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Uccise l’amante con una coltellata alla gola a Poggiomarino. Condannato a 25 anni l’assassino di Luana Rainone

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Borrelli: “Questa è a la giustizia che vorremmo sempre, non come è avvenuto con Fortuna Bellisario. Rapida, decisa, dura e senza sconti.”

La Corte di Assise di Napoli ha condannato a 25 anni di reclusione Nicola del Sorbo per l’omicidio di Luana Rainone avvenuto lo scorso 23 luglio a Poggiomarino.

Dagli atti processuali è emerso che prima del delitto i due avessero cominciato litigare. I due erano amanti e Luana avrebbe preteso che Del Sorbo chiamasse la moglie per dirle della loro relazione. Da qui la discussione è degenerata e Del Sorbo avrebbe prima strappato di mano il cellulare a Luana e poi l’avrebbe colpita con un fendete alla gola con un coltello da cucina.

“Luana non potrà tornare in vita ma è doveroso che venga fatta giustizia in questa vicenda e questa volta la legge si è mossa rapidamente emettendo una condanna dura anche se magari ci si aspettava una condanna all’ergastolo, la sentenza potrà comunque essere rivista in Cassazione. Questa è il tipo di giustizia che vorremo sempre, rapida, decisa, dura e senza sconti di pena contro i criminali e gli assassini. Non come è successo con Fortuna Bellisario il cui assassino è stato condannato a 10 anni e mandato ai domiciliari dopo solo 2”. Le parole del Consigliere Regionale di Europa Verde Francesco Emilio Borrelli.

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Cronache della Campania@2015-2021


Amante del boss uccisa, processo bis per Belforte e sua moglie

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Fissato il processo in Appello per l’omicidio di Angela Gentile, la donna uccisa per aver avuto una relazione con il capoclan dei Mazzacane Domenico Belforte.

Dovranno presentarsi dinanzi alla Quarta Sezione della corte partenopea, all’udienza fissata ad inizio aprile, lo stesso boss Belforte (condannato in primo grado a trent’anni) e sua moglie Maria Buttone (condannata in primo grado all’ergastolo), accusati entrambi per il delitto. Appello anche per Alessandra Golino, nuora del boss, accusata di estorsione.

Secondo quanto ricostruito, Angela Gentile era stata per lungo tempo una fiamma di Domenico Belforte. Da lui, nel 1978, aveva avuto anche una figlia. Il boss, tuttavia, non aveva mai “ufficializzato” quella nascita, al punto da non riconoscere la neonata. Nel 1991, quando ormai la ragazza aveva 13 anni, Belforte si era riavvicinato alla Gentile al punto da offrirle anche alcuni contributi di ordine economico ma scatenando, al contempo, le ire della Buttone. Questa, perciò, pose l’uomo di fronte a un aut aut: o lo avrebbe lasciato, portando con sé i loro figli, oppure lui avrebbe dovuto assassinare quella donna e occultarne il cadavere; in cambio, avrebbe accettato di crescerne la figlia presso la loro casa. Il tragico epilogo della vicenda segnò la scelta del ras il quale, consumato il delitto, occultò il cadavere dell’amante in un sito ancora oggi ignoto. Allo stesso tempo, la Buttone tenne fede al patto, accogliendo la bambina presso casa “Belforte”.

Per la Corte di Cassazione – che ha confermato il carcere per la Buttone dopo la sentenza di primo grado – l’omicidio “non fu causato dalla gelosia di una moglie che aveva scoperto l’esistenza della relazione extraconiugale del marito, Domenico Belforte, a capo dell’associazione camorristica di Marcianise, quanto dalla pretesa, rispondente a deprecabili logiche criminali di tipo mafioso, della moglie del capo clan di ottenere adeguata compensazione per aver subito un torto e accettato di accogliere in casa la figlia illegittima che il marito aveva avuto da quella relazione”.

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Stupro in Circumvesuviana, i pm chiedono l’archiviazione

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La Procura di Napoli ha presentato richiesta di archiviazione per l’indagine relativa presunto stupro presentata da una ragazza di Portici, costretta a suo dire a subire rapporti sessuali nell’ascensore della stazione San Giorgio a Cremano della Circumvesuviana.

La vicenda risale al 5 marzo 2019

Nei confronti di due ragazzi da lei indicati come autori degli abusi vennero emesse ed eseguite misure cautelari che però furono revocate dal Tribunale del Riesame di Napoli.

Per giudici la ragazza non era credibile a causa del suo stato di salute psichica. Dalle telecamere si notò che i tre protagonisti di questa storia si conoscevano e che dopo il presunto stupro erano rimasti insieme anche a fumare una sigaretta.

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Processo Cerciello, i legali della famiglia: ‘Omicidio spietato e crudele’

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“Il delitto di Mario Cerciello e’ stato spietato e crudele. Lui era un carabiniere che operava con delicatezza ed e’ stato ucciso in servizio mentre faceva il suo lavoro.

Lo ha detto l’avvocato Massimo Ferrandino, legale di parte civile per conto di Rosa Esilio, vedova Cerciello, nel processo in corte d’assise che vede imputati gli americani Gabriel Natale Hjorth e Finnegan Lee Elder per il delitto del 26 luglio del 2019. Il legale poi ha aggiunto: “E’ morto dissanguato tra atroci dolori, con undici coltellate fino alla fine, fino alla colonna vertebrale. Non possiamo e non dobbiamo accettare la storiella dei due ragazzi indifesi che erano impauriti dalla mafia italiana: non sono due ragazzi ma due imputati di un gravissimo omicidio. In Italia se non si viene con un intento criminale non si porta un’arma da guerra”.

