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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Racket al mercato dei fiori di Pompei: l’emissario dei boss Di Martino e Bisogni: “Ca cumannammo nuie”

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Pompei. “Te va cercann Giggino… se chesta robba è tua, devi fargli un regalo…ca cumannammo nuie”. Le minacce erano continue e chiunque si rifiutava di pagare il pizzo veniva messo in riga dagli uomini del clan Cesarano. Il boss Luigi Di Martino inviava il suo emissario a fare le ‘ambasciate’ per imporre ad ogni imprenditore 2000 euro al mese da pagare per ‘lavorare in tranquillità’. Il 27 novembre 2015 ad A.I., uno degli operatori floricoli del Mercato dei fiori di Pompei, viene chiesto di pagare e le minacce non sono affatto implicite. Stamane i carabinieri e la guardia di finanza hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare di oltre 150 pagine firmata dal gip di Napoli, Emilia Di Palma, che chiude un’inchiesta durata circa tre anni e che ha portato all’arresto in carcere di 7 persone, a 4 indagati sono stati concessi i domiciliari, e altri 5 indagati restano a piede libero. Di Martino, insieme a Giovanni Cesarano, appena scarcerato nel 2015 aveva rimesso in piedi il racket sui fiori, stringendo anche una alleanza operativa con il gruppo camorristico salernitano dei Pecoraro-Renna, insieme al quale, attraverso il reggente Enrico Bisogni, aveva messo in piedi una società, la Engy service srl, nata il 29 luglio di quattro anni fa per la logistica del trasporto fiori. La società aveva il monopolio nel Mercato dei Fiori, ed era diventata uno strumento per rastrellare altre tangenti ai commercianti che vi operavano. Un trasportatore lo dice con chiarezza ai pm in un verbale del 22 novembre 2017: “da fine 2015 lavoravo autonomamente per i trasporti degli operatori del Mercato e facevo almeno un viaggio a settimana per loro. A fine 2016 sono stato estromesso perché non ho voluto lavorare con Engy service, non volendo accondiscendere alle imposizioni dettate da loro. Non ho più effettuato trasporti con un ingente danno economico dopo aver lavorato lì per 20 anni”. La società era ovviamente intestata a un prestanome, A.M., ma di fatto diretta da Di Martino e Bisogni. Il ‘pizzo’ ai florovivaisti veniva riscosso dagli emissari del clan ogni 10 del mese, e andava dai 1.500 ai 2mila euro, a secondo del volume di affari, ma ad A.G., titolare di una cooperativa, per esempio, la richiesta era di 20 euro per ogni singolo spazio di merce trasportato, equivalente a due carrelli di fiori; quando l’uomo si rifiuta di pagare, arriva il pestaggio, calci al volto e all’addome che gli procurano tra l’altro una frattura alle costole e una prognosi di 25 giorni per la guarigione. Nel corso delle indagini, gli imprenditori – per paura – hanno collaborato poco con gli inquirenti. Nel 2016, ad esempio, le forze dell’ordine fermano all’uscita di un’azienda Aniello Falanga, pure destinatario della misura cautelare e già detenuto, e la perquisizione a suo carico permette di sequestrare 1.550 euro e una lista di nomi; l’uomo si difende dicendo che i soldi sono per acquisti per il suo bar, inutilmente. Il titolare della ditta dalla quale andava via Falanga viene sentito dagli investigatori, ma non dice nulla e solo la moglie rivela che ogni mese pagava la cosca, ma nessuno dei due formalizza una denuncia.

Cronache della Campania@2018


Cybercrime a Napoli, i dati intercettati illegalmente da Exodus finivano nei cloud di Amazon negli Usa

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Napoli. I dati intercettati dalla piattaforma informatica Exodus, fino a qualche mese fa utilizzata da diversi uffici inquirenti italiani, finivano tutti nei cloud di Amazon. Il pool cybercrime della Procura di Napoli (coordinato dal procuratore Giovanni Melillo e dal procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli) ha chiesto e ottenuto l’arresto di due persone, per le quali il gip di Napoli Rosa de Ruggero ha disposto i domiciliari. Le misure cautelari sono state emesse dopo indagini innovative, praticamente uniche in Italia, che hanno visto impegnati esperti dei carabinieri del Ros, del Nucleo speciale tutela frodi tecnologiche della Guardia di Finanza e della Polizia Postale (Cnaipic). Gli indagati sono accusati dei reati – continuati e in concorso – di accesso abusivo a sistemi informatici, intercettazioni illecite, trattamento illecito di dati e frode in pubbliche forniture. I provvedimenti restrittivi riguardano Diego Fasano, 46 anni, amministratore di fatto della E-surv, la società proprietaria della piattaforma informatica Exodus, e Salvatore Ansani, 42 anni, direttore della infrastruttura IT di E-Surv, ritenuto il creatore e gestore della piattaforma. I circa 80 terabyte di dati trovati sono riferibili a oltre 800 attività di intercettazione molte delle quali, ben 234, sono state realizzate senza che gli inquirenti ne fossero a conoscenza, con un captatore di informazioni che ‘infettava’ computer e cellulari. Dati che sono confluiti in unità di memorizzazione esterne alle Procure, insieme con quelli carpiti legalmente. Ora questi dati, grazie all’intervento della magistratura, sono stati resi “inaccessibili”, disabilitando gli account. Si tratta di informazioni che si sarebbero dovute trovare nelle unità di storage dei server delle Procure e che, invece, per motivi che sono ancora oggetto di indagine, finivano illecitamente in Oregon, negli Usa, negli spazi cloud di Amazon Web Service (AWS). La piattaforma era in grado di “carpire” i dati sfruttando un virus del tipo trojan che inoculava un “captatore” di informazioni e di attività. Bastava scaricare una particolare app da Google Play e il gioco era fatto. In questa maniera la polizia giudiziaria, e purtroppo non solo loro, poteva tenere sotto controllo tutte le attività dei dispositivi ‘target’, pc e cellulari: dai video e le foto alle rubriche, dalle conversazioni alla visualizzazione in tempo reale dello schermo e le mail. Tutto questo avveniva sfruttando un “bug” (una falla, ndr) individuata dal team di E-Surv nei sistemi operativi, tra cui Windows e Android. Le forze dell’ordine hanno eseguito numerose perquisizioni e sequestrato qualche decina di dispositivi informatici nelle sedi di alcune società (Ips spa, RPC spa, Innova spa e Rifatech srl) per conto delle quali la E-surv operava in subappalto. Le indagini sono ancora in corso. 

