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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Camorra, il pentito Domenico Verde: ‘Ecco come arrivano i fiumi di droga dal Nord Africa’

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E’ stato il pentito Domenico Verde, uno degli uomini di punta del clan Polverino, che ha svelato ai magistrati della Dda di Napoli le rotte della droga che dal Nord Africa attraverso la Spagna arrivava in Campania. Ha spiegato Verde: “Negli anni Novanta, quando sono stato per la prima volta in Marocco  il trasporto dell’hashish veniva effettuato con l’ausilio di muli. Solo da qualche anno i marocchini si sono modernizzati e il trasporto viene effettuato con camion e auto.Per la realizzare le operazioni di carico è necessario coinvolgere molte persone del posto e si utilizzano diversi segni identificativi sui panetti di hashish che servono a individuare il fornitore”. Queste modalità, ancora oggi, erano utilizzate da Alfonso Mercurio, meglio noto come “Guallarella”, ritenuto tra i promotori dell’organizzazione criminale legato al clan Orlando e sgominata ieri dai carabinieri del comando provinciale di Napoli che ha portato 19 persone in carcere e altre 10 ai domiciliari mentre altre due sono riuscite a sfuggire alla cattura.
La base operativa era il bar “Bethlem” di Marano. È lì che si decideva il da farsi. Come deposito della sostanza stupefacente veniva invece utilizzato un locale-garage. Lo scrivono i magistrati nell’ordinanza di custodia cautelare che ha sgominato ieri la parte del clan Orlando dedita al traffico di hashish dal Nord Africa e che nel giro di pochi anni ha ereditato la caratura criminale ed economica del vecchio clan Polverino. L’organizzazione criminale non tralasciava nessun aspetto, proprio come gli avevano insegnato i vecchi boss ora in galera schiacciati da pesanti accuse. Al suo interno vi erano “corrieri”, “assaggiatori” e basi logistiche per gli incontri e gli scambi di informazioni. Tra i “corrieri”, sempre secondo il quadro accusatorio, c’era anche Antonio Dell’Aquila, considerato dagli inquirenti uno degli addetti alla vendita e alla consegna della droga, che trasporta lo stupefacente in altre città, come Frosinone. Poi c’erano gli assaggiatori, coloro che dovevano testare la qualità del prodotto. Tra questi, all’assaggio del narcotico, c’era Davide Iannone detto “O’ parachiatt’”. Oltre al bar “Bethlem”, altre basi logistiche venivano utilizzate per effettuare gli incontri tra gli associati. Anche al bar Aonda e al Fashion Hair avveniva lo scambio di informazioni e l’organizzazione di tutte le fasi esecutive per la cessione e l’importazione dello stupefacente. Gli ingenti quantitativi di droga venivano poi occultati all’interno di un box auto del Parco Primavera. Nelle intercettazioni i giudici hanno rilevato l’utilizzo di un linguaggio criptico per far riferimento alla sostanza stupefacente. “Fatica”, “Fumo”, “Ovetti”. E ancora, “Lg”, “Adrenalina”, “M505”, “Versace”, “Vueling”, “Vento”, “Polline”. C’era quindi un consolidato modus operandi per comunicare in “codice” le trattative in atto. In una intercettazione D’Onofrio così si rivolge a Sepe: “L’appuntamento per le sei e mezza (parla ad alta voce ripetendo il testo di un sms che sta scrivendo)…. Significa che la roba che stavano altri sei chili e mezzo di Lg”. L’organizzazione criminale aveva un complesso organigramma, così ricostruito dal gip nell’ordinanza che ha accolto le richieste della Dda:

Massimiliano D’Onofrio detto ‘Core e Fierro’ e Francesco Sepe erano capi, promotori e finanziatori degli acquisiti e delle cessioni di hashish e marijuana, merce che sarebbe state rivendute al dettaglio. I due organizzavano e gestivano la distribuzione a Marano nella provincia di Frosinone. La loro attività prevedeva anche il deposito e il trasporto di droga, inoltre del denaro per gli acquisti.Alessandro De Luca, Alfonso Mercurio e Angelo Di Maro erano fornitori di grosse quantità di droga, che sarebbe rivendute al dettaglio.Giuseppe Coppeto, Umberto Licciardi, Vincenza Longobardi procuravano clienti agli organizzatori. Nicola Langella era l’intermediario del traffico tra gli organizzatori e il fornitore Alessandro De Luca. Antonio Dell’Aquila era il corriere per la provincia di Frosinone e rivenditore al dettaglio, era rivenditrice al dettaglio anche la figlia Rita. Antonio De Miccoli era il rivenditore al dettaglio sul territorio nazionale, droga acquistata da Antonio Dell’Aquila.Alessandro Castelli, Ciro Conte, Luca De Luca, Giuseppe Granata, Rosa Iacolare e Ivan Piccirllo rivendevano al dettaglio la droga sul territorio nazionale. Davide Iannone era staffettista e rivenditore per la vendita. Dolores Sacco era custode del denaro frutto delle compravendite e dello stupefacente nascosto in un box della sua abitazione. Inoltre custodiva i libri contabili della commercializzazione del narcotico de Sepe e D’Onofrio.Rosario Setaro era il prestanome per l’affitto di un garage utilizzato come deposito della droga e dei vari fornitori. Emanuele e Davide Verdicchio erano rivenditori al dettaglio sul territorio nazionale del narcotico acquistato da Antonio Dell’Aquila.A D’Onofrio e Sepe è stata riconosciuta l’aggravante di aver commesso i reati al fine di agevolare l’attività del clan Orlando-Nuvoletta-Polverino. De Luca, Mercurio e Di Maro erano espressione di questo sodalizio criminale.