“Quello tra Mario e sua moglie – ha ricordato il penalista – era un amore viscerale ma le mani insaguinate di Elder lo hanno sottratto a Rosa Maria che purtroppo portera’ su di se’ tutte le ferite del marito. Il coltello  era visibilissimo, c’e’ un frame nel quale viene ripreso Elder all’uscita dell’ascensore assieme a Natale. Il coltello si vedeva non lo vedeva solo chi non voleva vederlo. Elder ha agito con crudelta’ e destrezza, non vedo giustificazioni, nessuna clemenza”. Alla fine dell’intervento del difensore di parte civile, la vedova Cerciello ha lasciato in lacrime l’aula Occorsio dove e’ in corso il processo.

GLI AVVOCATI: ‘GLI IMPUTATI NON SONO CREDIBILI’

Tre giorni fa, la procura ha chiesto alla corte di condannare all’ergastolo i due imputati. Per l’avvocato Ester Molinaro, che rappresenta gli interessi di Paolo, fratello di Mario Cerciello, “la ricostruzione della vicenda fatta dagli imputati non e’ affatto credibile. Cerciello aveva il tesserino e si e’ qualificato. Cosi’ come non e’ credibile Elder quando dice che nella colluttazione si e’ solo difeso. Parlano per lui le ferite a morte riportate da Cerciello.

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La capacita’ di intendere e di voler dell’imputato – ha proseguito la penalista – e’ chiara. Si e’ tentato di percorrere la strada del cortocircuito, ma Elder nella sua lucidita’ non si e’ portato il coltello a Trastevere, se lo e’ portato all’appuntamento a due passi dall’hotel dove poi e’ fuggito. Dopo il delitto lui e’ andato a dormire. Da parte sua non c’e’ stato alcun pentimento, il suo silenzio sul perdono e’ stato assordante, non l’ha mai chiesto”.

 

 

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Cronache della Campania@2015-2021

Processo bis ‘Mondo di mezzo’ : 12 anni Buzzi e 10 a Carminati

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I giudici della prima corte d’Appello hanno condannato a 10 anni di carcere l’ex Nar, Massimo Carminati e a 12 anni e 10 mesi, Salvatore Buzzi aumentando di circa due mesi la richiesta del pg, l’ex ras delle coop.

I giudici, al termine di una camera di consiglio durata oltre quattro ore, hanno disposto una ventina di condanne nel procedimento nato dalla decisione della Cassazione che, nell’ottobre del 2019, ha fatto cadere l’accusa di associazione mafiosa riconoscendo pero’ l’esistenza di due organizzazioni criminali distinte dedite anche alla corruzione di pubblici funzionari e amministratori locali. La Suprema corte ha quindi rimandato gli atti a piazzale Clodio per il riconteggio delle pene.

Nel primo processo di appello, nel settembre del 2018, Carminati era stato condannato a 14 anni e mezzo e Buzzi a 18 anni e 4 mesi col riconoscimento per entrambi dell’aggravante di mafia. Tredici imputati hanno ottenuto di concordare la pena. Tra loro l’ex consigliere regionale Luca Gramazio per una pena definitiva a 5 anni e 6 mesi, per Franco Panzironi 3 anni e 6 mesi. Per Riccardo Brugia 6 anni mentre per Fabrizio Franco Testa 5 anni e 6 mesi, Matteo Calvio 5 anni e 7 mesi, Paolo di Ninno 3 anni 8 mesi e 10 giorni, Alessandra Garrone (moglie di Buzzi) 2 anni 9 mesi e 10 giorni, Claudio Caldarelli 4 anni e 5 mesi. Assolti, invece, Angelo Scozzafava e Antonio Esposito. Alla lettura della sentenza era presente la sindaca Virginia Raggi.

Carminati e Buzzi sono tornati liberi la scorsa primavera per decorrenza termini. L’ex Nar e’ stato scarcerato dopo avere svolto 5 anni e 7 mesi di detenzione preventiva una parte della quale, fino al luglio del 2017, in regime di 41 bis, il carcere duro. Al momento nei confronti di Carminati non sono arrivati nuovi provvedimenti restrittivi da parte della Corte d’Appello o della Procura ed e’ stato disposto l’obbligo di dimora.

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Cronache della Campania@2015-2021

Castellammare, scomparso da 9 anni: presi gli assassini di Raffaele Carolei

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carabinieri-castellammare

Ucciso e fatto sparire come nel più classico dei casi di Lupara Bianca. E ora a 9 anni di distanza si fa luce sull’omicidio di Raffaele Carolei.

