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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Cinque medici indagati per la morte dell’operaio di Pagani

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Si è svolto l’esame autoptico sul corpo di Francesco Avitabile l’operaio 47enne di Pagani deceduto all’ospedale di Sarno dopo aver girato due ospedali per un ascesso seguito da un’iniezione intramuscolo. La Procura di Nocera Inferiore ha iscritto nel registro degli indagata cinque medici che hanno assistito il 47enne all’ospedale di Nocera, Umberto I che in quello di Sarno con l’accusa di omicidio colposo in concorso. L’inchiesta da parte della Procura è partita a seguito della denuncia effettuata dalla famiglia dell’uomo. Serviranno circa 90 giorni per conoscere i risultati degli esami effettuati dal medico legale. L’indagine dovrà stabilire le cause del decesso ed appurare eventuali responsabilità mediche. Avitabile soffriva di mal di schiena, un familiare gli aveva praticato, qualche giorno prima, un’iniezione intramuscolo qualche giorno prima. Era già successo qualche altra volta. Quell’iniezione avrebbe però provocato un ascesso costringendo l’uomo a recarsi in pronto soccorso. Al 47enne gli fu prescritto un antinfiammatorio ma la situazione non miglior. – circostanza oggetto d’indagine – rendendo necessaria la visita in pronto soccorso. Al 47enne fu prescritto un antinfiammatorio dal medico di turno per tre giorni. La situazione però peggiorò, e il 12 agosto Avitabile tornò a Nocera. Qui gli fu praticata un’incisione sull’ascesso, con dimissioni il giorno dopo e la prescrizione di tornare qualche giorno dopo per la medicazione. La situazione non migliorò. Il 16 ritornò in ospedale ma non c’era posto così si recò a Sarno. L’uomo sarebbe rimasto in corsia fino a notte inoltrata e poco dopo le otto il decesso.
Nella denuncia della famiglia, viene contestata l’omessa assistenza presso l’ospedale di Nocera ed il mancato ricovero in terapia intensiva all’ospedale di Sarno.

Cronache della Campania@2018


Il superboss Zagaria vuole pentirsi ma la sorella Beatrice dice ‘No’

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Il superboss Michele Zagaria capa storta vorrebbe intraprendere la strada della collaborazione con lo Stato. Ha scritto una lettera alla sorella Beatrice in cui dice: ‘Il carcere non è vita, è sopravvivere per me e per voi’. ma la donna gli avrebbe vietato di fare il ‘Grande passo’ del pentimento. La notizia è riportata in anteprima stamane dal quotidiano Cronache di Caserta che da ampio risalto alla vicenda e racconta la storia tormentata della detenzione di quello che è stato lo spietato capo clan dei casalesi che ha ispirato la fortunata fiction della Rai lo scorso anno “Sotto copertura” con Alessandro Preziosi e Claudio Gioè. Zagaria nel corso dell’ultimo anno è stato protagonista, non a caso, dopo la messa in onda della fiction in tv, di una serie di show in Tribunale durante i processi a suo carico in cui ha anche mimato di volersi impiccare  con il laccio del microfono durante la video conferenza. Aveva accusato prima il pentito Antonio Iovine o’ ninno definendolo “un falso pentito” e poi aveva accusato il pm Catello Maresca della Dda sostenendo che lo voleva costringere a pentirsi. Poi aveva scritto anche altre lettere in cui aveva detto alle sorelle “Se mi pento io, voi andate a lavare le scale”. Aveva parlato di un processo “politico” contro di lui e si era lamentato del regime del carcere duro. Ora la lettera in cui lascia presagire le sue intenzioni di pentirsi.

Cronache della Campania@2018

Truffa sui centri Aias: avviso di conclusione indagine per moglie e figlie di De Mita

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Avranno venti giorni di tempo per presentare una memoria difensiva, poi il procuratore aggiunto Vincenzo D’Onofrio potra’ chiedere il rinvio a giudizio per undici persone coinvolte nella gestione dei centri Aias per l’assistenza agli spastici di Avellino, Nusco e Calitri. Il magistrato della procura di Avellino ha infatti notificato gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari per Anna Maria Scarinzi, moglie di Ciriaco De Mita, per le figlie Floriana e Simona De Mita, per l’ex amministratore dei centri Gerardo Bilotta e per i responsabili della Hs Soluzioni Informatiche srl. Le accuse vanno dal falso alla truffa nella gestione dei centri di riabilitazione nei cui bilanci sono stati riscontrati ammanchi per circa 6 milioni di euro. Gli investigatori della Guardia di finanza si sono concentrati anche su alcune consulenze, affidate alle figlie dell’ex presidente del Consiglio e nei fatti mai svolte, sebbene pagate. Una circostanza che ha indotto gli inquirenti a ritenere che i De Mita utilizzassero i centri Aias e l’associazione “Noi Con Loro”, fondata proprio da Anna Maria Scarinzi, come la ‘cassaforte’ di famiglia. Gli indagati devono rispondere anche dell’assistenza offerta in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, senza che le strutture fossero regolarmente accreditate. Nell’ambito dell’inchiesta, a giugno scorso, furono eseguite anche misure cautelari personali e patrimoniali a carico di Anna Maria Scarinzi e Gerardo Bilotta. Misure poi revocate dal tribunale del Riesame di Napoli.

Cronache della Campania@2018

‘Aiuto, mi vogliono uccidere’, uomo del clan Contini si dice pronto a pentirsi

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Napoli. “Aiuto mi voglio uccidere, correte in via Calata Capodichino”. Le urla al telefono dei carabinieri hanno fatto precipitare due gazzelle di militari all’indirizzo indicato dalla persona che aveva lanciato al telefono. Quando i militari sono arrivati sul posto l’uomo, un pregiudicato noto alle forze dell’ordine ha raccontato di essere un affiliato al clan Contini, ha sposata la nipote di uno dei fedelissimi del super boss Eduardo Contini o’ romano, che ha spiegato loro di temere per la sua vita e che gli stessi affiliati al clan vorrebbero ucciderlo. L’uomo ha anche detto di essere pronto a collaborare con la giustizia. Vista la caratura del personaggio, come riportato da Cronache di Napoli,  è stato immediatamente portato in caserma e i carabinieri hanno avvertito la Dda di Napoli. E’ scattato subito il programma di prima protezione e portato insieme con il suo stretto nucleo familiare in una località protetta. Ha già incontrato i magistrati ai quali ha fatto un primo riassunto delle cose di cui è a conoscenza. Ora la Dda di Napoli valuterà le sue prime dichiarazioni e poi scatterà il vero programma di protezione e quindi i sei mesi durante i quali il neo pentito dovrà raccontare le cose illecite del clan Contini di cui è a conoscenza, dando i riscontri dovuti. E per la cosca del Vasto-Arenaccia è nato un nuovo problema dopo i contrasti degli ultimi mesi con il clan Mazzarella.