Cronache della Campania@2018

Emergenza rifiuti, 16 anni dopo assoluzione definitiva per Bassolino e altri 26 imputati

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Napoli. E’ definitivamente chiuso il processo per l’emergenza rifiuti in Campania con l’assoluzione dei 27 imputati, tra i quali l’ex presidente della Regione Campania Antonio Bassolino. La corte di Appello di Napoli, infatti, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai pm Noviello e Sirleo che si erano opposti all’assoluzione ‘perché il fatto non sussite’ in primo grado del novembre 2013. Sei anni dopo per i 27 imputati si è chiuso il procedimento giudiziario iniziato nel 2003 e nel quale erano imputati Antonio Bassolino, Giulio Facchi, Armando Cattaneo, l’ex vice commissario straordinario Raffaele Vanoli, Piergiorgio Romiti, Salvatore Acampora, Elpidio Angelino, Settimio Giancarlo Arazzini, Sergio Asprone, Silvio Astronomo, Claudio De Biasio, Giovanni De Laurentiis, Alessandro Di Giacomo, Roberto Ferraris, Vito Fimiani, Gabriella Garbarino, Roberto Gambato, Bruno Mogavero, Orazio Monaco, Pasquale Moschella, Angelo Pelliccia, Umberto Pisapia, Antonio Pompili, Filippo Rallo, Paolo Romiti, Domenico Ruggiero, Vincenzo Urciuoli. Tutti assolti in primo grado, confermate le assoluzioni e dissequestrati anche i beni. L’inchiesta era partita nel 2003 da una denuncia presentata dall’allora senatore di Rifondazione Comunista Tommaso Sodano. L’indagine si è conclusa tre anni dopo, nel 2006. La richiesta di rinvio a giudizio è stata depositata il 31 luglio 2007. L’udienza preliminare, dopo il trasferimento del primo giudice, si è chiusa il 28 febbraio 2008. Il dibattimento, iniziato il 14 maggio 2008, è stato caratterizzato per due volte dal cambiamento del collegio giudicante. Poi è entrato nel vivo con l’audizione dei testimoni, senza però riuscire ad evitare che già alla fine di aprile 2012 venisse dichiarato prescritto un primo gruppo di reati. Poi l’assoluzione nel 2013 per tutti. Contro quella sentenza fu presentato ricorso dichiarato inammissibile oggi dalla Corte di Appello. Le motivazioni saranno depositate tra novanta giorni. “Era stata una sentenza importante. Nel processo sui rifiuti pur essendo i reati ipotizzati ormai prescritti i giudici si erano espressi nel merito con una sentenza di piena assoluzione per insussistenza delle accuse. Poi la procura aveva fatto appello per trasformare l’assoluzione di merito in assoluzione per prescrizione. Oggi la Corte di appello ha dichiarato inammissibile l’impugnazione del pm ed ha confermato la sentenza di primo grado. Ringrazio gli avvocati Krogh e Fusco e le persone che mi sono state vicine in momenti difficili. Per quanto mi riguarda è la conferma che è giusto aver fiducia nella giustizia e che i tempi dovrebbero essere più brevi perchè la lunghezza dei processi danneggia gli innocenti e premia i colpevoli”. Ha scritto oggi Antonio Bassolino sui social. 

Cronache della Campania@2018

Camorra, il pentito: ‘Al rione Villa niente si muoveva senza ordine di Salvatore D’Amico’

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“Preciso che niente si muoveva senza ordine di Salvatore D’Amico”. E’ un fiume in piena il pentito Vincenzo Scotti, suocero di un altro collaboratore di giustizia, Luigi Gallo, entrambi legati al clan D’Amico “gennarella” del rione Villa. Le sue sono confessioni e informazioni di prima mano. Ma soprattutto recenti. Ha fornito infatti agli investigatori un organigramma completo del clan composto da almeno una 30 di affiliati di primo piano e tutti “legatissimi” al boss Salvatore o’ pirata. Le dichirazioni sono allegate all’inchiesta sull’omicidio di Luigi Mignano passato alla storia della camorra come l’omicidio “dello zainetto” perché avvenuto il 9 aprile scorso davanti al nipotino (rimasto miracolosamente illeso) che stava accompagnando a scuola e al figlio Pasquale (ferito). Per quell’agguato sono stati arrestati in sette del clan D’Amico tra cui Umberto o’ lione D’amico (nipote del boss), Umberto Luongo, considerati i due attuali reggenti e altri cinque affiliati di primo piano. Scotti nelle sue confessioni ha anche parlato dell’agguato a Michele Minichino o’ tigre, killer e uomo di fuducia del “nemico” Ciro Rinaldi mauè. Ecco cosa ha raccontato alla Dda: “…Salvatore D’Amico mi mandò a chiamare e mi disse che mi dovevo mettere dove sta la residenziale dove sta la pompa di benzina tra San Giovanni e Barra. Stavano costruendo delle palazzine. Mi sono messo lì e sono arrivati Salvatore o blindato e mio genero. Mio genero mi disse che erano andati a sparare a Minichini Michele. Il mio compito era di buttare la macchina, una Fiat Punto bianca, che io ho buttato proprio lì a circa 20 metri dopo la curva. Salvatore D’Amico mi aveva detto di aspettare in quel posto dove sarebbearrivato Salvatore o blindato e mi avrebbe detto cosa fare…ho saputo solo dopo da mio genero cosa avevano fatto Dopo avermi consegnato la Fiat Punto bianca, Salvatore o’ blindato e mio genero sono saliti a bordo di un’autovettura scura, tipo Renault, che era stata già parcheggiata in precedenza in quel posto da Salvatore o’ blindato, e sono andati via; nello stesso tempo io sono andato a buttare l’auto Fiat Punto bianca e sono tornato a casa con la mia macchina che avevo parcheggiato nei pressi del distributore di benzina dove li avevo attesi… successivamente sono andato su ordine di Antonio Gallo, marito della cugina dei D’Amico, al parco Verde, in un terreno che sta la dietro, per incendiare un’autovettura blindata e due motociclette che si trovavano recintati da una lamiera. Gallo Antonio mi portò a vedere dove stavano e avrei dovuto incendiarle il giorno dopo. Quando sono ritornato sul posto il giorno dopo insieme a Gallo Antonio, con due macchine diverse, da un balcone al primo piano di un’abitazione del parco a circa 20 metri dal box in cui si trovavano i veicoli, si è affacciato qualcuno e ha sparato contro di me. Quindi non ho incendiato più i veicoli. Avevo conC me già la benzina, due bottiglie da un litro…”.

