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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Il pentito, cognato del boss: ‘Un carabiniere di Volla faceva le soffiate al ras Matarazzo’. LE DICHIARAZIONI DI MORINO

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“Voglio precisare che sono stato confidente dei carabinieri di Volla ai quali ho dato spesso indicazioni per recuperare droga ed armi anche arrestato delle persone. Posso anche dirvi che c’è un carabiniere della Stazione di Volla che ha un cugino che si chiama …omissis… e fa … nella zona del cimitero. In diverse circostanze …omissis… mi riferiva di fare attenzione poiché suo cugino il carabiniere lo informava di operazioni di polizia sul territorio o talvolta di servizi esterni che venivano predisposti in zona. Oltre ad informare me questo…omissis… informava principalmente il Matarazzo”.  E’ il 18 gennaio del 2018 quando Francesco Morino alias Bibì, cognato del boss di Volla,  Pasquale Matarazzo del Parco Bolivar di Volla, uomo del clan Veneruso decide di pentirsi e passare dalla parte dello stato. Le sue dichiarazioni insieme con quelle dell’altro cognato, Elio Cafiero (che è diventato collaboratore alcuni mesi prima) e di Sorrentino Giorgio fanno parte integrante delle 429 pagine dell’ordinanza cautelare firmata il mese scorso dal gip Dario gallo e che ha portato in carcere 8 persone tra cui lo stesso boss Matarazzo, la moglie e i vertici del clan. Nelle sue deposizioni il pentito Morino parla anche di ‘nzalatella (Maddaluno Raffaele) e ‘o pop del clan Rinaldi del rione Villa di san Giovanni a teduccio ovvero Raffaele Oliviero . Il primo è il cugino della sua convivente, di cui si ricorda anche che organizzò insieme col Matarazzo – esperto di assalti ai tir – una rapina al supermercato Decò di San Giovanni. ‘O pop, invece, acquistò col narcos vollese un chilogrammo di cocaina, sequestratagli dai carabinieri locali, proprio grazie ad una “soffiata” dello stesso pentito.

Cronache della Campania@2018


Stupro a 5 stelle a Capri: dai video la verità sulla vicenda

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Nel suo drink era stata versata la cosiddetta “droga dello stupro” e quando fa rientro in albergo fatica anche a reggersi in piedi.
Sono queste le immagini  di una giovane donna, trentatrè anni, manager francese di una importante casa di moda, ospite di un lussuoso albergo caprese che gli investigatori hanno visto dopo la sua denuncia.
Una notte sull’isola di Capri, qualche drink in più e quella polvere sintetica:  sono questi i punti cardine di un’inchiesta condotta dalla Procura di Napoli, sull’onda della denuncia presentata dalla turista francese poche ore dopo aver subìto il presunto, al momento, stupro consumato all’interno della suite dove la donna, assieme alla sua compagna di viaggio, aveva deciso di pernottare per un improvviso incidente che aveva manomesso il sistema di aria condizionata della villa presa in fitto. Lo ha spiegato agli agenti del commissariato locale quando ha sporto denuncia: “Ho la certezza di essere stata drogata”.
Il presunto stupratore è un cittadino americano di cui sono note le generalità, la professione e la provenienza. L’indagine è coordinata dal pm Barbara Aprea, magistrato in forza al pool reati contro le fasce deboli del procuratore aggiunto Raffaello Falcone. Nei prossimi giorni, la manager francese dovrà confermare ai pm, la versione resa in commissariato. Come sembra essere oramai da “prassi”, la violenza sarebbe stata consumata a poche ore dalla partenza, quando anche la decisione di rivolgersi in commissariato può essere compromessa dalla necessità di non perdere il volo di rientro. L’inchiesta al momento fa leva sull’esito dei tamponi (non ancora disponibile) e sulle immagini che riprendono la turista all’ingresso dell’hotel a 5 stelle nell’isola. Il caso risale al luglio scorso. Secondo quanto ha raccontato alla polizia al suo risveglio e in pieno stato confusionale, non ricordava nulla della sera prima ma di essere certa di aver subito durante la notte una violenza sessuale.E’ stata accompagnata al vicino ospedale Capilupi dove le sono stati fatti alcuni tamponi, e i necessari prelievi per accertare la violenza, la quantita’ di alcool presente e di eventuali sostanze chimiche che potevano essere state sciolte nelle bevande alcoliche servite nel locale. Dopodiche’ la manager francese e la sua amica hanno lasciato l’isola per recarsi in Sardegna. E’ stato qui, dopo aver raccontato l’episodio al suo fidanzato, che si e’ recata nella stazione dei Carabinieri per sporgere una ulteriore denuncia dettagliata dei fatti. La Procura di Napoli ha aperto immediatamente un fascicolo sul caso e l’inchiesta, coordinata dal pm Barbara Aprea, magistrato in forza al pool ‘Reati contro le fasce deboli’, ha portato al sequestro degli impianti di video sorveglianza dell’hotel e del locale dove le due turiste e l’americano hanno trascorso la serata. Intanto, anche se l’uomo ha lasciato l’Italia, i magistrati hanno gia’ provveduto alla sua identificazione e stanno visionando gli impianti di video sorveglianza per poter risalire alla dinamica dei fatti. La vittima verra’ ascoltata dagli inquirenti nei prossimi giorni.

Cronache della Campania@2018

Fidanzati uccisi: fissato ad ottobre il processo per Giosuè Ruotolo

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 Il 12 ottobre prossimo sara’ celebrata la prima udienza del processo d’appello a carico di Giosue’ Ruotolo, di 29 anni, ex caporal maggiore dell’Esercito, originario di Somma Vesuviana , condannato all’ ergastolo l’8 novembre scorso, con isolamento diurno per due anni, perche’ ritenuto colpevole del duplice delitto di Trifone Ragone, di 28 anni e della sua fidanzata Teresa Costanza, di 30, uccisi la sera del 17 marzo 2015 nel parcheggio del palazzetto dello Sport di Pordenone. Ruotolo, che e’ difeso dagli avvocati Roberto Rigoni Stern e Giuseppe Esposito, sta scontando la pena nel carcere di Belluno. 

