Gerardo Coloantuomo il giovane pusher pentito del piano Napoli di via Settetermini a Boscoreale ieri ha dichiarazioni choc al processo che lo vede imputato del tentato omicidio delle sorelle Rita ed Argentina Improta avvenuto la sera del 25 luglio 2014 contro un balcone al secondo piano dell’isolato 6 alle palazzine popolari. “La signora Rita Improta – ha detto il giovane pentito- è stata pagata da Annamaria Gallo e Salvatore Gallo per accusarmi della sparatoria in cui rimase ferita all’isolato 6 del Piano Napoli. Chi me lo ha detto? Mia sorella Milena in un colloquio al carcere. Venne a trovarmi 3 mesi dopo il fatto ad a Poggioreale mi raccontò tutto. A sparare fu Angelo Cirillo ‘denti bianchi’ . Io l’ho anche ‘ucciso’ di mazzate, quando a novembre venimmo a fare l’incidente probatorio. Poi in carcere Francuccio Nardiello Tamarisco mi fece arrivare l’imbasciata: lascialo tranquillo. A Milena lo disse L.S., che abita nello stesso portone di Anna- maria Gallo. Incontrò mia sorella mentre stava prendendo il pane al forno di via Settetermini. Questo lo so da tempo. Non l’ho detto prima perché mi era sfuggito dalla testa”. Il giovane collaboratore è accusato di usura insieme con la madre Rosa Intagliatore e del tentato omicidio delle due sorelle Improta. “Ma quale usura? – ha spiegato ancora Colantuomo-io mi ‘abbuscavo’ 3mila o 4mila euro in due giorni, vendendo 100 grammi di droga che compravo a 50 euro per rivenderli a 70. Tanto da me tutti dovevano venire. Mi sono accusato di tanti reati anche dei borsoni pieni di armi. Ma non mi andavo a prendere 30 o 50 euro, a poco alla volta, dalla signora Improta. Sapete chi ci abita di fronte? Pasquale Buccelli, il cognato di Antonio Orlando. Con loro stavo in guerra dal 2011, mi potevano uccidere. Che mi pigliavo questo rischio per 50 euro? Squagliavamo la droga a casa di Mario Sarnataro al terzo piano. Ma quando veniva la bambina (nipote di Sarnataro) scendevamo al secondo piano, a casa di Rita Improta. A volte le davamo 30 euro per lo ‘scomodo’. Lei ha visto sempre tutto. Una volta si tenne la droga appoggiata in casa. Mio nipote Luigi tiene tatuato il nome Antonio sul petto e Cirillo, quello di Luigi . Io non ho sparato, ha sparato l’amico del cuore di mio nipote. Alla signora Gallo le incendiai anche la macchina. Una Audi bianca, che stava parcheggiata vicino al bar Mario. Il giorno dopo il ‘fuoco’ andai al circoletto delle palazzine, dove si incontrano e se la fanno tutti. Io feci pure la battuta: ieri avevo freddo, dissi proprio così. Dovevo pigliare calore”.
Boscoreale, il pentito Colantuomo in aula: “La Improta fu pagata per accusarmi”
Uccisero una prostituta a Fuorigrotta: i tre 19enni chiedono lo sconto di pena
Uccisero una prostituta a Fuorigrotta e ora chiedono lo sconto di pena i tre ragazzi napoletani che la sera tra l’8 e 9 maggio dello scorso anno si reso protagonisti dell’efferato omicidio. Hanno scelto tutti di essere processati con il rito abbreviato Raffaele Velluso, Gennaro Bitonto e Antonio Di Perna, tutti 19enni. I tre uccisero Antonia Osaf, una giovane prostituta nigeriana di 23 anni che aveva difeso una sua collega di strada dal tentativo di rapina che i tre stavano mettendo in atto. L’episodio avvenne nei pressi del cimitero di Fuorigrotta, in via Terracina. Il terzetto, in preda ai fumi dell’alcol dopo aver passato una serata nei pub di Pozzuoli, erano tornati a Napoli e per concludere la serata deciso di andare a prostitute. Ma qualcosa scattò nelle mente offuscata dall’alcol e mentre contrattavano con una ragazza ghanese le strapparono la borsetta. Antonia vide la scena e li rincorse ne nacque una colluttazione nel corso della quale Antonio Di Perna colpì a morte la giovane con un coltello. I tre, incastrati dalle indagini e dalle confessioni di Raffaele Velluso e Gennaro Bitonto, si costituirono il giorno dopo e ora hanno chiesto lo sconto di pena.
San Giovanni a Teduccio: revocata la libertà vigilata al ras Ciro Rinaldi
Da due giorni Ciro Rinaldi detto “mauè”, ras dell’omonimo clan del rione Villa di San Giovanni a Teduccio è un uomo completamente libero. Gli è stata infatti revocata la misura della libertà vigilata di un anno. Rinaldi non è più soggetto alle restrizioni, a cominciare dal divieto di uscire in determinate ore, in particolare di notte. Il boss era tornato libero il 26 ottobre scorso dopo il maxi blitz del 9 giugno del 2015 con l’operazione “Forcella liberata”,che portò in carcere tre gruppi camorristici, ma soprattutto i Giuliano- Sibillo di Forcella e dei Decumani. Tra le cosche alleate c’erano pure i Rinaldi. Secondo le accuse Ciro Rinaldi, insieme con un suo fedelissimo, aveva dato supporto agli Amirante-Brubetti-Giuliano- Sibillo, in particolare gli stretti legami esistenti tra Ciro Rinaldi e Salvatore Amirante detto “Sasà”, ras della Maddalena. In cambio dell’appoggio, “Mauè” avrebbe ottenuto una quota sui proventi delle estorsioni.