Cronache della Campania@2018

Delitto delle Fornelle, chiesti 21 anni per Daniela Tura

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“Forte e fragile, tenera e terribile”. Così il pubblico ministero Elena Guarino ha definito Daniela Tura De Marco nel corso della requisitoria tenuta, questa mattina, dinanzi ai giudici della Corte di Assise di Salerno. La ragazza è accusata di concorso morale nell’omicidio del padre avvenuto per mano dell’allora fidanzato Luca Gentile (già condannato in primo e secondo grado). Eugenio Tura de Marco fu ucciso nella sua abitazione del rione Fornelle, nel centro storico di Salerno, con una coltellata al fianco.
Durante la requisitoria il magistrato titolare dell’inchiesta ha ripercorso la vita di Daniela Tura De Marco, il suo doloroso vissuto fatto di abusi, maltrattamenti, violenze fisiche e sessuali poste in atto da coloro di cui maggiormente si fidava: i genitori. Esperienze negative che hanno profondamente segnato la ragazza che secondo il Pm avrebbe poi istigato in qualche modo Luca Gentile. A carico di Daniela Tura De Marco il pubblico ministero ha chiesto la condanna a 21 anni.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

La cricca dei permessi di soggiorno: ‘mozzarelle’ e ‘pasta e faglioli’. Residenze anche al cimitero di S. Maria del Pianto

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I permessi di soggiorno falsi erano ‘mozzarelle’ o ‘pasta e fagioli’: un linguaggio criptico utilizzato dai componenti dell’organizzazione sgominata stamane dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia con l’arresto di sette persone tra le quali anche dei poliziotti. Nell’ordinanza del Gip di Napoli, Marco Carbone, sono inserite numerose intercettazioni telefoniche tra gli indagati nel quale viene utilizzato un linguaggio criptico per evitare che gli investigatori scoprissero il giro di falsificazione e corruzione per le pratiche irregolari all’ufficio immigrazione della Questura di Napoli. “Sono arrivate le mozzarelle di bufala”. “Nel pomeriggio c’è la pasta e fagioli” diceva Luigi Guerriero, uno dei capi e promotori della banda. E dall’altra parte un tale Giò chiedeva: “già li stai facendo?”, “Sì sì, li ho messi sul fuoco, per oggi la pasta è pronta”. Le chiamate erano continue, segno del giro di corruzione e affari che avevano messo in atto e degli ampi margini di guadagno che avevano. A Giò, che aveva solo il compito di ritirare le pratica, venivano dati in cambio buoni pasto o buoni benzina. Secondo il Gip di Napoli Marco Carbone c’è stata “una gestione scellerata e criminale delle istanze di rilascio o rinnovo di permesso di soggiorno presentate negli anni 2017 e 2018 all’ufficio immigrazioni della questura. Diventate oggetto di mercimonio costante, evase al di la di qualsivoglia sostanziale controllo, almeno quando si trattava di perseguire gli interessi economici di un gruppo criminale”. A fare da supporto era l’ex ispettore Vincenzo Spinosa che tesseva le file degli accordi “dell’associazione a delinquere, fungendo da raccordo tra i funzionari di polizia corrotti, i dipendenti dell’ufficio e un manipolo di intermediari per lo più cittadini stranieri in contatto con connazionali all’estero che volevano arrivare in Italia”. Un gruppo “criminale che dietro remunerazione (dai 50 ai 3mila euro i pagamenti per una pratica, ndr) si preoccupava sia di fornire informazioni agli stranieri sia a dare loro il permesso che veniva negato se non versavano i soldi”.
Secondo gli inquirenti la banda avrebbe fornito certificati di residenza fittizi a circa 330 extracomunitari richiedenti il permesso di soggiorno, allocandoli però nel cimitero napoletano di Santa Maria del Pianto. A rifornire i richiedenti di certificati fasulli è stato uno degli arrestati, Faycal Kheirallah, avvalendosi di un referente della pubblica amministrazione. Secondo quanto accertato dal Gico della GdF e dalla Squadra Mobile, la banda si comportava come una vera e propria “agenzia di servizi”. Mounir Grine, per esempio, anche lui tra gli arrestati, si interfacciava con la componente italiana della banda e, anche avvalendosi di tre collaboratori, avvisava i richiedenti residenti all’estero dell’imminenza dei controlli per la verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni rese. “Abbiamo fatto entrare una nazione intera…”: è la frase pronunciata da uno degli indagati che così esultava dopo aver fatto ottenere a un suo congiunto il rilascio del permesso di soggiorno. Determinante, per gli affari della banda, infine, è risultato il ruolo ricoperto dagli altri due ex agenti indagati.
La guardia di finanza e la polizia di Napoli ha sgominato l’organizzazione che si occupava di far ottenere permessi di soggiorno a immigrati che non avevano i requisiti. Ai sette arrestati vengono contestate le accuse di associazione per delinquere dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e alla corruzione. L’indagine è stata condotta dalla Direzione distrettuale antimafia e, oltre agli arresti, ha portato anche a numerose perquisizioni domiciliari nei confronti degli arrestati e di altre nove persone, coinvolte a vario titolo nelle attività illecite. In tutto sono 16 gli indagati. Ai vertici dell’organizzazione, che otteneva ingenti guadagni facendosi pagare dagli immigrati secondo una sorta di ‘tariffario’, c’era l’ex ispettore Spinosa, già in servizio presso l’Ufficio immigrazione, oggi in pensione: l’uomo sovrintendeva e coordinava l’intera filiera dei ‘servizi’ offerti alla clientela. In cella nel carcere di Santa Maria Capua Vetere anche un poliziotto di Capua, Flavio Scagliola. L’agente, in servizio presso la Questura di Napoli all’ufficio immigrazione, al quale è stato imposto il divieto di colloquio con i propri legali in attesa dell’interrogatorio di garanzia è accusato di aver favorito l’immigrazione clandestina.