Cronache della Campania@2018

Crollo di Genova per la Procura ‘tutto il ponte era un malato gravissimo’

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Il ponte era malato. Tutto. Non solo la parte est. Anche le condizioni del moncone ovest “sono gravi, se non gravissime”. A dirlo non sono documenti degli anni scorsi, ma i periti incaricati dai pm che nelle ultime ore hanno effettuato un sopralluogo. Lo snodo e’ centrale e a farlo emergere e’ lo stesso procuratore di Genova, Francesco Cozzi, che nel frattempo non ha ancora autorizzato il dissequestro di quel che resta del viadotto. “Andra’ accertato – ha detto – se ci siano state sottovalutazioni”. Anche perche’ quello stato di deterioramento “e’ precedente al crollo del viadotto” del 14 agosto. L’inchiesta vedra’ nei prossimi giorni i primi indagati e nel registro potrebbero finire una ventina di persone. Ma per ora “non c’e’ nessuna lista di nomi”, ha ribadito Cozzi, che insieme all’aggiunto Paolo D’Ovidio coordina l’inchiesta sul crollo affidata ai pm Walter Cotugno e Massimo Terrile. Il fascicolo resta quindi a carico di ignoti per i reati di attentato colposo alla sicurezza dei trasporti, omicidio colposo plurimo e disastro colposo. Procede a ritmo serrato l’acquisizione di atti. La Guardia di finanza e’ tornata per il secondo giorno consecutivo negli uffici di Societa’ Autostrade a Genova, Firenze e Roma, dove ha sequestrato molto materiale. Tra questo, tutta la corrispondenza tra Autostrade e Ministero delle Infrastrutture relativa al ponte Morandi e la copia dei dati contenuti nelle sim di 15 cellulari di dirigenti, tra cui ci sarebbero anche i vertici della societa’, il presidente Fabio Cerchiai, l’ad Giovanni Castellucci e il direttore del tronco di Genova Stefano Marigliani: l’attenzione e’ puntata soprattutto sulle mail. Ci sono poi i pc ed e’ in atto la copia del server di posta elettronica, operazione che richiede almeno tre, quattro giorni di lavoro. Alcuni manager della societa’ sarebbero anche stati sentiti come persone informate dei fatti. Se necessario, non e’ escluso che la Finanza possa andare anche negli uffici centrali e periferici del Ministero delle infrastrutture. “Procediamo con altre acquisizioni”, ha dichiarato Cozzi, sottolineando che tra le carte prelevate ad Autostrade “alcune sono molto rilevanti”. E ora andranno messe in relazione anche con i rilievi sul troncone ovest del ponte: queste verifiche sono state fatte nelle ultime ore dai periti dei pm. Quelle sul moncone est, invece – da cui e’ emerso che il pilone 10, rimasto in piedi, ha un grado di deterioramento superiore a quello del pilone crollato – sono desunte dalle verifiche svolte da Autostrade per l’Italia e allegate al progetto esecutivo di consolidamento del ponte nell’ottobre 2017. Il procuratore ha anche specificato che, per il momento, “non c’e’ stata nessuna richiesta di incidente probatorio”. Una volta formalizzate le iscrizioni nel registro degli indagati, una richiesta al gip da parte dei pm per ottenere quella che in sostanza e’ un’anticipazione del contraddittorio tra le parti per cristallizzare le prove, e’ nelle cose. Per ora i periti della procura stanno andando avanti con la raccolta di reperti. “Se ponte Morandi dovra’ essere abbattuto – ha detto il procuratore – chiederemo, attraverso i nostri consulenti, che venga fatto con modalita’ tali da salvaguardare materiale utile sul piano investigativo”. Ed e’ chiaro che tra l’ipotesi di utilizzo di cariche esplosive e quella di uno smontaggio, la procura preferirebbe la seconda. Ad Autostrade e’ stato dato tempo fino a venerdi’ prossimo per presentare un piano. Nel frattempo il procuratore ha fatto sapere di non aver dato, per ora, l’ok al dissequestro dei due monconi del viadotto. Si risolve intanto con l’uscita di scena dei due interessati la polemica sulla presenza nella commissione ispettiva del ministero di Roberto Ferrazza e Antonio Brencich. In serata il ministero ha annunciato che il professor Brencich ha presentato le dimissioni e che il ministro Danilo Toninelli ha dato mandato per la revoca dall’incarico di presidente della commissione per l’architetto Ferrazza “secondo ragioni di opportunita’ in relazione a tutte le istituzioni coinvolte in questa vicenda”. Della commissione entrera’ a far parte Alfredo Principio Mortellaro, dirigente del Consiglio superiore dei lavori pubblici.

Cronache della Campania@2018

Violentò la ragazza e uccise il ragazzo, troppo pochi 20 anni di carcere: la Procura fa ricorso in Cassazione

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La Procura di Salerno ritiene che siano pochi i 20 anni di carcere inflitti in Appello nel processo con rito abbreviato a Ionut Alexa il rumeno violentatore e assassino che il 4 ottobre del 2014 insieme con un complice non ancora identificato assalì una coppia di fidanzati a Battipaglia. Il giovane rumeno in primo gradi sera stato condannato al fine pena mai poi ridotti a 20 anni in secondo grado. E ora il procuratore generale, Leonida Primicerio, ha presentato appello in Cassazione chiedendo un nuovo giudizio di merito proprio sull’esclusione delle aggravanti che i giudici di secondo grado hanno concesso all’imputato.Nel processo di secondo grado, infatti, i giudici della Corte di assise d’appello di Salerno hanno riconosciuto a Ionut Alexa (difeso dall’avvocato Marco Bruttapasta) la diminuente del rito abbreviato: cosa che, al contrario, non era accaduta in primo grado.  Secondo le accuse Alexa e il complice (non ancora identificato) prima violentarono lei e poi ridussero in fin di vita il ragazzo. Natalino Migliaro, 33 anni, morì dopo due mesi di agonia in ospedale per i violenti traumi riportati nel pestaggio. Era il 4 ottobre del 2014 quando i due giovani battipagliesi furono aggrediti mentre erano appartati in auto in una piazzola di via Idrovora a Battipaglia nei pressi della località Lago. Con Ionut Alexa c’era un complice.Il ragazzo fu massacrato con un bastone e morì due mesi dopo in ospedale per le gravi ferite riportate, la ragazza invece fu brutalmente violentata e picchiata. Ad incastrare il violento assassino furono le tracce del Dna. Il condannato è un personaggio  violento e un aggressivo così descritto nella dura requisitoria del pm nel corso del processo di primo grado. Tra l’altro proprio nel corso di una delle ultime udienze di primo grado Alexa avrebbe anche minacciato tutti di morte: il pubblico ministero, gli avvocati e i giudici. Alla lettura della sentenza si erano registrate proteste da parte dei genitori della giovane vittima.