Scafati,il medico legale: “Lello Granata poteva essere salvato”
E’ battaglia di perizie mediche nell’inchiesta sulla morte del giovane scafatese Lello Granata, morto il 12 marzo nell’ospedale di Nocera Inferiore. Secondo il perito di parte se i medici – due gli indagati Andrea Inserra e Massimo Vicidomini – avessero rispettato le procedure, Raffaele Granata poteva salvarsi: “Si sarebbe salvato se avesse effettuato una emodialisi – dice Sorrentino -, depositerò la mia relazione di parte nella quale sosterrò la mia tesi”. Dagli esami tossicologici, è emerso che Granata non aveva assunto stupefacenti e l’alcool nel sangue era in percentuali bassissime. Il medico legale della Procura sostiene che ‘la gravità del quadro clinico e soprattutto la rapidità del precipitare degli eventi ha impedito una diagnosi certa e la possibilità di una terapia che avrebbe potuto salvare il paziente”. Di contrario avviso familiari e perito di parte, Raffaele Granata è stato circa quattro ore nel Pronto soccorso e i primi esami che avrebbero dovuto allarmare i medici erano a disposizione circa due ore prima che si verificasse la morte. Ora lo scontro sulla morte del 38enne e sulle responsabilità dei medici è tutto nelle perizie medico legali. “Quello che è accaduto a Granata è una situazione di degrado assistenziale e medico” il dottore Antonio Sorrentino, medico legale nominato dai familiari di Raffaele Granata, morto il 12 marzo al Pronto soccorso dell’ospedale Umberto I, annuncia battaglia, insieme ai familiari e al oro legale, Vittorio D’Alessandro. A scatenare la rabbia del perito le conclusioni depositate nei giorni scorsi dal medico legale Giovanni Zotti, nominato dal sostituto procuratore Mafalda Daria Cioncada. Conclusioni che non lasciano dubbi: non vi furono responsabilità mediche. Secondo il perito del magistrato, il 38enne scafatese, figlio del presidente di Scafati Solidale Andrea Granata, morì per una ‘Mof da stato settico in paziente cirrotico’ e dunque il paziente non si poteva salvare. Non bastarono le quattro ore circa che ha passato nel reparto per fare una diagnosi e avviare le cure salvavita, nonostante Granata fosse arrivato cosciente in ospedale e ricoverato in ‘codice giallo’ cioè non in pericolo di vita. Quando, però, alle 16,50 del 12 marzo morì dopo due arresti cardiaci e dopo aver passato ore su una barella con blandi palliativi per il suo malessere, i familiari capirono che forse i medici avevano sottovalutato il quadro clinico del proprio caro. Il dottore Sorrentino che ha partecipato all’esame autoptico ed ha visto le conclusione del collega non usa mezze misure. Secondo il medico legale le conclusioni non sono giuste: “Questo caso mi ha coinvolto umanamente – dice Sorrentino -. Sarò molto agguerrito, io sono una persona onesta e tignosa perché ci si confronta con un omicidio colposo. Sono state disattese tutte le procedure mediche possibili visto che ci si trovava difronte ad un paziente cirrotico. Qui siamo al degrado delle cognizioni mediche, quello che è accaduto a Granata è una situazione indegna: la giustizia è una virtù cardinale propedeutica a quella teologale”.
Rosaria Federico
Strage del bus sulla Napoli-Canosa: 15 rinvii a giudizio
Sono 15 i rinviati a giudizio per la strage del bus che, nella notte tra il 28 e i 29 luglio 2013, precipitò dal viadotto Acqualonga della A16 Napoli-Canosa, all’altezza del comune di Monteforte Irpino (Avellino), e nella quale 40 persone persero la vita. La prima udienza si terrà il 28 settembre. Si conclude così l’udienza preliminare iniziata lo scorso settembre e svolta nell’ex carcere borbonico di Avellino, soluzione necessaria con la sua sala congressi da circa 200 posti per ospitare le tante persone coinvolte nel procedimento tra indagati, avvocati e parti civili. Tra i rinviati a giudizio spiccano Gennaro Lametta, titolare dell’agenzia di viaggi Mondo Travel e imputato per omicidio colposo plurimo e disastro colposo, e i funzionari della Motorizzazione civile di Napoli Vittorio Saulino e Antonietta Ceriola, che secondo la Procura avrebbero falsificato la pratica di revisione del bus pochi giorni dopo l’incidente.
Condannata la banda dei finti carabinieri legata ai Tolomelli
Sette persone legate al clan Tolomelli della Sanità che facevano parte della banda dei falsi carabinieri sono stati condannati per associazione per delinquere finalizzata ai furti. E’ stato il giudice per le udienze preliminari Pietro Ccarola del Tribunale di Napoli a condannare a sei anni di carcere Rosario Tolomelli, a cinque anni Salvatore Bruno originario del pallonetto di Santa Lucia, a 4 anni e sei mesi invece sono stati condannati Carmine Ferrante, Andrea Iglieri e Bruno Savorra; a 4 anni e 4 mesi per Corrado Piatti e infine a un anno e otto mesi Camillo Corrado. Assolto invece Ernesto Amadoro. La banda utilizzava sempre lo stesso stratagemma: bussavano a casa delle persone e mostrando anche un finto tesserino dei carabinieri sostenevano di dover effettuare delle perquisizioni. In questo modo rivistavano nei cassetti e nei mobili trafugando soldi e oggetti preziosi. In un caso sono stati anche filamti dalle telecamere di sorveglianza che aveva a casa una delle vittime. la banda aveva messo a segno nel 2014 colpi che avevano fruttato ben 252 mila euro in contanti e 210 mila euro in oggetti d’oro e preziosi
Torre Annunziata: si pente l’insospettabile killer della camorra vesuviana
Torre Annunziata. Si pente il killer su commissione della camorra vesuviana. Lo spietato esecutore a pagamento di alcuni omicidi eccellenti ha deciso di passare dalla parte dello Stato per salvare la vita ad un suo familiare in pericolo. E’ questo l’identikit dell’uomo che da circa un mese ha cominciato a collaborare con la giustizia fornendo elementi per svelare quattro omicidi di camorra avvenuti tra Napoli e Salerno tra gli anni 90 e i 2000. L’uomo, insospettabile, ha 59 anni e fino a qualche tempo fa non era mai stato segnalato come esponente della camorra vesuviana. Ma è stato lui a commettere quattro omicidi importanti che ora sono al vaglio della Dda napoletana e del sostituto procuratore Claudio Siragusa. Killer su commissione per conto del clan, chiamato per le sue abilità e la sua furbizia nel trovare escamotage che potessero stanare le vittime. L’insospettabile di Torre Annunziata è sotto protezione, come pure sono stati portati al sicuro i suoi parenti più stretti. Per la Distrettuale antimafia partenopea è un collaboratore di giustizia attendibile che permetterà di svelare alcuni omicidi eccellenti rimasti fino ad ora senza responsabili. (r.f.)
