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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Il pentito Fattoruso: “Ecco i rapporti pericolosi dei fratelli Aliberti e la storia delle pompe funebri”

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Lei ha mai visto insieme Michele Matrone con Pasquale Aliberti? “Con pasquale no, però con il fratello Nello sì, li ho incontrati presso il bar Napppo ed erano molto amici”: Massimo Fattoruso, il pentito che sta raccontato i retroscena della vita politica e criminale della città, il cui consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazione camorristica, racconta agli inquirenti i rapporti dei fratelli Aliberti con esponenti della criminalità organizzata. In questo caso con il figlio di Franchino ‘a belva, boss indiscusso di Scafati.
Tra i capitoli riaperti dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia anche quello delle pompe funebri e sugli interessi economici di Franchino Matrone ‘ a belva e del clan Aquino-Annunziata, nel corso dell’interrogatorio del 5 ottobre scorso, il neo collaboratore di giustizia parla delle attività criminali e dei rapporti con i politici di Scafati. L’argomento è delicato e riguarda le imprese di onoranze funebri che sono state ricondotte ad esponenti della criminalità organizzata. Il pentito apre alcuni retroscena, forse inediti, su un’impresa che – secondo quanto emerso anche dalle indagini – è stata favorita anche dall’amministrazione dell’ex sindaco Pasquale Aliberti. “Ci sta la quota nelle onoranze funebri l’eternità – dice Fattoruso a proposito delle ditte legate al boss Matrone – prima era Infinito. Quella nasce come Infinito a Boscoreale a via Marchesa ed è di proprietà di Carmine Aquino”. Fattoruso, esponente del clan Aquino-Annunziata, spiega l’organigramma della cosca che ha i suoi interessi criminali tra Boscoreale e Scafati. Secondo il pentito, la ditta di onoranze funebri è formalmente di Carmine Aquino, ‘o shalan, pluripregiudicato, condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’avvocato Michele Ciarlo, esponente di spicco della cosca, omonimo di un altro Carmine Aquino, suo cugino che pure ha avuto un ruolo nell’impresa di pompe funebri poi interdetta dalla Prefettura di Salerno. “L’infinito di Boscoreale, il vero proprietario è Carmine Aquino, ‘o shalan, i soldi li ha cacciati lui, e la gestione la dà a Giuseppe Aquino e a Carmine Aquino i suoi cugini”. Fattoruso spiega come nasce la ditta: “All’epoca che nasce la società Giuseppe Aquino faceva il tappezziere, mentre Carmine Aquino aveva un negozio di detersivi in una traversa di via Della Resistenza. L’infinito viene aperto nel 2003”. Fattoruso racconta che prima dell’apertura della ditta di pompe funebri gli altri imprenditori del settore erano costretti a pagare il pizzo agli Aquino-Annunziata per ogni funerale fatto a Boscoreale. E spiega anche come e chi decise di varcare i confini del paese vesuviano e sbarcare a Scafati. “Io e Carmine Aquino, ‘o shalan, decidemmo di aprire un’agenzia di onoranze funebri a Scafati. La dovevamo fare insieme inizialmente aveva uno quota. A Scafati c’era solo Cesarano e ci sarebbe stato sicuramente molto lavoro e all’epoca infatti ci fu il contrasto con Giulio Cesarano che mi offrì 3 stipendi mensili se noi non aprivamo. Giulio Cesarano l’unico pensiero che mandava all’epoca lo mandava a Umberto Mazzola (Bartolomeo Terrestre, pluriergastolano, ndr) per cercare di evitare”. Secondo Fattoruso prima di loro ci aveva provato anche Franchino Matrone ad aprire un’attività del genere ma il progetto si era arenato per intoppi burocratici. Quando, invece, gli Aquino-Annunziata scesero in campo ci fu qualcuno che li indirizzò. Al progetto iniziale, del quale doveva fare parte lo stesso Fattoruso, si unisce Francesco Matrone, con il figlio Michele e la moglie che prendono una parte delle quote. “Cambia il nome dell’Infinito passa a Eternità quando c’è stato il subentro di Matrone” racconta Fottoruso. “Quando è nata la società ci ha dato una mano proprio Aliberti (Pasquale, ndr) – racconta – lui era consigliere comunale per Forza Italia. Siccome all’epoca c’era un contratto fatto tra il comune di Scafati e Cesarano, una sorta di monopolio, a Scafati non poteva operare più nessuno”. La nuova impresa di pompe funebri riuscì a superare l’ostacolo burocratico e ad aprire un’agenzia a Scafati: “Io mi rivolgo a Pasquale Aliberti per sapere precisa tutta questa situazione, come stava e come si poteva aggirare – dice Fattoruso – Aliberti va dalla Sorrentino e si va a prendere tutta la documentazione, il regolamento comunale, tutta la normativa e i documenti che ci volevano per aprire e mi disse ‘puoi aprire ma non potresti fare il trasporto, però il Comune l’unica cosa che ti può fare è una multa, se vengono i vigili in quel momento'”. Secondo quanto racconta Fattoruso, Aliberti lo consiglia su come fare dopo l’apertura dell’agenzia e gli raccomanda di fare un ricorso al Tar: “Mi dice fai ricorso al Tar e ti fa aprire e mi indica un caso analogo a Capaccio. Successivamente dopo 5, 6 giorni ci rincontriamo con Aliberti e mi dà anche la sentenza di questa agenzia disse ‘guarda c’è già un precedente'”. Il collaboratore, ricostruisce la genesi dell’apertura dell’agenzia di pompe funebri legata sia al clan Aquino-Annunziata sia a Matrone e spiega i passaggi successivi che poi non è riuscito a seguire perchè fu arrestato. A seguire l’iter burocratico per conto degli Aquino-Annunziata fu il loro commercialista di fiducia, un professionista di Ottaviano.

