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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Spese di rappresentanza con la carta di credito: assolto l’ex sindaco di Scafati Francesco Bottoni

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Scafati. Era stato denunciato dal suo successore per l’uso sconsiderato della carta di credito: è stato assolto perché ‘il fatto non sussiste’ l’ex sindaco di Scafati Francesco Bottoni. Stamane i giudici del Tribunale di Nocera Inferiore – presidente Raffaele Donnarumma – hanno assolto l’imputato dall’accusa di aver speso soldi con la carta di credito del Comune. “Oggi, dopo una lunga e articolata istrutturia dibattimentale – dice l’avvocato Giovanni Annunziata, legale di Bottoni – la difesa ha dimostrato che Bottoni ha usato la carta di credito del Comune nel pieno rispetto delle norme, e cioè che venne utilizzata per spese di rappresentanza. Tale vicenda non fa che consacrare la piena correttezza dell’ex sindaco il quale, secondo la sentenza di assoluzione, non ha commesso alcun reato perché il fatto non sussiste”. Bottoni ha agito nel rispetto delle regole, rispettando il regolamento vigente durante il suo sindacato e divenuto, solo successivamente, nel 2009 più stringente rispetto alle spese alle quali poter attingere con il pagamento della carta di credito. La rappresentante dell’accusa, il pm Valeria Vinci, nonostante le risultanze dibattimentali aveva chiesto per Bottoni una condanna a 4 anni di reclusione. Ma nel corso dell’arringa difensa la difesa ha messo in luce l’abnormità della richiesta ed ha fatto valere il regolamento esistente all’epoca delle contestazioni. Le spese contestate all’ex sindaco erano relative al periodo tra il 2006 e 2008, effettuate in alcuni La linea difensiva è passata in pieno tanto che i giudici dopo poche ore di camera di consiglio hanno assolto l’imputato perchè il fatto non sussiste. Si chiude in primo grado la vicenda giudiziaria che dura ormai da 4 anni, da quando nel 2015, il pm Amedeo Sessa aveva chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio dell’ex primo cittadino.
Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018


Inchiesta bis sulla strage del bus. l’Ad di Autostrade per l’Italia due ore dai pm

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E’ stato ascoltato per circa due ore in qualita’ di persona informata sui fatti l’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia Spa, Roberto Tomasi. Il top manager, che ha preso l’incarico di Giovanni Castellucci alla fine di gennaio scorso, e’ stato convocato nel primo pomeriggio dal procuratore della Repubblica del tribunale di Avellino, Rosario Cantelmo e dal sostituto Cecilia Annecchini, gli stessi magistrati che hanno coordinato le indagini sull’incidente di Acqualonga del 2013, quando un bus turistico vecchio e malandato precipito’ dal viadotto dell’autostrada A16 provocando la morte di 40 persone. Nel processo scaturito da qell’inchiesta, l’11 gennaio scorso Castellucci e’ stato assolto, ma 6 dirigenti di Autostrade sono stati condannati assieme al proprietario del bus e a una funzionaria della Motorizzazione Civile di Napoli. Nel corso del dibattimento, atti hanno portato a una seconda inchiesta che si concentra sulla manutenzione di 11 viadotti del tratto dell’A16 Napoli-Canosa tra i caselli di Baiano e Benevento, che ricadono nella giurisdizione della procura irpina. Secondo il procuratore Cantelmo, che nel corso del processo ha chiesto e ottenuto la trasmissione al suo ufficio di alcuni atti processuali, ci sarebbero delle inadempienze nella gestione della manutenzione scaturite da una precisa politica gestionale decisa ai livelli più alti di Autostrade. Di qui l’inchiesta bis, che ha già portato ad alcuni sopralluoghi tecnici nelle scorse settimane su due viadotti autostradali per una perizia affidata all’ingegnere Andrea Demozzi, autore della perizia di oltre mille pagine portata nel processo sulla strage del bus. Tomasi, accompagnato dai suoi legali, e’ uscito nel pomeriggio dagli uffici della procura di Avellino. Dal settembre 2018 a gennaio scorso e’ stato direttore generale di Autostrade e prima ancora, dal 2015 al 2018 condirettore generale. Sul contenuto dell’interrogatorio gli inquirenti mantengono il più stretto riserbo. Nei prossimi giorni potrebbero essere ascoltati altri dirigenti o ex dirigenti della società.

Cronache della Campania@2018

Ciro Contini, il baby boss omofobo che uccideva ‘per sfizio’ e per il quale ‘le donne non devono stare dove stanno gli uomini’