(nella foto la giovane coppia aggredita e nel riquadro l’ assassino Ionut Alexa)

 

Cronache della Campania@2018

Ischia, non versavano la tassa di soggiorno: indagati nove albergatori. I NOMI

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Accusa di peculato e conti correnti sequestrati per nove, al momento, albergatori di Forio che compaiono nella lista nera della Procura e della Guardia di Finanza per aver sottratto, tra il 2014 e il 2017, alle casse dell’erario circa duecentocinquantamila euro derivanti dal pagamento della tassa di soggiorno.
Si tratta di un reato penale quello che avrebbero commesso gli indagati e, nella qualità di agenti contabili in nome e per conto dell’Agenzia delle Entrate, saranno giudicati non come privati cittadini ma come pubblici ufficiali.
Gli accertamenti sono andati avanti per più di un anno e i provvedimenti cautelari allungano la lista di quanti, sull’isola, già in anni precedenti avevano omesso di trasferire l’incasso derivante dalla tassa di soggiorno alle tesorerie comunali.
Gran parte degli indagati sono gli stessi legali rappresentanti di alberghi del gruppo Cast Hotels e, oltre gli importi contestati, c’è da precisare che secondo l’interpretazione giurisprudenziale corrente, ad ogni singola riscossione della tassa di soggiorno scatta il reato. I nomi resi pubblici dalla Procura sono quelli di Salvatore di Carlo, Aatloukalova Zdenka, Balestriere Gabriele, William Shaun e Michael Desmond, Salvatore Calise, Bartolomeo Regine, Giovanni Economico, Giovanni Castiglione e Castiglione Aniello. Gli accertamenti della Guardia di Finanza sono stati condotti in collaborazione con il personale dell’ufficio Tributi del Comune di Forio, che ha dovuto calcolare, a fronte delle presenze registrate negli alberghi, gli importi sottratti all’Erario.

Cronache della Campania@2018

Anziano dializzato morto in ospedale: 18 medici indagati

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Diciotto medici dell’ospedale di Eboli indagati per omicidio colposo a seguito del decesso di Michele Musella, un pensionato di Olevano sul Tusciano morto martedì scorso.
L’uomo, dializzato cronico, era in cura da anni e a causa di un’infezione, era giunto in ospedale con la febbre. Il primo ricovero avviene presso l’ospedale di Battipaglia ma dopo la lettura della cartella clinica, i sanitari decidono di trasferirlo all’ospedale di Eboli nel reparto di Nefrologia. Musella aveva una fistola infetta in prossimità dell’accesso vascolare per la dialisi, problema abbastanza comune tra quanti si sottopongono a dialisi. I medici ebolitani avviano le cure per far guarire l’infezione, poi decidono di trasferire il paziente all’ospedale Ruggi d’Aragona dove il pensionato viene visitato da un chirurgo vascolare che avrebbe indicato di continuare la terapia ritenendo non necessario il ricovero presso la struttura salernitana.
Il 20 agosto la situazione precipita e l’uomo, trasferito da qualche giorno in rianimazione, muore il giorno seguente. I familiari di Musella sporgono denuncia, la salma viene sequestrata e i documenti sanitari vengono trasmessi alla procura di Salerno. Dopo tre giorni di indagini, il pm Rotondo ha preparato diciotto avvisi di garanzia nei confronti di chirurghi, nefrologi, cardiologi e rianimatori.Le prie risposte si avranno dopo l’esame autoptico.

Cronache della Campania@2018


Napoli, è caccia ai nuovi signori della truffa delle carte di credito hi tech

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Napoli. Da settimane sono giunte segnalazioni di prelievi mai autorizzate a Napoli come in altre parti di Italia. Il sospetto è che nel capoluogo partenopeo ci sia una centrale dedita alla clonazione delle carte di credito o i bancomat. Secondo gli investigatori qualcuno ha elaborato uno strumento capace di leggere le carte di credito contactless semplicemente avvicinando un pos mobile. Gli esperti informatici spiegano che questo metodo è abbastanza complicato perché il raggio di trasmissione tra pos e carta è brevissimo, inferiore ai tre centimetri. Ma non si esclude che sia stato realizzato un lettore in grado di funzionare con un raggio d’azione più ampio. Alcuni ricercatori inglesi hanno già progettato uno scanner in grado di leggere i dati e le chiavi di crittografia ad una distanza di 80 centimetri. I prelievi non autorizzati, però, si fermano a 25 euro perché per importi superiori occorre il pin. Le fiamme gialle mantengono alta l’attenzione. Le tante inchiesta condotte a Napoli dimostrano come siano vive ed operino vaste organizzazioni criminali specializzate nella clonazione di carte di credito. Sono tante le persone che negli ultimi mesi si sono rivolte ad aziende specializzate nella intercettazione dei tentativi di frode creditizia.

Cronache della Campania@2018

I voti della camorra per la coppia Aliberti-Paolino: le motivazioni della sentenza di condanna per i boss

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Scafati. “Nessun dubbio in ordine all’esistenza di un accordo corruttivo tra Angelo Pasqualino Aliberti con Alfonso Loreto, Luigi Ridosso e Gennaro Ridosso volto a sostenerlo come candidato per l’elezione a sindaco garantendo/promettendo in cambio appalti/nomine. Il tutto reso possibile grazie alla forza di intimidazione che i predetti, partecipi di un clan di stampo camorristico, operante sul territorio da anni, imponevano così da essere riconoscibili e riconosciuti dai più, primo fra tutti Aliberti Angelo Pasqualino il quale, consapevole dello spessore criminale dei medesimi, originato anche dalle rispettive famiglie, non acconsentì alla candidatura diretta di un esponente di quella famiglia ma chiese l’individuazione di un altro candidato/nome apparentemente non ricollegabile alla medesima”.

E’ scritto nero su bianco nelle motivazioni della sentenza che hanno portato alla condanna di Alfonso Loreto e i cugini Luigi e Gennaro Ridosso, con rito abbreviato. Il giudice per le udienze preliminari Emiliana Ascoli ha valutato le accuse di scambio di voto politico elettorale e corruzione elettorale, violenza privata e estorsione a carico dei tre pregiudicati, ritenuti esponenti del clan Loreto-Ridosso, giungendo alla conclusione che quel patto – ipotizzato dalla procura antimafia – c’è stato anche se con sfumature diverse tra il 2013 e il 2015, cioè l’anno delle consultazioni amministrative e quelle regionali. Per il 2013 si chiama corruzione elettorale quella per la quale sono stati ritenuti responsabili i tre imputati, la sentenza emessa a luglio scorso compromette e non poco la posizione processuale dell’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, a meno che la sentenza emessa in primo grado non sia completamente ribaltata nei prossimi due gradi di giudizio, o che si arrivi ad un paradosso giudiziario con un giudizio difforme dei giudici che stanno valutando la posizione dell’ex primo cittadino e dei suoi coimputati: la moglie Monica Paolino e il fratello Nello Maurizio con l’ex staffista Giovanni Cozzolino, l’ex consigliere Roberto Barchiesi e Ciro Petrucci, ex vicepresidente dell’Acse.