Cronache della Campania@2018


Accoltellò tre ragazzi durante una rissa fuori a una pizzeria: finisce in carcere giovane della Sorrento bene

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Sorrento. Si è costituito nel carcere di Arienzo dopo che la Cassazione ha reso definitiva la condanna a 4 anni e otto mesi di carcere per tentato omicidio e rissa aggravata. Si tratta di Sigismondo Stragazzi giovane della Sorrento bene che nel 2012 insieme con il fratello Niccolò e il loro amico Alfonso Villa (entrambi condannati a tre anni e due mesi) furono protagonisti di una violenta rissa con accoltellamento con altri coetanei all’esterno di una pizzeria. La vicenda risale al primo dicembre del 2012, quando i due Stragazzi e Villa si trovavano all’esterno di una pizzeria in compagnia di alcune ragazze. Su una di queste, secondo le ricostruzioni della polizia, si posarono gli sguardi di altri tre giovani che attendevano di entrare nel locale: Eduardo Pontecorvo, Giuseppe Esposito e Saverio Ruggiero. Volarono parole grosse e poi si arrivò alla rissa durante la quale Esposito e Pontecorvo furono feriti al torace e all’addome, mentre l’altro se la cavò con una frattura alla mano. Gli agenti arrestarono gli Stragazzi e Villa. Sigismondo era sotto l’effetto della droga e dell’alcol durante la rissa. A maggio 2014, furono condannati, sentenza confermata in appello e resa definitiva dalla Cassazione. Per il giovane violento della Sorrento bene si sono aperte da ieri le porte del carcere di Arienzo in provincia di Caserta mentre il fratello Niccolò e Alfonso Villa potranno chiedere pene alternative.

Cronache della Campania@2018

Il pusher, figlio del sindaco, voleva acquistare anche una pistola dai narcos dei Lattari. LE INTERCETTAZIONI