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Napoli. Era un boss violento, omofobo e sessista oltre che pericolosissimo perché “uccideva per sfizio” e diceva alla sua fidanzata che “le femmine non possono stare” alle riunioni degli uomini. Ciro Contini o’ nirone, nipote del super boss Eduardo Contini o’ romano, uno dei capi della famosa “Alleanza di Secondigliano” si era anche tatuato il marchio di famiglia sul corpo “o’ romano” , giusto per ricordare agli altri chi era e da dove veniva. E’ stato lui uno dei reggenti della ‘Paranza dei bimbi’ dopo l’uccisione di Emanuele Sibillo. E’ stato lui a volere “per sfizio” la morte dell’innocente meccanico di Forcella Luigi Galletta prima picchiato e poi ucciso perché cugino del “nemico” Luigi Criscuolo detto sby sby uno dei componenti del commando che la sera del 2 luglio del 2015 aveva posto fine alla vita di Emanuele Sibillo. Il racconto dei pentiti e le indagini nate dalle intercettazioni telefoniche e ambientali degli affiliati dei clan Sibillo e Buonerba hanno contribuito agli investigatori di delineare il profilo criminale di Ciro Contini. Molte delle 431 pagine dell’ordinanza cautelare firmata sabato scorso dal gip Giovanna Cervo che ha portato in carcere tredici tra boss e gregari dei due clan, sono dedicate proprio a Ciro Contini. Il pentito Pasquale Orefice nel verbale del 27 settembre dello scorso anno ha raccontato: “…Anche prima della morte di Emanuele Sibillo, il Contini Ciro faceva parte del gruppo di fuoco con loro. Quando morì Emanuele Sibillo e il fratello Pasquale Sibillo era latitante, le redini del clan passarono a lui. Al punto che mi chiedeva consigli su come operare con gli affiliati. Ad esempio per la imposizione delle buste ai commercianti e dei cartoni per le pizze gli spiegai che era meglio non coinvolgere affiliati che potevano ricondurre a lui, ma ragazzi estranei alla malavita. In un ‘altra occasione mi mostrò 2 pistole, una calibro 9×21 vecchia e un’arma corta, oltre ad una mitraglietta per avere un parere sulla loro funzionalità. Gli dissi che le due pistole non erano buone. La mitraglietta fu poi sequestrata dalle Forze dell’ordine. Ciro Contini è il nipote di Eduardo Contini e non si può toccare. Mi ha detto in più occasioni che uccide anche “per sfizio”, contrariamente alle regole del clan Contini. Dopo l’ultima volta che è uscito dal soggiorno obbligato a San Vittore od in un paese vicino, ad agosto 2018, è tornato a Capodichino e controlla oggi il quartiere per conto suo. suo. Mi ha detto che per i Sibillo ha commesso agguati nella Sanità e una sparatoria a Forcella, senza specificare l’obiettivo. Mi ha parlato dell’omicidio del meccanico, specificandomi che “per sfizio” si era messo sul motorino ed era andato anche lui a sparare contro il meccanico… Questo omicidio è stata una punizione contro questa famiglia, perché uno di questa famiglia, per come mi ha detto il Contini, sparò ad Emanuele Sibillo da un balcone uccidendolo. A sparare contro il meccanico, per come mi ha detto il Contini Ciro, furono o’nannone, lo stesso Ciro Contini. ma in  realtà all’origine doveva andare solo o’nannone, ma alla fine andarono in 4 o 5 di loro, intesi come appartenenti ai Sibillo… Ad agosto 2017 prima dai ragazzi del gruppo del Contini e poi dallo stesso Contini ho saputo che questi aveva avuto una discussione con o’nannone che essendo rimasto fedele ai Sibillo non volle appoggiare il Contini Ciro poichè quest’ultimo aveva un atteggiamento ambiguo. Il Contini Ciro in quel periodo infatti già prendeva la mesata dai Contini. D’altra parte Contini Ciro era fidanzato con la nipote di Nicola Rullo”. La ragazza nel corso di una telefonata intercettata con un’amica le racconta di essere salita con un signore che lei non conosce e precisa che Ciro si è “verdiato” (arrabbiato) in quanto non vuole che lei salga a casa senza avvisarlo “mi da fastidio che stanno que­sti qua sopra e tu vieni … forse non hai capito che le femmine non possono stare”. La ragazza dice che Ciro sta nero e ribadisce che non vuole che lei sia presente ai suoi incontri con le altre persone in quanto si preoccupa che potrebbe sentire cose che non deve sentire “nel senso che altrimenti so troppe cose  e lui vuole proprio evitare pure se lo viene a tro­vare qualcuno”. In un’altra telefonata la ragazza dice: “ci sta un sacco di gente sopra, quello mi uccide se salgo”.

Cronache della Campania@2018

Mazzette per il permesso di soggiorno: processo a poliziotto e avvocato di Caserta

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Mazzette in cambio del permesso di soggiorno. Volge alle battute finali il processo che vede alla sbarra un avvocato ed un poliziotto dell’ufficio immigrazione della Questura di Caserta.
Ieri mattina dinanzi al collegio presieduto dal giudice Francesco Rugarli (Riccio e Pacelli a latere) del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sono stati escussi alcuni testimoni della difesa con il processo che è stato poi rinviato all’inizio di aprile per chiudere la lista dei testimoni degli imputati prima della requisitoria del pm.
Secondo l’accusa il poliziotto e l’avvocato avrebbero favorito il rilascio di permessi di soggiorno a persone non aventi diritto. Tutto in cambio di bustarelle. Dalle indagini, che nel 2013 portarono all’arresto dei due, era emerso come il legale si rivolgesse al poliziotto per agevolare, anche attraverso la produzione di documenti falsi (come buste paga) che attestassero l’attività lavorativa svolta dagli stranieri, oltre che con distruzione o l’occultamento, da parte del poliziotto, di richieste di accertamenti volte a verificare la veridicità dei requisiti indicati nelle documentazioni allegate alle domande di permesso di soggiorno o del rinnovo degli stessi.

 Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

‘Deve avere una Madonna di paliata’, così il boss faceva punire i pusher ‘debitori’ della Penisola Sorrentina

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Sorrento. L’obiettivo dell’organizzazione era monopolizzare il mercato di sostanze stupefacenti in Penisola Sorrentina, partendo dalla produzione alla detenzione e allo spaccio servendosi di baby pusher disposti a tutto, anche incendiare auto, pur di avere guadagni facili. Tutto questo a qualsiasi costo. E’ quanto emerge nelle pagine di ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Torre Annunziata. “Ci mando quattro, cinque ragazzi. Deve avere una Madonna di paliata”. “Deve essere picchiato”. Sono delle parole emerse da una conversazione telefonica tra un indagato ed altri soggetti sulla mancata riscossione su alcune dosi di droga cedute. Sono oltre 100 gli episodi delittuosi accertati dai carabinieri che hanno effettuato le indagini coordinati dalla Procura di Torre Annunziata e che ha portato poi all’operazione denominata “Terra delle Sirene” eseguita ieri mattina dai carabinieri della Compagnia di Sorrento e che ha visto decine di militari in strada con l’ausilio anche di un elicottero del reparto aeromobile. Ieri mattina i carabinieri hanno eseguito 28 misure cautelari di cui 14 in carcere, 8 agli arresti domiciliari e sei con l’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria. Tra gli episodi delittuosi presenti nell’ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Torre Annunziata, Antonello Anzalone, vi è anche riportato l’episodio che vede protagonista un minorenne ed altri incendiare un’autovettura. A dar fuoco materialmente l’auto, secondo la Procura, è stato il minore G.C. accompagnato da Savarese Vittorio, Leone Mattia e Celentano Giovanni. L’auto presa di mira e distrutta il 10 marzo dello scorso anno era quella di Staiano Catello, il veicolo era stato lasciato in strada quando fu incendiato. Secondo quanto accertato dagli inquirenti Leone Mattia, Celentano Giovanni avrebbero accompagnato G.C. sul posto e fornito la benzina da usare per bruciare il veicolo e Savarese Vittorio avrebbe agito quale istigatore dell’atto delittuoso.
Sono finiti in carcere. Mario Molinari, Luigi Cioffi, Leone Mattia, De Liso Viviana, Iaccarino Luigi, Di Martino Fabio, Di Martino Salvatore, Di Martino Luigi, Di Martino Giuseppe, Savarese Vittorio, Savarese Vincenzo, Longobardi Enrico, Celentano Giovanni e Vanacore Aniello Ivano.
Sono finiti agli arresti domiciliari. Turno Francesco Pio, Caccioppoli Filippo, Cioffi Eugenio, Arpino Michele, Rapicano Ugo, Ciampa Raffaele, Guardato Giuseppe, Vicino Raffaelle.
Obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria per Porzio Francesco, Silvestri Veronica, Cinque Ciro, Giuseppe Di Somma, Astarita Francesco e Donnarumma Michele.

 Emilio D’Averio

Cronache della Campania@2018

Ville di lusso e negozi sequestrati al clan Zagaria: indagati 8 tra familiari e prestanomi del boss Michele. IL VIDEO