Pedofilia al Parco Verde, il pm chiede una consulenza prima di esumare Antonio
Napoli. La procura di Napoli si affiderà a un consulente medico-legale per decidere sulla eventuale esumazione del cadavere di Antonio, il bambino di 4 anni, precipitato dal balcone della sua casa al settimo piano del Parco Verde di Caivano nel 2013, un anno prima della piccola Fortuna e in circostanze analoghe. Gli inquirenti intendono chiarire se dall’esame medico-legale, in considerazione del tempo trascorso, sia possibile ancora risalire ad abusi sessuali subiti dal bambino, una ipotesi che è stata avanzata in seguito ai numerosi casi di pedofilia scoperti all’interno dello stesso palazzo, comprese le violenze ai danni di Fortuna, la bambina che secondo quanto emerso dalle indagini sarebbe stata violentata e uccisa da Raimondo Caputo, il convivente della madre di Antonio e di una sua amichetta. Nel caso di risposta negativa da parte del consulente, si eviterà di procedere all’esame. A sollecitare l’esumazione è stato l’avvocato Angelo Pisani, legale dei familiari di Fortuna. Il fascicolo sulla morte di Antonio, aperto per una iniziale ipotesi di omicidio colposo (secondo la quale sarebbe precipitato dalla finestra per una disattenzione della madre), è stato trasmesso da alcuni giorni alla sezione della procura di Napoli che si occupa di reati a sfondo sessuale, coordinata dal procuratore aggiunto Luigi Frunzio. L’indagine è stata affidata ai pm Raffaello Falcone e Urbano Mozzillo, il magistrato che ha seguito la prima parte dell’inchiesta. La decisione è stata adottata in seguito alle circostanze venute alla luce dalle indagini sulla morte di Fortuna, e in particolare sui numerosi casi di abusi nei confronti di minori, e sulla base delle dichiarazioni di una presunta testimone oculare: una parente della madre di Antonio, che ha dichiarato di trovarsi nella casa di Antonio quando il bambino precipitò dal balcone sostenendo che era stata la donna a lanciarlo dalla finestra.
Nel fascicolo delle indagini sull`omicidio di Fortuna Loffredo potrebbero entrare presto anche le relazioni annuali stilate dai medici dell`Asl per consentire a Fortuna e alla sua amichetta, oggi testimone principale nell’inchiesta sul presunto omicida e gli eventuali suoi complici, di essere seguite a scuola anche da un`insegnante di sostegno. La richiesta di indagare anche su questi documenti arriva dall`avvocato Angelo Pisani, legale della famiglia di Fortuna, che ha chiesto ai magistrati della Procura di Napoli Nord di compiere verifiche sulle relazioni dei medici e degli psicologi che visitarono Fortuna e la sua amica, ma anche sulle relazioni relative ad altri bambini del Parco Verde. Intanto questa mattina è stata depositata formale richiesta per riesumare il corpo di Antonio, il bambino di quattro anni volato giù un anno prima di Fortuna dallo stesso palazzo da cui precipitò la bambina. L`esame sul corpicino di Antonio potrebbe servire a raccogliere elementi non tanto sulle presunte violenze, tenuto conto del tempo che è ormai trascorso dalla sua morte, quanto sulle lesioni ossee dovute alla caduta per poterle eventualmente comparare con il caso di Fortuna. Di recente, infatti, l`inchiesta sulla morte di Antonio si è incrociata con quella sulla tragica fine di Fortuna ed è stata riaperta con l`ipotesi di omicidio volontario. Il bambino era figlio della donna accusata di aver taciuto e coperto il compagno che è in carcere come presunto responsabile degli abusi e della morte di Fortuna, ed era il fratello della bambina che è la testimone principale dell’inchiesta sugli orrori al Parco Verde.
Torre Annunziata: il pentito è Vincenzo Marciano, il killer su commissione che fece la guerra a Galasso. E’ il suocero di un pentito dell’Agro
Torre Annunziata. E’ Vincenzo Marciano il killer al soldo della camorra che ha deciso di pentirsi. Da circa un mese, il 59enne di Torre Annunziata, ha iniziato a collaborare con la Dda napoletana svelando i retroscena di alcuni omicidi eccellenti. Era un killer su commissione, un insospettabile che tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 ha prestato la sua opera a frange della Nco della zona vesuviana in contrapposizione con i Galasso e la Nuova Famiglia. Il suo pentimento è stato ufficializzato, ieri mattina, dinanzi ai giudici della Corte d’Assise di Saleno dove era imputato nel processo per l’omicidio di Maurizio D’Elia. Il 12 marzo del 2002, Pasqualino Garofalo – ex uomo di Umberto Ammaturo – gli ordinò di aiutare il boss della Piana del Sele Biagio Giffoni ad eliminare il rivale. Quel giorno, Vincenzo Marciano, insieme a Carmine Izzo di Boscoreale, soprannominato ‘o piccolino – protagonista di un’evasione da una clinica dopo la condanna a 30 anni di reclusione proprio per l’omicidio D’Elia – si travestirono da carabinieri e prelevarono la vittima predestinata da un circolo ricreativo di Montecorvino Rovella. Lo portano, con la complicità degli uomini del clan Giffoni in una zona isolata dove lo picchiarono, lo interrogarono e poi uccisero. Il corpo di D’Elia non è mai stato trovato fu coperto da calce viva e seppellito. Vincenzo Marciano è il suocero di Alfonso Annunziata, il pentito di San Marzano sul Sarno contiguo alle cosche del vesuviano che per primo rivelò particolari sull’omicidio di Anna Vignola, la donna di San Marzano violentata e uccisa il 5 luglio del 1998 e il cui corpo non è mai stato trovato. (r.f.)