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“Me la fai 850 euro se vengo? Sembra un giocattolo”.Voleva acquistare una pistola per 850 euro Antonio Marmo, il 26enne figlio di Michele Marmo, stimato sindaco di San Rufo. Il giovane è da ieri agli arresti domiciliari per un’inchiesta sul traffico di droga lungo l’asse Monti Lattari- Vallo di diano che ha portato all’emissione di 7 ordinanze cautelari a carico di altrettanti soggetti e tra questi appunto Antonio Marmo. Il giovane era già stato arrestato a febbraio perché trovato ad Atena Lucana con la droga nascosta nella ruota di scorta dell’auto. Dall’indagine condotta dai carabinieri della compagnia di Castellammare di Stabia, sotto il coordinamento della Procura di Torre Annunziata, e dalle intercettazioni è emerso il suo totale coinvolgimento nel traffico di droga messo in piedi dai boss della marijuana del Monti Lattari, Ciro Sabatino, detto “Cipriano” (finito in carcere) Ciro Gargiulo detto o’ biondo e Antonino Diu Lorenzo detto o’ lignammone (entrambi hanno ricevuto una nuova ordinanza per gli arresti in casa dove già si trovavano per altre precedenti inchieste sempre per traffico di droga). E non a caso in una intercettazione, a testimonianza del suo pieno coinvolgimento Antonio marmo dice al suo interlocutore Ciro “Cipriano” Sabatino: “La droga portamela nel fine settimana che si vende subito”. E il suo interlocutore gli spiega: “Devi venderla a 4,50 euro al grammo. Di meno solo se arrivano soldi in mano. Vedi se a qualcuno serve anche la roba bianca, la tengo ma la vendo solo a chi paga…Al compare (che sarebbe Ciro Gargiulo) gli dissi: ti do 3mila euro, così scaliamo qualcosa del vecchio. Perché sul servizio vecchio gli devo dare altri mille, mille e cinque, su quel chilo e mezzo vecchio”. Nell’inchiesta sono  coinvolti anche un altro pusher di Salerno, Giuseppe Sudano, 31 anni (che è finito in carcere), Carmine Di Lorenzo, 23 anni, figlio del boss Antonino o’ lignammone (pure lui ai domiciliari come il padre) e il benzinaio Pasquale Olero, 40 anni, di Torre Annunziata colpito da un divieto di dimora in Campania.

Cronache della Campania@2018

Torre Annunziata, ergastolo con dieta per il boss che uccise mamma coraggio

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Torre Annunziata. Ennesimo ergastolo per Umberto Onda, il boss killer che uccise Anna Barbera, la mamma che aveva affrontato chi aveva ucciso suo figlio Umberto Ippolito, il 22 febbraio 1994. Nella stessa giornata che ha visto la condanna dell’uomo arriva una buona notizia per Onda. La Cassazione ha accolto il ricorso. I legali hanno chiesto che sia somministrata ai detenuti una dieta congrua che prenda in considerazione anche eventuali intolleranze per garantire quindi il diritto alla salute dei carcerati. Ad Umberto Onda andrà quindi la carne visto che l’uomo è affitto da una documentata e certificata allergia al pesce azzurro. Gli alimenti non tollerati andranno sostituiti con cibi che non possano creare problemi alla salute. Anche al Corte d’Appello di Napoli è fermamente convinta che ad uccidere mamma coraggio sia stato proprio Onda. La donna fu uccisa qualche giorno prima del processo a carico del boss del clan di Boscotrecase, Luigi Limelli. Salvatore Barbuto, pentito del clan Gionta, si autoaccusò di questo delitto ma a premere il grilletto non fu lui bensì Onda, così come raccontato dal alcuni collaboratori di giustizia. Fine pena mai anche per Alfonso Agnello, 50 anni, alias “chiochiò”. I due sono accusati anche dai collaboratori di giustizia Michele Palumbo “munnezza” e Aniello Nasto “quarto piano”. Nasto si è autoaccusato di aver preso parte all’omicidio di Anna Barbera, mentre Palumbo di aver ucciso materialmente Vincenzo Amoretti. Due episodi di sangue, avvenuti durante la faida contro i Gallo-Cavalieri tra il 2004 e il 2007, in una scia che si è interrotta solo nel 2014, con la pace armata stipulata dai due sodalizi criminali, nel frattempo colpiti da centinaia di arresti e altrettante condanne che tengono tuttora in cella gli ex capi e reggenti. Il primo omicidio fu quello di Anna Barbera, per il quale è stato condannato come autore materiale Umberto Onda. La donna fu ammazzata il 12 marzo 2004 in via Vesuvio a Torre Annunziata, poiché “colpevole” di aver sputato verso gli assassini di suo figlio Umberto Ippolito, a sua volta ucciso dai Gionta il 22 febbraio 1994.