Stamane infatti i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dall’ufficio G.I.P. del Tribunale di Napoli su richiesta della Procura della Repubblica di Napoli – Direzione Distrettuale Antimafia – nei confronti di Gaetano Vitale (classe 1977), e Giovanni Savarese (classe 1973) – quest’ultimo già detenuto anche per altri titoli custodiali – gravemente indiziati di essere gli esecutori, in concorso, di un efferato omicidio di camorra.
L’odierno provvedimento scaturisce da un’articolata attività di indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Napoli – DDA, relativa alla scomparsa di Raffaele Carolei, denunciata dai familiari ai Carabinieri di Castellammare di Stabia il 10 settembre 2012.

 attirato in trappola a casa dei Rapicano

Le indagini, hanno permesso di stabilire che, il giorno stesso della scomparsa, attraverso uno stratagemma architettato da Pasquale Rapicano e Gaetano Vitale, la vittima veniva attirata nell’abitazione di Catello Rapicano, dietro il pretesto di poter discutere più liberamente di affari criminali relativi al traffico di droga. Fatto ingresso nell’appartamento, il Carolei veniva fatto accomodare al tavolo della cucina, ove in un attimo di distrazione veniva avvinghiato alle spalle da  Catello Rapicano che, bloccandolo nei movimenti, permetteva a Giovanni Savarese di posizionargli al collo una corda, tirata alle estremità rispettivamente da quest’ultimo e da  Pasquale Rapicano, mentre  Gaetano Vitale gli bloccava le mani per impedirgli di potersene liberare.

 IL CORPO FATTO SPARIRE NELLA ZONA DI SCHITO

Una volta ucciso, il cadavere dell’uomo veniva imbustato e caricato a bordo di un autoveicolo, con il quale Gaetano Vitale provvedeva a trasportarlo, scortato sulla strada da Pasquale Rapicano che lo anticipava a bordo di uno scooter, in un fondo della zona di via Schito, e lasciato nella disponibilità di  Pasquale Vuolo, che provvedeva autonomamente a disfarsene senza più permetterne il ritrovamento.
All’omicidio forniva un importante contributo anche Giovanni Battista Panariello, all’epoca minorenne, che con il ruolo di vedetta si posizionava nei pressi dell’abitazione di  Catello Rapicano, sorvegliando la strada da eventuali situazioni di pericoli che potessero minare l’azione di morte.

L’omicidio di Raffaele Carolei avveniva in esecuzione all’ordine emanato dai vertici del clan D’Alessandro, nei confronti di tutti coloro i quali, precedentemente affiliati al contrapposto gruppo Omobono-Scarpa, avevano partecipato all’omicidio di  Giuseppe Verdoliva, autista e persona di estrema fiducia del defunto capo clan Michele D’alessandro.

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Cronache della Campania@2015-2021

Camorra, Il Riesame non crede ai pentiti: scarcerato imprenditore

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Camorra, Il Riesame non crede ai pentiti: scarcerato imprenditore

E’ stato scarcerato dopo oltre due settimane di detenzione in carcere l’imprenditore Raffaele Parente, arrestato il 22 febbraio per associazione camorristica nell’ambito di un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Parente era ritenuto affiliato al clan dei Casalesi, in particolare alla fazione guidata da Michele Zagaria, grazie al cui appoggio avrebbe ottenuto diversi appalti nel settore del trasporto dei rifiuti.

Il Tribunale del Riesame di Napoli ha annullato l’ordinanza emessa dal Gip partenopeo che disponeva la carcerazione di Parente (difeso da Ferdinando Letizia), ritenendo che non sussistessero i gravi indizi di colpevolezza; in particolare sono state considerate generiche, e senza riscontri, le dichiarazioni accusatorie di diversi collaboratori di giustizia che hanno indicato Parente come uomo di Zagaria. L’indagine e’ iniziata nell’agosto del 2017 dopo l’ennesimo sversamento abusivo di rifiuti urbani, scoperto in flagranza, in un terreno a cavallo tra le provincie di Napoli e Caserta.

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Napoli, schiacciata dall’albero: condanna confermata per l’agronoma del comune

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La seconda sezione della Corte di Appello di Napoli ha confermato la condanna in primo grado a un anno e quattro mesi (pena sospesa) inflitta all’agronoma del Comune di Napoli, Cinzia Piccioni.

Ignorato in relazione alla morte di Cristina Alongi, la donna di 44 anni schiacciata da un pino abbattutosi sulla sua auto, in via Aniello Falcone, il 10 giugno del 2013. La funzionaria comunale, il 5 luglio 2018, era stata gia’ condannata in secondo grado dalla prima sezione della Corte di Appello di Napoli, ma con i suoi legali presento’ ricorso in Cassazione: il 5 giugno 2019 la Suprema Corte ha annullato la sentenza rimandando il giudizio a un’altra sezione (la seconda) della Corte di Appello di Napoli. Questi giudici, lo scorso 3 febbraio, hanno confermato il pronunciamento di primo grado.

L’agronoma fu l’unica dei tre imputati ad essere condannata in primo grado, il 16 settembre 2016. In quell’occasione vennero assolti gli altri due imputati: un agente della Polizia Municipale e un vigile del fuoco. In secondo grado, nel luglio 2018, venne condannato dalla prima sezione della Corte di Appello anche il vigile del fuoco, a un anno e sei mesi di reclusione. Per i giudici la tragedia poteva essere evitata se il pino fosse stato messo in sicurezza il 23 maggio di quell’anno (il 2013) quando il titolare di un bar, accortosi del pericolo rappresentato da quell’albero, lancio’ l’allarme telefonando ai vigili del fuoco.