Cronache della Campania@2018

Neonata muore subito dopo il parto: coppia pompeiana denuncia i medici dell’ospedale di Caserta

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‘Vola più in alto che puoi angioletto mio, sarai l’angelo di mamma e papà’: la gioia per la nascita della loro prima figlia si è trasformata in un dolore immane per Salvatore Gallo e Carolina Izzo, una coppia di giovani pompeiani. Il papà della piccola Iole, questo il nome scelto per la bambina, saluta con un post su facebook la sua bambina morta al momento del parto. E’ scattata subito l’inchiesta della magistratura su richiesta dei familiari sulla tragedia che ha colpito la giovane coppia di Pompei nella tarda serata di ieri. Salvatore Gallo e Carolina Izzo chiedono sia fatta chiarezza su quanto accaduto all’ospedale Sant’Anna di Caserta nel pomeriggio di ieri. La giovane Carolina, 29 anni, al nono mese di gravidanza avrebbe dovuto partorire il 4 agosto scorso, ma la bambina ancora non era ancora in posizione e ieri mattina, è andata all’ospedale di Caserta dove lavora Pasquale Parisi, il  ginecologo che l’ha seguita per l’intera gravidanza, per un controllo. Il parto era stato programmato per stamane. Ma ieri mattina, dopo il tracciato di controllo le hanno detto di attendere. E’ stata in piedi nel corridoio del reparto per molte ore, fino al pomeriggio quando alle 17 è stata nuovamente monitorata. A quel punto pare che la situazione sia precipitata, è emerso che il battito cardiaco della nascitura era debole e la giovane e i suoi familiari hanno insistito più volte per accelerare la nascita della bambina. Ma il personale dell’ospedale ha sostenuto che bisognava aspettare: “Siamo in contatto con il vostro dottore teniamo sotto controllo – hanno detto ai familiari – la bambina si è girata, è tutto sotto controllo fateci fare il nostro lavoro”. Alle 18, Carolina Izzo è stata portata in sala parto, ma la bambina è morta. Pare che i medici abbiano fatto un tentativo per rianimarla dopo la nascita ma non c’era già nulla da fare. Non è chiaro se la piccola sia nata già morta o sia deceduta poco dopo essere venuta alla luce. Proprio le circostanze del decesso, ma anche quello che è accaduto nelle ore precedenti al parto sono ora oggetto di un’inchiesta della magistratura. Il marito della donna, Salvatore Gallo, titolare di una pizzeria a Pompei, in via Lepanto, ha allertato le forze dell’ordine e la polizia ha sequestrato la cartella clinica della donna per stabilire le cause del decesso della bambina e la correttezza dell’operato del personale medico che l’ha seguita per tutto il giorno.

Il sospetto è che i medici abbiano sottovalutato la situazione e il tempo intercorso tra il controllo del mattino e quello del pomeriggio sia stato fatale, con la bambina che è andata in sofferenza respiratoria. 

Teresa Gallo, la zia della bambina, chiede sia fatta chiarezza: “Vogliamo capire cosa è accaduto – dice – non sappiamo neppure se la bambina era già morta al momento della nascita o è morta subito dopo come dicono i medici. Carolina è stata tenuta tutto il giorno in piedi nel corridoio con una flebo. Poi, tutto è precipitato nel pomeriggio quando hanno visto che il battito della piccola era debole. Ma anche a quel punto non si capisce perchè non l’hanno fatta nascere subito”. La giovane zia non si dà pace: “Non si capisce perchè dalle 17, momento in cui è stato fatto l’ultimo tracciato, sia stata portata in sala parto solo un’ora dopo. E cosa sia accaduto dopo la nascita”. 

Le indagini disposte dalla Procura di Caserta dovranno chiarire gli aspetti dell’intera vicenda. Resta l’immane dolore per la giovane coppia di Pompei. Salvatore Gallo e Carolina Izzo si erano sposati a maggio scorso, un matrimonio già programmato dallo scorso anno. Nei primi mesi del 2018 era arrivata poi anche la felice notizia dell’arrivo della piccola Iole.  Una gioia che avrebbe completato la storia d’amore di Salvatore e Carolina. Ma ieri sera quella favola si è infranta e ora i familiari della piccola chiedono sia fatta chiarezza e giustizia. (ro.fe.)

Cronache della Campania@2018

Morto dopo intervento all’anca e un’odissea in 3 ospedali: tre indagati

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Muore in seguito a un intervento all’anca e dopo essere stato ricoverato in tre diversi ospedali. Ora – come riporta Il Mattino – ci sono tre medici indagati dalla procura di Nocera Inferiore  per la morte del 63 enne Andrea Ferraro, deceduto mercoledi’ nell’ospedale Villa Malta di Sarno (Salerno). Al vaglio dei magistrati la posizione dei sanitari che nelle tre strutture hanno prestato soccorso all’uomo ricoverato prima all’ospedale di Vico Equense, poi in quello di Sorrento e infine a Sarno. Domani la Procura disporra’ l’autopsia sul cadavere. Si mobilita anche la politica. Il consigliere regionale dei Verdi, Francesco Borrelli, annuncia di voler portare il caso all’attenzione della commissione Sanita’ del Consiglio della Campania. “Si faccia immediata chiarezza sull’accaduto. La magistratura – dice l’esponente verde – individui i responsabili di questa morte ingiusta e verifichi se poteva essere evitata. Portero’ all’attenzione della commissione Sanita’ il caso di Andrea Ferraro, l’operaio 63enne di Vico Equense, morto all’ospedale Villa Malta in seguito a un intervento all’anca sinistra, dopo essere stato ricoverato prima a Vico Equense e poi a Sorrento. Il tour degli ospedali non e’ bastato a salvargli la pelle. La famiglia di Andrea Ferraro – conclude Borrelli – ha riferito ai carabinieri di Sarno che il loro congiunto non avrebbe ricevuto le dovute attenzioni dai medici. Se cio’ verra’ accertato, e’ giusto che i responsabili paghino”