Cronache della Campania@2018

Why not, per la Corte d’Appello di Salerno ‘ci fu abuso ufficio su de Magistris’

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La Corte di appello di Salerno, presieduta da Massimo Palumbo, ha parzialmente riformato, accogliendo nella sostanza l’atto di appello proposto dalla sola parte civile Luigi de Magistris (difeso dagli avvocati Stefano Montone ed Elena Lepre), la sentenza emessa in primo grado del procedimento nato dallo scontro tra procure che aveva assolto tutti gli imputati per l’illecita revoca dell’inchiesta ‘Poseidone’ e l’illecita avocazione del procedimento ‘Why not’ all’allora pm de Magistris. I giudici di secondo grado hanno riconosciuto che ci fu una violazione di legge nella revoca per ‘Poseidone’ fatta il 29 marzo 2007 dall’allora procuratore aggiunto di Catanzaro Salvatore Murone, con il concorso del senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli e dall’allora sottosegretario alle Attivita’ produttive, Giuseppe Galati, ritenendo i fatti sussumibili nel reato di abuso d’ufficio, per il quale hanno dichiarato di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Riconosciuta anche come illegittima l’avocazione del procedimento ‘Why Not’, fatta il 19 ottobre 2007 sempre da Murone con l’avvocato generale facente funzioni di procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, Dolcino Favi, in concorso con l’imprenditore della Compagnia delle Opere Antonio Saladino, ritenendo i fatti sussumibili nel reato di abuso d’ufficio, per il quale e’ stato dichiarato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Il primo grado di giudizio aveva visto la prima udienza il 2 febbraio 2011 (a quasi 4 anni dai fatti) e si era chiuso il 20 aprile 2016, dopo 98 udienze: il collegio della prima sezione penale, pur riconoscendo in sentenza la violazione di legge, aveva assolto gli imputati. L’ex pm, ora sindaco di Napoli, aveva impugnato la sentenza.”Esprimo grande soddisfazione per il fatto che, seppur a distanza di cosi’ tanto tempo e seppur con tante ingiustizie che ho dovuto subire, la Corte d’appello di Salerno abbia riconosciuto le responsabilita’ per il delitto di abuso d’ufficio – dice de Magistris – da oggi abbiamo la prova che quelle indagini, che riguardavano i rapporti tra criminalita’ organizzata, istituzioni, politica e massoneria deviata, che arrivavano fino al cuore dello Stato, mi furono illecitamente sottratte, affinche’ non arrivassi alla verita’ e non mi si consentisse di fare le doverose indagini che svolsi nell’esclusivo adempimento delle norme costituzionali e nel rispetto della legge. Ho tanta amarezza nel cuore, ma oggi lo Stato, anche se in parte, mi ha ripagato con una sentenza cosi importante. Voglio ringraziare il mio avvocato Elena Lepre per il lavoro encomiabile svolto al mio fianco in questi anni”.

Cronache della Campania@2018

‘Si sono avvicinati per chiedere una sigaretta’, incastrato dalle foto l’architetto indagato per camorra nega di aver pagato il pizzo