Qualche mese prima, l’ufficio comunale preposto esegui’ una ispezione visiva dell’albero senza pero’ rivelare le critiche condizioni in cui versava. Il marito e la figlia di Cristina Alongi sono stati assistiti nel processo dagli avvocati Andrea Imperato e Adriano Baffi, mentre i fratelli della vittima si sono affidati al penalista Maurizio Sica. “La sentenza ricostruisce nel dettaglio le ragioni della responsabilita’ penale per la sottovalutazione delle condizioni dell’albero, – dice l’avvocato Baffi – nonche’ per la mancata segnalazione della necessita’ di un intervento immediato. La caduta del pino di via Aniello Falcone era un evento prevedibile. La noncuranza delle autorita’ pubbliche, garanti della tutela del verde e dell’incolumita’ dei cittadini, non ha permesso di scongiurare il crollo”, conclude il legale.

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‘Ho visto Marianna lanciarlo dalla finestra…’ le accuse choc al processo

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“Ho visto Marianna prendere in braccio suo figlio Antonio e lanciarlo dalla finestra. Ero di spalle ma ho visto la scena dallo specchio”.

E la dichiarazione choc  che Antonietta Caputo, sorella di Raimondo detto ‘Tito”,  ha fatto mettere a verbale durante le indagini, nonostante in un primo tempo quella morte fosse stata ritenuta un incidente domestico. La donna deve rispondere di favoreggiamento, ed è anche la ‘cognata’ di Marianna Fabozzi, madre di Antonio, morto a 4 anni, e accusata dell’omicidio avvenuto il 28 aprile 2013 a Caivano , nelle case Iacp del parco Verde, e’ chiamata a confermare quelle parole. Sarà la testimone principale. Il suo racconto sara’ al centro dell’udienza del 20 aprile che si celebra davanti ai giudici della seconda Corte d’Assise di Napoli.

AVEVA RACCONTATO CHE SI ERA SPORTO PER VEDERE UN AEREO

Marianna Fabozzi agli inquirenti otto anni fa aveva raccontato che il piccolo si era sporto dalla finestra per vedere un elicottero che stava passando sulle case popolari ed era caduto. Una ricostruzione che aveva lasciato ombre di dubbio per alcuni elementi contraddittori, compresa una scarpetta del bambino mai trovata. Per fare luce sulle sue dichiarazioni, l’avvocato Sergio Pisani, legale di Gennaro Giglio, padre di Antonio, nell’ambito delle sue indagini difensive, ha inoltrato all’Enac una istanza affinche’ verifichi se quel giorno, all’ora in cui avvenne la caduta del bambino, sopra il parco c’era un velivolo in volo.

MARIANNA E TITO CONDANNATI PER L’OMICIDIO DI FORTUNA

Raimondo Caputo detto Tito e Marianna Fabozzi sono stati gia’ condannati per l’omicidio della Fortuna Loffredo, la bimba di 7 anni lanciata nel vuoto da Caputo dall’ottavo piano dello stesso palazzo in cui e’ morto Antonio, le cui sorelline erano amiche di Fortuna. L’uomo abusava sessualmente della piccola e l’avrebbe uccisa per un suo rifiuto di subire altre violenze. Marianna Fabozzi in questo processo e’ stata accusata di favoreggiamento perche’ non ha denunciato gli abusi l’uomo imponeva persino alle sue figlie.

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Castellammare, i pentiti fanno riaprire l’inchiesta sull’omicidio Corrado

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La Procura di Napoli ha riaperto le indagini sull’omicidio di Sebastiano Corrado, il consigliere comunale del Pds 45enne assassinato l’11 marzo 1992 a Castellammare di Stabia.

Del caso si stanno occupando il sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, Giuseppe Cimmarotta e il procuratore Giovanni Melillo. L’11 marzo del 1992 alle 14,30 a Castellammare di Stabia venne assassinato Sebastiano Corrado, 45 anni, ex Repubblicano eletto consigliere comunale indipendente nel Pds. Due killer in sella di una moto lo avvicinarono mentre stava tornando a casa in via Virgilio e gli spararono contro 4 colpi di pistola al bersaglio grosso e uno, quello di grazia, alla testa.

 LA VISITA DI COSSIGA E OCCHETTO A CASA DELLA VITTIMA

L’omicidio del consigliere comunale del Pds avvenne in piena campagna elettorale. Sebastiano Corrado aveva fatto parte di alcune commissioni comunali (Bilancio e Finanze, Urbanistica) nelle quali aveva assunto il ruolo di intransigente moralizzatore. Il delitto di camorra portò nella casa della vittima, il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, il ministro dell’Interno Scotti, il segretario del Pds Achille Occhetto, numerosi parlamentari di tutti gli schieramenti e il giorno dei funerali si svolse una grande manifestazione contro la camorra.

Un omicidio dalle tipiche modalita’ camorristiche, secondo l’ipotesi investigativa dell’epoca, commesso per ritorsione nell’ambito della presunta gestione illecita degli appalti che ruotavano intorno all’ospedale San Leonardo di Castellammare. Gli investigatori ipotizzarono, sempre all’epoca, che a decidere la morte di Corrado fossero stati i vertici del clan D’Alessandro.