Strage della Tangenziale, Mormile ha chiesto l’abbreviato
Napoli. Strage in tangenziale: Aniello Mormile chiede di essere giudicato con rito abbreviato. Il Dj che guidò contromano sulla Tangenziale di Napoli uccidendo la sua fidanzata di Fuorigrotta Livia Barbato e l’imprenditore di Torre del Greco il 48enne Aniello Miranda avrà lo sconto di pena. Si è tenuta ieri, davanti al gup del Tribunale di Napoli Rosa De Ruggiero, l’udienza preliminare del processo che vede alla sbarra, accusato di duplice omicidio volontario e guida in stato di abbrezza, il 28enne Aniello Mormile. Il processo è stato rinviato al 17 maggio, data in cui l’accusa formulerà la richiesta di pena nei confronti dell’imputato, Aniello Mormile in quella data ha chiesto di fare alcune dichiarazioni. Rigettata la richiesta della difesa di effettuare nuove perizie. L’incidente avvenne all’alba del 25 luglio scorso quando Aniello Mormile in auto con la fidanzata 22enne percorse contromano alcuni chilometri schiantandosi, allo svincolo di Agnano, contro l’automobile dell’imprenditore torrese che si recava al lavoro.
La rabbia di Esposito dopo gli omicidi di padre e fratello: “Gli devo mettere le bombe e uccidere i bambini”
“Mo’ piglio le bombe e gliele butto nelle case sull’anima di Ciro, devo andare solo in galera mo! Mo prendo le bombe è gli uccido le creature, li dobbiamo sterminare tutta la famiglia, le bombe, devo buttare le bombe.È meglio che si tengano anche le creature di quattro cinque anni sopra perché glieli uccido”. Questa la minaccia e lo sfogo di Emanuele Esposito, il killer delle Fontanelle alla Sanità e figlio e fratello dei due Esposito uccisi sabato poco prima di mezzogiorno a Marano nell’officina di famiglia. Sono le 13, 30 delle stesso giorno quando la microspia piazzata a casa di Antonio Genidoni a Milano, dove si trovava agli arresti domiciliari, registra la conservazione tra i due. Emanuele è pronto a scendere a Napoli per una fare una strage. Lo calmano e gli danno del Valium. Ma questo volta lo Stato è arrivato prima con i decreti di fermo su disposizione della Dda di Napoli ed eseguiti ieri dalla squadra mobile di Napoli nei confronti dei due ovvero Emanuele Esposito, Antonio Genidoni. Con loro sono stati fermati anche la mamma di Genidoni Addolorata Spina, indicati dagli investigatori come i mandanti della strage delle Fontanelle, e la moglie Vincenza Esposito. La donna che era in casa con il marito e con l’amico parente dice “Abbiamo paura”. Ma il marito senza preoccupazioni replica: “Lascia stare, mo scendiamo noi!”. E poi Emanuele aggiunge: “Dobbiamo solo sapere chi è, perché sta qualcuno che sta portando le “imbasciate” interno”. E disperato per la morte del padre e del fratello chiede:”Gli hanno dato la botta in testa a papà?”. E Genidoni gli dice: “Sì a papà sì”.
(nella foto il luogo della strage delle fontanelle alla Sanità e a partire da sinistra Antonio Genidoni, Emanuele Esposito, Addolorata Spina, e Vincenza Esposito)
Omicidi ad Acerra: Tortora, Alfuso ed Egizio condannati all’ergastolo. Insorgono in aula i familiari
Acerra. Faida ad Acerra: scompiglio in aula alla lettura del dispositivo con il quale hanno condannato all’ergastolo il boss Umberto Egizio. I parenti del ras di Acerra condannato al carcere a vita insieme a Domenico Tortora e Salvatore Alfuso hanno urlato contro i giudici facendo alzare la tensione in aula. A emettere la sentenza i giudizi della Terza sezione della Corte d’Assise del Tribunale di Napoli – presidente Carlo Spagna – che hanno giudicato i tre, insieme a Roberto Vicale alias ‘o chiattone, collaboratore di giustizia condannato a sedici anni di reclusione. Pene più o meno miti per i pentiti Antonio Di Buono alias “’O gnocco” e Mariano Lanza. I boss di Acerra sono accusati di quattro omicidi commessi nel 2002. Alla lettura della sentenza non sono mancati momenti di tensione tra i familiari dei tre imputati che hanno avuto la massima pena con isolamento diurno. I giudici depositeranno le motivazioni entro 90 giorni. Nello stesso processo erano coinvolti Gaetano De Rosa alias “’Aitano o Maravizz”, Pasquale Di Fiore (pentito figlio di Mario Di Fiore), Pasquale Tortora alias “Pasquale o stagnar” e figlio di Domenico Tortora. Gaetano De Rosa e Pasquale Tortora che avevano scelto di essere giudicato con il rito in abbreviato, hanno incassato la condanna 30 anni di reclusione. I tre boss di Acerra sono stati accusati da numerosi pentiti tra i quali anche Giovanni Messina che ha fatto importanti rivelazioni sugli episodi avvenuti nel 2002 e che vedevano protagonisti i vertici del clan Egizio, operante tra Acerra e Casalnuovo. Quattro gli omicidi per i quali gli imputati sono stati giudicati: Carmine Esposito alias “Carminuccio o Battlamier” ucciso nei pressi della caserma dei carabinieri il 24 aprile del 2002, Domenico De Luca alias “Mimmiluccio”, ucciso il 12 agosto del 2002 nelle campagne tra Acerra e Casalnuovo, Gennaro Panico alias “O mbizzato”, ucciso il 17 agosto del 2002, e Giuseppe D’Alessandro ‘Pepp o feroce’, assassinato il 9 ottobre del 2002 a Casalnuovo.
