branco. Al bar Ketty poco prima della tragedia c’erano tutti i protagonisti, inconsapevoli l’uno dell’altro. C’era Criscuolo con Augeri e altri due amici, prima che si alzasse e si recasse a comprare le sigarette percorrendo il ponte di discesa Corvino. C’era Francesco Schiattarelli con F.D’A. prima che quest’ultimo con un altro ragazzo (Andrea, stranamente non identificato) e due ragazze decidesse di andare a fare un giro e si scontrasse sul ponte di via Libertà in direzione opposta con Criscuolo. E’ accaduto solo una settimana fa eppure sembra un film visto tante volte da tutti i protagonisti.

E’ il cuore della notte, sono passate le 3,15, in strada c’è ancora tanta gente soprattutto ragazzi, minorenni, abituati a notti insonni e vacanze in compagnia di amici.Una spallata tra Criscuolo e F. D’A. e quello scambio di insulti con Criscuolo che provoca il minorenne casertano ‘tagliati questi capelli ricchione’ alludendo ai lunghi capelli del ragazzo rappresenta il primo atto della tragedia. Sembrava potesse finire lì e invece il minorenne corre verso il bar Ketty, fa gruppo – sono almeno in dieci – e risale discesa Corvino, incrociano ancora Criscuolo che viene riconosciuto. A seguire la scena un codazzo di ragazzine che vuole capire cosa stanno combinando. “Il gruppo sta, infatti, cercando proprio lui ed appena lo avvistano – il D’A. grida “u vi loco” (ovvero “eccolo!”)- partono al suo attacco” scrive il Gip nell’ordinanza cautelare a carico di Schiattarelli.

Criscuolo viene picchiato e accoltellato. Il 28enne si divincola e corre veloce verso il locale, non si accorge che è stato ferito ad un gluteo, perde sangue. Se ne accorge Francesco Augeri e i due, con il 23enne cosentino avanti di qualche metro, ritornano verso la strada di Padre Pio per chiarire la situazione. Criscuolo si ferma a metà strada. Ha paura, vede che qualcuno di loro ha in mano qualcosa. Francesco Augeri, dunque, incontra per primo gli aggressori e sferra un pugno, pare proprio a Schiattarelli, ma subito dopo ha la peggio viene circondato e accoltellato: due fendenti all’addome, quasi di spalle, e uno al collo. Nelle sue dichiarazioni Raffaele Criscuolo dirà di aver visto uno di loco con qualcosa in mano “Non sa dire se è un coltello e nemmeno sa (o vuole) riconoscere tale soggetto; forse non ha il coraggio di farlo, forse è ancora sotto shock: si limita a dire che il taglio di capelli è compatibile con quello di Schiattarelli Francesco” scrive il Gip.

Durante l’interrogatorio, il 19enne napoletano fermato per l’omicidio di Augeri nega di aver partecipato a quella seconda rissa, ma per il giudice porta su di sè i segni visibili di quel momento a partire dall’occhio tumefatto. “Schiattarelli era presente anche nel momento in cui venivano sferrate le mortali coltellate” scrive il gip confrontando le dichiarazioni dei testimoni e quelle della vittima.
Il suo racconto secondo il giudice è pieno di contraddizioni a partire dalla circostanza che dopo il primo scontro era scappato a casa ‘senza ancora sapere che nel frattempo era stato ucciso un ragazzo’. Ma qualcuno lo ha visto colpire Criscuolo.

La super testimone, quella più attendibile e che secondo il giudice ha raccontato tutto quello che aveva visto e sapeva, ha solo 14 anni. Una ragazzina cosentina che è in vacanza con la mamma e conosce molti dei protagonisti della vicenda. Quando è iniziata la prima lite, la mamma le ha ordinato di tornare a casa, ma lei curiosa si è nascosta e guarda da lontano cosa succede. Arriva vicino al punto in cui Augeri, già ferito, aspetta l’arrivo dell’ambulanza. Ci sono tante persone intorno e poi arriva ‘Enzo’ un giovane che conosce l’assassino: è Schiattarelli perchè glielo ha confessato lui. Enzo sa anche che Schiattarelli ha un occhio gonfio perchè è stato colpito da Criscuolo con la cintura dei pantaloni. La mamma della ragazzina, poi, è una delle ultime persone a parlare con Francesco Augeri prima della morte, a raccogliere quell’atto di accusa contro i ragazzi napoletani. Schiattarelli porta visibile sul corpo, ad una settimana di distanza, i segni di quella colluttazione. Quando è entrato in carcere ha raccontato di essere caduto, ma davanti al gip ammette che è stato colpito durante la prima lite. Una contraddizione, secondo il Gip, che conferma quanto emerso nelle indagini e cioè che il 19enne del Rione Sanità era lì mentre Augeri veniva ucciso. Poi la fuga.

Schiattarelli racconta che alle 10,30 di quella mattina è partito da Diamante con i suoi familiari per tornare a casa per paura di possibili ritorsioni. Ma quel giorno verso le 18 i genitori del 19enne erano alla caserma dei carabinieri di Diamante per essere sentiti. Il padre aveva detto ai militari di non sapere dove era il figlio. La giustificazione del ragazzo è stata: “sono tornati per prendere i vestiti che avevano lasciato”. Secondo il Gip, la famiglia è partita quella sera, temendo ripercussioni giudiziarie per Francesco Schiattarelli.