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Nel corso della mattinata odierna, nelle province di Caserta e Cremona, personale del Centro Operativo DIA di Napoli, coadiuvato da militari del Comando Provinciale Carabinieri di Caserta, ha dato esecuzione ad un Decreto di sequestro preventivo emesso dall’Ufficio GIP del Tribunale di Napoli, su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia – di questo capoluogo.
La misura cautelare reale in argomento ha per oggetto beni di ingente valore commerciale (circa 3.000.000 di euro), che le indagini hanno consentito di appurare essere nella piena disponibilità di alcuni componenti della famiglia ZAGARIA di Casapesenna, il cui capo indiscusso è Michele ZAGARIA, attualmente detenuto al regime ex art. 41 bis O.P. nella casa circondariale de L’Aquila. Della famiglia ZAGARIA risultano condannati (ed attualmente detenuti) per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., anche alcuni tra i fratelli e le sorelle del citato capo clan: Beatrice, Elvira, Pasquale ed Antonio, questi ultimi due destinatari dell’odierno provvedimento cautelare reale.
Le attività investigative, che si sono avvalse di intercettazioni dei colloqui che i detenuti indagati svolgevano in carcere con i familiari, di intercettazioni telefoniche ed ambientali degli indagati liberi e di minuziosi e complessi riscontri di natura bancaria e documentale, hanno consentito di accertare la riconducibilità dei beni in sequestro, sotto il profilo della diretta pertinenzialità, alle fattispecie di reato contestate agli odierni indagati, i quali presentano, altresì, un quadro reddituale di assoluta sproporzione rispetto al valore dei beni dagli stessi acquistati.
Il provvedimento ablativo colpisce:
– n. 1 immobile residenziale, ed annesse pertinenze (si tratta di una lussuosa villa), ubicato in Casapesenna, risultato essere nella effettiva proprietà di ZAGARIA Antonio e della moglie MARTINO Patrizia (attualmente sottoposta alla misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di Casapesenna nell’ambito dello stesso procedimento penale, in quanto indagata per il delitto di ricettazione). L’immobile, del valore commerciale di oltre 1.000.000 di euro al momento dell’acquisto, fu venduto dietro corrispettivo di soli euro 300.000. Risulta attualmente completamente ristrutturato e finemente arredato.
– n. 1 immobile residenziale, ed annesse pertinenze (si tratta di una lussuosa villa), risultato essere nella effettiva proprietà di ZAGARIA Pasquale e della moglie LINETTI Francesca (attualmente sottoposta alla misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di Casapesenna nell’ambito dello stesso procedimento penale, in quanto indagata per il delitto di ricettazione). L’immobile ha un valore commerciale di oltre 1.500.000 euro ed è stato interamente costruito su di un terreno estorto da ZAGARIA Pasquale al precedente proprietario, il quale ricevette, contro la sua volontà, la somma di euro 60.000 per la compravendita.
– n. 1 esercizio commerciale di vendita al dettaglio di capi d’abbigliamento, risultato essere nella effettiva proprietà di ZAGARIA Carmine e formalmente intestato alla moglie PICCOLO Tiziana (attualmente sottoposta alla misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di Casapesenna nell’ambito dello stesso procedimento penale, in quanto indagata per il delitto di ricettazione).
In relazione all’acquisto dei sopra citati beni:
– a ZAGARIA Antonio, a MARTINO Patrizia ed a DIANA Luigi, detto o’ riavul, pregiudicato e persona vicina alla famiglia ZAGARIA, è contestato il delitto di cui all’art. 512 bis (trasferimento fraudolento di valori), per aver intestato a terzi (la cui posizione è stata archiviata nel presente procedimento) l’immobile risultato essere nella loro proprietà;
– a ZAGARIA Pasquale è contestato il delitto di estorsione in danno dei precedenti proprietari dell’immobile; allo stesso, a LINETTI Francesca ed a MACCARIELLO Marcella è contestato il delitto di cui all’art. 512 bis (trasferimento fraudolento di valori), per aver intestato fittiziamente, i coniugi ZAGARIA-LINETTI, l’immobile risultato essere nella loro proprietà alla citata MACCARIELLO;
– a ZAGARIA Carmine ed a PICCOLO Tiziana è contestato il delitto di cui all’art. 512 bis (trasferimento fraudolento di valori), per aver ZAGARIA Carmine fittiziamente intestato l’esercizio commerciale MI.NI STORE (ditta individuale) alla coniuge PICCOLO Tiziana.
A tutti gli indagati è stato notificato, inoltre, un provvedimento di avviso della conclusione delle indagini preliminari. Contestualmente sono state eseguite sei perquisizioni domiciliari nei luoghi di residenza/dimora di tutti gli indagati liberi e negli immobili ed esercizi commerciali in sequestro. Questi ultimi, infine, sono stati immessi in possesso ad un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Napoli, che ne curerà la gestione in attesa della definizione del procedimento.
Si riportano i nominativi di tutti gli indagati:
1. DIANA Luigi, inteso o riavul;
2. LINETTI Francesca, moglie di Pasquale ZAGARIA;
3. MACCARIELLO Marcella;
4. MARTINO Patrizia, moglie di Antonio ZAGARIA;
5. PICCOLO Tiziana, moglie di Carmine ZAGARIA;
6. ZAGARIA Antonio;
7. ZAGARIA Carmine;
8. ZAGARIA Pasquale.

 

Cronache della Campania@2018

Ucciso a 22 anni per uno schiaffo al nipote del boss e poi chiuso in un sacchetto dei rifiuti: 9 indagati

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Fu ucciso per uno schiaffo al nipote del boss e  la Cassazione invia gli atti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Si tratta dell’omicidio di Luigi Barretta, appartenente al clan camorristico degli Amato-Pagano ed ucciso in un appartamento a Gricignano d’Aversa. Era l’11 maggio del 2005 nel pieno della prima faida. Il giovane, aveva appena 22 anni quando fu ucciso. Fu trovato avvolto in un sacco di plastica di quelli usati per i rifiuti nelle campagne di Crispano. Ucciso altrove e poi trasportato in località Tavernola. E’ quanto emerge da una sentenza della Corte di Cassazione che ha disposto l’invio degli atti al gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiarato competente territorialmente iscrivendo nel registro degli indagati nove tra mandanti, killer e complici di quel delitto.
Già nel febbraio 2017 il gip di Napoli aveva escluso l’aggravante mafiosa pur confermando il contesto camorristico in cui avvenne il delitto. Di qui l’invio degli atti alla Procura ordinaria di Santa Maria Capua Vetere. Il giudice per le indagini preliminari sammaritano, però, aveva condiviso le argomentazioni del pm che, nel reiterare la richiesta di arresto, aveva ribadito l’aggravante mafiosa.
Secondo quanto rilevato dal gip di Santa Maria Capua Vetere “l’omicidio fu commesso per consolidare il potere di Raffaele Amato e Cesare Pagano all’interno del clan da loro capeggiato, la cui autorità era stata posta in discussione da Barretta non solo con lo schiaffo dato, per una ragione banale, al nipote di Raffaele Amato, ma soprattutto con le successive affermazioni, secondo cui “le cose potevano cambiare”, nel senso che se ora comandavano gli Amato-Pagano il futuro poteva essere diverso”.
Di qui il ricorso del gip di Santa Maria Capua Vetere in Cassazione per risolvere la questione della competenza territoriale. I giudici del Palazzaccio hanno deciso l’invio degli atti al gip di Santa Maria Capua Vetere condividendo il fatto che la competenza del tribunale napoletano si era esaurita già con la decisione del medesimo tribunale di escludere la sussistenza dell’aggravante mafiosa.