Le motivazioni che hanno portato alla condanna dei tre pregiudicati sembrano condurre ad una valutazione di responsabilità anche per gli altri imputati coinvolti nel procedimento giudiziario. Il giudice Ascoli ha riconosciuto l’esistenza di un patto corruttivo per le elezioni del 2013 nelle quali fu eletto sindaco Aliberti, ma anche per le Regionali del 2015 nelle quali Monica Paolino fu eletta consigliere regionale di Forza Italia, tutt’ora in carica. A questo proposito il Gup scrive: “Quando alla competizione elettorale regionale, pacifica risulta la sussistenza di reato contestata ovvero un patto politico/elettorale/mafioso”. Nell’analisi storica dei fatti emersi sia grazie alle testimonianze sia per le prove acquisite dagli inquirenti. Per la tornata elettorale del 2013, Aliberti avrebbe fatto un patto con il clan Loreto-Ridosso che in cambio di voti gli chiesero di poter entrare – attraverso imprese apparentemente pulite – negli appalti della pubblica amministrazione. Per quelle elezioni proposero ad Aliberti la candidatura di Andrea Ridosso, fratello di Luigi, ma l’ex sindaco preferì non averlo nelle sue liste per ‘il nome’ che portava. Cosciente che sarebbe stato attaccato politicamente e mediaticamente, chiese di sostituire il nome di Andrea Ridosso con quello di un altro referente del gruppo. Fu scelto Roberto Barchiesi, zio dell’allora moglie di Alfonso Ridosso, neofita della politica che grazie al secondo posto in lista e allo scorrimento entrò subito in consiglio comunale. Ad Andrea Ridosso sarebbe andato un incarico in una cooperativa che lavorava per il Piano di Zona di cui il comune di Scafati era allora capofila. Ma qualcosa non andò per il verso giusto dopo le comunali del 2013. Aliberti nonostante avesse accettato i voti e l’nteressamento del gruppo criminale, non riusciva a rispettare i patti relativi alla concessione degli appalti. E così – secondo il giudice – rinnovando quell’accordo per le elezioni Regionali del 2015 dovette concedere poco tempo prima del voto, nell’aprile del 2015, un appalto per le pulizie all’interno dell’Acse per una ditta creata ad hoc dai Ridosso-Loreto. “Quell’appalto dell’aprile 2015 – scrive il Gup – tenuto conto della competizione in atto, distante due anni da quella precedente, caratterizzata da analogo accordo, concluso e poco o per nulla rispettato dal politico, rappresentava l’utilità di un ulteriore patto politico/elettorale/mafioso”. Secondo il giudice, Aliberti in quella fase non potette limitarsi ad offrire promesse ma dovette assicurare qualcosa di concreto ai suoi interlocutori. Per quanto riguarda le Regionali, il giudice non ha ritenuto sufficienti le prove raccolte contro Gennaro Ridosso che è stato assolto da questo capo di imputazione. Ma proprio Gennaro Ridosso è stato ritenuto colpevole di aver minacciato la giornalista Valeria Cozzolino, insieme a Nello Maurizio Aliberti, nel corso della campagna elettorale del 2013, un capo di imputazione del quale i fratelli Aliberti devono rispondere dinanzi ai giudici di Nocera Inferiore e che vede Angelo Pasquale Aliberti il mandante di un episodio di violenza privata e minacce ai danni della giornalista, messo in atto da Nello Maurizio Aliberti e Gennaro Ridosso.

I tre imputati, giudicati con rito abbreviato, sono stati inoltre riconosciuti colpevoli di estorsione ai danni degli imprenditori conservieri Aniello e Fabio Longobardi ai quali sono stati condannati a risarcire i danni. Hanno imposto alle vittime i servizi di pulizia all’interno delle proprie fabbriche, nonchè il versamento di somme di danaro per prestazioni inesistenti. Ma Aniello Longobardi fu anche costretto ad acquistare, attraverso Luigi Ridosso, partite di pomodoro prodotte da Raffaele Lupo, ex consigliere comunale e imprenditore ortofrutticolo.

Le accuse formulate dall’antimafia ai tre imputati – tranne quella che riguarda le Regionali 2015 per Gennaro Ridosso – sono tutte provate per il giudice che a luglio ha emesso la sentenza. A pesare, oltre alle prove emerse nel corso delle indagini, anche le dichiarazioni autoaccusatorie fatte in aula da Luigi Ridosso il 19 luglio scorso. “A cristallizzazione del quadro probatorio – scrive il giudice nelle motivazioni – in data 19 luglio 2018, Luigi Ridosso, nel corso dell’udienza in discussione ammetteva gli addebiti depositando memoriale con il quale si riconosceva colpevole non solo dei fatti contestati ma anche di altri oggetto di procedimento definito con sentenza di condanna il 3 maggio 2018”. Pesanti anche le pene per i due cugini Ridosso, Luigi condannato a 5 anni e 8 mesi e Gennaro a sei anni e 4 mesi, mentre per il pentito Alfonso Loreto è stata disposta una condanna ad un anno e 2 mesi, sette anni e due mesi complessivamente per la sentenza emessa a maggio.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Camorra & politica a Scafati, il Comune non presenta il ‘conto’ per il risarcimento ai boss condannati

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Scafati. Camorristi condannati per voto di scambio e corruzione elettorale: il Comune non chiede il risarcimento danni per conto dei cittadini di Scafati. E’ stata vana la costituzione di parte civile nel processo che si è celebrato con rito abbreviato dinanzi al Gup Emiliana Ascoli del Tribunale di Salerno, nei confronti di Alfonso Loreto, Gennaro e Luigi Ridosso. L’avvocato, designato dalla commissione prefettizia che regge le sorti del Comune di Scafati dopo lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche, non ha presentato le proprie conclusioni nella fase di discussioni decretando – secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, richiamato dal giudice nella motivazione – una revoca tacita della propria costituzione. Non pagheranno, dunque, nessun risarcimento i primi tre imputati condannati per corruzione elettorale e scambio di voto, oltre che violenza privata aggravata dal metodo mafioso. Il giudice per le udienze preliminari nel dispositivo di sentenza ha riconosciuto il risarcimento del danno per le altre parti civili costituite, gli imprenditori Aniello e Fabio Longobardi e per la giornalista Valeria Cozzolino, escludendo il Commissario straordinario del Comune di Scafati. “Nessuna pronuncia, poi, in ordine alla richiesta inoltrata dal Comune di Scafati – scrive il giudice nella sua sentenza – in persona del commissario straordinario, con la costituzione di parte civile, atteso che, ai sensi degli artt. 82 comma II e 523 II Cpp la mancata presentazione delle conclusioni scritte configura la revoca tacita della costituzione in giudizio in quanto, trattandosi di pretesa civilistica, è necessario acquisire processualmente, con stabile documentazione, le precise richieste della parte”.
Tacita revoca della costituzione, dunque, e nessuna possibilità di chiedere i danni – anche di immagine – per i cittadini scafatesi, costretti a subire l’onta dello scioglimento per infiltrazioni camorristiche del consiglio comunale per il patto scellerato che secondo l’accusa esisteva tra l’ex sindaco di Scafati Angelo Pasqualino Aliberti, familiari e fedelissimi, e il clan Loreto-Ridosso. Seppure simbolica, la richiesta di risarcimento danni ai tre pregiudicati sarebbe stata un ottimo segnale di ripristinata legalità nell’ambito dell’amministrazione pubblica. Occasione mancata per la commissione straordinaria che pure si era costituita parte civile. Bisognerà capire cosa è accaduto nelle fasi finali del processo e sperare che sia stato solo un ingenuo, seppur grave, errore di distrazione.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Camorra, triplice omicidio: chiesto il processo immediato per il genero del boss. I pentiti: ‘C’era sangue dappertutto’