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“Effettivamente quello in foto sono io. Ero insieme al dott. Napolano Raffaele che è l’amministratore del condominio per il quale stiamo facendo i lavori. Avevamo deciso di allontanarci e di parlare un po’ per fatti nostri e siamo andati nel parco che dista duecento metri dal cantiere. Le altre persone ritratte in foto non le conosco. Si sono avvicinate a noi per chiederci una sigaretta”. E’ il pomeriggio del 14 giugno scorso quando l’architetto Giorgio Fiorentino, 49 anni di Portici ma residente a Marano viene interrogato dal pm Maria Di Mauro della Dda di Napoli in merito a presunte richieste di tangenti che due esponenti del clan Orlando di Marano avrebbero chiesto a Fiorentino perché la ditta del suocero stava realizzando lavori per 220 mila euro per la ristrutturazione del parco Amelia. Di li a qualche minuto, nonostante sia stato “incastrato” dalle prove evidenti in mano alla Procura diventa indagato per falsa testimonianza aggravata dal metodo mafioso.Le foto che lo incastrano sono state scattate grazie all’intuito di un carabiniere libero dal servizio e che la mattina del 25 marzo scorso passeggiava con il suo cane all’interno del parco Ciaurro a Marano. Il militare aveva notato il gruppetto di persone e un passaggio di denaro. Si era insospettito e aveva scattato alcune foto inviate alla stazione dei carabinieri di Marano. Da quel momento erano partite le indagini che in settimana hanno portato il gip Francesca Ferri ad emettere un’ordinanza cautelare (consegnata in carcere) a Celestino De Fenza, 34 anni di Marano, fratello del più noto Maurizio detto o’ mamozio (in carcere per l’omicidio del gioielliere di Marano Salvatore gala commesso nel 2017 insieme con altri complici) e Antonio Agrillo, pure lui 34enne di Marano legato al clan Orlando e cognato di Antonio Di Maro (uno dei 10 del clan Orlando  arrestati a giugno scorso per le minacce  ai familiari del neo pentito Teodoro Giannuzzi). L’architetto quindi ha preferito farsi indagare per camorra piuttosto che ammettere di avere pagato il pizzo al clan Orlando nonostante fosse stato fotografato. E infatti nello stesso verbale di interrogatorio, prima che il pm Di Mauro decida di  interromperlo e di metterlo sotto indagine Fiorentino aveva continuato a negare: “Le dico che in questo momento non mi ricordo l’oggetto della conversazione. il dott. Napolano (che è l’amministrazione del condominio che lo aveva accompagnato e  che non è indagato in quanto ha confermato l’incontro con gli esponenti del clan Orlando) neanche le conosceva queste persone. La S.V. dice che dalle riprese emerge chiaramente che io avrei dato dei soldi a queste due persone. Le rispondo che non ho dato nulla a nessuno, anzi non ricordo di aver dato dei soldi a queste due persone. Era la prima volta che le vedevo…La società che fa capo a me non ha il patto di legalità, la vecchia società di mio suocero aveva invece sottoscritto il patto di legalità. I lavori che stiamo facendo a Marano ammontano a duecentotrentamila euro circa, fino ad adesso ci hanno pagato circa ottantamila euro”. Da questo momento si interrompe il verbale e a Fiorentino viene comunicato di essere sotto inchiesta.L’architetto nomina l’avvocato Felice Bianco quale suo difensore di fiducia.

 Rosaria Federico

 1. continua

@riporduzione riservata

Cronache della Campania@2018

Il boss, il sindaco ed il centro commerciale. “Ecco come è diventato un business per i Casalesi”

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Il boss, il sindaco ed il centro commerciale. “Ecco come è diventato un business per i Casalesi”.Il capoclan pentito svela tutti i retroscena ai magistrati della Dda.Da un lato un imprenditore che aveva la necessità di avere gli “agganci giusti”; dall’altro un boss che doveva incassare “soldi freschi” per tenere in piedi il clan; in mezzo un sindaco disposto a fare “piaceri” in cambio di appoggio elettorale. E’ lo scenario che emerge attorno al centro commerciale Jambo di Trentola Ducenta, su cui c’è stata un’inchiesta che ha visto finire sotto processo il “proprietario” Alessandro Falco e l’ex sindaco Michele Griffo.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Ndrangheta: finisce ai domiciliari Galati, ex sottosegretario e deputato del centrodestra

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Catanzaro. E’ Giuseppe Galati l’ex deputato finito agli arresti domiciliari nell’ambito dell’operazione ”Quinta bolgia”. I militari del nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza di Catanzaro, coordinati e diretti dalla procura della Repubblica – Dda di Catanzaro, con la collaborazione dello Scico di Roma, hanno eseguito complessivamente 24 ordinanze di custodia cautelare, di cui 12 in carcere e 12 agli arresti domiciliari. Per Galati, ex sottosegretario alle Attività Produttive, eletto prima con l’idc e poi passato con Forza Italia e successivamente con Ala. Alle ultime elezioni politiche del marzo scorso Galati si era candidato al Senato con la lista “Noi con l’Italia”, ma non era stato eletto. Nel corso dell’operazione è stato eseguito anche un sequestro di beni per dieci milioni di euro.
I particolari dell’operazione, chiamata”Quinta bolgia”, saranno illustrati dal procuratore della Repubblica Nicola Gratteri, dal procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla, dal comandante provinciale di Catanzaro Davide Rametta e dal comandante dello Scico di Roma Alessandro Barbera, alle ore 11.00 odierne presso la sede del comando provinciale della guardia di finanza di Catanzaro.