Fincantieri. una condanna e cinque rinvii a giudizio per gli operai che taglieggiavano le ditte
Una condanna e cinque rinvii a giudizio per i sei operai della Fincantieri arrestati due anni fa per le estorsioni e il sequestro di persona con le minacce operate ai danni di alcuni titolari delle ditte che lavorano nell’indotto dello stabilimento navale di Castellammare. Nicola Tramparulo è stato condannato a 4 anni e 8 mesi di reclusione, ed era l’unico a processo, in uno stralcio del procedimento principale, scaturito dalla scelta del rito alternativo (l’abbreviato subordinato) dopo il riconoscimento effettuato in aula dalla vittima, un imprenditore napoletano che si è costituito parte civile insieme alla Fincantieri. Rinviati a giudizio, invece, Antonio Vollono, Francesco Amoroso, Catello Schettino, e i fratelli Catello e Ferdinando Scarpato. Gli operai sono stati incastrati da intercettazioni telefoniche ma anche dalle denunce degli imprenditori vessati. “Qui si fa così, vieni con noi sennò ti spariamo” queste alcune delle minacce fatte. ma anche sequestri di persona, pestaggi, furti di materiale all’interno della fabbrica fino alla pressione per far assumere figli, familiari ed amici. Insomma una vero e proprio racket ai danni delle imprese.
(nella foto grande l’ingresso della Fincantieri di Castellammare e da sinistra Nicola Tramparulo, Antonio Vollono, Catello Scarpato, Ferdinando Scarpato, Catello Schettino e Francesco Amoruso)
Camorra, il boss D’Avino diceva del sindaco Piccolo di Somma Vesuviana: “quello ‘o sindaco non e’ buono”. Le estorsioni. I nomi degli arrestati
Nei colloqui nel carcere di Benevento, dove era detenuto allora, il boss “di rodata esperienza”, scrive il gip, “con lungimirante strategia criminale, dimostra di allungare le sue mire sull’orizzonte politico” del territorio, “in vista della sua scarcerazione e rientro non solo nel tessuto economico (cioé le estorsioni, ndr.), ma anche politico e amministrativo, con i suoi appoggi mirati e dunque di potenziale voto di scambio”. Anche in una conversazione, sempre con Anna Giugliano, del 7 maggio 2013, Carmine Mocerino viene tirato in ballo, seppure per tramite del congiunto Antonio, medico chirurgo a Somma Vesuviana, nel cui studio la donna si sarebbe dovuta recare per portare ‘l’imbasciata’ di Giovanni D’Avino sull’appoggio reale al suo candidato sindaco Paola Raia, che e’ stata anche consigliere regionale con FI. “Ma ci andasti li’, dal dottore?”, domanda il boss insistentemente. L’appoggio alla nipote Concetta D’Avino, in lista con Raffaele Allocca, che poi sara’ eletto (ma che morira’ a febbraio 2014, ndr.), il clan non lo dara’, nella ricostruzione dei pm della Dda, perche’ il capocosca ritiene che Allocca non abbia rispettato una promessa di assunzione di familiari fatta al fratello Francesco detto Franco (anche lui destinatario di una misura cautelare, ndr.): “quello ‘o sindaco non e’ buono” dice D’Avino. Lui preferisce appunto le persone vicine a Mocerino e anche Pasquale Piccolo, sindaco attuale di Somma Vesuviana, avvocato penalista “che mi ha aiutato”, dice il boss alla compagna. Il tentato omicidio di Mario Schetter, avvenuto dopo che questi ha dato un appuntamento al bar Blusky (da cui prende nome l’inchiesta, ndr.), si inquadra nella lotta del clan per il controllo delle piazze di spaccio, nella fattispecie quella del parco Fiordalisio di Somma Vesuviana, contesa al punto che i gestori si trovano ad avere richieste di pagare la quota dovuta da parte di due cosche. I clan sparavano colpi di pistola contro abitazioni ed esercizi commerciali di alcuni imprenditori della zona vesuviana, per intimidirli e ottenere il pagamento del pizzo. Sono alcuni degli episodi documentati dalle indagini che hanno portato all’esecuzione, stamane, dai parte dei carabinieri di un’ordinanza di custodia cautelare per 21 indagati (20 misure in carcere, una ai domiciliari) accusati a vario titolo di associazione mafiosa, tentato omicidio, spaccio di stupefacenti ed estorsione. Gli arresti sono avvenuti a Somma Vesuviana, Sant’Anastasia e Casalnuovo. Al centro delle indagini dei militari dell’Arma due distinti sodalizi criminali, i D’Avino e gli Anastasio. Nel fascicolo compare un video con l’aggressione tra i clienti di una sala scommesse di quattro emissari del clan a due vittime (con uno degli aguzzini che intima ai presenti di “allontanarsi” e di “tacere”). In un’altra ripresa, i colpi di pistola sparati da una moto in corsa contro l’abitazione di un altro imprenditore taglieggiato. Le indagini hanno fatto luce anche su un tentato omicidio del 2013 e sul pestaggio ai danni di un esponente dei D’Avino, episodi inquadrabili nella lotta con il clan Anastasio per il controllo di affari illeciti ed estorsioni nell’area vesuviana.