Il giudice Marcello De Chiara non ha dubbi sulle responsabilità dell’indagato e scrive: “Schiattarelli Francesco non ha manifestato alcuno segno di resipiscenza: manca dunque la condizione primaria ed essenziale sulla quale dovrà fondarsi il difficile percorso rieducativo che lo aspetta; è evidente che, in mancanza di tale condizione, non può tornare in libertà un soggetto incapace totalmente incapace di arginare la propria aggressività, perchè ciò comporterebbe un pericolo grave ed attuale per gli altri consociati”. Resta in carcere, mentre la procura per i minori indaga F.D’A., il minorenne per lesioni personali nei confronti di Criscuolo e valuta la sua posizione per concorso in omicidio con Schiattarelli.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Dieci anni di liti giudiziarie, civili e penali, per due ‘abbaini’ in più

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Un ‘compromesso’ immobiliare nato male, la realizzazione di due abbaini in più rispetto alla futura realizzazione dell’edificio, una causa civile e cinque imputati accusati in concorso di abuso edilizio, reato che molto probabilmente sarà già prescritto prima della fine del processo. Sono gli ingredienti di una lunga storia di burocratico-legale che si protrae da dieci anni nella piccola frazione di Carano di Sessa Aurunca con protagonisti l’acquirente di una delle unità abitative da realizzare, il proprietario, il direttore dei lavori, il titolare di un’impresa e il responsabile del cantiere. La causa penale, fissata per fine anno davanti al giudice monocratico Giorgio Pacelli del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, è nata da un accesso da parte della polizia municipale di Sessa Aurunca – scatenato dai primi diverbi tra proprietario e acquirente – che determinò l’apertura del fascicolo e un conseguente «ordine di abbattimento e ripristino dello stato dei luoghi». Nel frattempo, già nel 2012, sono sfilati alcuni testimoni nel procedimento civile incardinato davanti alla sezione distaccata di Carinola, nato da una citazione in cui l’acquirente contestava al proprietario, prima di formalizzare l’acquisto, gravi violazioni di carattere penale chiedendo la risoluzione del contratto e la restituzione doppia della caparra. Un atto giudiziario che spinge il proprietario a replicare a colpi di carta bollata, incarichi peritali e richieste di spiegazioni al direttore dei lavori. Da un lato c’è l’acquirente che dice di avere accettato su proposta del direttore dei lavori l’esecuzione abusiva dei due abbaini che lo stesso professionista avrebbe provveduto a sanare dopo l’acquisto; dall’altro c’è il direttore dei lavori che afferma di avere eseguito le modifiche abusive su richiesta dell’acquirente (da sanare successivamente con variante), circostanza sostenuta anche dal responsabile del cantiere. Fatto sta che, alla fine, si sono trovati tutti sotto processo l’acquirente Franco Passaretti, maresciallo della finanza, peraltro in passato candidato al consiglio comunale di Sessa, al Consiglio provinciale di Caserta e al consiglio comunale di Trieste; il proprietario Giuseppe Verrengia, l’architetto e direttore dei lavori Roberto Truglio, il titolare dell’impresa Domenico Aniello ed il figlio Gennaro responsabile del cantiere. Tutti sono pronti a sostenere la propria difesa assistiti dagli avvocati Luigi Imperato, Ivan Flippelli, Domenico Schiavo e Gianluca Di Matteo. (f.t.)

 

Cronache della Campania@2018

Solo contro tutti, anche dopo la morte: l’assalto del branco a Ciccio Augeri e l’omertà dei testimoni

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Solo contro tutti: anche dopo la morte. E’ la triste e amara storia di Francesco Ciccio Augieri, il 23enne studente di biologia di Cosenza ucciso la notte del 22 agosto scorso a Diamante dalla stupida follia omicida un branco di ragazzini. “L’omicidio di Augeri è l’epilogo insensato di una lite tra due giovani, i quali prima dell’accaduto non avevano alcun rapporto di frequentazione, lite scaturita da una banale incomprensione verificatasi pochi minuti prima”: la ricostruzione del Giudice Marcello De Chiara che ha convalidato il fermo di Francesco Schiattarelli, accusato dell’omicidio di Francesco Augeri, applicando un’ordinanza di custodia cautelare è un racconto drammatico di una morte assurda, senza motivo, nella quale la follia del branco ha avuto la meglio sul senno e sul destino di un giovane di 23 anni. Il giudice analizza e censura sia la reticenza dei testimoni e dei protagonisti sia le pecche degli inquirenti che avrebbero tralasciato dei particolari importanti e determinanti per fare chiarezza sulla notte di Diamante, quella del 22 agosto scorso. In primis l’omertà: “Resta, però, forte la sensazione che non tutti abbiano detto ciò che sapevano, preferendo tutelare il colpevole di un omicidio, piuttosto che coadiuvare le autorità – scrive il giudice Marcello De Chiara -: da tutti i verbali trasmessi, traspare, infatti, una nemmeno troppo celata reticenza, da parte dei minori, ma ancor di più dei loro genitori, alcuni dei quali, addirittura, sulla base di inaccettabili motivazioni, si opponevano (!) a che gli organi di polizia visionassero i cellulari dei propri figli, ancorché contenenti conversazioni con le persone indagate”. Carnefici e vittime, frequentavano gli stessi luoghi e lo stesso locale, il bar Ketty, come tutti i protagonisti di questa assurda vicenda e sono stati anche a pochi metri di distanza l’uno dall’altro prima che i loro destini si incrociassero e scontrassero sulla via della morte. Lungo la discesa Corvino e sotto la statua di Padre Pio, sul ponte che porta al lungomare di Diamante, si consuma la vita di Francesco Augeri, 23enne cosentino, laureando in biologia, figlio di un medico e amico di Raffaele Criscuolo, 28enne laureato in lettere, residente a Boscotrecase e colpevole del primo attrito con i ragazzi napoletani del branco. Al bar Ketty poco prima della tragedia c’erano tutti i protagonisti, inconsapevoli l’uno dell’altro. C’era Criscuolo con Augeri e altri due amici, prima che si alzasse e si recasse a comprare le sigarette percorrendo il ponte di discesa Corvino. C’era Francesco Schiattarelli con F.D’A. prima che quest’ultimo con un altro ragazzo (Andrea, stranamente non identificato) e due ragazze decidesse di andare a fare un giro e si scontrasse sul ponte di via Libertà in direzione opposta con Criscuolo. E’ accaduto solo una settimana fa eppure sembra un film visto tante volte da tutti i protagonisti.