L’indagine è partita nel giugno del 2016 dalla segnalazione al Gico della guardia di finanza di un’operazione sospetta, riguardante un algerino residente a Napoli, che aveva effettuato, attraverso agenzie di money transfer, diverse movimentazioni di denaro con altri Paesi dell’Unione europea (tra cui Francia e Belgio), per importi al di sotto dei mille euro, ritenute potenzialmente riconducibili a contesti di terrorismo islamico. Tra i destinatari di queste rimesse di denaro figurava, infatti, un altro algerino, residente in Belgio, che avrebbe avuto stretti legami con il militante jihadista Abdelhamid Abaaoud, sospettato di essere uno degli organizzatori degli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi, e che venne ucciso in un’operazione della polizia francese cinque giorni dopo. A quel punto, dell’algerino ha iniziato a occuparsi il pool antiterrorismo della procura di Napoli che, pur non trovando riscontri su un eventuale sostegno al terrorismo, ha invece scoperto l’esistenza di un network criminale specializzato nell’ottenere indebitamente il rilascio o il rinnovo di permessi di soggiorno a favore di extracomunitari, molto spesso privi dei necessari requisiti di legge, grazie a documenti ottenuti illegalmente. In sostanza, l’associazione gestiva e controllava l’intera filiera burocratica della concessione dei permessi: dal reperimento dei ‘clienti’, alla predisposizione delle istanze, ai contatti con l’Ufficio immigrazione della questura, fino alla consegna dei documenti ai richiedenti, cui seguiva la riscossione dei compensi dovuti, sulla base di un vero e proprio ‘tariffario’, compreso fra i 50 euro per una semplice informazione sullo stato della pratica e i 3mila necessari per ‘aggiustare’ il conseguimento dei permessi di soggiorno. I casi accertati di permessi di soggiorno ottenuti indebitamente con questo sistema sono 136, ma, sottolineano gli inquirenti, potrebbero essere molti di più.

Cronache della Campania@2018

Violenza sessuale sulla figlia della moglie: infermiere a processo

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“Veniva di notte e si infilava nel mio letto. Mi sfilava il cuscino da sotto la testa e me lo metteva in faccia per non farmi urlare. Poi iniziava a toccarmi”. E’ il racconto choc di una ragazza, vittima di violenza sessuale da parte del secondo marito della madre. Ieri quella ragazza, oggi maggiorenne, è entrata in un’aula del tribunale di Santa Maria Capua Vetere a testa alta e si è costituita in giudizio, assistita dall’avvocato Vincenzo Russo, nel processo a carico del suo orco, un infermiere di 55 anni di Marcianise e residente a Recale.
Al via dunque l’udienza per l’infermiere di una nota clinica del casertano, per il quale è stato disposto il giudizio con immediato, accusato di violenza sessuale nei confronti della figlia della sua seconda moglie. nella prima udienza si sono solo costituite le parti con il processo che è stato rinviato a metà settembre. Il 55enne, difeso dall’avvocato Giuseppe Ferraro, è agli arresti domiciliari. Una vicenda agghiacciante quella che che lo ha coinvolto, una storia di abusi durati 15 anni fino a quando la ragazza non ha trovato la forza di denunciarlo e farlo arrestare. Prima si infilava nel suo letto, quando la giovane era poco più che una bambina, palpandole il seno, il sedere e le parti intime. Poi quando è diventata maggiorenne e l’uomo è andato via di casa ha continuato imperterrito nel suo gioco perverso ed ossessivo fatto di messaggi a dir poco osceni in cui avrebbe dichiarato espressamente di “essersi masturbato pensando a lei”. Adesso per il 55enne è iniziato il processo.