L’INCHIESTA SULL’USL 35 E IL GIRO DI TANGENTI

La realtà era, purtroppo diversa, Sebastiano Corrado era impiegato all’ospedale di Castellammare, nell’ufficio economato e qualche mese dopo il delitto ci fu una serie di arresti inquella che all’epoca era la Usl 35 di Castellammare. Corrado era coinvolto in quella inchiesta . Il 19 giugno del 1992 vennero arrestati per corruzione 12 persone amministratori dell’Usl 35 e altre sei risultarono ricercate per l’omicidio proprio di Sebastiano Corrado. L’inchiesta riguardava un vorticoso giro di mazzette legati agli appalti e alle forniture per la Usl di Castellammare. tra le persone arrestate il 19 giugno. le tangenti pagate andavano dal 10 al 20% dell’importo dell’appalto o della fornitura. E se fosse stato vivo, affermarono gli investigatori, anche Sebastiano Corrado sarebbe stato fra gli arrestati. Era però stato ucciso.

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Uccise la figlia appena nata: la Cassazione conferma condanna della madre

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Uccise la figlia appena nata, lanciandola in un canalone. Ma per più di dieci anni è riuscita a mantenere il segreto. Oggi la condanna definitiva a 14 anni di reclusione

E’ la storia tragica di una 47enne di Benevento, che nel 2000 partorì una bimba. Il corpicino della piccola con il cranio fracassato fu trovato il 2 aprile del 2000 su un gradone di cemento. Le indagini che seguirono non portarono all’identificazione della madre. Soltanto undici anni più tardi, nel 2011, grazie alle rivelazioni dell’ex moglie di un parente della donna, si riuscì a dare una identità alla madre di quella bimba, trovata in contrada Ripamorta di Benevento e sepolta con il nome di Angela Speranza.

Incastrata dal Dna

La donna, durante il processo di primo grado dinanzi alla corte d’Assise di Benevento, si era difesa sostenendo di aver avuto figli solo dopo esseri sposata nel 2004. Ma a incastrarla le prove del dna. Dall’autopsia sul corpicino della bimba emerse che la piccola era nata viva, aveva respirato ed era morta per la grave frattura cranica.

Nel 2019 la condanna a 14 anni di carcere inflitta dalla corte d’Appello di Napoli e la conferma oggi dalla corte di Cassazione. La donna è già detenuta.

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Mazzata per il clan di ‘Abbasc Miano’: condanne per 313 anni di carcere

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Mazzata per il clan di ‘Abbasc Miano’: condanne per 313 anni di carcere

Il Tribunale di Napoli ha inflitto, complessivamente, 313 anni e mezzo di carcere a 36 imputati, tra capi e gregari del gruppo camorristico napoletano denominato “Abbasc Miano”, ritenuto dalla DDA composto dalle giovani leve del clan Lo Russo.

Le pene piu’ pesanti sono state comminate ai capi, tutti giovanissimi: il 24enne Matteo Balzano (20 anni di reclusione), il 30enne Gianluca D’Errico (19 anni e 4 mesi) e il 26enne Salvatore Scarpellini (19 anni e 4 mesi). Tra i reati contestati dal sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Enrica Parascandolo, per i quali il giudice ha inflitto le condanne, figurano l’associazione a delinquere di stampo camorristico e l’associazione a delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti.

Il giudice Marcello De Chiara ha comminato anche multe per quasi 52mila euro e riconosciuto risarcimenti nei confronti del Comune di Napoli che si era costituito parte civile. Tra i condannati anche Maria Trambarulo, 31 anni, nipote di Gennaro Trambarulo, elemento di spicco della cosiddetta “Alleanza di Secondigliano”, legata e al boss Salvatore Silvestri e Vincenza Carrese, 31 anni, moglie di Pasquale Sibillo che, insieme con il fratello Emanuele (assassinato in un agguato) era uno dei capi dell’omonimo gruppo camorristico dei Decumani, facente parte della cosiddetta “Paranza dei bambini”. Assolto dal reato di associazione a delinquere Gaetano Garnier (difeso dall’avvocato Raffaele Chiummariello) che ha subi’to una condanna (2 anni e 6 mesi) per spaccio.

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Camorra: tutte le condanne al clan di ‘Abbasc Miano’

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Oltre tre secoli di carcere. Questo la sentenza di condanna pronunciata dal gup di Napoli Marcello De Chiara per gli esponenti della camorra del quartiere Nord di Napoli di Miano.

In particolare si tratta della costola nata dalla scissione dei Lo Russo, il gruppo cosiddetto di ‘abbasc Miano’, tutto composto da giovani leve dei ‘capitoni’, come i Lo Russo erano noti. Le condanne piu’ pesanti sono state comminate ai capi del gruppo, tutti giovani: il 24enne Matteo Balzano (20 anni di reclusione), il 30enne Gianluca D’Errico (19 anni e 4 mesi) e il 26enne Salvatore Scarpellini (19 anni e 4 mesi). Condanne anche per Vincenzo Gangiano (13 anni), Angelo Contiello (11 anni). Patrizio D’Aria (12 anni), Giuseppe Falcone (12 anni). Tra i reati contestati dal sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Enrica Parascandolo, figurano l’associazione a delinquere di stampo mafioso e l’associazione a delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti.