Cronache della Campania@2018

Stop ai funerali a Scafati: interdittiva antimafia per le imprese funebri coinvolte nello scandalo affissioni

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Scafati. Pompe funebri: interdittiva antimafia per le due imprese coinvolte nello scandalo del Comune di Scafati. Stop ai funerali per l’Eternità srl e la Servizi funebri srl. A deciderlo la Prefettura di Salerno che ha emesso un’informazione interdittiva antimafia alle due imprese di pompe funebri ritenute contigue alla criminalità organizzata. L’Eternità, gestito dalla famiglia Aquino di Boscoreale e di fatto intestata a Giuseppina Ametrano, la società – secondo gli inquirenti – è riconducibile al clan Matrone capeggiato da Franchino ‘a belva e dal figlio Michele – la Servizi Funebri srl della famiglia Cesarano, ritenuta vicina al clan D’Alessandro di Castellammare per un’indagine che ha portato al processo per favoreggiamento aggravato dal metodo mafioso nei confronti di un esponente della cosca di Scanzano, il procedimento pende in primo grado
A notificare l’informazione interdittiva emessa dalla Prefettura la Polizia municipale di Scafati, guidata da Giovanni Forgione. Il Prefetto ha agito sulla scorta della relazione della Dia sezione di Salerno nell’ambito dell’operazione ‘Sarastra’ che ha indagato dal 2014 al 2016 sulle connivenze tra politica e camorra nel comune salernitano. Alle indagini degli uomini guidati dal colonnello Giulio Pini e dal capitano Fausto Iannaccone si sono aggiunti gli approfondimenti amministrativi della Commissione di accesso che si è insediata al Comune di Scafati nel marzo del 2016. L’inchiesta ha portato poi allo scioglimento del consiglio comunale di Scafati il 27 gennaio del 2017, guidato dall’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti di Forza Italia. L’interdittiva antimafia è stata emessa a carico delle due imprese di pompe funebri che – nell’ambito delle indagini – avrebbero omesso di pagare i tributi per l’affissione dei manifesti funebri, alla Geset, la società che gestisce il servizio per conto del Comune di Scafati. Il mancato versamento dei tributi e il caos dei tabelloni pubblicitari per le imprese funebri era stato anche un capitolo della relazione della commissione di accesso, fatto proprio dalla Prefettura, e vagliato dal  Consiglio dei Ministri che aveva decretato lo scioglimento. Da questo capitolo di inchiesta è scaturito un processo a carico dell’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, attualmente detenuto in carcere per scambio di voto politico-mafioso con esponenti del clan Ridosso-Loreto, l’ex staffista Giovanni Cozzolino, il dirigente dei servizi finanziari Giacomo Cacchione e i responsabili delle imprese, Giuseppina Ametrano per l’Eternità, Alfonso e Catello Cesarano per la Servizi funebri e l’ingegnere addetto alla manutenzione per il Comune di Scafati, Nicola Fienga, tutti accusati in concorso per abuso d’ufficio commesso con l’aggravante del metodo mafioso, finalizzato a favorire l’operatività delle due ditte di onoranze funebri, ritenute diretta espressione della locale criminalità organizzata. Entrambe le imprese funebri sono state bloccate dalla Prefettura e potranno fare ricorso amministrativo contro il provvedimento, nel frattempo i loro servizi sono sospesi. Resta da capire da chi potrà essere svolto il servizio in città, dopo il blocco dei servizi per le due imprese concorrenti.
Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Morto dopo intervento all’anca e un’odissea in 3 ospedali: tre indagati

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Muore in seguito a un intervento all’anca e dopo essere stato ricoverato in tre diversi ospedali. Ora – come riporta Il Mattino – ci sono tre medici indagati dalla procura di Nocera Inferiore  per la morte del 63 enne Andrea Ferraro, deceduto mercoledi’ nell’ospedale Villa Malta di Sarno (Salerno). Al vaglio dei magistrati la posizione dei sanitari che nelle tre strutture hanno prestato soccorso all’uomo ricoverato prima all’ospedale di Vico Equense, poi in quello di Sorrento e infine a Sarno. Domani la Procura disporra’ l’autopsia sul cadavere. Si mobilita anche la politica. Il consigliere regionale dei Verdi, Francesco Borrelli, annuncia di voler portare il caso all’attenzione della commissione Sanita’ del Consiglio della Campania. “Si faccia immediata chiarezza sull’accaduto. La magistratura – dice l’esponente verde – individui i responsabili di questa morte ingiusta e verifichi se poteva essere evitata. Portero’ all’attenzione della commissione Sanita’ il caso di Andrea Ferraro, l’operaio 63enne di Vico Equense, morto all’ospedale Villa Malta in seguito a un intervento all’anca sinistra, dopo essere stato ricoverato prima a Vico Equense e poi a Sorrento. Il tour degli ospedali non e’ bastato a salvargli la pelle. La famiglia di Andrea Ferraro – conclude Borrelli – ha riferito ai carabinieri di Sarno che il loro congiunto non avrebbe ricevuto le dovute attenzioni dai medici. Se cio’ verra’ accertato, e’ giusto che i responsabili paghino”

Cronache della Campania@2018

Camorra, il neo pentito: ‘Dovevamo uccidere Capasso perché non pagava gli alimenti alla moglie’