Cronache della Campania@2018

Investì e uccise il presunto amante della moglie, confermati in Appello i 10 anni di carcere per il pizzaiolo di Agerola

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E’ stato confermata anche dalla Corte di Appello di Napoli, la condanna a 10 anni di carcere per Antonio Acampora il pizzaiolo di Agerola che il 25 ottobre del 2016 investì e uccise il 58enne Gennaro Medaglia, geometra comunale perché aveva una relazione con la moglie. L’uomo dopo aver trascorso due anni in carcere dallo scorso anno è agli arresti domiciliari in Friuli da alcuni parenti e ha anche ottenuto il permesso di uscire la sera per continuare a fare il suo lavoro: ovvero il pizzaiolo. E’ incensurato e si è mostrato collaborativo nel corso dell’indagine e questo suo comportamento ha influito sulla decisione da parte dei giudici di concedergli i benefici di legge. L’incidente avvenne il 25 ottobre del 2016. Il 47enne incrociò il suo presunto rivale in amore in strada ad Agerola. Da tempo Acampora pensava che il geometra comunale avesse una relazione con la sua ex compagna e che ci fosse lui dietro la fine della relazione tra i due. Così pigiò il piede sull’acceleratore della sua auto investendo il geometra che morì dopo una folle corsa all’ospedale San Leonardo di Castellammare. Una perizia tecnica ha confermato che ci fu un aumento di velocità: Acampora accelerò volontariamente. Il 47enne fu subito fermato dalla Procura di Torre Annunziata grazie alle indagini lampo dei Carabinieri di Agerola e della Compagnia di Castellammare. I militari dalle immagini di videosorveglianza capirono che non si trattò di un incidente stradale.

Cronache della Campania@2018


Rinviati a giudizio i 25 ‘furbetti del cartellino’ dell’Asl di Maddaloni

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Maddaloni. In data 22 maggio 2019, il Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Dott.ssa Rosaria Dello Stritto – emetteva nei confronti di 25 indagati, tutti dipendenti dell’ASL di Caserta -distretto 13 di Maddaloni, decreto che dispone il giudizio, per le violazioni di cui agli artt. 640, 476, 479 c.p. e art. 55-quinquies D.Lgs. n. 165 del 2001 (truffa e false attestazioni o certificazioni in concorso):
L’indagine di riferimento operata dal mese di ottobre a dicembre 2015 dai Carabinieri della Stazione di Valle di Maddaloni sotto la direzione della Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, è stata espletata mediante attività tecnica di videoripresa e mirati servizi di pedinamento e analisi dei tracciati dei cartellini magnetici di riconoscimento, portò, in data 15.06.2016, all’esecuzione di 16 misure cautelari.
In particolare vennero sottoposti agli “arresti domiciliari” 9 dei predetti soggetti ed alla “sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio-servizio” per la durata di mesi sei altrettanti 7 indagati. Le investigazioni consentirono in particolare di: acclarare come gli indagati lasciavano il posto di lavoro subito dopo aver registrato la loro presenza mediante l’awicinamento del badge in dotazione alla macchina c.d. “marca-tempo” all’atto dell’inizio della giornata lavorativa, ottenendo così un’ingiusta corresponsione e dedicandosi, in alcuni casi, ad impegni ed hobbies attinenti la vita privata; documentare come alcuni dipendenti, utilizzando fraudolentemente l’inizio del servizio; riscontrare le responsabilità di due dirigenti dell’unità operativa di medicina legale, circa la falsa attestazione in alcuni certificati di morte, della loro presenza in occasione di decessi, al fine di rilasciare la necessaria autorizzazione al seppellimento. In data 22.05.2019, al termine dell’ultima fase dell’udienza preliminare, il GUP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere condividendo appieno le tesi accusatorie mosse da questa Procura della Repubblica, emetteva pertanto rinvio a giudizio fissando la prima udienza del dibattimento al 20 aprile del 2020.

Cronache della Campania@2018

Pompei, ‘Siamo quelli di Ponte Persica’ chiede il pizzo a un’officina meccanica: Ciccio Corbelli tradito dalle telecamere

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Pompei. Stamane alle prime ore del mattino, personale della Squadra Investigativa del Commissariato di P.S. Pompei ha eseguito un’Ordinanza di Applicazione di Misura Cautelare Personale in Carcere, emessa dall’Ufficio G.I.P. del Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti di Francesco Corbelli di anni 59, indagato per il reato di tentata estorsione con l’aggravante del metodo e della finalità camorristica, poiché commesso da soggetti che si sono avvalsi delle condizioni previste dall’art. 416 del codice penale con conseguente situazione di assoggettamento ed omertà provocata nelle sotto indicate vittime e comunque al fine di agevolare le finalità dell’associazione camorristica denominata “Clan Cesarno” o “di Ponte Persica”.

Il provvedimento scaturisce da un’articolata attività d’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Napoli, originata dapprima da un soggetto allo stato non ancora identificato che tra i mesi di aprile e maggio dell’anno 2018 si era recato presso un’officina meccanica di Pompei, avanzando richiesta estorsiva consistente in un regalo di euro 1000 (mille) per i carcerati di Ponte Persica, poi in data 17 gennaio del 2019 Francesco Corbelli si presentava, unitamente ad altra persona in corso di identificazione, presso la suddetta officina meccanica ed intimava ad uno dei soci di mantenere fede alla precedente richiesta estorsiva replicando “siamo quelli di Ponte Persica, voi ci avete promesso un regalo e non è arrivato più …. un reqalo per la qente di Ponte Persica’, per poi allontanarsi a bordo di autovettura del tipo Renault Scenic. Immediatamente gli inquirenti, da attività di P.G., identificavano il soggetto autore del reato, acquisendo le immagini registrate dall’impianto di video sorveglianza della predetta officina; da un’attenta visione delle stesse, emergevano elementi utili per l’esatta identificazione del soggetto e l’avvio di successive indagini che portavano alla sua compiuta individuazione.

Cronache della Campania@2018

Indiano insegue 5 ragazzine davanti scuola, maniaco a processo

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Deciso il giudizio immediato davanti il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per R.D., 34enne indiano senza fissa dimora imputato per corruzione di minore, atti sessuali su minore e tentata violenza sessuale.Il cittadino indiano, difeso dall’avvocato Ferdinando Letizia, il 14 aprile scorso in via Settembrini a Cancello ed Arnone, nelle immediate vicinanze dell’Istituto scolastico ‘Ugo Foscolo’, avvicinandosi alle minori di 14 anni (F.G.,R.C,P.M.G.,M.A.B,D.V.F) si abbassava i pantaloni e gli slip mimando con il proprio pugno chiuso il tipico gesto di valenza sessuale, masturbandosi.
Dopo essersi assicurato che le minori lo stessero guardando, compiva atti sessuali in loro presenza col fine di farle assistere e poi con minacce e violenza, inseguendo le ragazzine e ponendosi davanti ad esse con le braccia aperte cercando di bloccarle, riusciva ad afferrare una di loro tirandola a sé e cercando di abusare di lei.