Cronache della Campania@2018

Uccise il suo amico per la droga: è capace di intende e volere. Processo per il 18enne del Salernitano

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Era sulla scena del crimine.Come i migliori serial del crime americano: l’assassino era sulla scena e chiedeva: “Cosa è successo?”. Ma lui più degli altri lo sapeva benissimo.Si tratta di Karol Lapenta, 18 anni appena compiuti, giovane di origini polacche adottato da una famiglia di Buonabitacolo in provincia di Salerno. Il prossimo 21 marzo comparirà davanti aò gup di Lagonegro per difendersi dall’accusa dell’omicidio del suo amico Antonio Pascuzzo. Il delitto si consumò nell’aprile del 2018 nei pressi della piscina comunale. Lapenta fu arrestato una settimana dopo il crimine. Il giovane è stato anche sottoposto a una perizia psichiatrica, voluta dalla Procura di Lagonegro, che ha evidenziato la sua capacità di intendere e volere. E quindi può comparire in aula e  sostenere un processo. Lui il giovane apprendista macellaio e studente dell’Itis di Sala Consilina quando fu convocato in caserma dai carabinieri confessò subito: “Sono stato io”.Agli investigatori era bastato controllare il telefono della sfortunata vittima. Karol confessò di aver ucciso il suo conoscente Antonio per motivi di droga. Entrambi avevano il vizio del “fumo”. E l’assassino voleva dell’erba che la vittima aveva con se. La lite era degenerata e Karol gli aveva sferrato sette fendenti diretti al torace all’altezza del cuore uccidendo Antonio Pascuzzo. Non erano lontani dal luogo dove è stata trovata la vittima.  Karol aveva poi trascinato il corpo per circa 50 metri abbandonandolo sul greto del canale privo di acqua dove fu  ritrovato. Era venerdì 6 aprile quando c’è stato l’omicidio. Quella sera Antonio aveva ricevuto un sms e mentre era in casa aveva detto al nonno che usciva per comprare le sigarette. Poi non era più tornato. Da quel giorno erano iniziate le ricerche del ragazzo. Il padre di Antonio, Giuseppe, lo aveva cercato ovunque. L’assassino dopo la sua confessione aveva fatto anche ritrovare il coltello utilizzato per uccidere Antonio: lo aveva ripulito e nascosto nel suo zaino.

Cronache della Campania@2018


Turista travolta dalle onde sul lungomare di Praiano: chiesto il processo per il sindaco

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Riniviato a giudizio il sindaco di Praiano Giovanni Di Martino in seguito alla morte della turista di Belluno Mariangela Calligaro del 2 gennaio 2017. A chiedere il processo è la procura di Salerno. Il sostituto procuratore Roberto Penna ha depositato in questi giorni la richiesta contestando al primo cittadino il reato di omicidio colposo in quanto, a parere del magistrato, le responsabilità del sindaco sono da collegare alla mancanza del cartello di divieto di passeggio sulla praia, in caso di mare agitato. Per il magistrato, la mancanza del cartello, potrebbe avere indotto in errore la comitiva di turisti. La donna veneta di cinquantacinque anni, come ricorda Il Mattino, morì risucchiata dal mare mentre passeggiava col marito e una coppia di amici in uno degli luoghi più affascinanti di Praiano: via Terramare. Quell’onda assassina risucchiò lei, suo marito e la loro amica. Solo il marito dell’amica della vittima riuscì a scampare la furia del mare e, rimasto sulla terraferma, allertò i soccorsi. L’amica riuscì ad aggrapparsi a una boa, la Calligaro e il marito furono invece trascinati a largo. La guardia costiera di Amalfi recuperò il corpo della donna apparentemente privo di sensi, e il marito. Era ancora viva ma le sue condizioni erano gravi e le manovre rianimative a bordo dell’ambulanza non servirono a salvarle la vita.
Nove anni prima, in quela stessa zona, morì una giovane donna di Napoli e già all’epoca ci furono molte polemiche sulle le ringhiere basse, sulla manutenzione inesistente e il tracciato insidioso e già all’epoca fu chiara l’esigenza di segnali di avviso di pericolo. Segnali che – secondo la procura di Salerno – non sarebbero stati posizionati come da la legge prescrive in quanto risulterebbe complicato interdire e chiudere quel tratto di Marina. A breve l’udienza.