Cronache della Campania@2018


Finti carabinieri rapinano un’auto poi chiedono estorsione via whatsapp: 3 arresti a Boscoreale

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Boscoreale. Si fingono carabinieri e rapinano l’auto a un passante. Poi, via whatsapp, gli chiedono il riscatto per la restituzione. I Carabinieri della Stazione di Boscoreale hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, emessa dal Gip di Torre Annunziata su richiesta della locale Procura, 3 giovani di Boscoreale: Vincenzo Guastafierro, 20 anni, Vincenzo Palmieri, 19 anni e Raffaele Marra, 24 anni, accusati di rapina e tentata estorsione.
Il provvedimento è stato emesso dopo indagini dei militari avviate a seguito di una denuncia sporta l’8 dicembre scorso da un 29enne.
La vittima aveva raccontato che transitando in auto per via Cangiani era stata bloccata da 3 persone; questi ultimi, in abiti civili e simulando un posto di controllo si erano qualificati come “carabinieri” e con lo stratagemma gli avevano portato via l’autovettura.
Successivamente la vittima era stata contattata via whatsapp da uno dei malfattori che gli proponeva la restituzione del mezzo ma solo dietro il pagamento di un riscatto. Una delle foto inviate attraverso la chat per dimostrare al ricattato che si era in possesso della macchina è stata utile ai carabinieri per capire ove fosse nascosta e quindi la vettura è stata recuperata e restituita al proprietario già nel corso delle prime indagini.

Cronache della Campania@2018

Uccise un ladro in casa, processo bis per l’operaio casertano condannato a 10 anni

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Gioia Sannitica. Uccise un ladro di origini albanesi che stava scassinando la porta di casa, nel tentativo di entrare dalla stanza delle due figliole che al momento si trovavano persino all’interno a dormire. Così, il 6 luglio del 2012, l’operaio Giovanni Capuozzo originario di Gioia Sannitica, prese il suo fucile da caccia e sparò quattro colpi di fucile a pallini, di cui uno andò a segno uccidendo il malvivente, Dasmir Xhelpa, poi secondo l’accusa lo avrebbe caricato sul suo furgone e gettato nel fiume Volturno.
L’operaio, condannato al carcere in primo grado, si è presentato davanti al Giudice con l’avvocato difensore, nel tentativo di ribaltare la sentenza ed ottenere uno sconto della pena (attualmente 10 anni di reclusione e 50.000 euro di indennizzo alla famiglia del malvivente).
Nel frattempo, però, in paese l’operaio resta ancora un eroe stando alle testimonianze dei cittadini, in quanto la banda aveva già terrorizzato l’intero paese con furti a tappeto. Secondo le perizie emerse nel corso del processo, Capuozzo sparò mentre il ladro si dirigeva verso di lui, quindi la difesa punta a dimostrare per l’ennesima volta la legittima difesa per difendere la sua casa e le sue figlie. In paese, il carpentiere viene indicato come un uomo onesto e lavoratore.
Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Un pentito di Mafia in aula per parlare del riciclaggio di Zagaria in Romania

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Un collaboratore di giustizia vicino a Cosa Nostra, Fabio Lanzafame, imprenditore siracusano, sara’ sentito domani nel processo in corso ad Aversa al Tribunale di Napoli Nord che vede come imputato Nicola Inquieto, l’imprenditore che secondo la Dda di Napoli avrebbe riciclato in Romania i soldi del boss dei Casalesi Michele Zagaria, creando un vero e proprio impero immobiliare del valore di decine di milioni di euro. Lanzafame, ritenuto legato a soggetti vicini al clan catanese dei Santapaola e alle cosche siracusane, dovra’ riferire dei presunti contatti avuti con Inquieto per investimenti da effettuare in Romania, e dei contrasti sorti con l’imprenditore, che avrebbero portato uno stretto rappresentante del boss casertano a recarsi probabilmente a Pitesti, citta’ romena dove Inquieto vive e opera, per appianare il dissidio. I due imprenditori, per l’accusa, avrebbero avuto societa’ in comune. Oggi intanto la Cassazione romena decidera’ se concedere o meno la proroga per far restare Inquieto altri sei mesi in Italia, in modo che si possa definire il processo penale in corso al Tribunale di Napoli Nord. Inquieto non puo’ essere infatti estradato dalla Romania, la cui normativa non contempla reati di mafia, per cui e’ arrivato in Italia per sei mesi, quasi “prestato” dall”autorita’ giudiziaria romena; La Dia di Napoli, che ha condotto le indagini su delega della Direzione Distrettuale Antimafia, ha poi chiesto una proroga di altri sei mesi al Tribunale di Pitesti, che ha acconsentito; contro la decisione Inquieto ha fatto pero’ ricorso e la Cassazione romena dovra’ pronunciarsi.