ELENCO SOGGETTI DESTINATARI DELLA MISURA CAUTELARE
la misura della custodia cautelare in carcere
D’AVINO Giovanni, nato a Somma Vesuviana
D’AVINO Ferdinando, nato a Pollena Trocchia
D’AVINO Stefano, nato a Pollena Trocchia
D’AVINO Francesco, nato a Somma Vesuviana
GIULIANO Anna, nata a San Giuseppe Vesuviano;
GIULIANO Camillo, nato a San Giuseppe Vesuviano
SCHETTER Mario, nato a Napoli
IOSSA Michele, nato a San Giuseppe Vesuviano
PEPE Alessandro, nato aNapoli
BOVA Nadia, nata a Pollena Trocchia
TERRACCIANO Domenico, nato a Pomigliano d’Arco
IOIA Francesco, nato a Napoli
CIVITA Fabio, nato a S. Giuseppe Vesuviano
MOSCA Giovanni, nato a Napoli
ANASTASIO Raffaele, nato a Sant’Anastasia
DI CICCO Clemente, nato ad Acerra
ESPOSITO Salvatore, nato a Somma Vesuviana
D’AMBROSI Giuseppe, nato a Pollena Trocchia
APRILE Ferdinando, nato a Cercola
GIORDANO Domenico, nato a Napoli
ARRESTI DOMICILIARI
AURIEMMA Claudio, nato a Pollena Trocchia
Ecco come Lady camorra Dora Spina ha organizzato la strage delle Fontanelle. Le intercettazioni
Lady camorra Addolorata Spina, aveva covato la vendetta ogni giorno.Le avevano ucciso nell’arco di dieci mesi il figlio Ciro e il marito Pietro Esposito. Ammazzati per mano dei Vastarella al rione Sanità. E lei voleva a tutti i costi vendicarsi ammazzando o facendo ammazzare Antonio Vastarella. Tant’è che il giorno in cui vennero ammazzati Giuseppe e Salvatore Vigna, lei era comunque insoddisfatta : “Dobbiamo prendere a quello lì”, diceva. E il 31 marzo spinge il figlio a trovare i killer per fare fuoco contro Antonio “che è nu scemo e che ha sempre acchiappato i paccheri. Lo vorrei uccidere stesso io”. Lo sollecita a reperire un killer a pagamento e può fare affidamento ad Emanuele Esposito ed un altro pregiudicato di Pianura che “ha fatto i morti lì”. “Se tu mi metti a me cinquemila euro sulla tavola io te lo faccio il morto”. Poi si lamenta per l’occasione non sfruttata quando era in Tangenziale di ritorno da una gita a Pasquetta. “Dico io, questo si è spostato? Appostatelo fuori alla tangenziale … dormite nelle corna, nel cesso, ap- postatelo andateci sotto, bum bum bum, dentro alla macchina. La Pasquetta così bella si è andato a fare”. Poi due giorni prima dell’agguato, ovvero il 22 aprile c’è una conversazione nella quale c’è la pianificazione de l’omicidio. Infatti si fa riferimento a Materdei come il luogo in cui l’eventuale 2appoggio dovrebbe portare ad Emanuele le pistole per l’agguato”. A parlare sono Addoloranta Spina e la cognata Vincenza Esposito, compagna del figlio Antonio Genidoni. Ma è la telefonata con il figlio la più importante ai fini investigativi. Antonio spiega alla mamma che lui vuole andare a colpo sicuro perché se un agguato va male poi si mettono in guardia e diventa tutto più difficile. Dora dice che il problema vero è che lui non ha nessuno che è buono per fare questo fatto e Antonio dice che ci sta chi lo può fare.
Dora: “Ma Peppe non può entrare e uscire dal-e Fontanelle?”.
Enza: “Lo sanno”.
Dora: “Lo sanno? E chi lo sa? Lui e Giovanna in macchina, sul motorino, Peppe sul mezzo lui e Giovanna, entrano e escono da la dentro fanno vedere che vanno dal meccanico”.Antonio: “Peppe non li conosce… penso”.
Dora: “Chi te lo ha detto? Basta che glielo fai vedere mezza volta a Peppe”.
Enza: “Quello davvero Peppe e Giovanna fosse una idea, lo sai non è una cosa malamente”.
Dora: “Fa apposta che va sopra”.
Antonio: “Quelli già stanno facendo tutto cosa”.
Dora: “Dove? Si apposta, va da quello delle mattonelle fa vedere che le va a comprare e esce, come è il momento buono”.
Antonio: “Dobbiamo vedere sempre se lo”.
Dora: “E come non lo fa? Peppe si!”
Antonio: “Devi vedere sempre se lo sa”.
Dora: “E ce lo fai vedere Antò! Non ci vuole niente a portarsi qualcuno per farglielo vedere”.
Enza: “Ma perché, quello è il figlio … (silenzio)… sul computer (parla di Antonio Vastarella. (ndr)
che ci vuole a farglielo vedere?”
