Quantcast
Channel: Cronaca Giudiziaria
Viewing all 6090 articles
Browse latest View live

Napoli, Luca Materazzo indica 36 testimoni: tra una settimana il processo

$
0
0

Ci sono 36  nomi nella lista testi di Luca Materazzo, depositata venerdì pomeriggio dai suoi difensori – i penalisti Gaetano e Maria Luigia Inserra -, in vista della prima udienza del processo, che comincerà il 10 aprile prossimo, per l’omicidio dell’ingegnere Vittorio Materazzo avvenuto il 28 novembre del 2016, in via Maria Cristina di Savoia. Un elenco lungo e corposo che dimostra la volontà del giovane rampollo della Napoli bene di volersi difendere con estrema determinazione davanti ai giudici della Corte di Assise di Napoli. Anche la signora Elena Grande, come anticipa Il Mattino, vedova dell’ingegnere ucciso, ha depositato la propria lista di testimoni. Difesa dai penalisti Arturo ed Enrico Frojo, la donna ha indicato il commercialista Stefano Romano (che è anche teste del pm), amico di lungo corso di Vittorio Materazzo, al quale l’ingegnere aveva confidato il proprio timore di essere ammazzato, oltre ai propri dubbi sull’atteggiamento del fratello più giovane; poi Egidio Paolucci, avvocato ed amico di Vittorio, che sarà sentito sia sulla vicenda ereditaria nata dopo la morte di Lucio Materazzo, scomparso anni fa di morte naturale, sia i timori che Vittorio nutriva in relazione all’indagine personale condotta negli ultimi mesi di vita per chiarire le circostanze legate al decesso dell’anziano genitore; poi il nome dell’architetto Antonio Boccia, che ha collaborato per anni con la ditta di Lucio Materazzo e con lo stesso Vittorio, chiamato a riferire proprio sulle attività imprenditoriali del professionista ammazzato sotto casa. E non è tutto. Sempre a scorrere la lista testi della vedova Materazzo, c’è anche il generale Garofano ex comandante del Ris, indicato come consulente di parte nel corso del processo.
Invece le quattro sorelle di Luca e Vittorio, che si sono costituite parte civile e rappresentate dal penalista napoletano Gennaro Pecoraro, non hanno depositato alcuna lista testi. Tra i testi chiave dell’accusa c’è il titolare di un bar di via Crispi, che ha riconosciuto in Luca il giovane uomo che – nei minuti successivi il delitto chiese di usare la toilette dell’esercizio commerciale. Una testimonianza decisiva, quella del barista: “Mi chiese di usare il bagno, vi rimase per una ventina di minuti, mi insospettii per la prolungata permanenza, decisi di intervenire, bussai e aprii la porta: vidi quel giovane uomo mezzo vestito che si stava lavando, notai anche delle tracce di sangue”.

Cronache della Campania@2018


Napoli, sit-in davanti al Tribunale contro la scarcerazione dei fratelli Pellini

$
0
0

 

Sit-in di protesta davanti al palazzo di Giustizia di Napoli degli attivisti della Terra dei fuochi contro la scarcerazione dei fratelli Giovanni, Salvatore e Cuono Pellini, condannati con sentenza definitiva a 7 anni di carcere per disastro ambientale e rimessi in liberta’ con un provvedimento provvisorio (che dovra’ essere valutato dal tribunale di sorveglianza) della procura generale presso la Corte d’Appello, che in seguito a uno ‘sconto’ di tre anni legato all’indulto del 2006 ha disposto l’assegnazione dei tre ai servizi sociali. Ieri contro la scarcerazione dei Pellini si era espresso il vescovo di Acerra, Antonio Di Donna. Oggi le ragioni della protesta sono finite sui manifesti: “Nessun beneficio all’eco-mafia, Pellini in galera”. “Quanto accaduto e’ un segnale negativo che la giustizia da’ ai cittadini – commenta Alessandro Cannavacciuolo, del movimento in difesa della Terra dei Fuochi – perche’ non e’ possibile che chi ha inquinato terra e acqua dei nostri territori lucrando sulla salute altrui sia a piede libero solo dopo alcuni mesi”. Per Paola Nugnes, senatrice del M5s presente alla manifestazione, “la sentenza definitiva per i fratelli Pellini, l’unica in Campania per reati ambientali a non essere andata in prescrizione, era di fatto l’unico risarcimento morale ed etico che ora ci e’ stato scippato. I Pellini, ai quali e’ stata concessa la cumulabilita’ di due vantaggi, indulto ed affidamento ai servizi sociali, sono tornati liberi dopo aver avvelenato terreni e falde acquifere di fatto non ancora bonificati. Quanto successo e’ un’offesa per tutti i cittadini di Acerra ed un segnale, per chi vuole delinquere, che c’e’ sempre una scappatoia”.

Cronache della Campania@2018

Innocente ucciso per la sigaretta negata al boss della Paranza dei Bimbi: assolto il presunto killer

$
0
0

Vincenzo Costagliola era stato condannato in primo grado a 24 anni di reclusione perche’ ritenuto il responsabile dell’omicidio di Maurizio Lutricuso, 24 anni, ucciso il 10 febbraio 2014 a Pozzuoli, in provincia di Napoli, per una sigaretta negata al boss. Questa mattina la quarta sezione di Corte d’Assise d’Appello di Napoli lo ha assolto da ogni accusa ritenendo la ricostruzione dei pentiti inattendibile. Determinante e’ stata anche l’ammissione di un altro indagato, all’epoca dei fatti 15enne, che si e’ addossato ogni colpa, riferendo ai magistrati di aver premuto lui il grilletto della pistola ferendo Maurizio al petto e poi uccidendolo con un colpo di pistola alla testa. Difeso dall’avvocato Giovanni Abet, Costagliola e’ stato assolto con formula piena. Resta detenuto perche’ condannato per camorra e droga in quanto ritenuto esponente di primo piano del clan Sibillo, il gruppo di giovani camorristi che tra il 2014 e il 2016 hanno seminato il panico al centro di Napoli con sparatorie e agguati mortali. La Quarta Corte d’Assise d’Appello ha invece condannato a 20 anni Giovanni Cerbone, 21enne del centro storico accusato invece dell’omicidio di un’altra vittima innocente: Tahar Manai, un indiano di 46 anni, colpito tra i vicoli di Forcella per provare la nuova pistola che il ragazzo stava armeggiando per il clan al quale apparteneva.