Cronache della Campania@2018

Camorra, condannato a 14 anni di carcere Giovanni Nuvoletta, figlio del ‘padrino’ Lorenzo

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Marano. E’ stato condannato a 14 anni di carcere Giovanni Nuvoletta, 50enne figlio del defunto padrino Lorenzo, il primo camorrista-mafioso della Campania. L’uomo è accusato di traffico internazionale di droga e reimpiego di capitali illeciti. Era stato arrestato nel giugno del 2015 a Milano nel corso di un blitz in cui fini in carcere insieme con altre nove persone legate ai clan dei Casalesi. Trasferito con la famiglia in Lombardia da qualche anno, Giovanni Nuvoletta aveva avviato in particolare un’impresa nel settore agricolo e lattiero caseario. Il figlio del defunto padrino dopo aver operato per anni nel settore del traffico internazionale di stupefacenti, aveva trasferito gradualmente i propri interessi economici e la famiglia nella provincia milanese, in particolare a Pogliano Milanese, dove ha reimpiegando le risorse finanziarie accumulate in molteplici attività imprenditoriali nel settore della ristorazione e della produzione e commercio di prodotti caseari.

Cronache della Campania@2018

Voti comprati e traffico di droga nel Casertano la Procura ha chiuso le indagini sui 24 indagati

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Voti comprati e droga. Arriva la chiusura delle indagini preliminari da parte del pm della Dda Luigi Landolfi per 24 indagati nell’ambito dell’inchiesta per la corruzione elettorale per le regionali del 2015 e lo spaccio di stupefacenti nel capoluogo.
Il pubblico ministero dell’Antimafia ha disposto la chiusura delle indagini preliminari nei confronti di Agostino Capone, 51enne di Caserta; Giovanni Capone, 53enne di Caserta ritenuto il ras dei Belforte nel Capoluogo e fratello di Agostino; l’ex sindaco di San Marcellino Pasquale Carbone; l’ex vicesindaco di Caserta ed ex presidente della Casertana Pasquale Corvino; Paolo Cinotti, 34 anni di Caserta; Ferruccio Coppola, 31 anni di Caserta; Silvana D’Addio, 46 anni di Caserta; Mario De Luca, 50 anni di Casal di Principe; Giovanni Gualtieri, 41 anni di San Nicola la Strada; Antimo Italiano, 59 anni di Caserta; Antonio Merola, 37 anni di Caserta; Roberto Novelli, 54 anni di Caserta; Rosario Palmieri, 46 anni di Caserta; Vincenzo Rea, 59 anni di Caserta; Pasquale Valerio Rivetti, 26 anni di Maddaloni; Gianfranco Rondinone, 36 anni di Caserta; Alberto Russo, 39 anni di Caserta; Modestino Santoro, 47 anni di Caserta; Virginia Scalino, 36 anni di Caserta; Mariagrazia Semonella, 46 anni di Caserta e moglie di Agostino Capone; Francesco Alberto Spaziante, 44 anni di Caserta; Salvatore Vecchiariello, 43 anni di Caserta; Clemente Vergone, 49 anni di Caserta; Antonio Zarrillo, 52 anni di Capodrise.
Stralciata la posizione dell’ex consigliera comunale di Caserta Lucrezia Cicia, una decisione che potrebbe essere propedeutica ad un’eventuale archiviazione da parte della Procura.
Secondo la Procura gli indagati avrebbero agito in due direzioni. Da un lato con l’acquisto di pacchetti di voti all’interno dei rioni popolari del capoluogo in favore di alcuni candidati, dall’altro, invece, con diversi episodi di spaccio di droga con le due indagini parallele che sono confluite nello stesso fascicolo.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Camorra, omicidio dell’innocente meccanico di Forcella, Contini e o’ nannone fanno scena muta davanti al gip

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Napoli. Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere  Antonio Napoletano detto o’ nannone e Ciro Contini o’ nirone, i due  killer poi diventati baby boss della ‘Paranza dei bimbi’ accusati di essere gli assassini dell’innocente meccanico di Forcella, Luigi Galletta. L’avvocato Dario Vannetiello, che difende Contini, prepara la difesa in fase di Riesame. E intanto dagli interrogatori degli arresti nel blitz della scorsa settimana e dagli atti giudiziari emergono altri particolari inediti sulla guerra di camorra tra i Sibillo e i Buonerba che nel 2015 insanguinò le strade di Forcella e del centro storico di Napoli. Anche l’altro baby boss, Francesco Pio Corallo detto o’ nonno interrogato ieri alla presenza del suo avvocato, Riccardo Ferone, ha preferito non rispondere ma, come riporta Il Roma, ha voluto rendere delle dichiarazioni spontanee chiarendo che lui la sera dell’omicidio di Emanuele Sibillo non non era con la vittima come invece aveva raccontato alla Dda il pentito Vincenzo Amirante nel corso di un verbale datato 4 ottobre del 2017: “… La sera della sua morte Emanuele era seduto dietro la moto del fratello Pasquale Sibillo e su un ‘altra moto c’erano O’ cafone e Pio Corallo. Per come raccontatomi dal Pio Corallo durante la nostra comune detenzione a Secondigliano, Emanuele Sibillo, una volta colpito, cadde dal mezzo condotto dal fratello. Sicché o’ cafone sali’ dietro il mezzo come terzo passeggero per sostenerlo. Pio Corallo mi ha anche riferito che Lino Sibillo schiaffeggiò o ‘ cafone rimproverandolo di non aver portato i giubbini antiproiettile che aveva in custodia.  In questa formazione (in tre sul mezzo) il Sibillo Emanuele fu trasportato in ospedale…”. Ma dalle intercettazioni allegate all’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Giovanna Cervo risulta che su quell’altro motorino vi erano due minorenni, Giovanni e Matteo, che subito dopo l’agguato chiamano i propri familiari per tranquillizzarli sulle loro condizioni di salute. (ro.fe.)