Ecco come furono cacciati i “Barbudos” dalla Sanità. Lo sfogo di Addolorata Spina: “Vado io avanti e poi sparate”
Addolorata Spina, “Dora”, si offrì di fare da esca per far cadere in trappola i Vastarella. “Devono provare lo stesso dolore che provo io. Dobbiamo mirare al cuore di “isso”, intendendo secondo la Dda Antonio figlio del ras Patrizio. Dopo gli omicidi del figlio Ciro e poi del marito il boss Pierino Esposito ci fu la “cacciata” dal rione Sanità di tutti i familiari. In seguito all’allontanamento forzato, Vincenza Esposito, moglie di Antonio Genidoni, il 10 marzo scorso raggiunse il marito a Milano e gli raccontò l’accaduto. In particolare riferì che oltre ai Vastarella, a minacciarla si sono recati anche esponenti del clan Sequino e dei Mauro dei Miracoli. Aggiungendo che Giuseppe Vastarella (una delle vittime) era armato di pistola. Ecco cosa racconta Dora Spina: “Sono andati vicino alle persone per bene e le hanno cacciate, hanno cominciato a saldare le porte”. E Antonio Genidoni urlando spiega: “Sono arrivati trenta motorini sotto il mio palazzo e hanno minacciato Enza poi stavano picchiando Enza e la figlia di Nunzio”. E Dora rincara la dose: “A papà hanno dato sei ore per abbandonare la zona”. A quel punto Lady camorra si offre da esca per un’azione contro i Vastarella. “Però devo scendere prima io avanti … devono vedere me … devono fare una reazione addosso a me e poi devono prendere la battuta addosso…solo così puoi acchiappare a quelli la..Antonio è buono sto fatto…scendo io…vengono sotto a me e vogliono fare la reazione con me e devono prendere la battuta addosso”.Questi invece alcuni passaggi significativi della conversazione tra marito e moglie, sempre il 10 marzo 2016., perché si capisce chi sono gli alleati dei Vastarella.
Enza: “Non vi conosco proprio gli ho detto io”.
Antonio: “Tu fai salire la gente sopra casa mia…ma chi è…io non faccio salire le guardia a casa mia”.
Enza: “Vabbè questo è successo…inc…nella Sanità…io l’ho guardato e gli dissi:“vabbè se poi non ci volete nella Sanità è un altro discorso”.
Antonio: “Si sta cacando sotto Emanuele te lo dico io…chi ci stava”.
Enza: “Ci stava Fabio (Vastarella) …Agostino (Riccio) … Gianni Gianni (Sequino), Ciro o’ magall” (Ciro Esposito), Silvio (Silvestro Pellecchia), il figlio di Silvio, tutti i Miracoli (Mauro) …. poi…aspe’…il” Chiuvitiello” (Vincenzo Leonardo), Peppe Vastarella, il corto con gli occhiali, tutti quanti…o Pirata (Salvatore Basile), tutti …tutti2.
Dora: “Eh…per me”.
Enza: “No Dora si pensavano che ci stava qualcuno sopra…non è la questione di te”.
(nella foto antonio genidoni e la moglie enza esposito)
Terzigno: l’assassino di Enza Avino ha chiesto lo sconto di pena. Fissato il processo
L’assassino di Enza Avino ha chiesto lo sconto di pena. Il Tribunale di Nola ha infatti fissato per il 7 giugno prossimo il processo con il rito immediato (che prevede lo sconto di pena di un terzo) a carico di Nunzio Annunziata, il 37 enne che il pomeriggio del 14 settembre scorso uccise la sua ex fidanzata all’uscita della caserma dei carabinieri dove era andata a presentare l’ennesima denuncia per stalking nei suoi confronti. L’uomo fu arrestato dopo una mezza giornata di ricerche a Poggiomarino. L’autotrasportatore dal carattere irascibile e violento aveva reso la vita della donna un inferno. era già stato arrestato poche settimane prima sempre su denuncia di Enza. ma dopo due settimane di carcere tornò in libertà grazie al Riesame che non lo ritenne pericoloso. E il pomeriggio del 14 settembre scorso mise fine a colpi di pistola alla vita di Enza Avino.
Clamoroso al Tribunale di Nocera: 18 enne di Poggiomarino condannato a 2 anni e 3 mesi di carcere con multa di 700 euro per aver estorto 3 euro a 2 minorenni di Scafati
“Dacci i soldi o non ti restituiamo il cellulare” intimarono a due ragazzini che percorrevano con loro la tratta da Scafati a Poggiomarino. La bravata finì nel giro di una fermata del treno, ma Francesco Annunziata, 18enne di Poggiomarino, ha pagato quei 12 euro prelevati dalle tasche di due minorenni con 2 anni e tre mesi di reclusione, oltre ad un ammenda di 700 euro. Una storia di ordinaria follia giovanile, al ritorno dalla scuola, quella subita da due studenti 15enni scafatesi che il 7 giugno dello scorso anno ebbero la sfortuna di ritrovarsi sul treno insieme a due ragazzi poggiomarinesi, un 18enne e un 17enne. I due si coalizzarono e dopo aver chiesto ai 15enni il telefono per fare una telefonata lo trattennero: “Ve lo restituiamo se ci date i soldi che avete in tasca”. Francesco Annunziata riuscì a farsi dare 3 euro, gli altri li intascò il 17enne per il quale pende il processo dinanzi al Tribunale per i minorenni di Salerno. Una delle due vittime scappò, mentre il treno riprendeva la corsa, e allertò i carabinieri. I militari telefonarono alla Polstrada e il convoglio fu bloccato alla stazione successiva. Lì le forze dell’ordine individuarono la vittima e il suoi estortori: Francesco Annunziata, studente 18enne e il complice minorenne. I due furono perquisiti. Annunziata fu trovato con le tasche vuote, ma il suo amico aveva i 12 euro che avevano estorto ai due 15enni. Francesco Annunziata fu arrestato e gli fu applicato l’obbligo di firma, obbligo che gli è stato revocato, ieri mattina, dai giudici del tribunale di Nocera Inferiore prima che emettessero la sentenza. A chiedere una condanna esemplare, nonostante la tenuità del fatto, il pm Giuseppe Cacciapuoti che voleva una condanna a tre anni e sei mesi di reclusione per estorsione e la concessione delle attenuanti.L’avvocato Gianluca Granata, difensore di Annunziata, ha chiesto la clemenza dei giudici per la giovane età del ragazzo imputato, l’irrisoria somma estorta e la circostanza che il complice minorenne è invece accusato di rapina, anziché estorsione, dinanzi ai giudici salernitani. A nulla è servita la richiesta di derubricazione del reato e la circostanza che questa condanna segnerà irrimediabilmente il 18enne che non potrà beneficiare della pena sospesa.Diverse ore di camera di consiglio e Francesco Annunziata è stato condannato a due anni e 3 mesi di reclusione e al pagamento di 700 euro di ammenda dai giudici del Tribunale nocerino – presidente Domenico Diograzia, a latere Caccavale, Russo Guarro -, che si sono riservati di depositare la motivazione.