Eppure solo nel mese di ottobre il boss pentito Vincenzo Amirante aveva nuovamente accusato Costagliola raccontando ai giudici come si sarebbe svolti i fatti. le sue dichiarazioni erano state portate dalla pubblica accusa agli atti del processo di Appello. Aveva detto Amirante: “Posso riferire di molti fatti di sangue. Uno dei questi è l’omicidio di Lutricuso, quel ragazzo ucciso per futili motivi all’esterno della discoteca. Ad ucciderlo fu Vincenzo Costagliola, mentre a vantarsene era il ragazzo che stava con lui e che è stato condannato. Costagliola prese la pistola dall’auto e gli sparò in petto e poi alla testa. Perché aveva risposto male e si era permesso di rifiutare una sigaretta che il boss aveva chiesto per fare uno spinello”.
Morì così, per gioco, Maurizio Lutricuso  un giovane di 24 anni, davanti all’uscita di una discoteca di Pozzuoli il 10 febbraio del 2014, il Private One, al termine di una rissa scoppiata per motivi banali. Costagliola in primo grado era stato condannato a 20 anni di reclusione mentre a 23 anni era  stato invece condannato Salvatore I., detto Tore ‘o maligno”, minorenne all’epoca dei fatti, che  si è auto accusato di essere l’esecutore materiale dell’omicidio.
“Sì, va bene, sono stato io. Ammetto la mia responsabilità, sono stato io a ucciderlo”.  Così in aula il minorenne conosciuto da tutti nei vicoli di Forcella come Tore ‘o maligno e legato alla “Paranza dei Bimbi”, aveva ammesso in  aula le proprie responsabilità in merito all’omicidio di Maurizio Lutricuso- Il ragazzo era stato ucciso perché aveva osato schiaffeggiare Tore ‘o maligno all’interno della discoteca dopo che questi con toni guappeschi gli aveva chiesto una sigaretta.
Il ragazzo legato in maniera particolare al defunto boss Pasquale Sibillo poi si vantò al telefono del suo gesto.”L’ho sciattato, l’ho ucciso, dici la verità Giuliano, ti è piaciuto? Sette botte. Ma davvero stai facendo? Quello è venuto sotto a me , ha chiavato un pacchero, è partito direttamente con il pacchero è partito. Gugliè, l’ho sfondato, trasc, bunget, poi mi ha pigliato il compagno e mi ha alzato per aria”.
Cosi il killer  parlava con il suo sodale ignorando di essere intercettato. Il finale si commenta da solo: “Ma che me ne fotte di questa storia, ordiniamo due saltimbocca…”  .

(nella foto da sinistra il boss pentito Vincenzo Amirante, Vincenzo Costagliola e la vittima Maurizio Lutricuso)

Cronache della Campania@2018

Pagò 20mila euro per il posto il banca che la figlia non ottenne, per la Cassazione i soldi restano al truffatore

$
0
0

Chi paga una raccomandazione per un posto di lavoro ai figli e chi prende questi soldi millantando di avere le conoscenze giuste per ottenere il risultato, sono sullo stesso piano quanto a livello di “turpitudine” del comportamento, sottolinea la Cassazione in un curioso verdetto su un ‘affaire’ napoletano. Tuttavia ad avviso degli ‘ermellini’ – che hanno respinto il ricorso di un padre che rivoleva i 20mila euro pagati invano a un ‘amico’ per un posto in banca alla figlia – se la raccomandazione fallisce, e il posto evapora, i soldi devono restare a chi se li e’ presi, come accadeva nell’antica Roma. Con buona pace di chi ha pagato per nulla. In vicende del genere, spiegano i supremi giudici, prevale “il noto brocardo romanistico” per cui “in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis”. Insomma quando il ‘contratto’ di scambio avviene nella reciproca scorrettezza, nulla puo’ essere richiesto indietro e si tiene i soldi l’ultimo che li ha messi in tasca. Spiega la Suprema Corte che pagare per un posto e’ senz’altro un “illecito” contrario alla legge e all’ordine pubblico, e questo “a prescindere dall’esito, magari anche negativo, della trattativa immorale”. E’ pure un atto contrario al buon costume, sottolinea la Cassazione. E quando un accordo ‘turpe’ realizza “la contemporanea violazione tanto dell’ordine pubblico quanto del buon costume, attingendo ad un livello di maggiore gravita’”, nulla si puo’ pretendere indietro. Cosi’ – come nella migliore tradizione napoletana – chi ha avuto ha avuto, e chi ha dato ha dato: i soldi rimangono a chi li ha presi e anche l’articolo 2035 del codice civile viene in soccorso dicendo che “chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume non puo’ ripetere quanto ha pagato”. Pertanto Francesco B., un padre di Torre Annunziata nel napoletano, truffato dall’amico Francesco L.M. che si era fatto dare 20mila euro assicurandogli un lavoro al Banco di Napoli per l’amata figlia Luisa, non riavra’ il prezzo della raccomandazione flop. Il poveruomo raggirato aveva denunciato per truffa il millantatore, ma la prescrizione lo aveva salvato. In primo grado il tribunale torrese aveva detto ‘no’ alla restituzione, poi la Corte di Appello di Napoli nel 2016 aveva dato ragione al padre e ordinato all’amico di ridargli i soldi. Ora la Cassazione ha accolto il ricorso del millantatore e ha definitivamente stabilito che si deve tenere i soldi. In nome della “natura della causa e del comportamento, sicuramente da censurare” tenuto da entrambe, il verdetto ha stabilito che le spese legali devono pagarle meta’ per uno.

Cronache della Campania@2018

Terra dei fuochi, il Pg: ‘I Pellini scarcerati in base a una sentenza della Consulta’

$
0
0

 

 