Cronache della Campania@2018

Condannato l’ex sindaco Di Muro. Quattro anni a Zagaria che viene scarcerato

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Condannato l’ex sindaco di santa Maria Capua Vetere, Biagio Di Muro. Quattro anni a Zagaria che viene scarcerato
Cade l’aggravante mafiosa per tutti gli imputati. I giudici hanno condannato a 5 anni e 6 mesi l’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere Biagio Maria Di Muro, 6 anni a Guglielmo La Regina, 4 anni a Vincenzo Manocchio, 1 anno con pena sospesa a Roberto Di Tommaso. Per Alessandro Zagaria cade l’aggravante mafiosa con la condanna a 4 anni e con i giudici che hanno disposto la sua scarcerazione. Assolti gli imprenditori di Casal di Principe Nicola e Francesco Madonna.
Questo il verdetto pronunciato nel pomeriggio dal collegio presieduto dal giudice Roberta Carotenuto del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Due le inchieste finite all’interno dello stesso fascicolo con Alessandro Zagaria, il ristoratore di Casapesenna ritenuto un faccendiere del clan dei Casalesi con il compito di mantenere i contatti con le pubbliche amministrazioni, a fare da trait d’union.

Cronache della Campania@2018

Chiesti 24 anni per il killer che uccise l’imprenditore del Casertano

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Cellole. Sono stati invocati 24 anni di carcere per Andreas Krebs, il tedesco che uccise Massimo Neiveller, l’imprenditore di Santa Maria Capua Vetere ammazzato durante una rapina nel dicembre 2006, avvenuta in un distributore di benzina sito lungo la Domiziana.
Nella sua requisitoria il pubblicato ministero, per tre ore, ha ricostruito il delitto: “Krebs ha usato la scusa di una batteria e quando Neiviller si è girato per prenderla lo ha colpito alla testa, attingendolo poi con un coltello in punti vitali.” L’imprenditore spiegò ai medici che lo hanno soccorso di essere stato vittima di un tentativo di rapina da parte di Krebs: “E’ stato Andreas.“, disse prima di morire.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Concorsi truccati nelle forze dell’ordine: udienza preliminare per 15 indagati. Ci sono anche i due generali Fiore e Masiello

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Scandalo concorsi truccati. Incardinata l’udienza preliminare dinanzi al tribunale di Napoli e rinviata ad aprile per decidere per gli abbreviati o il rito normale. Tra i 15 i nomi degli indagati compaiono quelli di due generali dell’esercito (Fiore e Masiello). Grazie a raccomandazioni e stratagemmi criminali, come il sistema dell’algoritmo, sono migliaia di soggetti che sono stati assunti nell’esercito nella finanza e polizia. Tra gli indagati c’è anche il nome dell’impiegato del pirotecnico di Capua, il capodrisano Giuseppe Zarrillo, recentemente condannato a quasi tre anni per altri episodi simili di corruzione nell’ambito di concorsi. Al vertice del sistema c’era un generale oggi in pensione dell’Esercito italiano: Luigi Masiello, il quale aveva costruito un sistema chiaro nella sua aberrazione rispetto ai canoni della correttezza e della legalità che dovrebbero essere punti fondamentali per ogni cittadino, ma soprattutto per ogni militare e ancor di più per uno che è riuscito a diventare addirittura generale. Il generale Masiello prendeva 25 mila euro per l’algoritmo senza però garantire al 100% l’assunzione e 50 mila euro per quello che possiamo definire il “pacchetto completo”, comprendente l’algoritmo e anche la garanzia dell’assunzione. E’ stata proprio la denuncia di Giacomo S., persona che si era avvicinata a Masiello proprio per ottenere il posto fisso, a innescare questa clamorosa indagine. Tra gli indagati anche l’altro generale Ciro Fiore del napoletano.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018


Frodi e bancarotta nel Casertano, 4 misure cautelari e maxi-sequestro

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Quattro misure cautelari personali nei confronti dei vertici di un noto gruppo imprenditoriale affidatario dei lavori di realizzazione di opere infrastrutturali di interesse pubblico sono state eseguite dalla Guardia di finanza di Caserta nell’ambito di una indagine della procura di Santa Maria Capua Vetere. Agli indagati vengono contestati i reati di evasione fiscale, bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio. Sequestro in corso di liquidità, beni immobili e quote societarie per un valore complessivo di circa 28 milioni di euro. Dettagli dell’operazione in procura alle 10.30.