Cronache della Campania@2018

Divulgazione per l’Isis: chiesti 8 anni per il terrorista ‘casertano’

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Chiesta la conferma della condanna ad 8 anni di reclusione per Mohamed Kamel Khemiri, il tunisino di 44 anni, residente a San Marcellino, accusato di associazione con finalità di terrorismo ed in particolare di aver fatto proselitismo via web per l’Isis. Questa la richiesta del procuratore generale nel corso del processo che si sta celebrando in Corte d’Assise d’Appello, presieduta dal giudice Alaia. Il pg, nel corso della sua requisitoria, ha ripercorso l’intera vicenda che ha coinvolto Khemiri focalizzando la sua attenzione sulla propaganda alla jihad svolta sui social network, in particolare Facebook e Twitter. “Sono isissiano finchè avrò vita e se morirò vi esorto a farne parte”, diceva Khemiri in un’intercettazione, oltre a rilanciare sui social gli attentati di Parigi o di Copenaghen.
A chiudere il cerchio, nella ricostruzione del pg, le parole del collaboratore di giustizia Salvatore Orabona, esponente del clan dei Casalesi che aveva riferito del fatto che Khemiri gli avesse chiesto delle armi, in particolare dei fucili kalashnikov. Una richiesta poi rifiutata dall’esponente del clan. Un dettaglio che ha spinto i giudici a sostenere, in un passaggio delle motivazioni della sentenza di primo grado, che Khemiri, frequentatore della Moschea di San Marcellino, “fosse pronto all’azione”.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Camorra, ‘solo’ 20 anni di carcere al baby boss Riccio e ai 4 fedelissimi per la ‘lupara bianca’ di Antonino D’Andò

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Venti anni di carcere al boss per un caso di lupara bianca. La vittima fu attirata in una trappola e poi uccisa con un badile, il corpo martoriato. Il suo cadavere venne caricato in un’auto e sotterrato nelle campagne di Arzano, nel Napoletano. Cosi’ il 2 febbraio 2011 perse la vita Antonino D’Ando’, fedelissimo del boss in ascesa Mariano Riccio, genero di Cesare Pagano, il capo degli scissionisti di Scampia e Secondigliano con il cognato Raffaele Amato. Il suo cadavere e’ stato ritrovato due mesi fa, solo quando il boss Riccio decise in aula di raccontare la scena di quell’omicidio e di autoaccusarsi; e’ stato lui a indicare al giudice dove era stato seppellito il suo ex uomo di fiducia. Con lui hanno confessato anche Giosue’ Belgiorno, Emanuele Baiano, Mario Ferraiuolo e Ciro Scognamiglio. La Dda ha ritenuto quelle confessioni tardive e ha chiesto per tutti la pena dell’ergastolo, ma dopo le discussioni degli avvocati Raffaele Chiummariello, Domenico Dello Iacono, Emilio Martino, il gup ha concesso a tutti le attenuanti e li ha condannati a 20 anni di carcere.

Cronache della Campania@2018

Strage del Bus, la Procura fa appello

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La procura di Avellino ha formalizzato il ricorso in appello nei confronti della sentenza emessa l’11 gennaio scorso dal giudice monocratico del Tribunale di Avellino, Luigi Buono, nei confronti dei 14 imputati nel processo per la strage di “Acqualonga”, il viadotto dell’A16 della Napoli-Canosa dal quale il 28 luglio del 2013 precipito’ il bus nel quale persero la vita 40 persone. Gia’ all’indomani della sentenza – sei assoluzioni e sei condanne – era apparso chiaro l’intento della procura di impugnare la decisione del giudice. el giudice.

Cronache della Campania@2018

Permessi di soggiorno fuorilegge: indagato anche un avvocato

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Si allarga l’inchiesta sui falsi permessi di soggiorno che ha portato due giorni fa all’arresto di 7 persone, tra cui un poliziotto di 44 anni di Capua, nell’ambito di un’inchiesta su un’associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina e corruzione. Nell’elenco degli indagati, infatti, figurano anche un avvocato di Mondragone e un’altra persona, di Aversa. Intanto ieri sono cominciati i primi interrogatori di garanzia per un ex ispettore di polizia che, sovrintendeva e coordinava l’intera filiera dei servizi offerti alla clientela, e del poliziotto capuano, F.S., detenuto presso il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere.
Le indagini sono partite a giugno 2016. Era stato segnalato un algerino, residente a Napoli, che tramite agenzie di money transfer riceveva e inviava denaro da e verso l’estero, soprattutto Francia e Belgio, un contesto di possibile terrorismo di matrice islamica. Ed è infatti poi emerso che tra uno dei suoi referenti ci fosse un connazionale residente in Belgio con legami jihadisti, poi ucciso in un’operazione della polizia francese.
Sebbene non siano emersi riscontri in fatto di finanziamento del terrorismo, le indagini sull’algerino hanno permesso di accertare l’esistenza di un’organizzazione specializzata in rilasci e rinnovi di permessi di soggiorno ad extracomunitari senza i requisiti di legge. La banda aveva tentacoli nell’intera filiera: dal reperimento dei clienti alla predisposizione delle istanze, contatti con l’ufficio immigrazione della Questura, persone deputate alla consegna dei documenti. Ed aveva tanto di tariffario: da 50 euro per un’informazione a 3mila euro per un permesso di soggiorno. Al momento sono state identificate 136 pratiche di rilascio rinnovo del permesso di soggiorno in debitamente autorizzate, ma c’è la possibilità che anche pratiche regolari siano state alterate dall’organizzazione.