L’indulto varato nel 2006 ha determinato la riduzione della pena da sette a quattro anni di reclusione e la recente sentenza della Corte Costituzionale ha stabilito che chi deve scontare una pena fino a 4 anni, anche residua, ha diritto alla sospensione allo scopo di chiedere la misura alternativa al carcere dell’affidamento ai servizi sociali. E’ quanto in sintesi sottolineano in una nota Luigi Riello e Antonio Gialanella, rispettivamente procuratore generale e avvocato generale della Repubblica di Napoli, per spiegare i motivi alla base delle scarcerazione dei tre fratelli Pellini, condannati con sentenza definitiva per disastro ambientale. La loro remissione in liberta’ ha suscitato l’intervento ieri del Vescovo di Acerra, che si e’ detto sconcertato e indignato, e degli attivisti della Terra dei Fuochi che stamattina hanno organizzato un sit-in di protesta davanti al Palazzo di Giustizia, al Centro direzionale di Napoli. Riello e Gialanella hanno spiegato come in questo caso la procura generale non abbia esercitato ”un suo supposto potere discrezionale ma si e’ limitata a dare doverosa attuazione ad una recentissima sentenza della Corte Costituzionale, la n.41 depositata il 2 marzo 2018”.
”Tale sentenza – si legge nella nota – afferma il principio per il quale chi deve scontare una pena, anche residua, fino a 4 anni di carcere ha diritto alla sospensione dell’ordine di esecuzione della stessa pena allo scopo di chiedere e ottenere la misura alternativa al carcere dell’affidamento in prova ai servizi sociali, nella versione ‘allargata’ introdotta dal legislatore nel 2013”. ”Il che vuol dire in tali casi – affermano Riello e Gialanella – come in quello dei tre fratelli condannati piu’ volte, il pubblico ministero abbia emesso un ordine di carcerazione deve sospenderlo, quando la pena ecceda il limite dei quattro anni, in modo che sia dato al condannato il tempo di chiedere al Tribunale di sorveglianza l’affidamento in prova ‘allargato’ ed attendere una decisione al riguardo prima dell’ingresso in carcere; il Tribunale di Sorveglianza al quale spetta la decisione circa l’ingresso in carcere del condannato ovvero la concessione dell’affidamento in prova ai servizi sociali”. ”Ed infatti – spiegano il pg e l’avvocato generale – la Corte costituzionale ricorda, nella sua sentenza, ‘lo scopo del legislatore di deflazionare le carceri, visto che esso si persegue non solo liberando chi le occupa ma anche che vi faccia ingresso chi e’ libero”. Riello e Gialanella ricordano inoltre che ai tre condannati ”la concessione dell’indulto ai sensi della legge n.241 del 2006, per effetto di una decisione della Corte di appello di NAPOLI del 26 gennaio 2018, aveva ridotto la pena degli stessi da sette a quattro anni, dei quali sei mesi gia’ scontati in sede cautelare”. ”Ne e’ seguito l’obbligo, per questa procura generale – conclude la nota – di sospendere l’esecuzione della pena, fermo il diritto dei tre condannati, comunque, per effetto di quanto detto, di domandare ed ottenere tale sospensione in attesa della decisione sulla richiesta di misura alternativa al carcere”.

Cronache della Campania@2018

Due indagati per la morte del cuoco in provincia di Salerno

$
0
0

Buonabitacolo. Indagati medico ed un’infermiera per la morte del cuoco 63enne Gabriele Orlando. L’uomo è deceduto in seguito a un controllo al Saut di Padula nella giornata di sabato scorso. Nella giornata di ieri è stata effettuata, all’ospedale Luigi Curto di Polla, l’autopsia sul corpo del 63enne e nelle prossime settimane verranno resi noti i risultati degli esami. I familiari hanno presentato denuncia e chiedono chiarezza sulle cause della morte ed eventuali responsabilità del personale medico. L’uomo nella mattinata di sabato scorso era stato accompagnato al Saut dal figlio perché lamentava dolori al petto e allo stomaco. Un medico e l’infermiera hanno provveduto agli esami del caso per poi rimandare il cuoco a casa. L’uomo è morto nel bagno della sua abitazione pochi minuti dopo. Gli inquirenti dovranno capire se era possibile salvare il cuoco giunto nel salernitano per passare le vacanze con i figli. Gabriele Orlando lavorava in un ristorante di Vicenza.

Cronache della Campania@2018

Rapine e furti in appartamenti: dieci persone fermate dai carabinieri di Eboli

$
0
0

Eboli. Furti in appartamenti e rapina: i carabinieri della compagnia di Eboli hanno eseguito un’ordinanza cautelare, emessa dal gip del tribunale di Salerno, nei confronti di 10 persone che accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di rapine a mano armata, furti in abitazione, furti aggravati, detenzione e porto illegale di armi e munizioni. I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terrà alle 11 presso la Procura di Salerno.

Cronache della Campania@2018

Truffa sullo smaltimento dei rifiuti: sequestro alla Impresud di Iavazzi. Indagato il dirigente del Comune di Caserta