Cronache della Campania@2018


Cava de Tirreni, uccise la moglie con 40 coltellate: processo immediato per il barbiere

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Dopo averla picchiata, uccise la moglie con oltre quaranta coltellate davanti al figlio di cinque anni. Così, Salvatore Siani, con l’accusa di omicidio volontario premeditato e aggravato da futili motivi, finisce a processo. Per sufficienza di elementi, il sostituto procuratore di Nocera Inferiore, Roberto Lenza, richiede il giudizio immediato: davanti ai giudici della Corte d’Assise, il barbiere quarantottenne di Cava de’ Tirreni. Era il 22 gennaio quando a casa della madre della vittima, l’imputato picchia sua moglie Nunzia Maiorano di quarantuno anni, prendendola a morsi e a calci, strappandole i capelli, rompendole il setto nasale e lo zigomo destro fino ad ammazzarla con più di quaranta coltellate. Quel giorno Salvatore aveva accompagnato due dei tre figli a scuola. In casa era rimasto il più piccolo, quello di cinque anni. Nunzia aveva dormito con la madre, nella casa ubicata in località Sant’Anna ed era impegnata a preparare la colazione quando l’uomo, suo marito, la aggredisce alle spalle. Inutile il tentativo della donna di fuggire in camera da letto, suo marito aveva premeditato l’omicidio avendo l’arma del delitto con se. A chiamare i carabinieri fu una vicina di casa attirata dalle urla. Davanti al gip, che ne convalidò il fermo, Salvatore Siani provò a difendersi, sostenendo di essere stato esasperato dalla donna, che lo avrebbe più volte invitato ad andar via di casa. I litigi tra i due pare fossero frequenti nell’ultimo periodo. Nunzia – secondo testimonianze – era stanca degli atteggiamenti violenti del marito. Difeso dal legale Agostino De Caro, il barbiere cavese comparirà a breve davanti al gip, al quale potrà chiedere di essere giudicato con rito alternativo, invece di un processo davanti a un collegio di giudici.

Cronache della Campania@2018

Detenuto in carcere con il telefono, il Sappe: “E’ emergenza, manifesteremo in piazza”

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Roma. “Movimentato sequestro di un telefono cellulare all’interno della Casa Circondariale NC di Rebibbia a Roma domenica sera. Ed il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe preannuncia una manifestazione in piazza, venerdì 16 marzo, contro le violenze in carcere, davanti a Regina Coeli. Spiega, in una nota, Maurizio Somma, segretario nazionale per il Lazio del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, quel che è accaduto nella serata di domenica a Rebibbia: “Una felice intuizione degli uomini della Polizia Penitenziaria che erano in servizio ha permesso di scoprire e sequestrare un telefono cellulare e identificare il detenuto (albanese) che lo stava usando proprio in quel momento. Verso le 21, nel Reparto G11, approfittando del fatto che grande parte dei detenuti erano intenti a seguire la partita Inter-Napoli, i poliziotti hanno fatto irruzione in una cella composta da un albanese, un rumeno ed bosniaco, sorprendo l’albanese mentre intratteneva una chiamata telefonica con un cellulare. Uno degli Agenti, aperta la cella, tentava immediatamente di immobilizzare il detenuto, che però opponeva resistenza fisica e lestamente lanciava il telefonino all’interno del water alla turca del bagno. Il telefonino veniva comunque successivamente rinvenuto aprendo il chiusino della fognatura. Il detenuto fatte le dovute contestazioni, veniva accompagnato al Reparto G 12, in isolamento”. “L’ennesimo episodio critico accaduto nel carcere di Rebibbia è sintomatico della esplosiva situazione delle carceri romane – prosegue la nota – E proprio per denunciare la gravità della situazione il SAPPE, insieme ad altre Organizzazione sindacali della Polizia Penitenziaria, manifesterà venerdì mattina 16 marzo davanti al carcere di Regina Coeli, a Trastevere. Il Segretario Generale del Sappe, Donato Capece, torna a denunciare la grave situazione penitenziaria regionale: “Ogni giorno nelle carceri romane e laziali accadono eventi critici. Tra Regina Coeli e Rebibbia, poi, le aggressioni, i ferimenti e le colluttazioni avvengono quasi quotidianamente, e spesso sono i nostri poliziotti a rimetterci nell’indifferenza dell’Amministrazione Penitenziaria e del Ministero della Giustizia,. La situazione nelle carceri del Lazio, dove oggi sono detenute 6.326 persone rispetto ai circa 5.000 posti letto è sempre tesa ed allarmante. I numeri riferiti agli eventi critici avvenuti nelle celle delle carceri del Lazio nell’interno anno 2017 sono inquietanti: 783 atti di autolesionismo, 62 tentati suicidi, 738 colluttazioni e 95 ferimenti. I suicidi sono stati 8 mentre i detenuti deceduti per cause naturali sono stati 9. Sono state, infine, 4 le evasioni da penitenziari laziali. E la cosa grave è che questi numeri si sono concretizzati proprio quando sempre più carceri hanno introdotto la vigilanza dinamica ed il regime penitenziario ‘aperto’, ossia con i detenuti più ore al giorno liberi di girare per le Sezioni detentive con controlli sporadici ed occasionali della Polizia Penitenziaria”. Nelle carceri di Viterbo (129) e Frosinone (127) si sono contati il più alto numero di atti di autolesionismo, mentre è nelle carceri romane di Rebibbia (17) e di Regina Coeli (15) che la Polizia Penitenziaria ha sventato in tempo tentativi di suicidio di detenuti”. Per il SAPPE “lasciare le celle aperte più di 8 ore al giorno senza far fare nulla ai detenuti – lavorare, studiare, essere impegnati in una qualsiasi attività – è controproducente perché lascia i detenuti nell’apatia: non riconoscerlo vuol dire essere demagoghi ed ipocriti”. E la proposta è proprio quella di “sospendere la vigilanza dinamica: sono infatti state smantellate le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno con controlli sporadici e occasionali, con detenuti di 25 anni che incomprensibilmente continuano a stare ristretti in carceri minorili”. E proprio per questo il SAPPE ed altri sindacati penitenziari manifesteranno a Roma venerdì mattina 16 marzo. “Si è perso troppo tempo a ipotizzare una scellerata riforma penitenziaria che avrebbe assestato un colpo mortale alla sicurezza ed al concetto stesso di certezza della pena piuttosto che introdurre strumenti adeguati a garantire ordine e sicurezza nei penitenziari e tutele efficaci agli Agenti che lavorano in prima linea nelle sezioni detentive”, concludono Capece e Somma”.