Cronache della Campania@2018

Camorra: chiesti 21 anni di carcere per il boss Salvatore Puccinelli

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Ventuno anni di carcere per il boss del rione Traiano, Salvatore Puccinelli  detto Tore straccietta, 8 per il figlio Ciro (arrestato a Siena dove si era trasferito, la scorsa settimana perchè la condanna a 18 anni di carcere per le piazza di spaccio del rione Traiano è diventata definitiva), 8 anche per Assunta Susy Cozzolino, cugina del boss scissionista Gennaro Cozzolino, otto anche anche per Rosa Ciotola, Mario Saggese detto Marittiello e Alfredo Aulisio. Sono le richieste avanzate oggi dal gip nel corso del processo per traffico di droga che sta sta svolgendo con il rito immediato davanti al tribunale di Pescara. La sentenza dopo la discussione degli avvocati è prevista per il mese di dicembre. Il boss fu arrestato il 16 febbraio del 2011 a Pescara insieme con altre 17 persone tra cui la moglie, deceduta lo scorso anno e il figlio Ciro. Il boss si trovava in regime di sorveglianza speciale a Montesilvano in provincia di Pescara. Gli investigatori avevano scoperto che i tre avevano dato vita a un’associazione a delinquere, con tanto di capi e gregari, ognuno con i propri compiti e il proprio ruolo, finalizzata a commettere una serie indeterminata di delitti. Provvedevano cioè al reperimento, alla detenzione, al trasporto continuativo e alla cessione costante di ingenti quantitativi di cocaina, in arrivo da Napoli, per venderla nelle province di Pescara e Teramo attraverso un sodalizio subordinato e strettamente collegato all’organizzazione. Gli investigatori accertarono circa 50 episodi di spaccio al dettaglio, solo fra il settembre 2009 ed il febbraio 2010, riguardanti spacciatori locali, nodi terminali della filiera della droga che aveva il vertice proprio nell’organizzazione camorristica di Puccinelli.

(nella foto il boss Salvatore Straccietta Puccinelli, Ciro Puccinelli, Mario Marittiello Saggese)

Cronache della Campania@2018

Uccise il sospetto pedofilo: condannato il boss pentito Salvatore Maggio

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Ha confessato di aver ucciso un uomo perche’ sospettato di essere un pedofilo, un algerino di 38 anni che viveva a Napoli, nei pressi di piazza Mercato e “dava fastidio ai ragazzini”. Una donna si era rivolta al boss: “Quello ha violentato un 12enne”, aveva detto. Era l’8 giugno 2015 quando Abdel Chafai e’ stato attirato in trappola in una casa di Poggioreale, quartiere nella zona orientale della citta’. Il ‘tribunale della camorra’ aveva deciso e cosi’ dopo un breve interrogatorio fu ucciso con due colpi di pistola, il corpo messo in una busta di plastica e dato alle fiamme in una discarica vicino Napoli. Questa mattina il gip del Tribunale di Napoli, Chiara Bardi, ha condannato il boss che sparo’, Salvatore Maggio, ora pentito, a 12 anni di carcere, e il suo braccio destro che si occupo’ di far sparire il cadavere, Salvatore Sembianza, a 18 anni di carcere. Quest’ultimo ha confessato il delitto e non ha avuto la condanna a 30 anni che il pm della Dda, Francesco De Falco, aveva invocato. Era difeso dagli avvocato Francesco Buonaiuto e Diego Pedicini. Sembianza e’ stato condannato per un altro omicidio, quello di Pasquale Grimaldi, il 19 giugno del 2006. La svolta nelle indagini e’ arrivata dopo le dichiarazioni di Maggio dello scorso anno perche’ dell’algerino, del cui corpo e’ stato solo qualche parte, non si sapeva nulla. Impossibile arrivare a ricostruire il movente del delitto perche’ si era alzato un muro di omerta’. Nel 2015 Maggio era uno dei boss della zona di piazza Mercato e aveva dato la caccia ai nemici del clan Mazzarella, che in quel periodo avevano subito la pressione investigativa e quindi perdevano potere e aderenza sul territorio.