$
0
0

Caserta. Truffa nei confronti dei Comuni di Caserta, Maddaloni e San Nicola la Strada: sequestro preventivo per oltre due milioni di euro nei confronti della ditta di Francesco Iavazzi che si occupava dello smaltimento dei rifiuti. Indagato anche il dirigente del settore ecologia del Comune di Caserta, Carmine Sorbo. I carabinieri del Comando Provinciale di Caserta (Nucleo Investigativo) e quelli della Compagnia Carabinieri di Maddaloni, all’esito di prolungata e complessa attività di indagine coordinata dai magistrati della Procura di Santa Maria Capua Vetere, hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo per euro 2.179.651,00, emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nei confronti di Francesco Iavazzi, Amministratore Unico della Impresud S.r.L. e della Ecologia lavazzi S.r.L., ditte specializzate nel servizio di smaltimento rifiuti di natura organica provenienti dalla raccolta differenziata, accusato di falso e truffa aggravata ai danni dei comuni di Caserta, Maddaloni e San Nicola La Strada.
L’indagine ha svelato un diffuso sistema truffaldino attuato da Francesco Iavazzi e dalle aziende da lui dirette, mediante il quale erano sistematicamente alterati i dati inerenti i quantitativi del rifiuto contrassegnato dal CER 2001008 (umido/organico) conferiti rispettivamente dal comune di Caserta dal 1.1.2013 al 31.8.2015 e da quello di San Nicola La Strada dal 1.1.2011 al 31.7.2013 allo stabilimento della ditta Impresud s.r.l. e dal comune di Maddaloni dal 1.3.2014 al 30.6.2015 allo stabilimento della ditta Ecologia lavazzi s.r.l. Alterando del sistema di pesatura degli automezzi , veniva attestato il conferimento di quantitativi di rifiuti di gran lunga superiori a quelli effettivamente trasportati, con evidente aggravio per le casse comunali, atteso che per quel tipo di rifiuto era previsto un costo di smaltimento particolarmente elevato, senza possibilità di ritorno economico alcuno per l’Ente locale (a differenza di quanto invece previsto per il conferimento di materiali riciclabili quali carta, plastica, vetro, etc.). Tra l’altro, in tutti e tre i Comuni si è assistito ad un vero e proprio crollo dei dati inerenti il conferimento della frazione umida a partire dal momento in cui le ditte in esame hanno cessato la loro attività a beneficio di altri soggetti. Così per il Comune di Caserta (in cui la Impresud S.r.L. ha gestito il servizio dal 01/01/2012 al 28/02/2016) il peso dei rifiuti organici conferiti si è ridotto del 25,1%. Ebbene, solo per esemplificare, e prendendo a raffronto lo stesso mese e cioè maggio nei diversi anni 2013/2014/2015/2016, si è accertato che i conferimenti di umido alla Impresud sono stati di: 1.015 tonnellate nel 2013 (Impresud), 967 tonnellate nel 2014 (Impresud), 913 tonnellate nel 2015(Impresud), 706 tonnellate nel 2016 (altro gestore).
A parità sostanziale di reddito pro-capite e di popolazione del Comune di Caserta vi è stata una brusca riduzione dell’umido conferito (e, quindi, pagato dal Comune) in corrispondenza con il cambio di gestore. Stesso discorso per il comune di Maddaloni in cui la Ecologia Iavazzi s.r.l. ha gestito il servizio dal 14/02/2012 al 30/06/2015, il conferimento si è ridotto del 18,7%. Anche qui, e solo per esemplificare, e prendendo a raffronto lo stesso mese e cioè maggio dei diversi anni, si è accertato quanto segue: 476 tonnellate nel 2014 (Ecologia lavazzi); 423 tonnellate nel 2015 (Ecologia lavazzi);  224 tonnellate nel 2016 (altro gestore ).
Ugualmente per il Comune di San Nicola la Strada, in cui la Impresud s.r.l. ha gestito il servizio dal 01/01/2011 al 03/08/2013, il peso dei rifiuti organici conferiti si è ridotto del 56,3% con il passaggio ad altra ditta. Allo stesso modo, prendendo a raffronto lo stesso mese e cioè dicembre nei diversi anni 2011/2012/2013, si è acclarato che i conferimenti di umido alla Impresud sono stati di: 315.470 kg nel 2011 (Impresud); 328.600 kg nel 2012(Impresud); 193.600 Kg nel 2013 (altro gestore). Le indagini sono state condotte mediante dichiarazioni assunte da imprenditori del settore, amministratori comunali, dirigenti dei cantieri dei servizi di igiene urbana, acquisizione della documentazione riportanti le operazioni di pesatura e di pagamento degli enti comunali, nonché attraverso una consulenza tecnica utile a verificare la veridicità dei dati. Il Gip ha individuato e quantificato i seguenti maggiori costi sostenuti da ciascun comune: per Caserta euro 1.214.235,00 per il periodo dal 1.1.2013 al 31.8.2015; per San Nicola la Strada euro 662.1789,00 per il periodo dal 1.1.2011 al 31.7.2013; per Maddaloni euro 303.227,00, per il periodo dal 1.3.2014 al 30.6.2015. Ed è stato quindi disposto il sequestro delle somme corrispondenti nella disponibilità do Iavazzi.  Per quanto riguarda il Comune di Caserta è stato iscritto nel registro degli indagati, per concorso in truffa e falso con Iavazzi, anche Carmine Sorbo, dirigente del Comune di Caserta, settore Ecologia negli anni dal 2008 al 2015. La Procura di Santa Maria Capua a Vetere ha inviato il decreto di sequestro allaProcura Regionale della Corte di Conti, per eventuali profili di responsabilità erariale.

Cronache della Campania@2018


Ferimento del rapper di Avellino, si aggravano le accuse per Ciuci: è tentato omicidio

$
0
0

Avellino. Si aggravano le accuse per Gerardo Ciuci, il 19enne di Serino, accusato di aver sparato al rapper Federico Petrone: l’accusa che la Procura di Avellino gli contesta è tentato omicidio pluriaggravato. Inizialmente Ciuci, fratello della ragazza con la quale Petrone aveva allacciato una relazione sentimentale, era accusato di lesioni aggravate.  Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti la vittima, 20 anni di Serino venne affrontata dal 19enne, Gerardo Ciuci, che era con alcuni suoi amici e che dopo aver minacciato verbalmente Petrone estrasse una pistola, legalmente detenuta da suo padre, puntandola alla testa della vittima: schiacciò il grilletto ma per fortuna l’arma si inceppò. Quindi, da distanza ravvicinata, fece di nuovo fuoco ferendo al torace il giovane. Ciuci, il primo a finire agli arresti domiciliari, a gennaio scorso, nell’interrogatorio di garanzia, aveva spiegato di essersi difeso e di non aver puntato la pistola alla testa della vittima. Le indagini hanno confermato il ruolo attivo avuto nel raid punitivo di un 22enne e di un 23enne, entrambi di Contradae amici di Ciuci. Il gip del Tribunale di Avellino ha disposto, per il primo, gli arresti domiciliari e per il secondo l’obbligo di firma. Confermati gli arresti domiciliari per Ciuci detenuto da tre mesi. Secondo quanto emerso dalle indagini Ciuci avrebbe dato appuntamento a Petrone, il fidanzato della sorella nella piazza di Contrada. Lì pero’ si fece trovare armato della pistola del padre e sparò. Federico venne soccorso e portato all’ospedale. Subito indicò il suo aggressore che venne arrestato dai carabinieri. Ma le indagini successive hanno portato all’identificazione di altri due ventenni di Contrada accusati assieme al primo indagato di concorso in tentato omicidio pluriaggravato.

Cronache della Campania@2018

Chiesto il processo per il carabiniere infedele che fece arrestare l’amante della moglie del boss

$
0
0

Il pm Rocco Alfano della Dda di Salerno ha chiesto il rinvio a giudizio il carabiniere infedele in servizio a Pontecagnano, Giovanni Sorrentino, originario di Torre del Greco accusato di passare informazioni ‘riservate’ al ras dello spaccio delle litoranea Michele Degli Angioli. Sorrentino era stato colpito nel luglio scorso da un’ordinanza cautelare di sospensione dal servizio perché coinvolto nell’inchiesta che aveva portato in carcere 21 persone che gestivano il traffico di droga tra Salerno, Pontecagnano, Battipaglia, Eboli e Capaccio. La droga veniva acquistata a Secondigliano dalle mani di Pietro Accurso il più piccolo dei fratelli fondatori del clan della Vanella Grassi. Con Sorrentino hanno scelto di procedere a un processo ordinario anche Ilaria Degli Angioli, figlia di Michele(condannato la settimana a scorsa a 14 anni di carcere in un altro processo) e il pusher Giuseppe Carraturo. Il 7 maggio prossimo il gup Renata Sessa deciderà sull’eventuale rinvio a giudizio e formulerà anche le richiesta di pena per tutti gli altri che hanno deciso di accedere al processo con rito immediato contando sullo sconto di pena.