Cronache della Campania@2018

Castellabate. Nessun processo per l’ipotesi di abuso d’ufficio: il commento del sindaco

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Il GUP del Tribunale di Vallo della Lucania ha assolto – perché il fatto non sussiste – l’intera Giunta del Comune di Castellabate, imputata per concorso in abuso d’ufficio, pronunciando sentenza di non luogo a procedere. Non ci sarà nessun processo quindi per i fatti che risalgono al 2013, quando con Delibera di Consiglio n. 12 del 30 aprile, il Sindaco, gli assessori e i consiglieri comunali allora in carica, approvarono il rendiconto di bilancio per la gestione dell’esercizio comunale 2012. Il caso nasce da un esposto dall’opposizione che ha successivamente portato alla disposizione di una serie di indagini portate avanti dalla Guardia di Finanza per far luce sulla possibile violazione delle norme previste dal testo unico degli Enti Locali e del Patto di Stabilità. Dopo un’attenta valutazione, il Giudice dell’Udienza Preliminare ha stabilito di non rinviare a giudizio il caso e di archiviare il tutto perché il fatto non sussiste.
Il Sindaco di Castellabate Costabile Spinelli in merito all’assoluzione: «Il risalto che è stato dato alla vicenda giudiziaria, fomentata da una campagna mediatica spropositata, ha gettato inutili ombre sul nostro percorso amministrativo e sollevato un polverone di polemiche. Questa vicenda mette in luce gli strumenti inopportuni utilizzati dai consiglieri di minoranza per gettare fango sul Sindaco e sull’Amministrazione, non curandosi neanche del danno che tale azione avrebbe causato all’intera comunità di Castellabate, che ha dovuto vedere il proprio Comune associato ad appellativi quali “bilanci falsati”, “danno patrimoniale” o “conti truccati”. Credo nelle azioni della magistratura e mi sono sempre dichiarato fiducioso della sua attenta analisi del caso. Questa sentenza restituisce onorabilità all’agire di quel periodo, dimostrando – ancora una volta – quanto la nostra azione amministrativa sia sempre lineare e trasparente».

Cronache della Campania@2018

Sfregiò l’adolescente, nuove accuse e nuovo arresto per il prete esorcista di Casapesenna

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Casapesenna. Nuove accuse per don Michele Barone, il prete esorcista, arrestato il 23 febbraio scorso con l’accusa di aver maltrattato e abusato sessualmente di tre vittime, tra le quali una minore di 14 anni. La Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha infatti chiesto e ottenuto dal Gip l’emissione a carico del prelato di un’ordinanza con la contestazione del reato di lesioni gravissime che sarebbero state commesse proprio ai danni dell’adolescente. Il provvedimento è stato emesso sulla base della consulenza medica che ha accertato come la 14enne abbia subito uno sfregio permanente al volto in seguito proprio alle pratiche del sacerdote. Le nuove accuse riguardano anche gli altri tre indagati nella vicenda, ovvero i genitori della minorenne e il funzionario della Polizia di Stato Luigi Schettino, tutti accusati di non aver impedito che le violenze fossero perpetrate. I tre furono arrestati insieme a Barone, ma contrariamente al prete tuttora detenuto in carcere, finirono ai domiciliari. Nei giorni scorsi il Gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha alleviato la posizione dei due coniugi, annullando l’ordinanza ai domiciliari e concedendo loro la libertà; nel provvedimento odierno peroò per entrambi è stata disposta la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ovvero alla figlia, con la perdita della potestà genitoriale. Domani intanto si riunirà a Napoli il Tribunale del Riesame che dovrà decidere se concedere la scarcerazione del sacerdote, così come richiesto dal legale Carlo Taormina; i giudici dovranno pronunciarsi anche sulla posizione del poliziotto, difeso da Carlo De Stavola.

Cronache della Campania@2018

Traffico di droga: condannati i due agenti che fecero la scorta ‘abusiva’ a Gigi D’Alessio

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Condanna in appello per gli agenti della Polizia di Stato diventati noti per aver fatto da scorta ‘abusiva a Gigi D’Alessio. Si tratta di Alessandro Albano e Domenico Petrillo, tuttora sospesi, accusati di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, con esclusione pero’ dell’aggravante mafiosa. I due poliziotti, in servizio fino all’arresto del febbraio 2016 al Commissariato di Marcianise, divennero noti perche’ insieme al collega Nunziante Camarca – sotto processo con il rito ordinario al tribunale di Santa Maria Capua Vetere – scortarono, senza essere autorizzati, il cantante Gigi D’Alessio. La circostanza, riportata nell’ordinanza di arresto, si verifico’ nel dicembre 2013, quando i tre agenti, mentendo al dirigente del loro commissariato e falsificando le relazioni di servizio, fecero da scorta con l’auto della polizia, per le strade di Napoli, al cantante che doveva recarsi ad un evento di presentazione del suo nuovo cd. Peraltro Albano ha accompagnato Gigi D’Alessio anche nel suo tour negli Usa. Sulla vicenda il cantante e’ venuto anche a testimoniare in tribunale nel febbraio del 2017. Per Albano, condannato in primo grado a sei anni con il rito abbreviato, la Corte ha disposto una piccola riduzione a 5 anni e 8 mesi di carcere, mentre Petrillo (difeso da Mariano Omarto) e’ stato condannato a tre anni (tre anni e otto mesi in primo grado). I due agenti, insieme a Camarca, erano accusati dalla Dda di Napoli di aver favorito alcuni spacciatori di Marcianise, collegati al clan Belforte, rivelando loro notizie riservate sulle indagini che li riguardavano, in modo da sfuggire alla cattura, o arrestando persone legate ad altri gruppi di spaccio concorrenti. In totale la Corte ha comminato 16 condanne; pene elevate per i pusher Donato Bucciero (7 anni e 10 mesi), e Giuseppe Liberato (15 anni e 4 mesi). Condannato anche l’avvocato Giuseppe Foglia (un anno), accusato di assumere su indicazione di Albano le difese dei pusher che l’agente arrestava.