Cronache della Campania@2018


Camorra, omicidio del vigile urbano: ‘Ergastolo per Sandokan’

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Ergastolo per Francesco Schiavone Sandokan e per Giovanni Diana, detto ‘o pazzo. Queste le pene richieste dal procuratore generale nel corso del processo d’Appello per l’omicidio di Antonio Diana, il vigile urbano ucciso nel 1989 in via Roma a Casal di Principe.
Il pg, nel corso della sua requisitoria ha chiesto la conferma delle pene inflitte ai due imputati dalla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere. L’omicidio del vigile urbano avvenne nella faida tra il gruppo composto da Sandokan, Francesco Bidognetti e De Falco e quello dei fedelissimi di Bardellino. In questo contesto Diana venne raggiunto in strada ed ucciso con 10 colpi di fucile. Giovanni Diana, secondo la ricostruzione, avrebbe fornito supporto logistico ai killer.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Ucciso e dato alle fiamme: fissato il processo d’Appello per l’omicidio del sindaco di Cervino nel Casertano

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Ad 11 anni dal delitto di Giovanni Piscitelli, sindaco di Cervino in provincia di Caserta, è stata fissata per il 30 maggio l’udienza dinanzi alla terza sezione della Corte di Assise di Appello di Napoli. Sotto accusa l’unico imputato Pietro Esposito Acanfora, ingegnere e responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Cervino, dopo la sentenza di assoluzione in primo grado e il ricorso in appello delle parte civili. Il 28 febbraio del 2008 Piscitelli, fu ritrovato in località Durazzano,  a qualche metro di distanza dalla propria vettura data alle fiamme. L’allora primo cittadino era riuscito a scendere dal veicolo per tentare di porsi in salvo, ma le ustioni non gli diedero scampo. Venne trovato bruciato dalle gambe in su. Quello di Piscitelli è un caso senza colpevoli. Si spera di scoprire  qualche elemento in più nel processo in Appello a Napoli dove con ‘la nuova legge Orlando’ potranno essere risentite le fonti dichiaranti. Le indagini successive alla morte del sindaco portarono all’arresto di Pietro Esposito Acanfora, e un imprenditore del posto, Vincenzo Vigliotti, furono arrestati e indagati per il delitto. Ma, poco più di due settimane dopo, i due furono scarcerati. Al termine del processo celebrato con il rito abbreviato, Acanfora fu assolto in primo grado “per non aver commesso il fatto” dal giudice Marcello De Chiara; la posizione di Vigliotti, invece, fu stralciata. Esposito Acanfora è assistito dagli avvocati Carlo De Stavola e Rocco Trombetti per le parte civili gli avvocati Renato Jappelli, Carlo Madonna, Giovanni De Raffaele Carfora e Giovanni De Lucia per il Comune di Cervino. Nel corso del processo di primo grado sono stati ascoltati anche dei collaboratori di giustizia di alcun clan camorristici casertani come Oreste Spagnuolo e Antonio Farina che hanno escluso la partecipazione della malavita locale nell’efferato delitto. 

Cronache della Campania@2018

Scommesse in rete illegali e riciclaggio nell’Agro, le prime sentenze: assolto un finanziere

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Scommesse in rete illegali e riciclaggio nell’Agro, le prime sentenze: assolto un finanziere. L’operazione sgominò un gruppo, accusato di associazione a delinquere e con base operativa a Pagani, che sarebbe stata molto attiva nelle scommesse online
Scommesse clandestine in rete, assolto il finanziere coinvolto nella maxi indagine “Jamm Jamm”, concentrata sulle piattaforme illegali per il gioco online. Il militare, di 52 anni, è stato dichiarato non colpevole perchè il fatto non sussiste. La sentenza è stata emessa dal gup del tribunale, che lo ha assolto da tutti i reati a lui contestati. Quattro invece sono state le condanne, per due imputati di San Marzano sul Sarno – un anno e quattro mesi – un uomo di Castel San Giorgio, dieci mesi e un imputato originario della provincia di Agrigento, un anno e otto mesi. Insieme al finanziere, sono stati assolti altri quattro imputati, residenti invece nell’Agro nocerino. Queste posizioni sono state stralciate rispetto a quelle principali, che sono invece sotto processo a Nocera Inferiore, con il dibattimento nella sua fase iniziale dinanzi al collegio giudicante. L’operazione sgominò un gruppo, accusato di associazione a delinquere e con base operativa a Pagani, che sarebbe stata molto attiva nelle scommesse online. Attraverso un sito internet e senza le autorizzazioni ministeriali, il gruppo sarebbe riuscito ad estendere i suoi affari a regioni quali Basilicata e Calabria. Al vertice dell’organizzazione, finita nel mirino dell’indagine della Procura Antimafia di Salerno, c’era un paganese, coinvolto insieme a parte dei suoi familiari. I profitti delle scommesse clandestine sarebbero state reimpiegate in attività illecite ed in investimenti commerciali, come la gestione di un bar a San Valentino Torio. L’inchiesta fu condotta dai carabinieri del comando provincia di Salerno, dal 2013 al 2015. Il lavoro investigativo portò all’iscrizione di 64 indagati, molti dei quali hanno scelto il rito abbreviato per chiudere, almeno in primo grado, il loro iter giudiziario.