Si scambiavano favori reciproci il carabiniere infedele in servizio alla caserma di Pontecagnano e il ras dello spaccio della zona litoranea Michele Degli Angioli. dalle indagini sono emersi i rapporti tra i due e le”soffiate” fatte dal militare a Degli Angioli sull’indagini in corso sul suo gruppo di spacciatori. “…Ma quelli di Mercatello stanno indagando su di me?”, chiede Degli Angioli nel corso di una telefonata e il carabiniere risponde: ” Ma tu… devi stare sereno… tu esci dovunque… quale è il tuo problema?”, risponde ridendo Sorrentino che avvisa l’amico invece di un’indagine in particolare su Davide Marino, sodale di Degli Angioli. E quest’ultimo avvisa il gestore del bar che spaccia per suo conto di togliere “subito i pannelli da terra, ha i capito? Subito, Poi ti spiego”. Ma è interessante anche la conversazione dell’aprile dello scorso anno in concomitanza con l’acceso litigio che ha visto protagonisti Michele Degli Angioli e Mario Trovato, in cui il primo accusava il suo (ex) collaboratore di avere innescato una tresca amorosa con la moglie Marcella Pizzo. Il ras dello spaccio della litoranea chiama il suo amico carabiniere e gli spiega la situazione. Sorrentin0 risponde che “lo sistemo per le feste”. E infatti il 9 maggio Mario Trovato detto Simone ‘o milanese fu arrestato dai carabinieri e trovato in possesso di ben 20 chilogrammi di hashish.

(nella foto da sinistra Michele Degli Angioli, Marcella Pizzo e Mario Trovato)

Cronache della Campania@2018

Trovato con 48 chili di marijuana: va ai domiciliari dopo due mesi di carcere

$
0
0

Era stato trovato con ben 48 chilogrammi di marijuana nascosti in buste bidoni e cassettine di vario genere all’interno del suo furgone da lavoro appoggiato a Scafati. Due mesi dopo l’arresto è riuscito ad ottenere gli arresti domiciliari. Luigi Di Maio, muratore 30enne incensurato di Lettere è tornato a casa grazie all’istanza presentata dai suoi avvocati Anna Amendola e Roberto Attanasio che, nonostante l’ingente quantità di droga sequestrata dai carabinieri nello scorso febbraio, e nonostante il parere negativo del pm, hanno invece avuto  la concessione dei domiciliari dal gip del Tribunale di Nocera Inferiore. Lo stesso gip nel frattempo ha già disposto per il mese di settembre il processo con il rito immediato.

Cronache della Campania@2018

Gragnano, truffa sessuale ai danni di un imprenditore: due coppie a processo

$
0
0

Gragnano. Una truffa avvenuta in più fasi mirata ad incassare oltre 100mila euro ai danni di un imprenditore di Gragnano. Prima una donna ha raccontato di essere rimasta incinta e avrebbe chiesto denaro sostenendo di essere parente ad un boss della camorra. Poi un finto carabiniere ha impaurito l’imprenditore, sostenendo che avrebbe dovuto pagare delle multe per evitare l’arresto. Una vera e propria storia fantascientifica per riuscire a farsi consegnare ingenti cifre dall’imprenditore che, dopo alcuni mesi, ha sborsato almeno 50mila euro. A processo per estorsione e truffa ci sono quattro persone. Si tratta di Aniello Rea 50enne, Antonietta Rosanova, 47enne. Entrambi residenti nella città della pasta. Poi ci sono la 46enne Raffaella Annunziata, Tommaso Squillante 63enne, entrambi residenti a Sarno. Gli arresti per loro scattarono tre anni fa a chiusura dell’inchiesta. Intanto alcune telefonate anonime nei giorni scorsi avevano fatto ottenere la scorta dei carabinieri della stazione di Gragnano che hanno accompagnato il teste nell’aula di tribunale di Torre Annunziata. Lì il 55enne ha raccontato una versione dei fatti nuova e diversa dalla denuncia. Infatti è spuntata anche una falsa parente di un camorrista rimasta incinta dopo un rapporto con lui. “ Meglio che abortisce, il boss non deve saperlo” gli consigliava uno dei truffatori. La vittima ha poi confessato di aver pagato per fare sesso con due donne, confermato le visite di un uomo in divisa, il finto carabiniere, che gli ricordava di non aver denunciato alcuni camorristi e che doveva pagare multe da 30mila euro per evitare la galera. Questa storia folle sarebbe costata alla vittima oltre 50mila euro ma la somma totale si aggirava intorno ai 110 mila euro.

Cronache della Campania@2018

Uccisero il cugino del pentito: 3 ordinanze per i Casalesi

$
0
0

Svolta nelle indagini sull’omicidio di Giuseppe Quadrano, ucciso a 43 anni il 7 luglio 1996 a San Cipriano d’Aversa  davanti a un bar in via Acquaro. I Carabinieri della compagnia di Casal di Principe hanno eseguito questa mattina una misura cautelare emessa dal gip di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia partenopea, nei confronti di 3 persone, tutte già detenute, ritenute responsabili a vario titolo di omicidio, detenzione e porto abusivo di arma comune da sparo aggravati dal metodo mafioso e commessi al fine di agevolare il clan dei Casalesi. L’indagine ha consentito di attribuire il ruolo di mandante dell’omicidio a Francesco Schiavone, detto Sandokan, boss dei Casalesi e a Francesco Schiavone detto Cicciariello. Quadrano era cugino dell’omonimo collaboratore di giustizia e proprio per questo sarebbe stato ucciso: le motivazioni dell’omicidio sono state infatti ricondotte dagli investigatori alla volontà del clan dei Casalesi di impedire la proliferazione di nuovi collaboratori di giustizia. All’esecuzione dell’omicidio, secondo la ricostruzione degli investigatori, prese parte tra gli altri anche Sebastiano Panaro che, alla guida di una Fiat Punto, avrebbe condotto il commando in via Acquaro, davanti al Bar Orientale, dove furono esplosi complessivamente 12 colpi calibro 9×21 all’indirizzo della vittima.