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“Voglio anche dire del tentativo di Luigi De Micco di eliminare il collaboratore di giustizia Rocco Capasso, cosa che ho già riportato nel memoriale che ho consegnato la scorsa volta ai magistrati. Ricordo che Capasso si lasciò con la moglie e si mise con una ragazza che ho detto che gestiva una piazza di fumo a Ponticelli. De Micco non tollerava questa situazione e si lamentava anche del fatto che Capasso non dava i soldi alla moglie e li spendeva tutti con la sua nuova compagna”. E’ parte de racconto esclusivo del neo pentito del clan De Micco “Bodo” di Ponticeli, ovvero Nunzio Montanino e che sono state lanciate in anteprima dal quotidiano Il Roma. Il neo collaboratore che ha svelato molti retroscena inediti del potente clan dei Tatuati tra le altre cose ha parlato appunto del tentativo fallito da parte del reggente dell’epoca Luigi De Micco di uccidere Rocco Capasso perché non passava gli alimenti alla moglie e per questo motivo non era visto di buon grado dal clan. Doveva essere ucciso perché mancava di rispetto, ma del giorno dell’agguato si consegnò ai pm della Dda e iniziò a collaborare con lo Stato. Ha raccontato ancora Montanino: “…

Diciamo che quando si mise con questa ragazza non era più tanto presente negli affari del clan. Ricordo che fummo invitati tutti al diciottesimo compleanno della figlia di De Micco e in quell’occasione Capasso voleva portare con sé la nuova compagna. De Micco disse di no e Capasso non venne alla festa. La cosa fu interpretata come un gesto di scortesia, ma De Micco disse di festeggiare e che ne avrebbero comunque parlato in seguito. Per un periodo di tempo non ho saputo più niente e, poi, venni a sapere che Capasso si era consegnato alla polizia. In quell’occasione De Micco mi chiamò con urgenza facendomi andare a casa di Borrelli dove c’erano anche Principe e De Martino i quali informarono De Micco che i carabinieri erano andati a prendere la moglie, i figli e anche la compagna di De Micco. Da ciò capirono che Capasso aveva iniziato a collaborare con la giustizia. De Martino disse a De Micco che come già aveva detto in passato Capasso non era buono e che l’avrebbero dovuto ammazzare prima. De Micco infatti si rammaricava dicendo che proprio per quella sera era già stato deciso che l’avrebbero ammazzato, Principe e De Martino dicevano che loro avrebbero voluto farlo prima perché già sapevano che Capasso avrebbe iniziato a collaborare con la giustizia”.

Cronache della Campania@2018


Napoli, pizzo a trans e squillo: scarcerati il figlio del boss Mazzarella e lo zio

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Napoli. I giudici del tribunale del Riesame hanno rimesso in libertà  Francesco Mazzarella, il figlio del boss Vincenzo, o’ pazzo. Il 25enne incensurato era stato arrestato il 31 luglio scorso insieme co altre otto persone  tra cui la trans diventata Lisa Improta perchè accusati di imporre il pizzo alle squillo, alle trans e a i gay che lavoravano in strada da san Giovanni a Teduccio fino a Poggioreale.Il suo avvocato Sergio Lino Morra  è riuscito a dimostrare che non c’erano le esigenze cautelari necessarie per trattenere in carcere il rampollo della famiglia di San Giovanni a Teduccio. Scarcerato anche Daniele Noviello, conosciuto come Tony. Per lui la misura è risultata inefficacia per un difetto di notifica. Assistito dall’avvocato Leopoldo Perone è tornato libero. Secondo le accuse ogni sera il giro del pizzo preannunciando l’arrivo di “Lisa” con una telefonata, e a chi non versava la quota erano riser­vate le minacce e poi le botte. Francesco Mazzarella è stato riconosciuto in foto da una delle vittime per un apparecchio acustico ed è accusato di gravi minacce alle vittime del “pizzo” insieme con Antonio Sarnelli, esponente dei Mazzarella del rione Luzzatti, e Daniele Noviello detto “Tony”, cognato del ras detenuto e zio di Francesco. Mamma Lisa è stata incastrata da una cimice piazzata nella sua auto.Per il momento resta in carcere la sorella di Antonio o’ provolone, autista di fiducia della famiglia Mazzarella ammazzato in un agguato nel 2004, e Raffaele “o’ bumbularo”, ucciso il 6 giugno 1991.

 (nella foto la trans boss Annalisa Improta)

Cronache della Campania@2018

Scafati, va ai domiciliari fuori regione Gennaro Ridosso, figlio del boss pentito Romolo

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Scafati. Ha ottenuto gli arresti domiciliari fuori dalla regione Campania Gennaro Ridosso, figlio collaboratore di giustizia Romolo, condannato la settimana scorsa nel processo stralcio dell’inchiesta Sarastra che ha portato in carcere l’ex sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti, alla pena di di sei anni e 4 mesi di reclusione. Il rampollo del boss è stato condannato per corruzione elettorale per le amministrative del 2013 – nel 2015 era in carcere dunque non gli è stato contestato lo scambio di voto politico mafioso per le Regionali – per le estorsioni ai conservieri Aniello e Fabio Longobardi ed infine per le minacce aggravate dal metodo mafioso nei confronti della giornalista Valeria Cozzolino. A settembre riprenderà il processo a carico del primo cittadino e di certo avranno un peso le condanne inflitte la settimana scorsa a Gennaro Ridosso, Alfonso Loreto – oggi pentito – condannato ad un anno e due mesi di reclusione in continuazione con la sentenza, passata in giudicato, per associazione per delinquere nella quale ha incassato sei anni di reclusione. Una pena complessiva di sette anni e due mesi di reclusione per essere stato uno dei promotori del clan Loreto-Ridosso. E infine a cinque anni e 8 mesi di reclusione Luigi Ridosso junior nonostante in una lettera il giovane figlio del boss Salvatore, ucciso negli anni scorsi, abbia presentato una lettera con una sorta di dissociazione e nella quale fa ricadere le colpe sul pentito Alfonso Loreto.