Cronache della Campania@2018

Consip, riprende domani il processo disciplinare a Woodcock: tra i testi il procuratore Fragliasso

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Napoli. Caso Consip, riprende domani il procedimento disciplinare al pm di Napoli Henry John Woodcock per l’articolo apparso sul quotidiano Repubblica, il 13 aprile dello scorso anno, con le dichiarazioni attribuite al magistrato. Tra i testimoni che saranno ascoltati dalla commissione disciplinare del Csm ci sono la giornalista di Repubblica Lina Milella e il procuratore aggiunto di Napoli, ex reggente dell’ufficio giudiziario, Nunzio Fragliasso. Le dichiarazioni di Woodcock, che aveva tra l’altro negato contrasti tra le procura di Napoli e di Roma, erano state ritenute dal pg della Cassazione – che avviò l’indomani l’azione disciplinare – una grave scorrettezza sia nei confronti dei magistrati della procura di Roma che indagavano sull’operato dell’ufficiale del Noe Gianpaolo Scafarto sia del procuratore reggente di Napoli. Negli ambienti della procura di Napoli non si registrano reazioni nè commenti all’iniziativa disciplinare relativa alla inchiesta Consip in cui, insieme con Woodcock, è ”incolpata” anche la collega Celeste Carrano, che potrebbe essere ascoltata nell’udienza di domani. Le uniche voci raccolte escludono contrapposizioni e contrasti interni all’ufficio e sottolineano la fase di serena riorganizzazione che sta vivendo la procura sotto la guida di Giovanni Melillo.

Cronache della Campania@2018

Acerra, perseguitava la sua ex compagna: arrestato 43enne per stalking

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Acerra. Gli uomini della Polizia di Stato del Commissariato di Acerra, coordinati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nola, hanno dato esecuzione alla misura cautelare degli arresti domiciliari, emessa dal Gip nei confronti di un 43enne, accusato di stalking nei confronti della sua ex compagna e già destinatario di un divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima. Da circa un mese la donna si era più volte recata in commissariato, ad Acerra, denunciando di temere per la propria incolumità a causa dei continui tentativi, anche minacciosi, di riavvicinarla, da parte dell’uomo. Il 10 marzo era stato notificato al 43enne il divieto di avvicinamento, ma l’uomo la stessa notte si era ripresentato a casa della vittima, che si era nuovamente rivolta alla Polizia. Da qui la richiesta di aggravamento della misura cautelare.

Cronache della Campania@2018


Il pentito: ‘I Vastarella volevano far evadere Vallanzasca dal carcere’

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Il clan Vastarella del rione Sanità voleva far evadere il boss della Comasina, Renato Vallanzasca, “il bel  Renè”, uno dei banditi più violenti del Nord Italia autore di decine di sanguinose rapine e sequestri di persona ma anche di clamorose evasioni, condannato a 4 ergastoli e circa 300 anni di reclusione. A svelare l’inedito retroscena del piano poi non messo in atto è stato il pentito del clan Lo Russo, Rosario De Stefano, ex fidanzato della donna che ha contribuito al pentimento del  boss Carlo Lo Russo, che ha contribuito con i suoi racconti a svelare mandanti ed esecutori dell’omicidio del boss della Sanità, Pietro Esposito, a chiarire alcuni particolari dell’omicidio della vittima innocente Genny Savastano e non ultimo a svelare tutti gli affari illeciti del clan Vastarella della Sanità, rione del quale è originario contribuendo anche al blitz contro la cosca dei boss Patrizio e Raffaele. Il retroscena viene raccontato in anteprima oggi sul quotidiano Croanche di Napoli. Ecco il racconto di De Stefano: “Mio cognato Enzo Toscano (ucciso nel 1997 in circostanze misteriose ndr) era quello che su incarico di Lelluccio Vastarella doveva far evadere Vallanzasca, nel senso che Lelluccio Vastarella, che era diventato amico di Vallanzasca in carcere, diede incarico a Patrizio Vastarella di mandare qualcuno con un avvocato all’interno del carcere facendo entrare una pistola che doveva essere data a Vallanzasca. Ricordo che mio cognato partì da Napoli con un avvocato e con una pistola e che raggiunse questo carcere che , se non ricordo male stava su un ‘isola. Tuttavia tale operazione non si concluse e non andò in porto”. De Stefano però non ha saputo dire il perchè il piano non andò in porto ma Vallanzasca detto anche “l’angelo del male” era già noto per le sue evasioni come quella famosa dalla clinica dove si era fatto ricoverare dopo aver mangiato uova marce e contraendo volontariamente l’epatite. Da alcuni anni era stato ammesso al programma della semilibertà e al mattina usciva dal carcere per andare a lavorare in una pelletteria. Nel 2014 si fece arrestare dopo aver tentato di rubare biancheria intima da un supermercato da regalare alla sua donna. E nell’agosto dello scorso anno Vallanzasca si rese protagonista di una violentissima aggressione nel carcere di Bollate a Milano ai danni di un agente penitenziario.

Cronache della Campania@2018

Prete esorcista, don Michele Barone resterà in carcere. Confermati i domiciliari per Schettino