Cronache della Campania@2018

Traffico di droga in Belgio: il ras Paolo Terracciano arrestato per un mandato di cattura europeo

$
0
0

Portici. Traffico di stupefacenti con il Belgio: le autorità di Anversa emettono un mandato di cattura internazionale per il ras Paolo Terracciano Scognamiglio che è stato arrestato in tarda mattinata dagli agenti del Commissariato di Portici-Ercolano. L’uomo era ricercato da alcuni giorni dopo che le autorità belghe, il tribunale di primo grado di Aversa, il 29 marzo scorso, avevano emesso un mandato di cattura europeo per il reato di associazione a delinquere  finalizzata al traffico internazionale  di sostanza stupefacente. Una nota S.I.R.E.N.E del 4 aprile, ha dato inizio ad una immediata attività d’indagine degli agenti del Commissariato di Portici che si è brillantemente conclusa con l’arresto dell’uomo. Condotto presso gli uffici del Commissariato, Terracciano è stato identificato ed arrestato in virtù del mandato emesso dall’Autorità Belga,  con richiesta di consegna alla stessa. E stato, quindi, trasferito presso la Casa Circondariale di Napoli Poggioreale a disposizione del Presidente della Corte di Appello di Napoli che si occuperà di stabilire

Cronache della Campania@2018

Denunciato dal suo amante napoletano: processo per ‘don Euro’, il parroco cacciato dalla chiesa

$
0
0

E’ stato rinviato a giudizio, per tentata truffa e appropriazione indebita, monsignor Giovanni Santucci, vescovo della diocesi di Massa Carrara e Pontremoli. L’inchiesta nella quale e’ stato coinvolto e’ quella aperta nel 2016 dalla procura di Massa sulle attivita’ di Luca Morini, l’ex sacerdote (e’ stato ridotto allo stato laicale dalla Chiesa), accusato di truffa ai danni dei fedeli. L’uomo venne denunciato alla curia per gelosia dal suo amante, un escort di origine napoletana, al quale aveva detto di essere un magistrato. Secondo la procura Morini, chiamato dai suoi parrocchiani ‘don Euro’, tratteneva per se’ ingenti quantita’ di denaro, provenienti da offerte e donazioni destinate ai poveri, accumulando un patrimonio, sequestrato poi dai carabinieri, di oltre 700mila euro. In questo il vescovo, per l’accusa, lo avrebbe aiutato. In particolare monsignor Santucci, la cui posizione fin da subito era stata descritta “marginale” dal procuratore Aldo Giubilaro, avrebbe avvantaggiato il parroco a caccia continua di denaro, in due episodi: il primo e’ il prelievo di 1000 euro, senza alcuna motivazione, dal fondo della Fondazione Pie Legati, in favore di Morini. Il secondo episodio riguarda una certa pressione sull’Assicurazione Cattolica di Roma per far ottenere a ‘don Euro’ una percentuale di invalidita’ abbastanza alta da consentirgli l’assistenza domiciliare. A processo, il prossimo 13 giugno, oltre al vescovo Santucci e Luca Morini, che chiese attraverso i suoi legali il processo immediato, andra’ anche Emiliano Colombi, ex sacerdote, amico di don Euro, che dovra’ difendersi dall’accusa di ricettazione: per l’accusa aveva trasferito sul suo conto personale del denaro proveniente dalle truffe dell’ex parroco. Il caso di don Euro sconvolse l’opinione pubblica, non solo per il sospetto che Morini si intascasse il denaro delle offerte, ma anche per la sua frequentazione con un escort napoletano, Francesco Mangiacapra, che fu il primo a denunciarlo alla Curia, per le sue condotte poco clericali. Mangiacapra, sul suo amante don Euro, ha scritto un libro e presentato un dossier dettagliato contenente le prove di tutti i suoi vizi: migliaia di euro al giorno spesi in regali, soggiorni in spa e hotel di lusso, cene a 5 stelle, autisti, gioielli e soprattutto la frequentazione con molti altri escort, sempre fingendo di essere un magistrato. Morini non nascondeva questi suoi tradimenti all’amante che, a un certo punto, proprio per gelosia, decise di denunciare tutto alla Curia. Quando le foto e i filmati dell’ex sacerdote in atteggiamenti piu’ che equivoci finirono alle Iene, i fedeli ebbero il coraggio di denunciare alla Procura i loro sospetti sull’ex parroco. “Il vescovo non sta bene, il rinvio a giudizio l’ha molto provato”, ha dichiarato l’avvocato difensore di Giovanni Santucci, Adriano Martini all’uscita dal tribunale. All’udienza del 13 giugno tra i testi anche Mangiacapra e numerosi suoi ‘colleghi’ che sarebbero pronti a svelare tutti i dettagli della seconda vita dell’ex parroco.

Cronache della Campania@2018


‘Devi marcire in carcere, assassino’, accuse all’imputato dai familiari delle 40 vittime del bus nella scarpata

$
0
0

Udienza movimentata al processo in corso ad Avellino per la tragedia del bus precipitato il 28 luglio del 2013 dal viadotto Acqualonga dell’A16 Napoli-Canosa che costo’ la vita a 40 persone. A fine udienza, i familiari delle vittime hanno inveito contro Gennaro Lametta, titolare dell’agenzia di viaggio e proprietario del bus alla cui guida c’era il fratello Ciro, deceduto nell’incidente, che aveva appena concluso la sua deposizione davanti al giudice monocratico Luigi Buono. “Devi marcire in carcere, assassino”, gli hanno gridato mentre Lametta si allontanava accompagnato dal suo avvocato, Sergio Pisani. Ai cronisti, il titolare della Mondo Travel che aveva proposto la gita di alcuni giorni a Pietrelcina e Telese Terme ha detto di considerarsi “la 41esima vittima di quella tragedia e oggi la mia vita non ha piu’ alcuna motivazione”. Nella sua deposizione, Gennaro Lametta ha sostenuto con forza che il bus “non era una carretta”. “Era efficiente e costantemente interessato da interventi di manutenzione. Non avrei mai fatto partire mio fratello e 40 amici – ha sostenuto – se cosi’ non fosse stato”. Sulla revisione dell’automezzo, che secondo l’accusa sarebbe stata soltanto virtualmente effettuata, Lametta ha chiamato in causa l’officina di Volla  presso cui sarebbe stata effettuata: “Di questi aspetti – ha sottolineato – se ne occupava mio fratello Ciro e conoscendo la sua scrupolosita’ mi sentivo garantito e tranquillo”. Sul banco dei testimoni, e’ salito anche Vittorio Saulino, il funzionario della Motorizzazione Civile di Napoli che, insieme ad un’altra dipendente dello stesso ente, avrebbe certificato la revisione, mai avvenuta, del bus prodotta il giorno dopo l’incidente. “Quel giorno non ero in ufficio – ha sostenuto Saulino – e so per certo che il mio codice identificativo che consente di entrare nel Centro elaborazione dati, e’ stato violato. La firma sulla revisione non e’ mia: e’ un palese falso. Soltanto un pazzo – ha aggiunto – poteva pensare di non essere scoperto. In 36 anni di servizio – ha poi concluso – non ho mai commesso illeciti: quel bus non l’ho mai visto e non figura tra gli automezzi che quel giorno dovevano essere sottoposti a revisione”. Nel processo compaiono 15 imputati, tra essi anche l’ad di Autostrade, Giovanni Castellucci, e il dg Giovanni Mollo, che devono rispondere a vario titolo di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e falso in atto pubblico. La prossima udienza e’ fissata per venerdi’ 13 aprile.