Cronache della Campania@2018

‘I miei fratelli hanno dato la vita per i Mazzarella, io non pago nessuno’, la trans diventata boss si ribellò al summit di camorra

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“Quando mai la camorra dei Mazzarella ha pagato i Mazzarella. I miei fratelli hanno dato la vita per Mazzarella, ora io devo pagare…”. Mamma Lisa Improta, la trans diventata boss era seduta a un summit di camorra della zona Orientale di Napoli. Alzò la voce e ottenne la protezione del boss Salvatore D’ Amico o’ pirata da sempre  alleato dei Mazzarella. Da quel momento Mamma Lisa (nata all’anagrafe come Luigi Improta) diventò la reggente del business della prostituzione.  La Improta l’altro giorno è stata arrestata dalla squadra mobile di Napoli insieme con altre otto persone tra cui Francesco Mazzarella figlio del boss Vincenzo o’ pazzo. Tutte le squillo, le trans e i gay che si prostituivano nella zona orientale di Napoli dovevano pagare il “tuppo” di dieci o trenta euro al giorno a seconda della posizione di lavoro o del guadagno. Faceva il giro per raccogliere i soldi ogni notte. Ma non lo faceva da sola. Aveva un esercito di collaboratrice , tutte trans. Quattro di quelle che aiutavano Lisa a raccogliere i soldi sono stati arrestati con l’accusa di associazione a delinquere e di estorsione. “Arianna” (Gabriele Palumbo), “Gigante” (Vincenzo Micale), “Rebecca” (Luigi Barile) cugino di secondo grado del boss, Totoriello Barile, “Agnesina”(Sergio Sapienza), Daniele Noviello, Antonio Sarnelli e infine France­sco Mazzarella. Ogni sera il giro del piz­zo preannunciando l’arrivo di “Lisa” con una telefonata, e a chi non versava la quota erano riser­vate le minacce e poi le botte. Francesco Mazzarella è stato riconosciuto in foto da una delle vittime per un apparecchio acustico ed è accusato di gravi minacce alle vittime del “pizzo” insieme con Antonio Sarnelli, esponente dei Mazzarella del rione Luzzatti, e Daniele Noviello detto “Tony”, cognato del ras detenuto e zio di Francesco. Mamma Lisa è stata incastrata da una cimice piazzata nella sua auto.

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Camorra, il neo pentito: ‘Dovevamo uccidere Capasso perché non pagava gli alimenti alla moglie’

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“Voglio anche dire del tentativo di Luigi De Micco di eliminare il collaboratore di giustizia Rocco Capasso, cosa che ho già riportato nel memoriale che ho consegnato la scorsa volta ai magistrati. Ricordo che Capasso si lasciò con la moglie e si mise con una ragazza che ho detto che gestiva una piazza di fumo a Ponticelli. De Micco non tollerava questa situazione e si lamentava anche del fatto che Capasso non dava i soldi alla moglie e li spendeva tutti con la sua nuova compagna”. E’ parte de racconto esclusivo del neo pentito del clan De Micco “Bodo” di Ponticeli, ovvero Nunzio Montanino e che sono state lanciate in anteprima dal quotidiano Il Roma. Il neo collaboratore che ha svelato molti retroscena inediti del potente clan dei Tatuati tra le altre cose ha parlato appunto del tentativo fallito da parte del reggente dell’epoca Luigi De Micco di uccidere Rocco Capasso perché non passava gli alimenti alla moglie e per questo motivo non era visto di buon grado dal clan. Doveva essere ucciso perché mancava di rispetto, ma del giorno dell’agguato si consegnò ai pm della Dda e iniziò a collaborare con lo Stato. Ha raccontato ancora Montanino: “…

Diciamo che quando si mise con questa ragazza non era più tanto presente negli affari del clan. Ricordo che fummo invitati tutti al diciottesimo compleanno della figlia di De Micco e in quell’occasione Capasso voleva portare con sé la nuova compagna. De Micco disse di no e Capasso non venne alla festa. La cosa fu interpretata come un gesto di scortesia, ma De Micco disse di festeggiare e che ne avrebbero comunque parlato in seguito. Per un periodo di tempo non ho saputo più niente e, poi, venni a sapere che Capasso si era consegnato alla polizia. In quell’occasione De Micco mi chiamò con urgenza facendomi andare a casa di Borrelli dove c’erano anche Principe e De Martino i quali informarono De Micco che i carabinieri erano andati a prendere la moglie, i figli e anche la compagna di De Micco. Da ciò capirono che Capasso aveva iniziato a collaborare con la giustizia. De Martino disse a De Micco che come già aveva detto in passato Capasso non era buono e che l’avrebbero dovuto ammazzare prima. De Micco infatti si rammaricava dicendo che proprio per quella sera era già stato deciso che l’avrebbero ammazzato, Principe e De Martino dicevano che loro avrebbero voluto farlo prima perché già sapevano che Capasso avrebbe iniziato a collaborare con la giustizia”.