E’ il cuore della notte, sono passate le 3,15, in strada c’è ancora tanta gente soprattutto ragazzi, minorenni, abituati a notti insonni e vacanze in compagnia di amici.Una spallata tra Criscuolo e F. D’A. e quello scambio di insulti con Criscuolo che provoca il minorenne casertano ‘tagliati questi capelli ricchione’ alludendo ai lunghi capelli del ragazzo rappresenta il primo atto della tragedia. Sembrava potesse finire lì e invece il minorenne corre verso il bar Ketty, fa gruppo – sono almeno in dieci – e risale discesa Corvino, incrociano ancora Criscuolo che viene riconosciuto. A seguire la scena un codazzo di ragazzine che vuole capire cosa stanno combinando. “Il gruppo sta, infatti, cercando proprio lui ed appena lo avvistano – il D’A. grida “u vi loco” (ovvero “eccolo!”)- partono al suo attacco” scrive il Gip nell’ordinanza cautelare a carico di Schiattarelli.

Criscuolo viene picchiato e accoltellato. Il 28enne si divincola e corre veloce verso il locale, non si accorge che è stato ferito ad un gluteo, perde sangue. Se ne accorge Francesco Augeri e i due, con il 23enne cosentino avanti di qualche metro, ritornano verso la strada di Padre Pio per chiarire la situazione. Criscuolo si ferma a metà strada. Ha paura, vede che qualcuno di loro ha in mano qualcosa. Francesco Augeri, dunque, incontra per primo gli aggressori e sferra un pugno, pare proprio a Schiattarelli, ma subito dopo ha la peggio viene circondato e accoltellato: due fendenti all’addome, quasi di spalle, e uno al collo. Nelle sue dichiarazioni Raffaele Criscuolo dirà di aver visto uno di loco con qualcosa in mano “Non sa dire se è un coltello e nemmeno sa (o vuole) riconoscere tale soggetto; forse non ha il coraggio di farlo, forse è ancora sotto shock: si limita a dire che il taglio di capelli è compatibile con quello di Schiattarelli Francesco” scrive il Gip.

Durante l’interrogatorio, il 19enne napoletano fermato per l’omicidio di Augeri nega di aver partecipato a quella seconda rissa, ma per il giudice porta su di sè i segni visibili di quel momento a partire dall’occhio tumefatto. “Schiattarelli era presente anche nel momento in cui venivano sferrate le mortali coltellate” scrive il gip confrontando le dichiarazioni dei testimoni e quelle della vittima.
Il suo racconto secondo il giudice è pieno di contraddizioni a partire dalla circostanza che dopo il primo scontro era scappato a casa ‘senza ancora sapere che nel frattempo era stato ucciso un ragazzo’. Ma qualcuno lo ha visto colpire Criscuolo.

La super testimone, quella più attendibile e che secondo il giudice ha raccontato tutto quello che aveva visto e sapeva, ha solo 14 anni. Una ragazzina cosentina che è in vacanza con la mamma e conosce molti dei protagonisti della vicenda. Quando è iniziata la prima lite, la mamma le ha ordinato di tornare a casa, ma lei curiosa si è nascosta e guarda da lontano cosa succede. Arriva vicino al punto in cui Augeri, già ferito, aspetta l’arrivo dell’ambulanza. Ci sono tante persone intorno e poi arriva ‘Enzo’ un giovane che conosce l’assassino: è Schiattarelli perchè glielo ha confessato lui. Enzo sa anche che Schiattarelli ha un occhio gonfio perchè è stato colpito da Criscuolo con la cintura dei pantaloni. La mamma della ragazzina, poi, è una delle ultime persone a parlare con Francesco Augeri prima della morte, a raccogliere quell’atto di accusa contro i ragazzi napoletani. Schiattarelli porta visibile sul corpo, ad una settimana di distanza, i segni di quella colluttazione. Quando è entrato in carcere ha raccontato di essere caduto, ma davanti al gip ammette che è stato colpito durante la prima lite. Una contraddizione, secondo il Gip, che conferma quanto emerso nelle indagini e cioè che il 19enne del Rione Sanità era lì mentre Augeri veniva ucciso. Poi la fuga.

Schiattarelli racconta che alle 10,30 di quella mattina è partito da Diamante con i suoi familiari per tornare a casa per paura di possibili ritorsioni. Ma quel giorno verso le 18 i genitori del 19enne erano alla caserma dei carabinieri di Diamante per essere sentiti. Il padre aveva detto ai militari di non sapere dove era il figlio. La giustificazione del ragazzo è stata: “sono tornati per prendere i vestiti che avevano lasciato”. Secondo il Gip, la famiglia è partita quella sera, temendo ripercussioni giudiziarie per Francesco Schiattarelli.

Il giudice Marcello De Chiara non ha dubbi sulle responsabilità dell’indagato e scrive: “Schiattarelli Francesco non ha manifestato alcuno segno di resipiscenza: manca dunque la condizione primaria ed essenziale sulla quale dovrà fondarsi il difficile percorso rieducativo che lo aspetta; è evidente che, in mancanza di tale condizione, non può tornare in libertà un soggetto incapace totalmente incapace di arginare la propria aggressività, perchè ciò comporterebbe un pericolo grave ed attuale per gli altri consociati”. Resta in carcere, mentre la procura per i minori indaga F.D’A., il minorenne per lesioni personali nei confronti di Criscuolo e valuta la sua posizione per concorso in omicidio con Schiattarelli.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Salerno, Fonderie Pisano: chiesto il processo per un un dirigente della Regione e un ingegnere