Cronache della Campania@2018

Mafia, il nuovo pentito: ‘Non voglio soffrire più, voglio cambiare vita’

$
0
0

“Voglio cambiare vita e non voglio soffrire piu'”. Ha deciso di collaborare con la giustizia il pluripregiudicato barese Nicola Sedicina, tra le 25 persone arrestate due giorni fa nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Bari nei confronti dei clan Mercante e Strisciuglio. Sedicina e’ in carcere dal 4 aprile con le accuse di ricettazione, spaccio, detenzione di armi, e lo stesso giorno ha dichiarato di volersi pentire. Il verbale riassuntivo delle sue dichiarazioni e’ stato depositato oggi nell’udienza preliminare nei confronti di otto affiliati al clan Strisciuglio accusati dell’omicidio del pregiudicato Luigi Luisi, ucciso nell’ottobre 2016, e di quello di suo figlio Antonio, ammazzato nell’aprile 2015 in un agguato nel quale rimase ferito anche il padre, vero obiettivo dei sicari. Nel breve verbale depositato in aula, Sedicina spiega di voler collaborare con la giustizia perche’ vuole cambiare vita. Racconta brevemente la sua storia criminale, dal rito di affiliazione nel carcere di Foggia nel 2008, con “un taglietto a croce sul pollice della mano destra”, fino alla sua attivita’ di spacciatore per conto del clan. Il nuovo pentito del gruppo mafioso degli Strisciuglio annuncia di essere a conoscenza di dettagli sull’omicidio Luisi, ma anche su altri fatti di sangue e sull’organizzazione delle attivita’ di spaccio di droga e traffico di armi, fatti di cui riferira’ agli inquirenti nelle prossime settimane. Dalle dichiarazioni fin qui rese note emerge, inoltre, che il giovane pentito temeva per la sua vita. “Avevano il sospetto che fossi un confidente della Polizia”, racconta riferendo di aver saputo “che volevano colpire anche me”, motivo per il quale “ero sempre armato, nascondevo l’arma nel mio ciclomotore”. Dopo il deposito del verbale, i difensori degli imputati per gli omicidi di Antonio e Luigi Luisi hanno chiesto un rinvio dell’udienza, riservandosi se scegliere eventuali riti alternativi alla prossima udienza del 5 giugno.

Cronache della Campania@2018

Usò i fondi del Cnr per ristrutturare casa con vasca idromassaggio: 4 anni e 6 mesi di carcere

$
0
0

Quattro anni e sei mesi di reclusione e’ la condanna inflitta a Vittorio Gargiulo, funzionario del Cnr di Napoli, riconosciuto responsabile di peculato per somme di denaro di cui si sarebbe impossessato sottraendole ai fondi dell’istituto. La sentenza e’ stata emessa oggi, al termine del processo con rito abbreviato, dal gup del Tribunale di Napoli, Roberta Attena. L’accusa, rappresentata dai pm Ida Frongillo e Giancarlo Novelli, aveva chiesto cinque anni di reclusione. Ammonta a oltre un milione di euro la somma sottratta alle casse di un settore dell’ Istituto di ricerca nell’ambito del quale Gargiulo – all’epoca dei fatti segretario amministrativo dell’Istituto Ambiente marino costiero del Consiglio nazionale delle ricerche – era l’unico soggetto legittimato a firmare i mandati di pagamento. Con il denaro dell’Istituto avrebbe acquistato una vasca con idromassaggio, giochi da utilizzare per intrattenimento dei bambini, il suo ”secondo lavoro”, mobili, tende, teloni, materiale informatico per 500mila euro che avrebbe rivenduto attraverso il mercato del web. Parte dei soldi sarebbero stati utilizzati per pagare i lavori di ristrutturazione del suo appartamento.

Cronache della Campania@2018

Camorra, la convivente di Stravato: ‘Lello aveva paura dei Lo Russo perché aveva visto i killer della sala giochi’

$
0
0

Il boss pentito Carlo Lo Russo ha confessato di essere il mandante dell’omicidio di Raffaele Stravato, ucciso a Marianella il 24 ottobre del 2015. Il commando di killer che lo uccise è lo stesso che il 6 settembre 2015 ha ucciso il 17enne Genny Cesarano, vittima di una pallottola finita nella direzione sbagliata. Luigi Cutarelli e Ciro Perfetto sono stati condannati all’ergastolo a dicembre dopo aver confessato di essere autori del raid che mancò l’obiettivo e uccise il ragazzo mentre provava a scappare nel cuore del quartiere Sanità. Cutarelli e Perfetto, nonostante la giovane eta’, sono ritenuti responsabili di altri tre omicidi commessi per ordine del loro capo, ora pentito, Carlo Lo Russo. Perfetto poi é figlio di Raffaele detto “musso ‘e scigna”, reo confesso di una decina di omicidi commessi per lo stesso clan per i quali sconta quattro ergastoli. Sul movente che ha portato alla morte di Stravato, l’unica pista seguita dagli investigatori della polizia é stata sempre legata alla scissione interna nel clan Lo Russo all’indomani del pentimento clamoroso di Salvatore Lo Russo, ‘il capitone’, nel 2010. In quel periodo il clan era gestito dall’allora latitante Antonio, figlio di Salvatore catturato poi un anno dopo a Nizza, che ordino’ tre omicidi per placare la voglia di diventare autonomi di alcuni affiliati. Il primo agguato fu un duplice delitto Scognamiglio-Paolillo avvenuto nel quartiere di Miano il 5 agosto 2011. Testimone oculare di quell’agguato fu proprio Stravato che spari’ dalla circolazione per quattro anni.