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Caserta. Il Tribunale del Riesame conferma l’ordinanza di custodia cautelare per don Michele Barone, il prete – poi sospeso dalla Curia – accusato di aver maltrattato e abusato sessualmente di tre donne, tra le quali una minore di 14 anni dopo averle convinte che erano possedute dal demonio. I giudici del Tribunale del Riesame hanno rigettato la richiesta di scarcerazione del suo avvocato, CArlo Taormina, che aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza emessa dal gip di Santa Maria Capua Vetere e in subordine la concessione degli arresti domiciliari. Rilevante nella decisione dei giudici il video prodotto dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere in cui si vede un 40enne, non ancora identificato, che viene sottoposto in Chiesa ad un rito di esorcismo da parte di don Michele, che usa metodi violenti per tenerlo calmo.
Dal canto suo Taormina ha portato il Manuale degli Esorcismi di padre Gabriele Amorth (deceduto nel 2016), in cui si consiglia l’uso di metodi violenti, come legare il posseduto con una fune, ma solo per controllare le reazioni. Misura confermata anche per il funzionario della Polizia di Stato Luigi Schettino, che resterà agli arresti domiciliari; il vice-questore, ex dirigente del Commissariato di Maddaloni, è accusato di non aver impedito le violenze commesse da don Michele e di aver provato a convincere la sorella della 14enne, che per prima ha denunciato la cosa alla Polizia e poi a Le Iene, a ritirare la denuncia. Per la madre e il padre della 14enne, finiti ai domiciliari ma già rimessi in libertà dal Gip, resta il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla figlia e la sospensione della potestà genitoriale. Oggi intanto don Michele dovrebbe essere nuovamente interrogato dal Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per rispondere delle nuove accuse di lesioni gravissime contestate dalla Procura della Repubblica guidata da Maria Antonietta Troncone, secondo cui il sacerdote avrebbe provocato un sfregio permanente all’orecchio della 14enne durante le pratiche di esorcismo.

Cronache della Campania@2018

Camorra, il pentito in aula: ‘I fratelli Cesaro fecero un patto con il clan Polverino’

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“I fratelli Cesaro fecero un patto con la camorra, risalente al periodo in cui si discuteva del Pip di Marano. Me lo rivelo’ in carcere il cognato del boss Giuseppe Polverino”. Lo ha dichiarato il collaboratore di giustizia del clan dei Casalesi, Tammaro Diana nel processo in corso ad Aversa , al Tribunale di Napoli Nord, in cui sono imputati per concorso esterno in camorra gli imprenditori Raffaele e Aniello Cesaro, entrambi detenuti, fratelli del neo-senatore di Forza Italia Luigi Cesaro. Il processo, in cui compaiono altri cinque imputati, e’ iniziato nel dicembre scorso ed ha subito conosciuto un primo “intoppo”, in quanto il presidente designato del collegio giudicante, Giuseppe Cioffi, si e’ astenuto nel febbraio scorso dopo che era stata diffusa dalla stampa, in piena campagna elettorale, una foto che lo ritraeva ad una convention di Forza Italia tenutasi ad Ischia nell’ottobre 2017Il giudice Cioffi ha sempre negato di aver preso parte al meeting politico, spiegando di aver solo preso un caffe’ nell’hotel dove si teneva l’evento in seguito all’invito di un amico commercialista, iscritto al partito azzurro; ha comunque dovuto fare marcia indietro dopo un paio di udienze del processo. Oggi e’ stata la volta dei collaboratori di giustizia; sono state acquisiste le dichiarazioni del boss dei Casalesi Antonio Iovine, mentre e’ stato sentito Diana, che ha confermato di aver saputo in carcere, dal cognato del boss di Marano Giuseppe Polverino, che il clan aveva stretto un patto con i fratelli Cesaro per occuparsi degli appalti relativi al piano di insediamento produttivo. Per la Procura Antimafia di Napoli, i Cesaro (difesi da Paolo Trofino, Vincenzo Maiello e Raffaele Quaranta) e il clan Polverino avrebbero creato una societa’ occulta che si sarebbe avvalsa del fiume di danaro proveniente dai traffici illeciti dell’organizzazione criminale per poter operare tranquillamente. I due imprenditori fratelli del deputato Luigi, nella prima udienza del dicembre scorso, presero la parola e fecero delle dichiarazioni spontanee, nelle quale affermarono di non aver “mai avuto rapporti con i Polverino”, “ne’ di aver accettato i loro finanziamenti. Le nostre societa’ erano solidissime e non avevamo certo bisogno di accordarci o ricevere somme dal boss Polverino”.

Cronache della Campania@2018

Camorra, omicidio del vigile urbano di Casal di Principe, slittata a lunedì la sentenza per il boss Sandokan

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E’ slittata a lunedì la sentenza per l’omicidio di  Antonio Diana il vigile urbano di Casal di Principe avvenuto nel lontano 1989. La pubblica accusa ha chiesto la condanna all’ergastolo per il boss dei Casalesi, Francesco Schiavone detto Sandokan e invece 27 anni di carcere per Giovanni Diana, detto giannino o’ pazzo. Gli avvocati difensori dei due (Valentino per Schiavone e Paolo Gallina per Diana) nelle loro arringhe difensive hanno sottolineato le incogruenze tra i racconti dell’ex boss pentito reo confesso Antonio Iovine o’ ninno e l’altro pentito Cipriano D’Alessandro. Quest’ultimo in particolare dice di aver partecipato in prima persona a quell’agguato ma ha fornito indicazioni diverse rispetto alla versione di Iovine anche rispetto all’auto utilizzata dal commando di morte e al luogo in cui fu bruciata l’autovettura. per questi motivi entrambi hanno chiesto l’assoluzione dei  loro assistiti. La Corte di Assise di Napoli nella giornata di lunedì emetterà la sentenza.

Antonio Iovine nelle sue dichiarazioni ha ricordato che dell’omicidio del vigile nel gruppo se ne parlava gia’ da tempo per vendicare l’omicidio di Maurizio Russo nel quale l’agente della municipale aveva fatto da specchiettista secondo Sandokan. Sul caso dei documenti del vigile urbano ritrovati in un incidente aereo qualche giorno prima dell’omicidio, il boss pentito dice di non sapere nulla. Il volo parti’ da Orio al Serio e doveva arrivare a Santo Domingo, ma precipito’ alle Azzorre. “Non ne ho mai sentito parlare ma ricordo che a Santo Domingo c’era la compagna di Antonio Bardellino, Rita De Vita, con la quale aveva avuto tre figli”. A questo proposito, il collaboratore in un interrogatorio questo anno ha raccontato di essersi ricordato di quell’episodio e che Antonio Diana si decise di ucciderlo proprio quando cadde l’aereo per Santo Domingo e furono ritrovati i suoi documenti. Dell’agguato avvenuto in via Roma alle 18.45 dell’11 febbraio 1989, Iovine ricorda anche le armi utilizzate: un fucile Safari a pompa calibro 12, un fucile da caccia e una Beretta 9X21 che non esplose colpi. “Avevo il volto coperto da passamontagna in quanto avvenne in pieno giorno la Fiat Uno che utilizzammo era stata rubata in precedenza.