Cronache della Campania@2018

Un pentito rivela: i pusher della Penisola volevano fare un attentato contro un poliziotto.LE INTERCETTAZIONI

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Nelle oltre ottocento pagine di ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip oplontino Antonello Anzalone che ha portato all’operazione denominata “Terra delle Sirene” con 14 persone finite in carcere, 8 ai domiciliari e sei con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria vengono accertati ben 139 episodi delittuosi rientranti particolarmente nello spaccio di stupefacenti. L’indagine è partita nel 2017 quando una persona, arrestata perché trovata in possesso di un ingente quantitativo di stupefacenti decideva di collaborare con gli organi inquirenti e riferiva della programmazione di un attentato contro un agente di polizia in servizio al Commissariato di Sorrento ad opera di Molinari Mario e Pasqua Antonio. Circostanza che non si è mai verificata ma che ha dato il via alle indagini da parte delle forze dell’ordine. Tutti i vari accertamenti effettuati dai carabinieri della stazione di Sorrento e che sono stati inseriti nell’ordinanza di custodia cautelare riguardano episodi di spaccio o tra spacciatori, alcuni giovani. Da Moiano, frazione di Vico Equense, all’intera penisola Sorrentina. Tra i vari episodi riportati vi è l’intercettazione tra Cioffi Luigi, detto Bubù, Leone Mattia e Cinque Ciro, detto ‘o pugliariello mentre, attraverso strade secondarie per eludere eventuali controlli delle forze dell’ordine si recavano a Sorrento con un certo quantitativo di erba. Nel caso ci fossero stati controlli lo stupefacente doveva essere buttato. Nel corso della conversazione, intercettata nei primi febbraio del 2018, i tre parlano del Capodanno appena trascorso.
Bubù: “A Capodanno sono sceso a Sorrento e ho scassato tutte cose”
Cinque Ciro: “Io a Capodanno lo sai dove sono andato? A… Pertosa… mamma mia”.
Bubù: “A Capodanno tenevo quanta palline da un grammo”
Cinque Ciro: “Quaranta?”
Bubù: “Quaranta, pensa sono partito dalle sette di sera, alle nove e un quarto non avevo niente più, mi sono sono seduto a tavola, ho mangiato e avevo duemila euro, duemila e passa euro dei miei puliti. Ho comprato quattro cinque bottiglie a Sorrento, me li sono mangiati tutti quanti”.

Renato Pagano

Cronache della Campania@2018

Napoli, accoltellò il rivale dopo che la ex lo aveva rifiutato in tv: condannato a 8 anni

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Accoltello’ il rivale in amore dopo avere chiesto inutilmente scusa alla sua ex ricorrendo a “C’e’ posta per te”: dopo l’annullamento in Cassazione, ieri la Corte di Appello di NAPOLI ha ricondannato a 8 anni di carcere (in I e II grado prese 14 anni, ndr) Emanuele Colurcio, il giovane che all’eta’ di 22 anni, nel gennaio 2016, nella zona dei Baretti di Chiaia, a NAPOLI, ferì il fidanzato della ex che lo aveva rifiutato durante la nota trasmissione. La vittima, Domenico Di Matteo, riporto’ gravissime lesioni all’addome. Tra i capi di imputazione, oltre al tentato omicidio premeditato, anche il porto illegale del coltello e atti persecutori sulla ex e tra le aggravanti i motivi abietti e futili. Il ragazzo venne condannato a 14 anni in primo e secondo grado. Il suo avvocato, Andrea Scardamagno, subentrato in Appello, presento’ ricorso in Cassazione e la sentenza venne annullata limitatamente all’aggravante dei motivi abietti e futili. Ieri la condanna a 8 anni, per tentato omicidio premeditato.

Cronache della Campania@2018

Caserta, ai domiciliari il proprietario di Interporto Sud Europa

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La Guardia di finanza di Caserta, su delega della Procura di Santa Maria Capua Vetere, ha arrestato quattro persone tra cui Giuseppe Barletta (ai domiciliari), prorpietario dell’interporto Sud Europa, la piattaforma che si occupa di logistica e il trasporto di merci più grandi del Sud Italia. Nell’ambito dell’operazione “The family”, l’imprenditore era il “dominus” di un gruppo che ha realizzato, tra le altre opere, il Centro commerciale Campania. Detenzione in casa per un suo collaboratore, obbligo di firma per altre due persone coinvolte nell’inchiesta. Tra gli indagati anche pubblici amministratori. Il gruppo, che ha un debito di 130 milioni di euro, avrebbe svuotato le casse facendo transitare liquidità presso altre società con sede anche in Olanda. ​Gli indagati sono accusati di evasione fiscale, bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio. Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati denaro, beni immobili e quote societarie per un valore complessivo di circa 28 milioni di euro.

Cronache della Campania@2018

Condannato per violenza sessuale: sentenza annullata perchè non gli era stato notificato il rinvio a giudizio

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Un uomo di 59 anni, residente a Fisciano, era stato condannato a sei anni di carcere per violenza sessuale. Sentenza annullata perché all’imputato non gli era mai stato notificato il decreto che disponeva il giudizio nei suoi confronti, lo ha deciso la corte d’Appello di Salerno. L’uomo, ad agosto 2008, avrebbe abusato più volte di una donna affetta da disturbi psichici, prima riuscendo ad adescarla con telefonate e messaggi, poi dopo averla fatta salire nella sua auto l’avrebbe condotta in una casa a Salerno.

Cronache della Campania@2018

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