Nel verbale del 12 agosto 2016 l’ex boss pentito Carlo Lo Russo fa la confessione choc sull’omicidio Stravato: “…Foto n. 10: e’ Marco Corona , detto anche come lei mi chiede o’Cinese. Prendeva la droga da noi e la passava a Marianella, inoltre nell’ultimo periodo mi dava una quota di 2 o 3000 euro al mese proprio per i guadagni che faceva da queste piazze . Fa anche le puntate di erba con mio figlio Enzo ed anche con me tramite Ettore Bosti di Nunzio. Io me lo sono cresciuto, era amico di mio figlio Enzo, non l’ho mai utilizzato per commettere omicidi però mi ha dato notizie sul fratellastro Stravato Raffaele che mi sono servite per ucciderlo. Lui non voleva che io lo uccidessi ma io poi l’ho informato che ero stato io…”. Quindi secondo il boss pentito Marco Corona, in un primo momento probabilmente senza sapere a cosa servivano le sue indicazioni, avrebbe aiutato il boss ad uccidere il fratellastro.

Significativo è il racconto fatto nel 2015 a due settimane dall’omicidio dalla convivente di Raffaele Stravato: ” Sono la convivente di Stravato Raffaele, ucciso il 23 ottobre scorso- esordisce la donna davanti alla pg il giorno 12 novembre 2015. E mi viene chiesto di fornire notizie in ordine alle frequentazioni di Raffaele, le sue abitudini di vita, ed ogni altro elemento utile per comprendere i motivi per cui è stato ucciso e dico quanto segue: Ho iniziato la relazione con Raffaele nel 2009 quando lui abitava in una casa nel San Gaetano a Via Teano, una casa che Lello diceva di avere ereditato dalla nonna. A me non piaceva quella casa e quella zona e quando abbiamo iniziato la convivenza siamo andati in affitto in una casa a Via Janfolla dove pagavamo 500 euro al mese. In quel periodo Lello faceva piccoli reati tipo furti e cose del genere e poi si arrangiava così come mi arrangiavo io lavorando con i vestiti e andando a fare servizi domestici… Non abbiamo avuto figli insieme ma io ho adottato un bambino che già viveva con me e tuttora vive con me. Raffaele ha molti fratelli o meglio fratellastri tra cui Salvatore e Marco. Marco si chiama Corona di cognome così come anche altri fratelli mentre non ricordo il cognome di Salvatore . Lello quando l’ho conosciuto faceva anche droga con Marco Corona. Lello nell’agosto del 2011 ha assistito all’omicidio di Salvatore Scognamiglio e Salvatore Paolillo nella sala giochi a Miano, è andato anche dalla polizia a testimoniare. Dopo questo omicidio Lello mi disse che voleva troncare ogni rapporto con Miano e con quella gente. Era preoccupato, sapeva che questo omicidio era colpa del clan Lo Russo ed aveva paura, non so dire di chi in particolare ma aveva deciso di rompere ogni tipo di rapporto. Dopo questo omicidio ha rotto i rapporti anche con il fratellastro Marco Corona con cui aveva invece lavorato con la droga …dei fratelli di Lello solo Valeria Corona e Salvatore di cui non ricordo il cognome sono venuti a farmi le condoglianze, Marco non è venuto e nemmeno gli altri fratelli e sorelle che portano il cognome Corona. Valeria nell’occasione mi ha detto che lei era tempo che non lo vedeva e sentiva e che temeva che potessero fargli del male per via di quello che aveva fatto il suo convivente Fabio Cardillo. Valeria mi ha cioè raccontato la vicenda dell’omicidio di Mimmo Raffone ed il fatto che Fabio Cardillo aveva sparato per i problemi legati alla relazione sentimentale che una donna aveva con Mario Lo Russo e quindi temeva che i Lo Russo potessero come ritorsione prendersela con suo fratello… Non conosco le persone di Miano che Lello frequentava posso solo dire che conoscevo Paolillo e che so che Lello in passato aveva “fatto la droga” con Marco Corona …omissis…”.

Raffaele Stravato fu ucciso il 23 ottobre del 2015 in via Battaglia, una strada di periferia tra Piscinola e Marianella. Aveva appena parcheggiato: era sceso dall’auto e si era accorto dell’arrivo dei killer in moto. Cominciò a correre, attraversò la strada: di fronte  c’erano le scale. le salì tutte d’un fiato con il killer alle calcagna arrivato nelle palazzine fu raggiunto dal killer che gli esplose i primi colpi che lo centrarono alle spalle. Raffaele cadde a terra esanime e il sicario senza pietà gli esplose il colpo di grazia alla testa dileguandosi nel silenzio in cui erano piombate le palazzine popolari di Marianella.

Antonio Esposito

@riproduzione riservata

(nella foto da sinistra il boss pentito Carlo Lo Russo, la vittima Raffaele Stravato e il fratellastro Marco Corona)

Cronache della Campania@2018

Salerno, sbaglia la diagnosi e il paziente muore: medico a processo

$
0
0

Salerno. Una diagnosi tardiva che si è rivelata fatale, l’ennesimo presunto caso di malasanità nel salernitano. Siamo nel reparto di urologia dell’azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona dove ad un paziente affetto da un tumore alla vescica fu diagnosticato in un primo momento una patologia benigna. Troppo tardi, purtroppo, arrivò la diagnosi esatta. Infatti per Antonio Avallone non c’era più niente da fare. Un errore umano, secondo la Procura, che è costato la vita lo scorso 29 maggio al 72enne salernitano. Il sostituto procuratore Elena Cosentino ha chiesto il rinvio a giudizio del medico in servizio al reparto con l’accusa di omicidio colposo. Nel corso dell’udienza preliminare la famiglia della vittima si è costituita parte civile. Intanto i legali Silverio Sica ed Angela Cisale hanno chiesto ed ottenuto la chiamata in causa dell’azienda ospedaliera come responsabile civile. Si ritornerà in aula il prossimo 31 maggio quando il giudice dovrà esprimersi sulla questione delicata. Secondo quanto raccolto dagli inquirenti il magistrato ricostruisce le responsabilità dello specialista che avrebbe omesso di effettuare i dovuti approfondimenti diagnostici e disporre il ricovero presso il reparto di urologia e solo con un controllo continuo, l’effettuare più accertamenti, si sarebbe giunti da un’esatta diagnosi.

Cronache della Campania@2018

Viewing all 6090 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>