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Salerno. Fonderie Pisano, a rischiare il processo un ingegnere redattore dell’ Aia, autorizzazione integrata ambientale e un dirigente della Regione Campania. Si tratta di Antonio Setaro, dirigente del settore provinciale ecologia, tutela ambientale, disinquinamento di Salerno e Luca Fossati. Per loro l’accusa è di concorso formale in abuso d’ufficio, falsità materia e ideologica con l’aggravante di aver compiuto reati nella loro funzione di pubblici ufficiali. A valutare la richiesta di rinvio a giudizio presentata dai sostituti procuratori che curano il caso sarà il gup Maria Zambrano. La richiesta riguarda anche i membri della famiglia Pisano: Roberto, Ciro, Ugo e Guido. La Procura ha individuato nelle parti lese il Ministero dell’Ambiente, Regione, Provincia e Comune di Salerno, il Comitato Salute e Vita e il Codacons. Fossati e Setaro sono accusati in concorso con il deceduto Luigi Pisano per aver “Procuato intenzionalmente ai titolari delle Fonderie Pisano un ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nel rilascio del decreto Aia” che è ritenuto dai giudici “illegittimo perché fondato su documenti contenenti false attestazioni”. Le accuse ai Pisano da qui i quali “ senza la prescritta autorizzazione integrata ambientale, attesa l’illegittimità ed inefficacia di quella ottenuta, superavano i valori limite di emissione ed effettuavano illecitamente scarichi”. Inoltre, secondo la tesi accusatoria della Procura, gli stessi “gestivano e smaltivano illecitamente rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, non risultando tracciabili gli smaltimenti» e inoltre «smaltivano illecitamente rifiuti utilizzandoli quale materiale di riempimento ai fini della realizzazione di un basamento di calcestruzzo armato di dimensioni di circa 80 metri quadrati”. “Le Fonderie Pisano tengono a ribadire la piena conformità della propria attività imprenditoriale – fanno sapere in una nota gli avvocati Lorenzo Lentini e Guglielmo Scarlato – alle autorizzazioni ambientali, così come già riconosciuto nelle competenti sedi giudiziarie di merito, sia amministrative che penali. Ribadiscono peraltro il pieno rispetto delle prescrizioni disposte dalla autorità amministrativa competente verso la quale si riservano di fornire ogni necessario chiarimento non solo sulle riduzioni apportate agli impatti ambientali, come del resto tecnicamente evincibili dai dati ufficiali già pubblici, ma anche sui recenti interventi e sulle procedure attivate per il pieno rispetto delle componenti ambientali”.

Cronache della Campania@2018

Violenze sulla sorellina disposto il confronto davanti al Tribunale per i minori

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Il Tribunale dei Minori ha emesso nei confronti di un sedicenne cavese un provvedimento di custodia cautelare per l’accusa di molestia nei confronti della sorelina di dieci anni. Ora si trova in una comunità per minori in attesa di essere ascoltato nelle sedi preposte da uno specialista. Si cerca di capire, anche con l’aiuto di consulenti tecnici, la veridicità delle dichiarazioni della sorellina, che come detto, con lui e l’altro fratellino di appena cinque anni, hanno vissuto una delicata situazione all’interno delle mure domestiche.
“Ogni parola, in questo momento, è inopportuna. Siamo in una fase embrionale. I familiari cercano di accertare la verità e tutelare i due fratellini”, dichiara l’avvvocato del sedicenne. Gli zii del ragazzo, orfano di madre, anche lei vittima di una violenza familiare, hanno deciso di affidarsi ad un avvocato per capire quello che è effettivamente accaduto.
La ragazzina, nel corso di incontri con psicologi che avrebbero dovuta aiutarla a superare il momento tragico per la perdita della madre, avrebbe parlato di comportamenti forti del fratello nei suoi confronti. “Al momento non possiamo parlare di un capo di accusa – spiega il legale -, è prematuro parlare di molestie così come di abusi. Ci sono delle dichiarazioni di quella che è la cosiddetta parte offesa che devono essere vagliate dagli inquirenti con l’aiuto di specialisti”. Gli inquirenti cercano in ogni modo di tener ben presente il contesto familiare, in cui si sono sviluppate le condotte dei due ragazzi.
La famiglia attende di conoscere la verità chiedendo il dovuto silenzio data la delicatezza della situazione in quanto i protagonisti di questa tristissima vicneda sono due ragazzini provati dalla loro storia familiare.

Cronache della Campania@2018


Camorra, si è pentito un ‘soldato’ dei Vastarella: scritte sui muri del quartiere: ‘Pandolfi pentito infame’

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Napoli. Le scritte sui muri del rione Sanità sono inequivocabili: “Pandolfi pentito infame”. Il neo collaboratore di giustizia è uno dei soldati più fedeli del clan Vastarella: Daniele Pandolfi, 25 anni scampato due volte alla morte. In carcere da sei mesi ha deciso di passare dalla parte dello stato: Era stato arrestato insieme con i vertici del clan Vastarella del 3 marzo scorso nel corso di un blitz che portò in carcere 18 persone tra cui tutto il vertice della cosca compreso il boss Patrizio Vastarella, la moglie, il figlio e il nipote. Daniele Pandolfi era tornato in libertà nel genanio scorso dopo una anno di arresti domiciliari e qualche giorno della sua libertà era stato accolto da una stesa sotto la sua abitazione. Ora la notizia del suo pentimento, anticipata dal quaotidiano Il Roma. Daniele Pandolfi, in passato aveva già subito due agguati. Nel 2013, quand’era ancora appena 17enne, rimase ferito tra i vicoli del rione Sanità insieme a Ciro Orlando. Allora infuriava la guerra tra i Della Corte e i “mianesi”, referenti in zona dei Lo Russo ( e ai quali Pandolfi era legato), e l’attacco fu addebitato ai primi, tanto che per la sparatoria furono arrestati due anni dopo i presunti responsabili. Ma almeno dal 2014 Daniele è passato con i Vastarella e negli ultimi mesi era amico inseparabile di Antonio Bottone, ucciso mentre i due erano insieme in un pub in viale dei Pini ai Colli Aminei il 6 ottobre 2016. Pandolfi nel marzo scorso fu beccato dai falchi della squadra mobile in  un cortile in via del Serbatoio e via Fontanelle mentre teneva un summit contro altri sei giovani pregiudicati tra cui Fabio Vastarella, nipote del boss che fu arrestato insieme con il pregiudicato Antonio Stella perché trovati in possesso di un revolevr 357 Magnum Phyton.