 

Cronache della Campania@2018

Strage del bus ad Avellino, i legali di Autostrade per l’Italia si oppongono ad una nuova perizia

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Avellino. Una seconda perizia non può entrare nel processo già in fase avanzata per l’incidente nel quale persone la vita 40 persone che si trovavano a bordo di un bus turistico precipitato dal viadotto autostradale Acqualonga il 28 luglio 2013 a Monteforte Irpino. Nell’udienza di oggi i legali di Autostrade per l’Italia si sono opposti alla richiesta di acquisire la perizia redatta da tre docenti universitari per conto del giudice civile che sta celebrando il processo ai fini dei risarcimenti ai superstiti e ai familiari delle vittime. Diversa la posizione della pubblica accusa sostenuta dal procuratore Rosario Cantelmo, che ritiene utile acquisire il documento già esaminato nel processo civile per stabilire l’adeguatezza delle barriere autostradali, il cui stato di conservazione è uno degli elementi di accusa a carico dei funzionari e dirigenti di Aspi. Sul punto il giudice si è riservato. Nel processo, a carico di 15 persone, tra le quali due funzionari della Motorizzazione Civile di Napoli e il titolare dell’agenzia di viaggi che noleggiò il bus Gennaro Lametta, principale imputato, sono state analizzate più perizie per stabilire l’esatta dinamica. Le divergenze più forti nella ricostruzione degli ultimi chilometri percorsi dal pullman nel tratto compreso tra Avellino Ovest e Monteforte Irpino dell’A16 Napoli-Canosa, restano sulla velocità e sulle modalità di impatto. Il processo riprenderà il 28 marzo prossimo.

Cronache della Campania@2018

Gragnano, accoltellò il controllore del Sita: processo immediato per Donnarumma

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Il gip del tribunale di Torre Annunziata, Giovanni De Angelis ha disposto il processo con il rito immediato per Ciro  Donnarumma, il 54enne di Gragnano che accoltellò il controllore del bus Sita che l’aveva costretto a scendere dal mezzo perché viaggiava senza biglietto. Su richiesta del pm Sergio Raimondi il gip ha fissato per fine mese il processo per Donnarumma accusato di lesioni aggravate nei confronti di Pietro Spagnoletta, 43 enne dipendente della Sita, originario di Lettere. I fatti si verificarono il 19 novembre scorso. Dopo l’aggressione il 54enne si era dato alla fuga ma era stato individuato e bloccato dai militari dell’Arma poco distante. La vittima rimase ricoverata per alcuni giorni in prognosi riservata al San Leonardo di Castellammare di Stabia con una ferita addominale da arma da taglio.

 

Cronache della Campania@2018

Mercato San Severino, maestra violenta a giudizio: maltrattava i bambini

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Mercato San Severino. Maestra violenta a giudizio: il pm Elena Guarino ha firmato il decreto di citazione a giudizio per un insengnante in servizio presso il primo circolo didattico di Mercato San Severino, nel marzo del 2013. La donna, 54 anni, comparirà dinanzi al giudice monocratico Domenico Diograzia a gennaio prossimo. La Procura le contesta diversi episodi tra i quali quello di aver costretto un’alunna a pulire le natiche di una compagna di classe. E’ anche accusata di aver strattonato un bambino facendolo sbattere contro un banco. L’atteggiamento dell’insegnante avrebbe reso invivibile il clima in classe, con forti tensioni anche con e colleghe. A denunciare il comportamento dell’insegnante i genitori dei due alunni, le mamme sono parti offese in rappresentaza dei due minori. A sostegno dell’accusa alcune testimonianze acquisite nel corso delle indagini dai carabinieri di Mercato San Severino, incluse quelle di alcune colleghe della maestra che hanno denunciato il clima di forte tensione e di invivibilità dell’ambiente scolastico creato dall’atteggiamento dell’insegnante.

Cronache della Campania@2018


Il prefetto di Salerno Malfi dopo la sospensione: “Fiducia nella magistratura anche quando non si condivide ciò che fa”

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Salerno. Una breve dichiarazione dopo la decisione del Tribunale di Vercelli di sospenderlo per tre mesi per abuso d’ufficio, per aver instaurato un clima di costante terrore negli uffici prefettizi quando era Prefetto di Vercelli. Salvatore Malfi, attuale prefetto di Salerno, non commenta la vicenda giudiziaria che lo vede coinvolto ma ha rilasciato una brevissima dichiarazione a commento della sua sospensione. “Per scelta istituzionale ho deciso di non rilasciare dichiarazioni. Nella magistratura ho fiducia cieca anche quando non si condivide ciò che fa. Voi a Vercelli mi avete conosciuto, perciò non devo spiegare nulla”. Malfi è rimasto in carica come prefetto a Vercelli dal 2011 al 2016, e avrebbe creato, secondo l’accusa, “un clima di costante terrore e di estrema tensione negli uffici prefettizi, con espressioni ingiuriose, a sfondo sessista, umilianti e denigratorie nei confronti dei suoi collaboratori, utilizzando toni ed atteggiamenti discriminatori e minacciandoli di morte”.
Ieri il Gip del Tribunale di Vercelli aveva accolto la richiesta della Procura di sospendere dalle funzioni il Prefetto Salvatore Malfi, una decisione alla quale potrà fare ricorso il delegato di governo attualmente in servizio a Salerno.