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Il Tribunale dei minorenni di Napoli ha chiesto il processo immediato per Mariano Riccio, genero del boss Cesare Pagano ed ex reggente del clan degli scissionisti degli Amato-Pagano. Riccio è accusato del triplice omicidio avvenuto il 15 marzo del 2009 in cui furono uccisi Francesco Russo “’o dobermann”, il figlio Ciro e il guardaspalle Vincenzo Moscatelli Riccio, era finito in manette a maggio scorso insieme con altre 8 persone tra cui il suocero, ma l’ordinanza era stata annullata dal Tribunale del Riesame perché di competenza del Tribunale dei Minori in quanto all’epoca dei fatti  Riccio, seppur per un solo giorno, non aveva ancora compiuto 18 anni. La Procura per i Minorenni, come ricorda Il Roma, aveva fissato il giudizio immediato all’inizio del prossimo febbraio, ma l’avvocato Domenico Dello Iacono, che lo assiste, ha invece chiesto che sia processato con il rito abbreviato. Il 30 maggio scorso la Dda di Napoli aveva ottenuto gli arresti in carcere di Carmine Amato, 37anni, detenuto nel carcere di Viterbo; Cesare Pagano, 48 anni, detenuto nel carcere di Cuneo; Francesco Biancolella, 66 anni di Mugnano (l’unico libero); Lucio Carriola, 43 anni, detenuto nel carcere di Terni; Mario Riccio, 26 anni, di Mugnano, detenuto nello stesso carcere; Oscar Pecorelli, 39 anni, in carcere a Tolmezzo; Oreste Sparano, 32 anni, detenuto nel carcere de l’Aquila. Il mandante dell’omicidio sarebbe il boss pentito Antonio Lo Russo che secondo l’altro pentito Biagio Esposito, aveva chiesto la “cortesia” al gruppo del suo compare di matrimonio Cesare Pagano, di eliminare  o’ dobermann che stava diventando troppo autonomo.

A fare luce su quell’orrendo delitto ci ha pensato il pentito Antonio Caiazza  che nel febbraio del 2016 ha raccontato in un verbale allegato all’ordinanza cautelare che ha colpito mandanti ed esecutori del triplice omicidio “Fu Cesare Pagano-ha raccontato- a indicarmi il posto dove dovevano recarmi per andare a pulire la casa dove era stato compiuto l’omicidio. Io non conoscevo neanche i nomi dei morti. Quando sono entrato c’era sangue ovunque e un cadavere a terra con due colpi in testa. Poi ho saputo essere Francesco Russo detto “doberman”, suo figlio inginocchiato su un lettino e l’altro a terra ma con la testa sul divano. Non c’era nulla perpoter pulire la casa, cosi’ uscii e andai a comprare i secchi per lavare a terra, la varechina, i guanti e le buste di plastica. Una volta ripulito tutto denudammo i cadaveri e li mettemmo nel cellophane”. Poi Caiazza racconta di aver caricato i corpi in un’auto e di aver bruciato i vestiti in un terreno a Mugnano. Un altro pentito eccellente Carmine Cerrato detto “takendò” , cognato del boss  ha spiegato invece come avvenne l’occultamento dei cadaveri. “Cesare Pagano mi disse di sotterrarli. Iniziammo a scavare con le pale ma non riuscimmo a coprire per bene i corpi. Il giorno dopo tornammo con Francesco Biancolella, con un bobcat e ricoprimmo il tutto per bene”. Ma i tre cadaveri non sono mai stati ritrovati perché sostiene il gip Roberta Attena, qualcuno li avrebbe fatti sparire per paura dei pentiti. Anche Biagio Esposito, uno dei killer più spietati che è stato al servizio degli scissionisti, e pure lui pentito, ha raccontato agli inquirenti alcuni passaggi importanti relativi al triplice omicidio: “Ho partecipato al triplice omicidio. Abbiamo spara-
to loro in una casa vecchia di Mugnano di Salvatore Cipolletta. Una volta uccisi, i corpi so-
no stati fatti scomparire da Francesco Biancolella detto “Ciccio o’ monaco” con l’aiuto di Antonio Caiazza, Lucio Carriola, Ferdinando Murolo e “Mariano”, genero di Cesare Pagano, che poi si occuparono di pulire l’appartamento. Fu un favore ai Lo Russo”.

Cronache della Campania@2018

Morto dopo intervento all’anca e un’odissea in 3 ospedali: tre indagati

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Muore in seguito a un intervento all’anca e dopo essere stato ricoverato in tre diversi ospedali. Ora – come riporta Il Mattino – ci sono tre medici indagati dalla procura di Nocera Inferiore  per la morte del 63 enne Andrea Ferraro, deceduto mercoledi’ nell’ospedale Villa Malta di Sarno (Salerno). Al vaglio dei magistrati la posizione dei sanitari che nelle tre strutture hanno prestato soccorso all’uomo ricoverato prima all’ospedale di Vico Equense, poi in quello di Sorrento e infine a Sarno. Domani la Procura disporra’ l’autopsia sul cadavere. Si mobilita anche la politica. Il consigliere regionale dei Verdi, Francesco Borrelli, annuncia di voler portare il caso all’attenzione della commissione Sanita’ del Consiglio della Campania. “Si faccia immediata chiarezza sull’accaduto. La magistratura – dice l’esponente verde – individui i responsabili di questa morte ingiusta e verifichi se poteva essere evitata. Portero’ all’attenzione della commissione Sanita’ il caso di Andrea Ferraro, l’operaio 63enne di Vico Equense, morto all’ospedale Villa Malta in seguito a un intervento all’anca sinistra, dopo essere stato ricoverato prima a Vico Equense e poi a Sorrento. Il tour degli ospedali non e’ bastato a salvargli la pelle. La famiglia di Andrea Ferraro – conclude Borrelli – ha riferito ai carabinieri di Sarno che il loro congiunto non avrebbe ricevuto le dovute attenzioni dai medici. Se cio’ verra’ accertato, e’ giusto che i responsabili paghino”

Cronache della Campania@2018

Camorra, il neo pentito: ‘Dovevamo uccidere Capasso perché non pagava gli alimenti alla moglie’