Cronache della Campania@2018

Cinque processi per il boss ‘collaboratore’ Augusto La Torre

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Cinque processi fissati in 18 giorni riguardanti tre omicidi, un duplice omicidio e la cosiddetta strage di Pescopagano. Sono tutte accuse vecchie – risalenti a fatti commessi tra il 1988 e il 1995 sul litorale Domizio – contestate all’ex boss Augusto La Torre, pentito dell’ex omonimo clan di Mondragone che verranno trattate in cinque udienze fissate davanti a quattro diversi giudici del Tribunale di Napoli a partire dal 13 settembre prossimo. A procedere con le accuse istruite in passato, è la Dda nella persona della pm antimafia Maria Laura Lalia Morra: nella prima udienza preliminare del prossimo 13 settembre si tratterà del duplice delitto dei rom Osvaldo e Teodoro De Rosa (quest’ultimo detto Maciste), ladri di bestiame, sui quali i bounty killer dell’ex clan La Torre – cosca smantellata da diverse operazioni di carabinieri e polizia, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia durante gli anni passati – avevano messo una taglia in stile far west. I due rom, infatti, si erano resi protagonisti di decine di furti di bestiame ai danni di titolari di aziende agricole in quanto, pur pagando il pizzo al clan, subivano i furti. Altre due udienze preliminari riguardano due distinti delitti commessi a Mondragone nell’ambito della faida camorristica tra cosche opposte (vittime Luigi Palumbo e Gaetano Broccoli, uccisi rispettivamente nel 1990 e nel 1995) mentre sono due i fatti di sangue che vedono vittime anche alcuni extracomunitari che spacciavano droga sul litorale. Una vera ossessione lo spaccio della droga per la cosca dei Chiuovi tant’è che punivano indistintamente spacciatori locali italiani ed immigrati presenti sulla Domiziana. Come nel caso di Juma Iddi Bayar, un tanzaniano che con altri spacciatori come lui aveva preso in affitto una villetta proprio nelle vicinanze della base del clan. Lo spaccio attirava le forze dell’ordine per i controlli anti droga e così la cosca decise di eliminare il fastidio uccidendo lo spacciatore di colore. O come l’episodio del 1990 noto come la strage di Pescopagano, in cui per gli stessi motivi morirono sette persone tra cui un italiano e furono feriti altri due italiani tra cui un ragazzino di 14 anni rimasto poi paralizzato. Augusto La Torre, psicologo, che si definisce Camorfista nel suo libro pubblicato di recente, pur avendo confessato una cinquantina di omicidi, non ha mai avuto una condanna all’ergastolo per aver usufruito della legge sui collaboratori di giustizia. Una collaborazione, la sua, inquinata da una condanna durante la fase di protezione ma che non gli ha sottratto il beneficio del cosiddetto articolo 8. I processi fissati da metà settembre fino agli inizi di ottobre lo vedono coimputato, in un paio di casi, con altre persone tra cui il cugino Francesco Tiberio La Torre e, per gli stessi, la difesa è intenzionata a chiedere il rito abbreviato. Per un ulteriore triplice omicidio, ovvero quello dei fratelli Ursino uccisi insieme ad una terza persona sempre negli anni della faida, è stata firmata la chiusura delle indagini lo scorso luglio dal pm antimafia Alessandro D’Alessio. (f.t.)

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Camorra, il video che incastra il baby killer dei Quartieri Spagnoli, Francesco Valentinelli

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Napoli.Il prossimo 20 settembre si svolgerà l’udienza preliminare a carico del baby killer dei quartieri Spagnoli, Francesco Valentinelli, 23anni appena e autore dell’omicidio di Gennaro Verrano ucciso il 17 novembre dell’anno scorso in piazzetta Santa Teresa agli Spagnoli. Il killer è il figlio della nota Angela Farelli detta “Briosche’, pusher e gestrice di una piazza di spaccio in vico Tre re a Toledo, la vittima, suo parente, era un noto pregiudicato nonchè il padre di Francesco Verrano detto “checco lecco”, appena 20 anni e già condannato a 8 anni di carcere per l’omicidio di Mario Mazzanti figlio del boss delle Chianche. Francesco Valentinelli un mese dopo l’omicidio fu arrestato grazie alle indagini lampo dei carabinieri e nel corso dell’udienza di convalida ammise la sua responsabilità e spiegò  la sua versione dei fatti: “l’ho fatto per difendermi perché da come si era messo sullo scooter ho temuto che stesse per spararmi”. Ora quella drammatica sequenza di morte avvenuta davanti ad alcun persone che transitavano tranquillamente ai Quartieri è stata messa agli atti del processo come riportato da Il Mattino. Valentinelli prima di entrare in azione, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti esaminando il video, era su una scalinata. Quando Verrano e’ arrivato in sella del suo scooter, con la moglie, gli ha sparato una prima volta e poi gli ha dato il colpo di grazia mentre la donna e’ riuscita a scappare, cosi’ come il cagnolino che i due portavano sulla moto. Tutta la scena – secondo l’accusa – viene vista da una decina di donne ma nessuna denuncera’ l’assassino. Secondo quanto emerge dalle immagini, molte persone, soprattutto una decina di donne, avrebbero visto il killer in azione ma nessuno avrebbe denunciato. Come si evince dalla scansione temporale, il sicario e’ entrato in azione pochi momenti dopo l’uscita di alcuni bambini da scuola. Nel video anche la moglie incinta di Verrano, rimasta illesa nell’agguato, che dopo il delitto torna sul posto a riprendersi lo scooter sul quale si trovava con il marito.

 

 

 

 

 

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Strage del bus sul viadotto, il perito: ‘Manutenzione carente’