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Napoli, pizzo a trans e squillo: scarcerati il figlio del boss Mazzarella e lo zio

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Napoli. I giudici del tribunale del Riesame hanno rimesso in libertà  Francesco Mazzarella, il figlio del boss Vincenzo, o’ pazzo. Il 25enne incensurato era stato arrestato il 31 luglio scorso insieme co altre otto persone  tra cui la trans diventata Lisa Improta perchè accusati di imporre il pizzo alle squillo, alle trans e a i gay che lavoravano in strada da san Giovanni a Teduccio fino a Poggioreale.Il suo avvocato Sergio Lino Morra  è riuscito a dimostrare che non c’erano le esigenze cautelari necessarie per trattenere in carcere il rampollo della famiglia di San Giovanni a Teduccio. Scarcerato anche Daniele Noviello, conosciuto come Tony. Per lui la misura è risultata inefficacia per un difetto di notifica. Assistito dall’avvocato Leopoldo Perone è tornato libero. Secondo le accuse ogni sera il giro del pizzo preannunciando l’arrivo di “Lisa” con una telefonata, e a chi non versava la quota erano riser­vate le minacce e poi le botte. Francesco Mazzarella è stato riconosciuto in foto da una delle vittime per un apparecchio acustico ed è accusato di gravi minacce alle vittime del “pizzo” insieme con Antonio Sarnelli, esponente dei Mazzarella del rione Luzzatti, e Daniele Noviello detto “Tony”, cognato del ras detenuto e zio di Francesco. Mamma Lisa è stata incastrata da una cimice piazzata nella sua auto.Per il momento resta in carcere la sorella di Antonio o’ provolone, autista di fiducia della famiglia Mazzarella ammazzato in un agguato nel 2004, e Raffaele “o’ bumbularo”, ucciso il 6 giugno 1991.

 (nella foto la trans boss Annalisa Improta)

Cronache della Campania@2018

Morto per la sostituzione di una protesi: la verità dall’autopsia

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 E’ stata effettuata ieri all’obitorio dell’ospedale di Sarno  l’autopsia sul corpo di Andrea Ferraro, il 63enne di Vico Equense  deceduto mercoledi’ scorso al Villa Malta di Sarno in seguito a un intervento all’anca e dopo essere stato ricoverato in tre ospedali diversi. L’esame autoptico e’ durato circa quattro ore ed e’ stato effettuato da Giuseppe Consalvo, il medico legale incaricato dalla procura di Nocera Inferiore. All’autopsia ha partecipato anche Margherita Tartaglia, consulente di parte nominata dalla famiglia della vittima che vuole vederci chiaro su quanto accaduto al proprio caro. Ferraro potrebbe essere stato ucciso da una emorragia o un embolo. Ora i periti nominati dal Tribunale valutata la relazione del medico legale che dovrebbe essere depositato per il mese di ottobre dovranno stabilire se ci sia stato colpa medica. Al momento sono indagati con l’accusa di omicidio colposo due ortopedici e a un anestesista dell’ospedale di Sarno. la chiave della morte del 63enne vicano potrebbe essere nei valori di sangue registrati prima e dopo l’intervento chirurgico di sostituzione della protesi all’anca sinistra. L’uomo era stato ricoverato prima all’ospedale di Vico Equense, poi in quello di Sorrento e infine a Sarno. La moglie, in seguito al decesso, ha sporto denuncia ai carabinieri e, al momento, sono tre i medici indagati. Gli inquirenti hanno anche sequestrato le cartelle cliniche relative ai ricoveri del 63enne nei tre ospedali. “La famiglia -ha spiegato il legale di fiducia della famiglia, Lucia Pilar De Nicola – vuole chiarezza su tutto l’iter, non soltanto sull’operazione ma anche su eventuali omissioni o ritardi che possono aver portato al decesso del signor Ferraro”. Chiarezza era stata chiesta anche dal consigliere regionale dei Verdi, Francesco Borrelli che ha annunciato di voler portare il caso all’attenzione della commissione Sanita’ del Consiglio della Campania. 

Cronache della Campania@2018

Violenta la nipotina e la bimba vicina di casa, arrestati nonno orco e sua figlia

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Nocera Inferiore. Nonno orco in cella insieme alla figlia che non ha impedito le violenze su sua figlia e su una piccola vicina di casa. E’ stata eseguita stamane un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di A. R. di Nocera Superiore e della figlia M. R. residente a Roccapiemonte. L’ordinanza del Gip Luigi Levita è stata eseguita dai carabinieri della polizia giudiziaria del tribunale di Nocera Inferiore. Ad indagare sul caso di abusi sessuali ai danni di due bambine il pm della Procura di Nocera inferiore, Gaetana Amoruso.
L’uomo, padre dell’altra arrestata, è accusato di abusi sessuali continuati ai danni della nipotina e di una bambina, minore di 10 anni, vicina di casa che veniva affidata in custodia dai genitori alla famiglia degli indagati. M. R., è accusata di abusi sessuali in concorso perchè tollerava le violenze del padre su sua figlia e sull’altra minore, nonostante sapesse cosa accadeva nella sua casa.
I due sono stati trasferiti stamane nel carcere di Fuorni, in attesa dell’interrogatorio di garanzia. Le indagini, eseguite dagli uomini della sezione di Pg dei carabinieri del tribunale nocerino, hanno permesso di accertare numerosi episodi ai danni delle due bambine. Nel corso delle indagini sono stati ascoltati numerosi testimoni, le cui dichiarazioni sono state riscontrate attraverso indagini tecniche e tradizionali.