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“Voglio anche dire del tentativo di Luigi De Micco di eliminare il collaboratore di giustizia Rocco Capasso, cosa che ho già riportato nel memoriale che ho consegnato la scorsa volta ai magistrati. Ricordo che Capasso si lasciò con la moglie e si mise con una ragazza che ho detto che gestiva una piazza di fumo a Ponticelli. De Micco non tollerava questa situazione e si lamentava anche del fatto che Capasso non dava i soldi alla moglie e li spendeva tutti con la sua nuova compagna”. E’ parte de racconto esclusivo del neo pentito del clan De Micco “Bodo” di Ponticeli, ovvero Nunzio Montanino e che sono state lanciate in anteprima dal quotidiano Il Roma. Il neo collaboratore che ha svelato molti retroscena inediti del potente clan dei Tatuati tra le altre cose ha parlato appunto del tentativo fallito da parte del reggente dell’epoca Luigi De Micco di uccidere Rocco Capasso perché non passava gli alimenti alla moglie e per questo motivo non era visto di buon grado dal clan. Doveva essere ucciso perché mancava di rispetto, ma del giorno dell’agguato si consegnò ai pm della Dda e iniziò a collaborare con lo Stato. Ha raccontato ancora Montanino: “…

Diciamo che quando si mise con questa ragazza non era più tanto presente negli affari del clan. Ricordo che fummo invitati tutti al diciottesimo compleanno della figlia di De Micco e in quell’occasione Capasso voleva portare con sé la nuova compagna. De Micco disse di no e Capasso non venne alla festa. La cosa fu interpretata come un gesto di scortesia, ma De Micco disse di festeggiare e che ne avrebbero comunque parlato in seguito. Per un periodo di tempo non ho saputo più niente e, poi, venni a sapere che Capasso si era consegnato alla polizia. In quell’occasione De Micco mi chiamò con urgenza facendomi andare a casa di Borrelli dove c’erano anche Principe e De Martino i quali informarono De Micco che i carabinieri erano andati a prendere la moglie, i figli e anche la compagna di De Micco. Da ciò capirono che Capasso aveva iniziato a collaborare con la giustizia. De Martino disse a De Micco che come già aveva detto in passato Capasso non era buono e che l’avrebbero dovuto ammazzare prima. De Micco infatti si rammaricava dicendo che proprio per quella sera era già stato deciso che l’avrebbero ammazzato, Principe e De Martino dicevano che loro avrebbero voluto farlo prima perché già sapevano che Capasso avrebbe iniziato a collaborare con la giustizia”.

Cronache della Campania@2018

Camorra & politica a Scafati, il Comune non presenta il ‘conto’ per il risarcimento ai boss condannati

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Scafati. Camorristi condannati per voto di scambio e corruzione elettorale: il Comune non chiede il risarcimento danni per conto dei cittadini di Scafati. E’ stata vana la costituzione di parte civile nel processo che si è celebrato con rito abbreviato dinanzi al Gup Emiliana Ascoli del Tribunale di Salerno, nei confronti di Alfonso Loreto, Gennaro e Luigi Ridosso. L’avvocato, designato dalla commissione prefettizia che regge le sorti del Comune di Scafati dopo lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche, non ha presentato le proprie conclusioni nella fase di discussioni decretando – secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, richiamato dal giudice nella motivazione – una revoca tacita della propria costituzione. Non pagheranno, dunque, nessun risarcimento i primi tre imputati condannati per corruzione elettorale e scambio di voto, oltre che violenza privata aggravata dal metodo mafioso. Il giudice per le udienze preliminari nel dispositivo di sentenza ha riconosciuto il risarcimento del danno per le altre parti civili costituite, gli imprenditori Aniello e Fabio Longobardi e per la giornalista Valeria Cozzolino, escludendo il Commissario straordinario del Comune di Scafati. “Nessuna pronuncia, poi, in ordine alla richiesta inoltrata dal Comune di Scafati – scrive il giudice nella sua sentenza – in persona del commissario straordinario, con la costituzione di parte civile, atteso che, ai sensi degli artt. 82 comma II e 523 II Cpp la mancata presentazione delle conclusioni scritte configura la revoca tacita della costituzione in giudizio in quanto, trattandosi di pretesa civilistica, è necessario acquisire processualmente, con stabile documentazione, le precise richieste della parte”.
Tacita revoca della costituzione, dunque, e nessuna possibilità di chiedere i danni – anche di immagine – per i cittadini scafatesi, costretti a subire l’onta dello scioglimento per infiltrazioni camorristiche del consiglio comunale per il patto scellerato che secondo l’accusa esisteva tra l’ex sindaco di Scafati Angelo Pasqualino Aliberti, familiari e fedelissimi, e il clan Loreto-Ridosso. Seppure simbolica, la richiesta di risarcimento danni ai tre pregiudicati sarebbe stata un ottimo segnale di ripristinata legalità nell’ambito dell’amministrazione pubblica. Occasione mancata per la commissione straordinaria che pure si era costituita parte civile. Bisognerà capire cosa è accaduto nelle fasi finali del processo e sperare che sia stato solo un ingenuo, seppur grave, errore di distrazione.

Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018


Camorra, triplice omicidio: chiesto il processo immediato per il genero del boss. I pentiti: ‘C’era sangue dappertutto’

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Il Tribunale dei minorenni di Napoli ha chiesto il processo immediato per Mariano Riccio, genero del boss Cesare Pagano ed ex reggente del clan degli scissionisti degli Amato-Pagano. Riccio è accusato del triplice omicidio avvenuto il 15 marzo del 2009 in cui furono uccisi Francesco Russo “’o dobermann”, il figlio Ciro e il guardaspalle Vincenzo Moscatelli Riccio, era finito in manette a maggio scorso insieme con altre 8 persone tra cui il suocero, ma l’ordinanza era stata annullata dal Tribunale del Riesame perché di competenza del Tribunale dei Minori in quanto all’epoca dei fatti  Riccio, seppur per un solo giorno, non aveva ancora compiuto 18 anni. La Procura per i Minorenni, come ricorda Il Roma, aveva fissato il giudizio immediato all’inizio del prossimo febbraio, ma l’avvocato Domenico Dello Iacono, che lo assiste, ha invece chiesto che sia processato con il rito abbreviato. Il 30 maggio scorso la Dda di Napoli aveva ottenuto gli arresti in carcere di Carmine Amato, 37anni, detenuto nel carcere di Viterbo; Cesare Pagano, 48 anni, detenuto nel carcere di Cuneo; Francesco Biancolella, 66 anni di Mugnano (l’unico libero); Lucio Carriola, 43 anni, detenuto nel carcere di Terni; Mario Riccio, 26 anni, di Mugnano, detenuto nello stesso carcere; Oscar Pecorelli, 39 anni, in carcere a Tolmezzo; Oreste Sparano, 32 anni, detenuto nel carcere de l’Aquila. Il mandante dell’omicidio sarebbe il boss pentito Antonio Lo Russo che secondo l’altro pentito Biagio Esposito, aveva chiesto la “cortesia” al gruppo del suo compare di matrimonio Cesare Pagano, di eliminare  o’ dobermann che stava diventando troppo autonomo.