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Il bus della strage di Acqualonga che cinque anni fa precipitò da un viadotto a Monteforte causando quaranta morti, era un catorcio con i freni guasti e senza revisione, ma le barriere non contennero lo schianto e anche al processo di Avellino si parla di un buco nero nelle manutenzioni. Dopo cinque anni arriva la perizia del tribunale, quella di un super esperto dopo quelle del Pm e della Società che sono state da subito contrapposte. I vertici di Autostrade e il tour operator proprietario del bus sono accusati di disastro colposo e omicidio plurimo: a giudizio quindici tra dirigenti e tecnici di Autostrade tra cui l’Ad Castellucci. Il 12 settembre di discuterà in aula ad Avellino delle conclusioni di Felice Giuliani, ordinario di ingegneria all’ateneo di Parma, nonché presidente della Società Italiana Infrastrutture Viarie.
Il perito sostiene, come riporta Il Mattino, che il veicolo procedeva ad una velocità di 89 Km/h, rispetto ai 92 calcolati dai consulenti di Autostrade per l’Italia e fissa a 11,9 gradi, l’angolo di impatto del mezzo contro le barriere New Jersey poste ai margini del viadotto dell’A16.
“In ogni caso – sostiene Giuliani – la disputa tecnica sui calcoli della velocità e dell’angolo d’impatto, tra i consulenti delle parti, è superata dal fatto che la barriera in questione, qualora fosse stata perfettamente mantenuta, con tutti i tirafondi non corrosi e con tutte le connessioni orizzontali efficienti, anche nel caso del più severo impatto a 92 km e 19 gradi sessagesimali (secondo la tesi Aspi, ndr) avrebbe offerto, molto probabilmente una risposta strutturata adeguata, con la movimentazione di 4 blocchi di calcestruzzo”.
Da Autstrade arriva forte e chiaro l’odore di battaglia: “La perizia tecnica appena depositata sarà oggetto di un approfondito contraddittorio nel corso del dibattimento da parte dei periti di Autostrade per l’Italia, tra i quali figurano anche gli esperti del Politecnico di Milano”. Autostrade ritiene che anche dalla perizia appena depositata si evince che le barriere fossero adeguate e in grado di svolgere la funzione di contenimento. Ma non viene nascosta la verità emersa dall’indagine del superperito, che si concentra sulla dinamica. È il tema attualissimo della manutenzione che come racconta la vicenda di Genova, emergere anche nel dramma del viadotto irpino. Molto probabilmente queste barriere, fossero state perfettamente efficienti, avrebbero contenuto l’urto del pullman.
La manovra che l’autista aveva provato disperatamente per rallentare la corsa, non era l’elemento principe da considerare. «Anche ad un impatto più severo con manutenzioni adeguate, il New Jersey avrebbe retto», dice l’esperto. Il processo, dunque, giunge ad una fase decisiva, dopo il deposito della super perizia. La perizia era stata chiesta dal presidente del tribunale monocratico di Avellino, Luigi Buono, per provare una terza via dopo quelle indicate dalle perizie presentate dai consulenti nominati dalla Procura di Avellino e dai consulenti di Autostrade per l’Italia. Secondo Giuliani: “Non pare affatto congrua rispetto all’importante ruolo svolto e al corrispondente onere assunto dalla più importante società concessionaria italiana la giustificazione relativa al fatto che non si fosse maturata una pregressa esperienza circa la possibilità che gli elementi di ancoraggio potessero così gravemente degradarsi”.

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Tragedia bus ad Avellino, il superperito punta il dito sulla mancata manutenzione

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Avellino. Bus nella scarpata: il superperito del tribunale punta il dito sulla mancata manutenzione da parte di Autostrade. E’ in corso al Tribunale di Avellino il processo per la morte di 40 persone sul viadotto dell’A16 il 28 luglio del 2013.
Dopo la tragedia del ponte Morandi a Genova, anche ad Avellino, si punta il dito contro una mancata manutenzione da parte di Autostrade per l’Italia. Secondo un superperito del Tribunale irpino, Felice Giuliani, chiamato in causa per fare luce sulla tragedia del bus avvenuta cinque anni fa, l’impatto del bus (senza freni e senza revisione) sulle barriere laterali del viadotto Acqualonga fu di striscio e a una velocità più bassa (89 chilometri orari) di quella finora stimata (92 chilometri orari). Le barriere, in sostanza, secondo il superperito, avrebbero potuto reggere il colpo se i perni utilizzati per tenerli ancorati a terra – i tirafondi – non fossero stati corrosi dal sale che, in quella zona dell’autostrada, viene utilizzato d’inverno per fronteggiare neve e ghiaccio. Nel processo i vertici di Autostrade per l’Italia e il proprietario del bus sono accusati di disastro colposo e omicidio plurimo e buona parte delle famiglie delle vittime, quasi tutte di Pozzuoli, sono già state risarcite. Il 27 dicembre del 2015 il giudice rinviò a giudizio, complessivamente 15 persone. La presunta mancata manutenzione, comunque, sarà oggetto di un contraddittorio a cui saranno presenti i periti di Autostrade per l’Italia tra cui figurano anche ingegneri ed esperti del Politecnico di Milano. Il superperito, però, sostiene che le barriere avrebbero retto se fossero state tenute sotto adeguata manutenzione. La perizia depositata ieri, chiesta dal giudice Luigi Buono, si va ad aggiungere a quelle dei periti della Procura, e di Autostrade per l’Italia che sostiene, tra l’altro, di essere stata sprovvista di sufficiente esperienza circa le reazioni degli ancoraggi all’azione di una determinata tipologia di agenti esterni.

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Truffa sui centri Aias: avviso di conclusione indagine per moglie e figlie di De Mita

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Avranno venti giorni di tempo per presentare una memoria difensiva, poi il procuratore aggiunto Vincenzo D’Onofrio potra’ chiedere il rinvio a giudizio per undici persone coinvolte nella gestione dei centri Aias per l’assistenza agli spastici di Avellino, Nusco e Calitri. Il magistrato della procura di Avellino ha infatti notificato gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari per Anna Maria Scarinzi, moglie di Ciriaco De Mita, per le figlie Floriana e Simona De Mita, per l’ex amministratore dei centri Gerardo Bilotta e per i responsabili della Hs Soluzioni Informatiche srl. Le accuse vanno dal falso alla truffa nella gestione dei centri di riabilitazione nei cui bilanci sono stati riscontrati ammanchi per circa 6 milioni di euro. Gli investigatori della Guardia di finanza si sono concentrati anche su alcune consulenze, affidate alle figlie dell’ex presidente del Consiglio e nei fatti mai svolte, sebbene pagate. Una circostanza che ha indotto gli inquirenti a ritenere che i De Mita utilizzassero i centri Aias e l’associazione “Noi Con Loro”, fondata proprio da Anna Maria Scarinzi, come la ‘cassaforte’ di famiglia. Gli indagati devono rispondere anche dell’assistenza offerta in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, senza che le strutture fossero regolarmente accreditate. Nell’ambito dell’inchiesta, a giugno scorso, furono eseguite anche misure cautelari personali e patrimoniali a carico di Anna Maria Scarinzi e Gerardo Bilotta. Misure poi revocate dal tribunale del Riesame di Napoli.