Cronache della Campania@2018

Camorra, era la ‘cassaforte’ di Zagaria in Romania: 16 anni di carcere per Nicola Inquieto

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L’imprenditore, Nicola Inquieto, considerato il super manager del boss Michele Zagaria è stato condannato a 16 anni di carcere dal tribunale di Napoli Nord. E’ stata da poco letta la sentenza per Nicola Inquieto, di Casapesenna, considerato l’uomo chiave del boss Zagaria negli affari in Romania. Il processo a carico di Inquieto, estradato temporaneamente in Italia, si è celebrando negli uffici giudiziari del tribunale di Napoli Nord proprio in attesa della fine del procedimento di primo grado anche se l’autorità rumena, in queste ore, ha concesso altri 60 giorni di proroga per poter attendere anche le motivazioni della sentenza. Per l’accusa l’imprenditore avrebbe partecipato al ‘business’ dei Casalesi fino al 2016 e, pertanto, la pubblica accusa ha anche avanzato una richiesta di confisca totale dei beni accolta in pieno dai giudici. La difesa di Inquieto, gli avvocati Stellato e Marino, hanno annunciato di ricorrere in appello  dopo aver letto le motivazioni della sentenza. La scorsa udienza i pm D’Alessio e Giordano hanno chiesto la condanna a 18 anni di carcere per Inquieto

Cronache della Campania@2018

Napoli, il linguaggio in codice per le ‘mazzette’ e la divisione dei 22 milioni di euro di appalti al Porto

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 Nei colloqui intercettati tra i due funzionari dell’Autorità portuale di Napoli e alcuni imprenditori, finiti al centro di una indagine su lavori per 22 milioni di euro, si utilizzava un linguaggio in codice per accordarsi. E’ quanto emerso dalle migliaia di conversazioni, sia telefoniche che ambientali, che gli investigatori hanno ascoltato negli ultimi due anni. Così l’inchiesta è stata denominata “Criptocorruzione 2.0”. Nel corso delle indagini gli investigatori hanno dovuto decriptare le varie parole in codice che erano utilizzate – secondo l’ipotesi accusatoria – per turbare le gare d’appalto e per accordarsi sulle tangenti. L’inchiesta, ha accertato che circa 22 milioni di euro di appalti sono stati oggetto di turbativa d’asta ad opera di una associazione per delinquere che ha strutturato un sistema illegale composto da dipendenti corrotti dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale, ed imprenditori senza scrupoli.  Per mettersi d’accordo sugli strumenti o le tangenti che dovevano fare in modo che i lavori venissero aggiudicati dalle imprese ‘amiche’, gli indagati utilizzavano frasi critiche. Già a maggio 2017 G.D., responsabile dell’Ufficio manutenzioni dell’Authority, aveva ammesso di aver intascato 40mila euro per truccare alcuni bandi. Il sistema utilizzato era in un primo tempo quello di dichiarare delle attività come urgenti, in modo da mettere in atto procedure di gara più snelle, che facevano si’ che le ditte complici si aggiudicassero l’appalto, anche perché veniva concordato preventivamente con i funzionari l’importo dei lavori. Un altro sistema era quello di gonfiare l’elenco delle ditte da invitare per le gare, inserendone alcune che erano solo formalmente e apparentemente diverse ma che in realtà erano intestate a prestanome degli imprenditori che avevano fatto cartello. Oppure c’era l’affidamento diretto, mantenendo l’appalto entro la soglia limite e frazionando l’importo dei lavori; anche in questo caso le ditte magari erano solo formalmente diverse. Il sistema si metteva in moto già nella fase di individuazione e progettazione dei lavori, anzi i progetti venivano direttamente redatti dalle ditte interessate e passati ai funzionali corrotti che gli presentavano come propri. In questo modo erano anche conosciute le percentuali di ribasso da offrire per vincere la gara. Le tangenti servivano anche a garantirsi assenza di controlli da parte dell’ente, dato che i funzionari corrotti redigevano pure gli atti amministrativi necessari per i vari pagamenti. C’era poi lo stratagemma di invitare alle gare d’appalto le ditte indicate da quella che avrebbe poi dovuto aggiudicarsi l’appalto. E nel caso in cui l’appalto fosse di rilevante entità e non si potesse aggiudicare con gli strumenti già usati, il sistema era in grado di pilotare la nomina dei membri delle commissioni aggiudicatrici. Anche bandi di gara e gli atti amministrativi connessi venivano stilati dai funzionari coinvolti in queste indagine in maniera tale da essere criptici e garantire margini di profitti più ampi e quindi tangenti più consistenti. I avori erano infatti ridotti al minimo nonostante il corposo importo dell’appalto. Per gli inquirenti questo sistema aveva terreno fertile nella confusione amministrativa delle varie gestioni commissariali dell’Autorità portuale, insieme all’assenza di adeguati controlli e all’inefficacia del Piano di corruzione di cui l’ente si era dotato. A maggio 2017, nel corso dell’inchiesta durata due anni, il responsabile dell’Ufficio manutenzioni dell’Autorità portuale aveva ammesso di aver intascato 40mila euro di tangenti. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori grazie alle intercettazioni telefoniche, ambientali, veicolari e telematiche, i bandi e gli atti amministrativi venivano criptati. In questo modo i funzionari disonesti riuscivano a far effettuare minori lavori a fronte di un più ampio e corposo importo d’appalto, e il sistema corruttivo poteva così godere di notevoli margini di profitti. “E’ emerso un quadro assolutamente desolante, un sistema illegale retto da funzionari corrotti e imprenditori senza scrupoli”, ha spiegato Francesco Cacace, capitano di vascello della Guardia di finanza di Napoli. Un primo sistema era quello di creare ad arte urgenze fittizie da poter utilizzare più snelle procedure di gara. Queste procedure semplificate consentivano di concordare preventivamente con le ditte colluse gli importi dei lavori nonché la ditta che doveva aggiudicarsi l’appalto. Un altro sistema era quello di gonfiare l’elenco delle ditte da invitare per gli appalti attraverso l’inserimento di aziende solo apparentemente diverse ma di fatto gestite da prestanome. Inoltre per battere la concorrenza veniva utilizzata la procedura dell’affidamento diretto. Il sistema era così ben oleato che la spartizione dei lavori avveniva già nella fase di individuazione e progettazione degli stessi.

Cronache della Campania@2018

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