A fare luce su quell’orrendo delitto ci ha pensato il pentito Antonio Caiazza  che nel febbraio del 2016 ha raccontato in un verbale allegato all’ordinanza cautelare che ha colpito mandanti ed esecutori del triplice omicidio “Fu Cesare Pagano-ha raccontato- a indicarmi il posto dove dovevano recarmi per andare a pulire la casa dove era stato compiuto l’omicidio. Io non conoscevo neanche i nomi dei morti. Quando sono entrato c’era sangue ovunque e un cadavere a terra con due colpi in testa. Poi ho saputo essere Francesco Russo detto “doberman”, suo figlio inginocchiato su un lettino e l’altro a terra ma con la testa sul divano. Non c’era nulla perpoter pulire la casa, cosi’ uscii e andai a comprare i secchi per lavare a terra, la varechina, i guanti e le buste di plastica. Una volta ripulito tutto denudammo i cadaveri e li mettemmo nel cellophane”. Poi Caiazza racconta di aver caricato i corpi in un’auto e di aver bruciato i vestiti in un terreno a Mugnano. Un altro pentito eccellente Carmine Cerrato detto “takendò” , cognato del boss  ha spiegato invece come avvenne l’occultamento dei cadaveri. “Cesare Pagano mi disse di sotterrarli. Iniziammo a scavare con le pale ma non riuscimmo a coprire per bene i corpi. Il giorno dopo tornammo con Francesco Biancolella, con un bobcat e ricoprimmo il tutto per bene”. Ma i tre cadaveri non sono mai stati ritrovati perché sostiene il gip Roberta Attena, qualcuno li avrebbe fatti sparire per paura dei pentiti. Anche Biagio Esposito, uno dei killer più spietati che è stato al servizio degli scissionisti, e pure lui pentito, ha raccontato agli inquirenti alcuni passaggi importanti relativi al triplice omicidio: “Ho partecipato al triplice omicidio. Abbiamo spara-
to loro in una casa vecchia di Mugnano di Salvatore Cipolletta. Una volta uccisi, i corpi so-
no stati fatti scomparire da Francesco Biancolella detto “Ciccio o’ monaco” con l’aiuto di Antonio Caiazza, Lucio Carriola, Ferdinando Murolo e “Mariano”, genero di Cesare Pagano, che poi si occuparono di pulire l’appartamento. Fu un favore ai Lo Russo”.

Cronache della Campania@2018

Morto dopo intervento all’anca e un’odissea in 3 ospedali: tre indagati

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Muore in seguito a un intervento all’anca e dopo essere stato ricoverato in tre diversi ospedali. Ora – come riporta Il Mattino – ci sono tre medici indagati dalla procura di Nocera Inferiore  per la morte del 63 enne Andrea Ferraro, deceduto mercoledi’ nell’ospedale Villa Malta di Sarno (Salerno). Al vaglio dei magistrati la posizione dei sanitari che nelle tre strutture hanno prestato soccorso all’uomo ricoverato prima all’ospedale di Vico Equense, poi in quello di Sorrento e infine a Sarno. Domani la Procura disporra’ l’autopsia sul cadavere. Si mobilita anche la politica. Il consigliere regionale dei Verdi, Francesco Borrelli, annuncia di voler portare il caso all’attenzione della commissione Sanita’ del Consiglio della Campania. “Si faccia immediata chiarezza sull’accaduto. La magistratura – dice l’esponente verde – individui i responsabili di questa morte ingiusta e verifichi se poteva essere evitata. Portero’ all’attenzione della commissione Sanita’ il caso di Andrea Ferraro, l’operaio 63enne di Vico Equense, morto all’ospedale Villa Malta in seguito a un intervento all’anca sinistra, dopo essere stato ricoverato prima a Vico Equense e poi a Sorrento. Il tour degli ospedali non e’ bastato a salvargli la pelle. La famiglia di Andrea Ferraro – conclude Borrelli – ha riferito ai carabinieri di Sarno che il loro congiunto non avrebbe ricevuto le dovute attenzioni dai medici. Se cio’ verra’ accertato, e’ giusto che i responsabili paghino”

Cronache della Campania@2018

Camorra, il neo pentito: ‘Dovevamo uccidere Capasso perché non pagava gli alimenti alla moglie’

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“Voglio anche dire del tentativo di Luigi De Micco di eliminare il collaboratore di giustizia Rocco Capasso, cosa che ho già riportato nel memoriale che ho consegnato la scorsa volta ai magistrati. Ricordo che Capasso si lasciò con la moglie e si mise con una ragazza che ho detto che gestiva una piazza di fumo a Ponticelli. De Micco non tollerava questa situazione e si lamentava anche del fatto che Capasso non dava i soldi alla moglie e li spendeva tutti con la sua nuova compagna”. E’ parte de racconto esclusivo del neo pentito del clan De Micco “Bodo” di Ponticeli, ovvero Nunzio Montanino e che sono state lanciate in anteprima dal quotidiano Il Roma. Il neo collaboratore che ha svelato molti retroscena inediti del potente clan dei Tatuati tra le altre cose ha parlato appunto del tentativo fallito da parte del reggente dell’epoca Luigi De Micco di uccidere Rocco Capasso perché non passava gli alimenti alla moglie e per questo motivo non era visto di buon grado dal clan. Doveva essere ucciso perché mancava di rispetto, ma del giorno dell’agguato si consegnò ai pm della Dda e iniziò a collaborare con lo Stato. Ha raccontato ancora Montanino: “…

Diciamo che quando si mise con questa ragazza non era più tanto presente negli affari del clan. Ricordo che fummo invitati tutti al diciottesimo compleanno della figlia di De Micco e in quell’occasione Capasso voleva portare con sé la nuova compagna. De Micco disse di no e Capasso non venne alla festa. La cosa fu interpretata come un gesto di scortesia, ma De Micco disse di festeggiare e che ne avrebbero comunque parlato in seguito. Per un periodo di tempo non ho saputo più niente e, poi, venni a sapere che Capasso si era consegnato alla polizia. In quell’occasione De Micco mi chiamò con urgenza facendomi andare a casa di Borrelli dove c’erano anche Principe e De Martino i quali informarono De Micco che i carabinieri erano andati a prendere la moglie, i figli e anche la compagna di De Micco. Da ciò capirono che Capasso aveva iniziato a collaborare con la giustizia. De Martino disse a De Micco che come già aveva detto in passato Capasso non era buono e che l’avrebbero dovuto ammazzare prima. De Micco infatti si rammaricava dicendo che proprio per quella sera era già stato deciso che l’avrebbero ammazzato, Principe e De Martino dicevano che loro avrebbero voluto farlo prima perché già sapevano che Capasso avrebbe iniziato a collaborare con la giustizia”.