Cronache della Campania@2018

Boscoreale, torna libero dopo un anno il rapinatore seriale terrore dei commercianti vesuviani

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E’ stato scarcerato e posto in una comunità terapeutica Salvatore Solimeno, 37enne del Piano Napoli di Boscoreale,  considerato il terrore dei commercianti di Torre Annunziata e dintorni. Il provvedimento da parte del gip del Tribunale di Torre Annunziata su richiesta dell’avvocato Gennaro De Gennaro, nonostante il parere negativo dell’accusa, che aveva chiesto di rigettare la richiesta del difensore, in quanto Solimeno risultava già gravato da numerosi precedenti penali, il giudice, accogliendo l’istanza del legale, ha ritenuto che le esigenze cautelari ai domiciliari in comunità terapeutica potessero essere sufficienti. Solimeno ha così potuto lasciare il carcere di Poggioreale.Otto rapine alle spalle, con l’ultima della serie consumata soltanto nell’aprile scorso ai danni di una tabaccheria di via IV Novembre a Torre Annunziata, quando due malviventi, con armi in pugno e col volto travisato, crearono il panico tra passanti e negozianti. Nel fuggi fuggi generale, il titolare ed i suoi familiari reagirono violentemente con l’aiuto di alcuni clienti, riuscendo ad immobilizzare uno dei banditi, identificato poi in Solimeno, che fu arrestato dai carabinieri. Il complice invece riuscì a fuggire. Il 19 dicembre scorso, il malvivente era stato condannato con giudizio abbreviato dinanzi al GIP del Tribunale di Torre Annunziata. Il pubblico ministero aveva fatto una dura requisitoria contro il rapinatore, sottolineando che Solimeno era considerato il terrore dei negozianti oplontini tanto da essere dichiarato sorvegliato speciale. E ora dopo solo un anno di carcere torna libero seppure in una comunità.

Cronache della Campania@2018

Uccise l’ex moglie nel sonno: verso il processo il torrese Antonio Ascione. La rabbia dei familiari di Mariarca

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Torre del Greco. Omicidio di Mariarca Mennella: verso il processo l’ex marito Antonio Ascione che il 23 luglio dello scorso anno la uccise con cinque coltellate. Il pubblico ministero della Procura di Venezia, Raffaele Incardona, chiude le indagini e formula l’imputazione definitiva per Ascione, il 44enne di Torre del Greco, ex marito della donna accusato di omicidio volontario premeditato e aggravato da futili motivi.
Per l’uomo si prospetta un processo in cui rischia l’ergastolo e nel quale probabilmente punterà al rito abbreviato. Ad annunziarlo l’avvocato di Ascione, Giorgio Pietramala, che – non appena sarà fissata la data dell’udienza preliminare – presenterà la richiesta di accesso al rito abbreviato, come riporta oggi il quotidiano Il Mattino. Una scelta che ha scatenato la rabbia e il risentimento dei familiari di Mariarca – rappresentati dal legale Alberto Berardi – e anche delle due comunità, quella di Torre del Greco e quella di Musile, dove la 38enne di origini torresi fu uccisa. Anna Mennella, una delle quattro sorelle di Mariarca non nasconde la rabbia nei confronti dell’ex cognato e al quotidiano affida alcune dichiarazioni al vetriolo: «Quell’uomo deve marcire in carcere tuona e se sarà accolta la richiesta di rito abbreviato, siamo tutti d’accordo che andremo a manifestare fuori al tribunale: molti cittadini delle due città coinvolte sono con noi. È vergognoso che ci siano avvocati pronti a difendere questi vermi. Merita l’ergastolo per ciò che ha fatto: è l’unica nostra speranza per riscattare Mariarca strappata alla vita barbaramente e i due bambini, vittime innocenti di questa tragedia». Una protesta, che non trova fondamento nella legge che dà all’uomo la possibilità di scegliere la strategia difensiva e processuale ma che stride, naturalmente, con i sentimenti dei familiari e di chi vive il dolore per la perdita di Mariarca Mennella.
I due figli della coppia, la 15enne Assia e Salvatore di 10 anni ora vivono a Torre del Greco, la ragazza con la nonna materna Maria, vedova da quattro anni, il bambino con la zia Assunta. Affrontano la situazione in maniera diversa, anche per le età differenti, entrambi sono seguiti da uno psicologo e frequentano il liceo linguistico lei e le elementari lui. «Assia strappa le lettere che il padre le invia dal carcere- prosegue Anna – per lei è morto da quando ha ucciso sua madre. Salvatore, invece, chiede spesso di lui, risponde (con il supporto della specialista) alle sue missive. Ma entrambi dicono che senza la mamma sentono mancare l’aria».
Mariarchetta Mennella, detta Mariarca, sposata da 16 anni con Antonio Ascione, aveva deciso di lasciarlo per la gelosia ossessiva di lui e si era trasferita con i figli a Musile del Piave, in provincia di Venezia dove lavorava come commessa in un centro commerciale. Nella casa di Musile, dove aveva ospitato l’ex marito che era andato al nord con la scusa di cercare un lavoro come pizzaiolo. La mattina del 23 luglio, tra le 5 e le 7, lui l’aveva colpita con cinque coltellate mortali, mentre Mariarca dormiva. Infatti dall’autopsia non sono emersi segni che potessero far pensare ad un tentativo di difesa, Antonio Ascione poi chiamò i carabinieri e confessò di aver ucciso l’ex moglie. Da allora è in carcere.

Cronache della Campania@2018

Restano in carcere i tre baby assassini del vigilante, il gip conferma la misura cautelare