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Multe per 52mila euro e riconosciuti risarcimenti nei confronti del Comune di Napoli che si era costituito parte civile. Tra i condannati anche Maria Trambarulo (2 anni e 8 mesi), nipote di Gennaro Trambarulo, elemento di spicco della cosiddetta ‘Alleanza di Secondigliano’, legata e al boss Salvatore Silvestri (condannato a 2 anni e 8 mesi) e Vincenza Carrese (2 anni e 6 mesi). Assolto dal reato di associazione a delinquere Gaetano Garnier (difeso dall’avvocato Raffaele Chiummariello) che ha subito una condanna (2 anni e 6 mesi) per spaccio.

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‘Non volevo ucciderla…’, le lacrime e la confessione di Pinotto

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ornella pinto casa

“Non vedrò più figlio, non so come farò a sopportarlo”.

Ha pianto più volte durante la sua confessione Pinotto Iacomino che l’altra notte a Napoli ha ucciso con 12 coltellate la compagna Ornella Pinto e madre del piccolo che compirà 4 anni il giorno della festa del papà.

E’ in carcere a Terni da ieri sera dopo la fuga e la consegna ai carabinieri di Montegabbione, paesino umbro dove vivono alcuni suoi familiari. Ieri pomeriggio ha reso piena confessione davanti al pm Elena Neri della Procura di Terni.

la confessione: ‘Non volevo, ho perso la testa…’

“Non volevo ucciderla- ha detto- ero entrato in casa per cercare una riappacificazione. Da circa un anno non andavamo più d’accordo. Abbiamo iniziato a discutere. Lei ha continuato a respingermi dicendomi che non voleva più tornare con me. Ho pensato che non averi visto più mio figlio e ho perso la testa…”.

 la ricostruzione del femminicidio

Il delitto – in base a quanto si apprende da fonti investigative – sarebbe avvenuto dopo una lite. In casa, al momento dell’omicidio, era presente anche il figlio minorenne della coppia. Giuseppe ‘Pinotto’ Iacomino, che gestisce con i suoi familiari un piccolo albergo ad Ercolano è entrato nella casa dove la professoressa di sostegno (Ornella è laureata in filosofia) del Liceo Artistico Santissimi Apostoli a Napoli, con la chiave che aveva ancora con se nonostante la separazione da circa due settimane. Erano da poco passate le 4,30 della notte. Ornella che era in camera da letto si è svegliata , dormiva accanto al figlioletto. I due hanno iniziato a litigare in cucina, poi il raptus improvviso. Pinotto ha afferrato un coltello e l’ha colpita più volte. Ornella ha cercato di difendersi, è scappata in camera da letto. Ma la furia omicida di Pinotto non su placata nonostante la presenza del figlio che nel frattempo si era svegliato per le urla della mamma. E li ha inferto il colpo probabilmente mortale. Pinotto è scappato lasciando l’appartamento al terzo piano di via Filippo Cavolino  a pochi passi da piazza Carlo III.

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Sulla versione dei fatti fornita dall’uomo i carabinieri del Nucleo investigativo di Terni e del comando compagnia di Orvieto – sotto il coordinamento diretto del procuratore capo Alberto Liguori – insieme agli agenti della squadra mobile di Napoli, svolgeranno comunque approfondimenti. Quanto alla scelta di costituirsi a Montegabbione, secondo quanto accertato dai militari e’ emerso che l’uomo, dopo essersi allontanato dal luogo dell’omicidio, si e’ messo alla guida della propria auto  e si è diretto nel paesino umbro dove si era riparato da alcuni giorni a casa di parenti.

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Il ricordo sui social

Da ieri mattina sui social molte colleghe e amiche hanno voluto ricordare la prof uccisa. Commovente quello della sua amica Federica Esposito che posta anche una foto insieme con al vittima: “Si è spenta, Ornella Pinto, una giovane professoressa di 39 anni, uccisa dall’ex-convivente, con 12 coltellate all’addome.
un giorno questa splendida donna mi scrisse: “ciao piccolina, diciamoci la verità, l’adolescenza è una vera schifezza! ma è destinata ad essere superata e soprattutto essere ricordata con un sorriso proprio come è successo a me […] ricorda sempre che come me ci sono tante persone che ti vogliono bene e che non sarai mai sola […]

la tua principale alleata e amica per superare i momenti difficili è in te! solo quando imparerai ad esserti amica e ad amarti riuscirai ad accettare anche l’amore e il supporto degli altri […] tu non cadere in tentazione e se proprio dovesse capitare immagina una carezza su quella testolina piena di pensieri e di splendidi capelli… quella carezza è la mia! “
queste sono poche di tutte le parole che ha speso questa donna per me, nei mesi di “chiacchiere” infinte, ed è impossibile racchiudere in 4 righe la forza che mi ha trasmesso e tutte le cose che mi ha insegnato, ho sempre conservato gelosamente tutto questo.
è facile parlare di femminicidio e di “numeri” quando questi non ti toccano da vicino. Sit tibi terra levis 💔”.

Rosaria Federico

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Clan Graziano: condanne per oltre 30 anni di carcere

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Cinque condanne per esponenti del clan Graziano accusati di racket e minacce a imprenditori del Vallo di Lauro.