Cronache della Campania@2018


Dieci anni di liti giudiziarie, civili e penali, per due ‘abbaini’ in più

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Un ‘compromesso’ immobiliare nato male, la realizzazione di due abbaini in più rispetto alla futura realizzazione dell’edificio, una causa civile e cinque imputati accusati in concorso di abuso edilizio, reato che molto probabilmente sarà già prescritto prima della fine del processo. Sono gli ingredienti di una lunga storia di burocratico-legale che si protrae da dieci anni nella piccola frazione di Carano di Sessa Aurunca con protagonisti l’acquirente di una delle unità abitative da realizzare, il proprietario, il direttore dei lavori, il titolare di un’impresa e il responsabile del cantiere. La causa penale, fissata per fine anno davanti al giudice monocratico Giorgio Pacelli del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, è nata da un accesso da parte della polizia municipale di Sessa Aurunca – scatenato dai primi diverbi tra proprietario e acquirente – che determinò l’apertura del fascicolo e un conseguente «ordine di abbattimento e ripristino dello stato dei luoghi». Nel frattempo, già nel 2012, sono sfilati alcuni testimoni nel procedimento civile incardinato davanti alla sezione distaccata di Carinola, nato da una citazione in cui l’acquirente contestava al proprietario, prima di formalizzare l’acquisto, gravi violazioni di carattere penale chiedendo la risoluzione del contratto e la restituzione doppia della caparra. Un atto giudiziario che spinge il proprietario a replicare a colpi di carta bollata, incarichi peritali e richieste di spiegazioni al direttore dei lavori. Da un lato c’è l’acquirente che dice di avere accettato su proposta del direttore dei lavori l’esecuzione abusiva dei due abbaini che lo stesso professionista avrebbe provveduto a sanare dopo l’acquisto; dall’altro c’è il direttore dei lavori che afferma di avere eseguito le modifiche abusive su richiesta dell’acquirente (da sanare successivamente con variante), circostanza sostenuta anche dal responsabile del cantiere. Fatto sta che, alla fine, si sono trovati tutti sotto processo l’acquirente Franco Passaretti, maresciallo della finanza, peraltro in passato candidato al consiglio comunale di Sessa, al Consiglio provinciale di Caserta e al consiglio comunale di Trieste; il proprietario Giuseppe Verrengia, l’architetto e direttore dei lavori Roberto Truglio, il titolare dell’impresa Domenico Aniello ed il figlio Gennaro responsabile del cantiere. Tutti sono pronti a sostenere la propria difesa assistiti dagli avvocati Luigi Imperato, Ivan Flippelli, Domenico Schiavo e Gianluca Di Matteo. (f.t.)

 

Cronache della Campania@2018

Castellammare: “Vogliamo il 3% e così si evita l’ammuina”, arrestato Daniele Imparato

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Castellammare di Stabia. “La presenza nostra vi eviterebbe di fare ammuina”: così Daniele Imparato, 25 anni appena, avvicinò i titolari della IGC Costruzioni di Cardito che si era aggiudicata l’appalto per la pavimentazione di Piazza Principe Umberto per imporre loro di lasciare il cantiere e affidare i lavori in sub appalto alla sua ditta. Inequivocabile per l’antimafia napoletana l’atteggiamento intimidatorio e camorristico di Imparato, finito nel carcere di Secondigliano, su disposizione del Gip Linda Comella del Tribunale di Napoli. E dietro la figura di Imparato l’ombra del clan D’Alessandro per i legami che l’indagato, arrestato per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, aveva con Antonio Rossetti, alias ‘o guappone, esponente di spicco della cosca di Scanzano. Gli inquirenti hanno ricostruito ciò che è accaduto a luglio dello scorso anno quando la ditta di Cardito iniziò i lavori di pavimentazione. La prima incursione di Imparato nel cantiere di Piazza Principe Umberto arrivò il 3 luglio quando il giovane poi arrestato avvicinò il fratello del titolare dell’impresa edile per dirgli di utilizzare i suoi mezzi e i suoi uomini per evitare di ‘fare ammuina’. Ma il titolare dell’impresa non volle ascoltare il ‘consiglio’ di affidare i lavori alla ditta stabiese e allora quattro giorni dopo un nuovo avvertimento. Una persona rimasta sconosciuta si recò sul cantiere e avvicinò un operaio al lavoro: “Siete scostumati iniziate i lavori senza chiedere il permesso”. Tre giorni dopo lo sconosciuto ritornò sul cantiere e presentò il conto: “Comunque mi devi dare il 3 per cento sull’importo dei lavori” e chiese un incontro con il titolare dell’impresa.
La tangente non è stata mai pagata, anzi. Dopo le prime richieste estorsive gli imprenditori edili di Cardito si sono rivolti alle forze dell’ordine denunciando quanto stava accadendo. Secondo il titolare della ditta, ascoltato poi dalle forze dell’ordine, già una settimana prima dell’aggiudicazione ufficiale – avvenuta a giugno del 2017 – era stato contattato da un tale Raffaele Gargiulo, anch’egli imprenditore, conosciuto tempo prima perchè voleva che facesse parte del consorzio Eragon da lui presieduto, il quale lo avvisava che sarebbe stato il vincitore dell’appalto. In quell’occasione Gargiulo aveva suggerito al collega che avrebbe potuto prendere contatti con una persona del posto che aveva mezzi meccanici e materiali e poteva aiutarlo a concludere i lavori in poco tempo. Quella persona era Imparato. Ma ottenuto l’appalto e iniziati i lavori, il 25enne pretendeva di sostituirsi completamente all’impresa aggiudicataria piuttosto che fornire solo materiali e mezzi. In effetti era stato contattato inizialmente dall’impresa aggiudicataria per la fornitura di materiali ma Imparato precipitatosi sul cantiere con un’altra persona voleva imporre solo la sua ditta.

Nel corso delle indagini gli inquirenti hanno riscontrato il racconto delle vittime ed hanno effettuato alcune indagini tecniche, sul cellulare di Imparato, dalle quali sono emersi i suoi rapporti con Antonio Rossetti, alias ‘o guappone, elemento di spicco del clan d’Alessandro. Proprio quest’ultimo potrebbe essere l’uomo che accompagnava Imparato sul cantiere di Piazza Principe Umberto tenendosi in disparte. Ma questi approfondimenti investigativi non hanno dato riscontro. Daniele Imparato è finito stamane nel carcere di Secondigliano, nei prossimi giorni sarà interrogato dal Gip Comella che ha emesso un’ordinanza a suo carico.

 Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Picchia la moglie e la costringe ad avere rapporti sessuali: arrestato 29enne a Battipaglia

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Battipaglia. I carabinieri della compagnia di Battipaglia hanno arrestato C.G., 45 anni, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Roma, in quanto ritenuto responsabile di maltrattamenti contro familiari, lesioni personali e violenza sessuale continuata. Il provvedimento scaturisce dai riscontri investigativi alla denuncia sporta, a luglio, dall’ex compagna, una 29enne residente a Roma, la quale ha riferito di continue umiliazioni e percosse subite nel corso della loro relazione, cui si aggiungevano rapporti sessuali consumati con la forza. Nello specifico, l’uomo, a partire dal mese di novembre del 2017, aveva costretto la donna a un regime di vita caratterizzato da continua sofferenza, esponendola alla sua aggressività derivante dall’abuso di sostanze alcoliche e stupefacenti e colpendola, in diversi casi, con schiaffi, pugni e calci che le avevano cagionato lesioni giudicate guaribili entro i 10 giorni. Il rapporto sessuale, consumato contro la volontà della vittima, rappresentava il suo modo per scusarsi del comportamento violento assunto. Il 45enne è stato portato nel carcere salernitano di Fuorni.

Cronache della Campania@2018

Camorra, continua la caccia ai complici di Marigliano ‘Doberman’: anche i Silenzio nella faida contro i Mazzarella

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Napoli. Continua la caccia ai complici di Vincenzo Marigliano detto ‘Doberman’, arrestato due giorni fa dalla polizia a San Giovanni a Teduccio subito dopo una stesa in via Villa San Giovanni. Il pregiudicato che è il cognato e braccio destro del boss Franco Silenzio reggente nel Bronx di Taverna del Ferro, è stato trovato in possesso di una pistola mentre il complice che sedeva con lui sul sedile posteriore della moto è riuscito a scappare. La polizia poco prima aveva intimato l’alt alla sua moto e a quella di altri due complici riusciti pure loro a dileguarsi. L’arresto di Marigliano e il sequestro di quattro pistole (una trovata addosso a Marigliano e altre tre recuperate nei giardinetti di via Alveo Artificiale , tra una pistola mitragliatrice) sono la testimonianza di come lo scontro tra i clan nella zona Est di Napoli ormai abbia assunto proporzioni molto più ampie di quelle conosciute fino a poco tempo fa. Allo scontro quindi, insieme ai Rinaldi e i reale e contro i Mazzarella-D’Amico, partecipa anche il gruppo dei Silenzio che si sarebbe distaccato dai Formicola (in questo momento alla finestra perché colpiti dai numerosi arresti dei giovani rampolli del clan). In attesa dei risultati dello Stube, Vincenzo Marigliano resta in carcere con l’accusa di ricettazione perché la moto sulla quale è stato trovato é risultata rubata e per la detenzione della pistola. Ma gli investigatori stanno mettendo insieme tutti i tasselli per comporre il puzzle delle nuove alleanze criminali nell’area Est di napoli e soprattutto per individuare gli autori delle ultime stese. Il gruppo Rinaldi-Reale-Silenzio dove ave subito per mesi gli attacchi dei Mazzarella-D’Amico sembra abbia ripreso fiato. Prima con la stesa davanti al bar Hollywood di san Giorgio a Cremano dove era presente il figlio minorenne del boss Roberto Mazzarella (detenuto) insieme con alcuni amici. Poi quella del 29 luglio contro la casa di Umberto D’Amico o’ luongo. E poi quella della scorsa settimana in via Villa San Giovanni contro la casa del “Pirata” e il conseguente arresto di Marigliano. In mezzo ci sono le bombe carta fatte esplodere alle Case Nuove e nei pressi della Stazione centrale nei confronti di esercizi commerciali riconducibili alla famiglia Cardarelli vicina ai Rinaldi. Insomma una guerra senza esclusione di colpi, Ma l’arresto di Marigliano è la testimonianza che anche i Silenzio vi partecipano.

 

Cronache della Campania@2018

Si fa dare una caparra di 100mila euro poi non vende più la casa: avvocato a processo

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Salerno. Avvocato finisce nei guai per aversi fatto consegnare a titolo di caparra per la vendita di un appartamento di sua proprietà 100mila euro ma trattiene il denaro e non arriva alla formulazione del contratto definitivo. V.P. 63enne è finito in tribunale con l’accusa di aver truffato un anziano docente che doveva acquistare un appartamento per la figlia che doveva trasferirsi insieme al marito e ai figli a Salerno da Milano. Il legale dovrà presentarsi davanti al giudice per l’avvio del processo in seguito ad un decreto di citazione diretta firmato dal pm Cardillo. Con molta probabilità la vittima in quella sede si costituirà parte civile.
La questione risale allo scorso anno quando il 70enne attraverso un’agenzia immobiliare stipulò con l’avvocato un preliminare di compravendita per l’acquisto di una case e, attraverso tre assegni, versò una caparra di 100mila euro. Nel preliminare tra le clausole era stata inserita la stipula del rogito dal notaio entro e non oltre il 30 gennaio dello scorso anno.
La vittima inizia a sollecitare l’agenzia perché ha urgenza, l’avvocato da parte sua temporeggia e chiede di far slittare la stipula del rogito ma il professore non ci sta. Arrivati al giorno della stipula dell’atto finale il professore si presenta puntuale. Sono presenti il funzionario di banca dove deve essere concluso il contratto, il notaio, gli agenti immobiliari e il proprietario dell’immobile. Il legale con tono marcato inizia a dire di aver sostenuto spese extra di condominio e che quella spesa, di circa 2mila euro, deve essergli erogata dall’acquirente dell’immobile, altrimenti sarebbe saltato tutto. Il docente si rifiuta e l’avvocato lascia la sala senza la firma del contatto. Dopo qualche giorno il legale avvisa l’acquirente che non essendo intervenuto il rogito entro la data stabilita nel contratto preliminare, avrebbe trattenuto definitivamente, la somma di centomila euro. Il professore l’ha così denunciato in procura.

Cronache della Campania@2018

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