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Napoli. Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli nord ha convalidato il fermo che era stato disposto per i tre ragazzini accusati di aver ucciso il vigilante Franco Della Corte, aggredendolo con un bastone la notte del 3 marzo alla stazione della metro di Piscinola. I tre hanno pianto e chiesto perdono per quanto hanno fatto, ma non è bastato.Fatti di “assoluta gravita’” sia per la modalita’ sia per il movente, che denotano “personalita’ facilmente inclini ad azioni assolutamente gravi per fini devianti e scelti con una stupefacente superficialita’”. Sono le parole adoperate dal gip del Tribunale per i minorenni Pietro Avallone per sottolineare la necessita’ di tenere in carcere i tre indagati – due sedicenni e un diciassettenne – accusati dell’omicidio del vigilantePer ora restano in carcere.Dopo gli interrogatori di garanzia, durante i quali i ragazzi hanno ammesso la partecipazione al delitto come avevano gia’ fatto nei giorni scorsi davanti al pm, il gip ha convalidato il fermo e emesso l’ordinanza di custodia. I familiari dei ragazzi – ha scritto il giudice – “anche perche’ travolti dai fatti non appaiono in grado di gestire la situazione venutasi a creare”. Il gip ha evidenziato come appaia necessaria la custodia in un istituto per evitare “la reiterazione dei reati della stessa specie”.I tre sono stati fermati dagli agenti della Squadra Mobile di Napoli, incastrati dal sistema di videosorveglianza e dalle intercettazioni telefoniche con l’accusa di essere gli autori dell’omicidio con lo scopo della rapina della pistola di ordinanza che poi avrebbero dovuto rivendere. Hanno confessato sia davanti agli agenti che vanti al giudice questa mattina. Solo Ciro il 15enne, considerato il capo del branco, ha parzialmente cambiato la versione dei fatti raccontata poco più di 48ore prima. Aveva detto, con suo padre presente, di essere stato lui a ideare il tutto, lui a prendere un piede di legno di un tavolo trovato in un cassonetto della spazzatura e a colpire alla testa il 51enne che aveva appena finito il suo turno di lavoro alla metro. “Ho fumato uno spinello e poi ho deciso di aggredire quell’uomo, lo volevo solo picchiare”, aveva detto. Questa mattina, Luigi, assistito dal suo avvocato, ha invece coinvolto anche i suoi amici. “Anche loro erano d’accordo con me, io e Kevin abbiamo preso due bastoni e li abbiamo scagliati contro la guardia giurata. Io l’ho colpito tre volte e Kevin lo ha colpito due volte. L’altro nostro amico, Ciro, era più distante e non ha partecipato all’aggressione anche se era d’accordo con noi”, dice. Ha colpito forte perché non voleva più farlo rialzare da terra: “Temevo che poi dopo mi riconoscesse e allora non abbiamo preso la pistola che aveva nello zaino perchè abbiamo visto il sangue e ci siamo spaventati”. Stessa versione, identica, e’ stata raccontato da Kevin, 17 anni e da Ciro, 16 anni, che sognava di fare il calciatore. Il giudice ha convalidato il fermo e il trasferimento in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudelta’. Anche se scegliessero il rito abbreviato, cosa molto probabile, vista l’ammissione dei fatti, potrebbero rischiare 20 anni di carcere.

Cronache della Campania@2018

Castellammare, Bobbio condannato per corruzione si sfoga sui social: ”Innocente, sentenza ingiusta”

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Castellammare di Stabia. L’ex sindaco di Castellammare di Stabia, Luigi Bobbio, è stato condannato, in primo grado, dal Tribunale di Torre Annunziata ad 1 anno e 4 mesi per il reato di Corruzione. Una vicenda che risale al lontano 2010. L’ex fascia tricolore stabiese si è sfogato sui social, scrivendo un lungo post sulla sua bacheca Facebook. “Pochi minuti fa ho appreso che si era consumato il secondo episodio del calvario giudiziario che si sta svolgendo, ormai da sei lunghi anni, negli uffici giudiziari di Torre Annunziata – scrive. Mi è stata inflitta oggi, giorno di San Giuseppe, in primo grado, una condanna a un anno e quattro mesi di reclusione nientemeno che per il delitto di corruzione, che avrei commesso quando ero sindaco di Castellammare nel lontano 2010. Lo dico io prima che lo si possa leggere dai giornali, perché non ho timore ne’ vergogna per qualcosa che non ho mai fatto e per una sentenza ingiusta e immotivabile, in insanabile conflitto e contrasto con i fatti e con le prove. Lo dico io perché provo per questa sentenza, da giudice e da giurista, dispiacere per chi l’ha pronunciata. Ai lettori più tecnici non sfuggirà che una condanna a un anno e quattro mesi, a fronte di una richiesta del PM di tre anni e sei mesi, senza generiche, è la classica mezza misura di coloro che ti “devono ” condannare ma senza crederci. Non abbassero’ mai lo sguardo ne’ il capo perché so quanto la condanna sia ingiusta e infondata e conosco ovviamente la mia innocenza. La sentenza, come la precedente, verrà giustiziata in appello. Ma profonda e lacerante è l’amarezza, il senso di ingiustizia di un cittadino italiano che ormai deve arrendersi di fronte all’evidenza che per lui i processi, la Giustizia, saltano il primo grado e cominciano in appello. Ancora una volta stasera mi interrogo per cercare di spiegarmi da cosa nascano tanto accanimento e avversione, spinti a un tale livello da indurre dei magistrati a stravolgere persino il senso comune e i percorsi razionali, in qualche misura prevedibili, di un sano e corretto argomentare giudiziario. Sono una roccia, ma stasera per un lungo momento ho temuto che fossero per la prima volta riusciti a spezzarmi. Ho anche vagheggiato il peggio Ma, come al solito, la ribellione all’ingiustizia, la feroce determinazione a reagire hanno prevalso in me. Ho guardato mia figlia, mia moglie. Ho deciso di continuare a battermi – prosegue Bobbio. Ma per la prima volta ho compreso i tanti che hanno mollato e si sono arresi. Ancora una volta passerò indenne e indifferente tra titoloni di gazzette e maldicenze. Chi mi conosce e mi stima farà come me. Degli altri, sinceramente, me ne strafotto. Maledico il giorno in cui decisi di essere sindaco di una città malvagia e malata, soggetta per di più allo sguardo occhiuto o compiacente, secondo i casi, di un ufficio giudiziario che, oggi posso dirlo, non stimo. Malgrado ciò, però, ho la tranquillità e la serenità di poter comunque dire che non odio ne’ avverso alcuno, ne’ persona fisica ne’ ufficio. Attendo il momento della Giustizia nella consapevolezza che anche questa dolorosa esperienza sta contribuendo a fare di me un magistrato migliore. Certamente meno peggio di troppi altri. Ah, comunque, chi lo temeva non si preoccupasse: non avevo alcuna intenzione – conclude – di ricandidarmi come sindaco!”

Cronache della Campania@2018

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