Incendiarono due bobcat, minacciarono ripetutamente operai e titolare dell’azienda che si era aggiudicata i lavori di rifacimento della rete fognaria di Domicella, per un importo di oltre 5 milioni di euro, e pretesero una tangente di 100mila euro dal titolare di un’impresa di servizi funebri che gestisce il forno crematorio sempre a Domicella. Ora i figli e il genero del boss Arturo Graziano e altri due affiliati al clan che controlla il Vallo di Lauro sono stati condannati con rito abbreviato dal tribunale di Napoli. Rispondevano di estorsione e tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, di incendio doloso e danneggiamento oltre che di minacce aggravate.

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I fratelli Fiore e Salvatore Graziano dovranno scontare 7 anni e 8 mesi di carcere, mentre il genero di Graziano, Antonio Mazzocchi, ex poliziotto poi destituito dopo la strage delle donne del clan Cava del 2002, e’ stato condannato a 7 anni e sei mesi di carcere. Pene piu’ lievi per Domenico Desiderio, condannato a 7 anni, e per Lodovico Rega, condannato a 3 anni e 4 mesi di carcere. I pm della direzione distrettuale antimafia di Napoli Luigi Landolfi e Simona Rossi avevano chiesto 14 anni di reclusione per i fratelli Graziano, ritenuti i mandanti degli attentati e gia’ detenuti per essere arrestati un anno fa per aver progettato un attentato contro la moglie e il figlio del boss rivale Biagio Cava, morto alcuni anni fa.

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Femminicidio di Fortuna, la Procura chiede la condanna per omicidio doloso

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femminicidio bellisario

La Procura di Napoli ha chiesto la riforma della sentenza emessa in primo grado nei confronti di Vincenzo Lopresto, condannato a 10 anni di reclusione, con rito abbreviato, per l’omicidio preterintenzionale della moglie, Fortuna Bellisario, avvenuto a Napoli, nel 2019.

La Procura hanno fatto istanza alla Corte di Appello di Napoli affinché Lopresto venga ritenuto colpevole di omicidio doloso e non di omicidio preterintenzionale. Il processo di primo grado prese il via ipotizzando nei confronti dell’imputato il reato di omicidio doloso. Successivamente venne chiesta l’attenuazione in omicidio preterintenzionale, per il quale il gup emise una condanna a dieci anni di reclusione.

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Di recente l’uomo, che per problemi di deambulazione è su una sedia a rotelle, è stato scarcerato e messo ai domiciliari, dopo due anni di detenzione, nell’abitazione della mamma che si trova nel rione Sanità di Napoli. Un decisione che ha suscitato forte disapprovazione nell’opinione pubblica.

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Morte Giuseppe: la Procura chiede l’ergastolo anche per la mamma

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La Procura di Napoli ha presentato appello contro la decisione di assolvere dal reato piu’ grave, ovvero dalla complicità nell’omicidio del figlio Giuseppe Dorice, ucciso a bastonate dal compagno Tony Essobti Badre, a Cardito , il 27 gennaio 2019.

La donna era stata condannata nel novembre scorso a 6 anni di carcere per omissione di tutti i capi d’accusa contestati a Badre. Diciotto testimoni da ascoltare nel processo d’appello, perche’ la Procura di Napoli Nord vuole che la madre di Giuseppe sia condanna non solo per concorso in maltrattamenti, ma anche per i comportamenti omissivi che hanno portato all’omicidio del figlio di 7 anni. Tony Essobti, compagno della donna, e’ gia’ stato condannato all’ergastolo, mentre Valentina Casa e’ stata assolta dall’accusa di concorso nell’omicidio di Giuseppe e nel tentato omicidio della figlia Noemi, 12 anni, anche lei bersaglio delle perscosse dell’uomo anche con un bastone. Valentina Casa e’ stata invece riconosciuta colpevole, e condannata a sei anni, per maltrattamenti verso i figli, in concorso con Essobti. La procura ha presentato appello contro la decisione di assolverla dal reato piu’ grave.

LE ACCUSE DELLA PROCURA CONTRO VALENTINA CASA

Nell’atto di accusa, sottoscritto dai pm Fabio Sozio e Paola Izzo, la sentenza, emessa nel novembre scorso, sarebbe illogica e contraddittoria. Quella notte nella casa di via Marconi a Cardito, Essobti picchio’ anche alla testa Giuseppe fino ad ucciderlo e anche Noemi, ferendola fino al punto di comprometterne l’udito. I due pm scrivono di “martirio dei due bambini”, e di una madre inerme di fronte alle violenze commesse dal compagno, anzi attiva nel cercare di nasconderne le tracce.

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Valentina Casa ha riferito di aver urlato e tentato di fare qualcosa, ma che il compagno reagi’ dandole un morso sul collo e tirandole i capelli; circostanze queste, che la procura ha sempre ritenuto false, basandosi su dati oggettivi come le intercettazioni dopo l’arresto dell’uomo, testimonianze e altri elementi prodotti in giudizio. Il morso, in particolare, le fu dato dal convivente prima delle violenze verso i bimbi, e delle urla verso il compagno non vi sarebbe stata traccia. Ecco perche’ la procura provera’ a sentire nuovamente diversi testimoni che ricostruirono le fasi antecedenti al tragico delitto.

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Neonato ustionato: il gip convalida l’arresto dei genitori

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 Il gip di Napoli Rosaria Maria Aufieri ha convalidato l’arresto in carcere nei confronti dei genitori del piccolo Vincenzino ricoverato in prognosi riservata, nell’ospedale Santobono di Napoli, per ustioni gravissime.