Inchiesta sulla “cricca Pagano”: altri giudici di Salerno e Nocera nel mirino
Nomi eccellenti nell’inchiesta sul presunto comitato d’affari del giudice Mario Pagano indagato nell’inchiesta aperta dai magistrati napoletani. Nomi top secret che non figurano negli atti depositati ai giudici del Riesame che tra due giorni valuteranno le richieste di dissequestro di telefoni e computer presentate dagli avvocati di Gerarda Torino e Giovanni Pagano, legali di Roccapiemonte finiti nell’indagine della Finanza per le sentenze aggiustate in cambio di favori e regali. Il Riesame valuterà l’istanza dell’avvocato Giuseppe Buongiorno, difensore di Giovanni Pagano, per la restituzione dei supporti telematici e informatici sequestrati nel corso delle perquisizioni. Nel frattempo i pm Frongillo e Carrano hanno depositato una corposa informativa con stralci di intercettazioni telefoniche riguardanti i casi già contestati ai dieci indagati destinatari e hanno nominato un perito per l’accensione dei computer e dei telefoni per l’estrapolazione dei dati. Nei prossimi giorni, poi, sarà fissata la data del Riesame per Augusta Villani, il giudice onorario in servizio al Tribunale di Salerno e poi sospesa. Ma le indagini che hanno travolto Pagano non si sono ancora fermate. Gli inquirenti stanno visionando i documenti acquisiti e interrogando numerose persone. Pare che dagli interrogatori siano emersi nomi di magistrati e avvocati che avrebbero fatto parte della cricca di eccellenti capace di pilotare giudizi civili e tributari in cambio di soldi, regali e favori. Al centro dell’indagine, nata da alcune intercettazioni telefoniche, captate nel corso dell’inchiesta sui finti matrimoni a Cava tra Roberto Lambiase e Giovanni Spinelli i rapporti di Mario Pagano con alcuni esponenti della magistratura nocerina e salernitana, ma non solo, e con i politici locali. Nel fascicolo trasmesso per competenza dalla procura di Nocera a Napoli figurano i nomi di altri insospettabili che avrebbero fatto parte della cricca. Il comitato d’affari era costituito da Mario Pagano con gli avvocati rocchesi Giovanni Pagano e Gerarda Torino (consigliere comunale a Roccapiemonte) e il commercialista tributarista Michele Torino, tutti tra l’altro componenti dell’associazione Rosa Aliberti di cui è presidente il giudice indagato. Su richiesta dei suoi amici, Mario Pagano, si sarebbe attivato presso giudici togati, ma anche onorari per indurli ad assumere decisioni a loro favore. Ruolo importante sarebbe anche quello di Nicola Domenico Montone, funzionario presso il Tribunale di Salerno e cognato del giudice. Montone e Torino sarebbero suoi soci in affari.(r.f.)
Camorra: il boss D’Avino si interessava delle elezioni comunali a Somma Vesuviana e appoggiava il candidato di Mocerino
Giovanni D’Avino, detto ‘ bersagliere , boss dell’omonimo gruppo destinatario di una misura cautelare nell’ambito di un’indagine dei carabinieri che ha portato a una ventina di arresti per la contrapposizione fra cosche nella gestione dello spaccio di droga nella bassa vesuviana, si occupa del suo territorio capillarmente, e, quindi, si interessa anche delle elezioni imminenti. E’ lo spaccato che emerge dall’ordinanza firmata dal gip, Paola Valeria Scandone, nella quale diverse conversazioni intercettate nel carcere di Benevento tra il boss, la convivente Anna Giuliano e il figlio Ferdinando, detto Nando, anche lui detenuto, mostrano l’attivismo del clan in vista delle amministrative del 2013 a Somma Vesuviana. Il boss ha una nipote, Concetta, che si e’ candidata nella lista del sindaco poi riconfermato, Raffaele Allocca, per altro senza essere eletta, prendendo 110 voti. Il motivo e’ semplice. L’appoggio del clan e’ ‘di facciata’ perche’ il boss Giovanni, suo zio, in una conversazione del 2 maggio 2013 alla convivente dice esplicitamente di far sapere privatamente al consigliere regionale Carmine Mocerino (capogruppo Caldoro presidente, eletto solo il 3 marzo scorso presidente della commissione regionale antimafia, in sostituzione di Monica Paolino, Forza Italia, indagata a settembre 2015 per voto di scambio politico-mafioso) che l’appoggio vero era ad altri: “ha detto Giovanni il mio voto e’ vostro”. Dunque i D’Avino appoggeranno un altro candidato sindaco, Paola Raia, di cui anche un pentito, Fiore D’Avino, si dice “amico”. Nella misura cautelare, sono diverse le conversazioni tra Giovanni D’avino e Anna Giuliano che fanno riferimento a Mocerino, per altro non indagato in questa inchiesta, cosi’ come tutti gli altri politici locali menzionati. Mocerino, scrive il gip, e’ “indicato come perfettamente consapevole dello status di Anna Giuliano come compagna del boss”, eppure in una conversazione, secondo quanto lei riferisce, durante un incontro per strada, le dice: “vediamo alla regione, vediamo cosa posso fare nell’ospedale e non nella clinica”. Le conversazioni del boss detenuto, intercettate durante i colloqui con i familiari, mostrano anche le frizioni interne al clan e con l’altra cosca per il controllo dello spaccio di droga e delle estorsioni, e anche le dinamiche che portano a diversi agguati.
(nella foto il boss Giovanni D’ Avino)