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Tragedia bus ad Avellino, il superperito punta il dito sulla mancata manutenzione

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Avellino. Bus nella scarpata: il superperito del tribunale punta il dito sulla mancata manutenzione da parte di Autostrade. E’ in corso al Tribunale di Avellino il processo per la morte di 40 persone sul viadotto dell’A16 il 28 luglio del 2013.
Dopo la tragedia del ponte Morandi a Genova, anche ad Avellino, si punta il dito contro una mancata manutenzione da parte di Autostrade per l’Italia. Secondo un superperito del Tribunale irpino, Felice Giuliani, chiamato in causa per fare luce sulla tragedia del bus avvenuta cinque anni fa, l’impatto del bus (senza freni e senza revisione) sulle barriere laterali del viadotto Acqualonga fu di striscio e a una velocità più bassa (89 chilometri orari) di quella finora stimata (92 chilometri orari). Le barriere, in sostanza, secondo il superperito, avrebbero potuto reggere il colpo se i perni utilizzati per tenerli ancorati a terra – i tirafondi – non fossero stati corrosi dal sale che, in quella zona dell’autostrada, viene utilizzato d’inverno per fronteggiare neve e ghiaccio. Nel processo i vertici di Autostrade per l’Italia e il proprietario del bus sono accusati di disastro colposo e omicidio plurimo e buona parte delle famiglie delle vittime, quasi tutte di Pozzuoli, sono già state risarcite. Il 27 dicembre del 2015 il giudice rinviò a giudizio, complessivamente 15 persone. La presunta mancata manutenzione, comunque, sarà oggetto di un contraddittorio a cui saranno presenti i periti di Autostrade per l’Italia tra cui figurano anche ingegneri ed esperti del Politecnico di Milano. Il superperito, però, sostiene che le barriere avrebbero retto se fossero state tenute sotto adeguata manutenzione. La perizia depositata ieri, chiesta dal giudice Luigi Buono, si va ad aggiungere a quelle dei periti della Procura, e di Autostrade per l’Italia che sostiene, tra l’altro, di essere stata sprovvista di sufficiente esperienza circa le reazioni degli ancoraggi all’azione di una determinata tipologia di agenti esterni.

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Truffa sui centri Aias: avviso di conclusione indagine per moglie e figlie di De Mita

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Avranno venti giorni di tempo per presentare una memoria difensiva, poi il procuratore aggiunto Vincenzo D’Onofrio potra’ chiedere il rinvio a giudizio per undici persone coinvolte nella gestione dei centri Aias per l’assistenza agli spastici di Avellino, Nusco e Calitri. Il magistrato della procura di Avellino ha infatti notificato gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari per Anna Maria Scarinzi, moglie di Ciriaco De Mita, per le figlie Floriana e Simona De Mita, per l’ex amministratore dei centri Gerardo Bilotta e per i responsabili della Hs Soluzioni Informatiche srl. Le accuse vanno dal falso alla truffa nella gestione dei centri di riabilitazione nei cui bilanci sono stati riscontrati ammanchi per circa 6 milioni di euro. Gli investigatori della Guardia di finanza si sono concentrati anche su alcune consulenze, affidate alle figlie dell’ex presidente del Consiglio e nei fatti mai svolte, sebbene pagate. Una circostanza che ha indotto gli inquirenti a ritenere che i De Mita utilizzassero i centri Aias e l’associazione “Noi Con Loro”, fondata proprio da Anna Maria Scarinzi, come la ‘cassaforte’ di famiglia. Gli indagati devono rispondere anche dell’assistenza offerta in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, senza che le strutture fossero regolarmente accreditate. Nell’ambito dell’inchiesta, a giugno scorso, furono eseguite anche misure cautelari personali e patrimoniali a carico di Anna Maria Scarinzi e Gerardo Bilotta. Misure poi revocate dal tribunale del Riesame di Napoli.

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Tragedia bus ad Avellino, il superperito punta il dito sulla mancata manutenzione

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Avellino. Bus nella scarpata: il superperito del tribunale punta il dito sulla mancata manutenzione da parte di Autostrade. E’ in corso al Tribunale di Avellino il processo per la morte di 40 persone sul viadotto dell’A16 il 28 luglio del 2013.
Dopo la tragedia del ponte Morandi a Genova, anche ad Avellino, si punta il dito contro una mancata manutenzione da parte di Autostrade per l’Italia. Secondo un superperito del Tribunale irpino, Felice Giuliani, chiamato in causa per fare luce sulla tragedia del bus avvenuta cinque anni fa, l’impatto del bus (senza freni e senza revisione) sulle barriere laterali del viadotto Acqualonga fu di striscio e a una velocità più bassa (89 chilometri orari) di quella finora stimata (92 chilometri orari). Le barriere, in sostanza, secondo il superperito, avrebbero potuto reggere il colpo se i perni utilizzati per tenerli ancorati a terra – i tirafondi – non fossero stati corrosi dal sale che, in quella zona dell’autostrada, viene utilizzato d’inverno per fronteggiare neve e ghiaccio. Nel processo i vertici di Autostrade per l’Italia e il proprietario del bus sono accusati di disastro colposo e omicidio plurimo e buona parte delle famiglie delle vittime, quasi tutte di Pozzuoli, sono già state risarcite. Il 27 dicembre del 2015 il giudice rinviò a giudizio, complessivamente 15 persone. La presunta mancata manutenzione, comunque, sarà oggetto di un contraddittorio a cui saranno presenti i periti di Autostrade per l’Italia tra cui figurano anche ingegneri ed esperti del Politecnico di Milano. Il superperito, però, sostiene che le barriere avrebbero retto se fossero state tenute sotto adeguata manutenzione. La perizia depositata ieri, chiesta dal giudice Luigi Buono, si va ad aggiungere a quelle dei periti della Procura, e di Autostrade per l’Italia che sostiene, tra l’altro, di essere stata sprovvista di sufficiente esperienza circa le reazioni degli ancoraggi all’azione di una determinata tipologia di agenti esterni.