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Camorra & politica a Scafati, il Comune non presenta il ‘conto’ per il risarcimento ai boss condannati

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Scafati. Camorristi condannati per voto di scambio e corruzione elettorale: il Comune non chiede il risarcimento danni per conto dei cittadini di Scafati. E’ stata vana la costituzione di parte civile nel processo che si è celebrato con rito abbreviato dinanzi al Gup Emiliana Ascoli del Tribunale di Salerno, nei confronti di Alfonso Loreto, Gennaro e Luigi Ridosso. L’avvocato, designato dalla commissione prefettizia che regge le sorti del Comune di Scafati dopo lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche, non ha presentato le proprie conclusioni nella fase di discussioni decretando – secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, richiamato dal giudice nella motivazione – una revoca tacita della propria costituzione. Non pagheranno, dunque, nessun risarcimento i primi tre imputati condannati per corruzione elettorale e scambio di voto, oltre che violenza privata aggravata dal metodo mafioso. Il giudice per le udienze preliminari nel dispositivo di sentenza ha riconosciuto il risarcimento del danno per le altre parti civili costituite, gli imprenditori Aniello e Fabio Longobardi e per la giornalista Valeria Cozzolino, escludendo il Commissario straordinario del Comune di Scafati. “Nessuna pronuncia, poi, in ordine alla richiesta inoltrata dal Comune di Scafati – scrive il giudice nella sua sentenza – in persona del commissario straordinario, con la costituzione di parte civile, atteso che, ai sensi degli artt. 82 comma II e 523 II Cpp la mancata presentazione delle conclusioni scritte configura la revoca tacita della costituzione in giudizio in quanto, trattandosi di pretesa civilistica, è necessario acquisire processualmente, con stabile documentazione, le precise richieste della parte”.
Tacita revoca della costituzione, dunque, e nessuna possibilità di chiedere i danni – anche di immagine – per i cittadini scafatesi, costretti a subire l’onta dello scioglimento per infiltrazioni camorristiche del consiglio comunale per il patto scellerato che secondo l’accusa esisteva tra l’ex sindaco di Scafati Angelo Pasqualino Aliberti, familiari e fedelissimi, e il clan Loreto-Ridosso. Seppure simbolica, la richiesta di risarcimento danni ai tre pregiudicati sarebbe stata un ottimo segnale di ripristinata legalità nell’ambito dell’amministrazione pubblica. Occasione mancata per la commissione straordinaria che pure si era costituita parte civile. Bisognerà capire cosa è accaduto nelle fasi finali del processo e sperare che sia stato solo un ingenuo, seppur grave, errore di distrazione.

Rosaria Federico

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Camorra, triplice omicidio: chiesto il processo immediato per il genero del boss. I pentiti: ‘C’era sangue dappertutto’

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Il Tribunale dei minorenni di Napoli ha chiesto il processo immediato per Mariano Riccio, genero del boss Cesare Pagano ed ex reggente del clan degli scissionisti degli Amato-Pagano. Riccio è accusato del triplice omicidio avvenuto il 15 marzo del 2009 in cui furono uccisi Francesco Russo “’o dobermann”, il figlio Ciro e il guardaspalle Vincenzo Moscatelli Riccio, era finito in manette a maggio scorso insieme con altre 8 persone tra cui il suocero, ma l’ordinanza era stata annullata dal Tribunale del Riesame perché di competenza del Tribunale dei Minori in quanto all’epoca dei fatti  Riccio, seppur per un solo giorno, non aveva ancora compiuto 18 anni. La Procura per i Minorenni, come ricorda Il Roma, aveva fissato il giudizio immediato all’inizio del prossimo febbraio, ma l’avvocato Domenico Dello Iacono, che lo assiste, ha invece chiesto che sia processato con il rito abbreviato. Il 30 maggio scorso la Dda di Napoli aveva ottenuto gli arresti in carcere di Carmine Amato, 37anni, detenuto nel carcere di Viterbo; Cesare Pagano, 48 anni, detenuto nel carcere di Cuneo; Francesco Biancolella, 66 anni di Mugnano (l’unico libero); Lucio Carriola, 43 anni, detenuto nel carcere di Terni; Mario Riccio, 26 anni, di Mugnano, detenuto nello stesso carcere; Oscar Pecorelli, 39 anni, in carcere a Tolmezzo; Oreste Sparano, 32 anni, detenuto nel carcere de l’Aquila. Il mandante dell’omicidio sarebbe il boss pentito Antonio Lo Russo che secondo l’altro pentito Biagio Esposito, aveva chiesto la “cortesia” al gruppo del suo compare di matrimonio Cesare Pagano, di eliminare  o’ dobermann che stava diventando troppo autonomo.

A fare luce su quell’orrendo delitto ci ha pensato il pentito Antonio Caiazza  che nel febbraio del 2016 ha raccontato in un verbale allegato all’ordinanza cautelare che ha colpito mandanti ed esecutori del triplice omicidio “Fu Cesare Pagano-ha raccontato- a indicarmi il posto dove dovevano recarmi per andare a pulire la casa dove era stato compiuto l’omicidio. Io non conoscevo neanche i nomi dei morti. Quando sono entrato c’era sangue ovunque e un cadavere a terra con due colpi in testa. Poi ho saputo essere Francesco Russo detto “doberman”, suo figlio inginocchiato su un lettino e l’altro a terra ma con la testa sul divano. Non c’era nulla perpoter pulire la casa, cosi’ uscii e andai a comprare i secchi per lavare a terra, la varechina, i guanti e le buste di plastica. Una volta ripulito tutto denudammo i cadaveri e li mettemmo nel cellophane”. Poi Caiazza racconta di aver caricato i corpi in un’auto e di aver bruciato i vestiti in un terreno a Mugnano. Un altro pentito eccellente Carmine Cerrato detto “takendò” , cognato del boss  ha spiegato invece come avvenne l’occultamento dei cadaveri. “Cesare Pagano mi disse di sotterrarli. Iniziammo a scavare con le pale ma non riuscimmo a coprire per bene i corpi. Il giorno dopo tornammo con Francesco Biancolella, con un bobcat e ricoprimmo il tutto per bene”. Ma i tre cadaveri non sono mai stati ritrovati perché sostiene il gip Roberta Attena, qualcuno li avrebbe fatti sparire per paura dei pentiti. Anche Biagio Esposito, uno dei killer più spietati che è stato al servizio degli scissionisti, e pure lui pentito, ha raccontato agli inquirenti alcuni passaggi importanti relativi al triplice omicidio: “Ho partecipato al triplice omicidio. Abbiamo spara-
to loro in una casa vecchia di Mugnano di Salvatore Cipolletta. Una volta uccisi, i corpi so-
no stati fatti scomparire da Francesco Biancolella detto “Ciccio o’ monaco” con l’aiuto di Antonio Caiazza, Lucio Carriola, Ferdinando Murolo e “Mariano”, genero di Cesare Pagano, che poi si occuparono di pulire l’appartamento. Fu un favore ai Lo Russo”.

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