Concetto Bocchetti, il papà di 46 anni, resta in carcere. Il carcere e’ stato disposto anche per Alessandra Terracciano, 36 anni, che pero’ rimane per ora piantonata nell’Ospedale del Mare dove e’ ricoverata. Appena i sanitari daranno il loro nullaosta verra’ sottoposta a interrogatorio.

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Entrambi furono arrestati dai carabinieri, nelle prime ore dello scorso 17 marzo, con l’accusa di abbandono di minori e maltrattamenti con lesioni gravissime.

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Napoletani scomparsi in Messico: Francesco Russo primo teste al processo

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Napoletani scomparsi in Messico: Francesco Russo primo teste al processo

Sara’ Francesco Russo, figlio, fratello e cugino, rispettivamente, di Raffaele Russo, Antonio Russo e Vincenzo Cimmino, i tre napoletani scomparsi in Messico il 31 gennaio 2018, il primo testimone del processo che vede imputati tre dei quattro agenti della polizia locale accusati di avere rapito i tre italiani per consegnarli a un boss del Cartello “Jalisco Nueva Generacion”.

L’udienza iniziera’ alle 17,30 (ora italiana) nella citta’ di Ciudad Guzma’n, nello stato messicano di Jalisco. Francesco Russo, per via dell’emergenza pandemica, non si rechera’ nell’ambasciata messicana di Roma ma si presentera’ al giudice, agli avvocati degli agenti e al pubblico ministero in videoconferenza, dalla sede del Consolato Onorario Messicano di Napoli. In Messico sara’ rappresentato dall’avvocato Joaquin Esparza che coadiuva in loco l’avvocato Claudio Falleti. Previsto anche il controesame dei legali di Francesco che in questo processo e’ testimone ma anche persone offesa (nei casi di sparizione forzata le autorita’ giudiziarie messicane viene definita “victimas indirectas”).

L’udienza a distanza e’ stata organizzata dall’avvocato Falleti insieme con la rappresentanza diplomatica italiana in Messico, per evitare il viaggio di Francesco Russo, che sara’ accompagnato dall’avvocato Luigi Ferrandino. “Ho chiesto specificatamente la presenza di un interprete, a Napoli, – fa sapere Falleti – per fare in modo che la testimonianza di Francesco possa essere resa in lingua italiana, cosi’ da garantire la serenita’ nell’esposizione, rafforzando nel contempo il suo diritto alla difesa. Visto il lungo elenco dei testi, moto probabilmente l’udienza durera’ diversi giorni, inframezzata da sospensioni. Siamo certi che – conclude l’avvocato Falleti – la possibilita’ di rendere testimonianza, ci aiutera’ processualmente a definire in prima persona la ricostruzione dell’ultima fase della sparizione dei nostri tre connazionali”.

Francesco Russo era in auto con suo fratello Daniele, in un’altra localita’ messicana, quando Antonio e Vincenzo inviarono il loro ultimo messaggio in chat, per far sapere che erano stati prelevati dalla polizia locale di Tecalitlan. Di Raffaele, intanto, gia’ si erano perse le tracce da qualche ora: il suo telefono risultava infatti gia’ spento. Allarme scatto’ quando i due seppero che nel posto di polizia Antonio e Francesco non c’erano mai arrivati

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Pizzo gli imprenditori di Casoria: preso ras del clan Moccia

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Chiedevano tangenti agli imprenditori di Casoria e dintorni a nome del clan Moccia ordinanza cautelare per il ras Salvatore Barbato e due suoi complici.

Stamane infatti i militari del Comando Compagnia di Casoria e del Nucleo Investigativo di Castello di Cisterna hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Napoli, su richiesta della DDA di Napoli, nei confronti di tre persone, Barbato Salvatore, 55 enne, Russo Tommaso, 40enne, e Sorrentino Gennaro, 39 enne, per tentata estorsione, aggravata dal metodo mafioso.

Le indagini sono partite dalla denuncia sporta nel mese di gennaio da un imprenditore edile che stava eseguendo dei lavori di ristrutturazione presso un cantiere privato di Casoria, a cui era stata avanzata una richiesta di denaro per poter proseguire l’attività.

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Attraverso l’analisi dei sistemi di videosorveglianza della zona e le attività investigative svolte dai militari della Sezione Operativa della Compagnia Carabinieri di Casoria, sono state ricostruite le diverse fasi in cui si è consumata la tentata estorsione, identificando i soggetti che si erano recati sul cantiere.

Barbato Salvatore, alias “Totore O’ Can”, è ritenuto elemento contiguo al clan Moccia, mentre Russo Tommaso, lo scorso primo febbraio, è stato ferito da colpi d’arma da fuoco esplosi da ignoti a bordo di un’autovettura nella piazza Cirillo di Casoria.

Per il medesimo episodio delittuoso, i citati soggetti erano stati già raggiunti da provvedimento di fermo emesso dalla DDA di Napoli, eseguito dai Carabinieri di Casoria l’11 febbraio 2021, poi non convalidato dal Tribunale di Napoli Nord. Pertanto, alla luce delle ulteriori indagini svolte, e delle nuove fonti probatorie raccolte, sono state confermate le precedenti ipotesi accusatorie per cui è stato richiesto ed ottenuto dalla DDA di Napoli l’odierno provvedimento cautelare a carico dei tre soggetti.

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