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Avranno venti giorni di tempo per presentare una memoria difensiva, poi il procuratore aggiunto Vincenzo D’Onofrio potra’ chiedere il rinvio a giudizio per undici persone coinvolte nella gestione dei centri Aias per l’assistenza agli spastici di Avellino, Nusco e Calitri. Il magistrato della procura di Avellino ha infatti notificato gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari per Anna Maria Scarinzi, moglie di Ciriaco De Mita, per le figlie Floriana e Simona De Mita, per l’ex amministratore dei centri Gerardo Bilotta e per i responsabili della Hs Soluzioni Informatiche srl. Le accuse vanno dal falso alla truffa nella gestione dei centri di riabilitazione nei cui bilanci sono stati riscontrati ammanchi per circa 6 milioni di euro. Gli investigatori della Guardia di finanza si sono concentrati anche su alcune consulenze, affidate alle figlie dell’ex presidente del Consiglio e nei fatti mai svolte, sebbene pagate. Una circostanza che ha indotto gli inquirenti a ritenere che i De Mita utilizzassero i centri Aias e l’associazione “Noi Con Loro”, fondata proprio da Anna Maria Scarinzi, come la ‘cassaforte’ di famiglia. Gli indagati devono rispondere anche dell’assistenza offerta in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, senza che le strutture fossero regolarmente accreditate. Nell’ambito dell’inchiesta, a giugno scorso, furono eseguite anche misure cautelari personali e patrimoniali a carico di Anna Maria Scarinzi e Gerardo Bilotta. Misure poi revocate dal tribunale del Riesame di Napoli.

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Avellino. Bus nella scarpata: il superperito del tribunale punta il dito sulla mancata manutenzione da parte di Autostrade. E’ in corso al Tribunale di Avellino il processo per la morte di 40 persone sul viadotto dell’A16 il 28 luglio del 2013.
Dopo la tragedia del ponte Morandi a Genova, anche ad Avellino, si punta il dito contro una mancata manutenzione da parte di Autostrade per l’Italia. Secondo un superperito del Tribunale irpino, Felice Giuliani, chiamato in causa per fare luce sulla tragedia del bus avvenuta cinque anni fa, l’impatto del bus (senza freni e senza revisione) sulle barriere laterali del viadotto Acqualonga fu di striscio e a una velocità più bassa (89 chilometri orari) di quella finora stimata (92 chilometri orari). Le barriere, in sostanza, secondo il superperito, avrebbero potuto reggere il colpo se i perni utilizzati per tenerli ancorati a terra – i tirafondi – non fossero stati corrosi dal sale che, in quella zona dell’autostrada, viene utilizzato d’inverno per fronteggiare neve e ghiaccio. Nel processo i vertici di Autostrade per l’Italia e il proprietario del bus sono accusati di disastro colposo e omicidio plurimo e buona parte delle famiglie delle vittime, quasi tutte di Pozzuoli, sono già state risarcite. Il 27 dicembre del 2015 il giudice rinviò a giudizio, complessivamente 15 persone. La presunta mancata manutenzione, comunque, sarà oggetto di un contraddittorio a cui saranno presenti i periti di Autostrade per l’Italia tra cui figurano anche ingegneri ed esperti del Politecnico di Milano. Il superperito, però, sostiene che le barriere avrebbero retto se fossero state tenute sotto adeguata manutenzione. La perizia depositata ieri, chiesta dal giudice Luigi Buono, si va ad aggiungere a quelle dei periti della Procura, e di Autostrade per l’Italia che sostiene, tra l’altro, di essere stata sprovvista di sufficiente esperienza circa le reazioni degli ancoraggi all’azione di una determinata tipologia di agenti esterni.

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Camorra, la nuova faida tra I Rinaldi e i Mazzarella nata nel 2015 per una lite tra donne. LA STORIA

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Napoli. C’è una data precisa a cui far risalire lo scoppio della nuova faida tra il clan Mazzarella e il clan Rinaldi-Reale: é il 22 giugno del 2015. E’ quanto emerge dagli atti dell’inchiesta che nel mese di luglio ha portato in carcere 17 esponenti del clan Mazzarella. Furono le donne del clan Rinaldi a far scoppiare la nuova faida. Il pomeriggio del 22 giugno del 2105 infatti in via Figurelle a poca distanza dalla “roccaforte” del clan Rinaldi, il rione Villa a san Giovann ia  Teduccio, Fortuna Oliviero Fortuna, figlia del noto pregiudicato  Raffaele alias O’ Pop e Maria Grassia figlia del noto pregiudicato Ciro alias “Gibè”, avevano aggredito fisicamente la moglie e la figlia di Salvatore Donadeo alias O’ Pozzolente, componente di spicco del clan Mazzarella e reggente nella zona di san Giovanni. La risposta dei Mazzarella non si fece attendere.Intono alle 20 infatti all’interno del negozio Patagraff in via Repubbliche Marinare 189, si erano presentate due persone armate di mazze da baseball e  avevano devastato tutto il negozio. Alla polizia era arrivata la segnalazione di colpi di arma da fuco ma quando la volante del commissariato san Giovanni arrivò sul posto si trovò di fronte lo spettacolo di devastazione. Il negozio risultava essere di proprietà di Andrea Cunato e della moglie Immacolata Rinaldi, nipote del boss Ciro detto mauè, all’epoca ancora in carcere. I due banditi, allontanatisi in sella a un motorino, dieci minuti più tardi si presentarono al civico 339 sempre di via Repubblica Marinare ma all’interno del negozio di telefonia denominato “2 B Service srl” . Con le stesse modalità i due banditi armati di mazze da baseball devastarono tutto il possibile prima di allontanarsi. Il negozio in questione era di Flora Prisco moglie di Antonio Rinaldi, figlio del boss Ciro. E anche in questo caso la risposta dei Rinaldi non si fece attendere. Infatti intorno alle 23 dello stesso giorno ignoti diedero fuoco al portone del civico numero 137 di via Comunale Ottaviano. Li vi abita Gaetano Bovenato cognato del boss Salvatore Donadeo alias O’ Puzzolente. E da quel giorno la faida trai Mazzarella e i Rinaldi è ripresa e va avanti senza esclusione di colpi. per il danneggiamento dei due negozi della famiglia Rinaldi e per un altro danneggiamento sono in carcere da inizio luglio 17 personaggio legati ai Mazzarella. In cella è stato raggiunto da una nuova ordinanza lo stesso Salvatore Donadeo.

 Rosaria Federico

@riproduzione riservata

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