Cronache della Campania@2018

Giugliano, rapinava distributori di carburante: arrestato 36enne. E’ caccia al complice

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Giugliano. Rapinava distributori di carburanti: è stato scoperto e arrestato dagli agenti del commissariato di Giugliano-Villaricca. Nell’ambito di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Napoli Nord, i poliziotti hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Napoli Nord, nei confronti di una persona di anni 36, residente in Pozzuoli, per il reato di rapina in concorso, ai danni di due distributori di carburanti della zona di Licola di Giugliano.
La prima rapina è quella del 19 settembre 2017, alle ore 15,40 circa, il rapinatore arrestato oggi, insieme ad un altra persona, in sella ad uno scooter Sh 300 ha assaltato il distributore di carburante situato a Licola, minacciando con una rivoltella i dipendenti in servizio in quel momento ai quali veniva sottratto l’incasso. Dopo appena un quarto d’ora, alle ore 15.55, gli stessi soggetti tentarono un’ulteriore rapina ai danni di altro distributore nella medesima area. In questo caso, però, il titolare ingaggiò una colluttazione con i banditi che, si diedero alla fuga dopo aver esploso un colpo di pistola, abbandonando sul posto uno scooter con targa contraffatta, una pistola priva della matricola, un passamontagna, un casco e un paio di occhiali da sole.
Le indagini -effettuate mediante l’escussione di testimoni, l’esame delle immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza ed altre attività tecniche e scientifiche anche sulle cose cadute in sequestro -hanno consentito di acquisire un grave quadro indiziario nei confronti del rapinatore arrestato oggi.
Sono in corso ulteriori attività per identificare il complice dell’indagato.

Cronache della Campania@2018

Torna libero il medico salernitano accusato di aver ‘addormentato’ il suo paziente malato terminale

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Il Tribunale del Riesame di Salerno ha revocato gli arresti domiciliari ad Alessandro Marra. Il medico dell’hospice Il Giardino dei Girasoli di Eboli  era stato arrestato lo scorso 19 ottobre perche’, secondo la Procura di Salerno, aveva somministrato volontariamente una dose letale di un farmaco a Carmine Giannattasio, un malato terminale 28enne di Battipaglia . L’ipotesi di omicidio volontario e’ stata esclusa questa mattina dai giudici del Tribunale del Riesame secondo i quali non ci sarebbero gravi indizi di colpevolezza nei confronti del medico originario di Roccapiemonte. La misura cautelare degli arresti domiciliari e’ stata sostituita con la misura interdittiva della sospensione dalla professione per gli altri capi d’imputazione. Accolta, dunque, la tesi che l’avvocato Michele Tedesco ha presentato in una memoria difensiva di 43 pagine, rafforzata da due consulenze tecniche redatte dal dottor Renato Gammaldi, primario di Rianimazione al “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno, e da cinque verbali d’indagini difensive. “Il dottor Marra – ha detto l’avvocato Michele Tedesco – e’ rimasto sempre sereno in questa fase. Puo’ immaginare cosa significa per un medico essere accusato di omicidio volontario. In ogni caso io penso che oggi non sia il caso di fare conferenze stampa dopo l’annullamento di un’ordinanza di custodia cautelare per il reato di omicidio volontario. Ma resto convinto che non vadano fatte neanche dopo provvedimenti interlocutori. Si dovrebbero commentare le sentenze passate in giudicato, nient’altro”.

Cronache della Campania@2018


Metanizzazione tra Salerno, Roma e Forlì: arrestati dirigenti coop e un funzionario del Mise. Coinvolta una municipalizzata salernitana

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Forlì. Estorsione, corruzione, turbativa d’asta: sono solo alcuni dei reati che hanno portato all’arresto di tre persone: due dirigenti del consorzio di cooperative Conscoop e un funzionario del ministero dello Sviluppo economico, per un giro di tangenti nell’ambito della progettazione per lavori di metanizzazione. Altri cinque indagati sono destinatari di un avviso di garanzia a conclusione di una complessa indagine per reati contro la pubblica amministrazione e il patrimonio nelle province di Forlì, Roma e Salerno, coordinata dalla Procura di Forlì e condotta dai militari del nucleo investigativo del comando provinciale carabinieri di Forlì-Cesena. Al termine dell’indagine è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale forlivese nei confronti di tre indagati (uno in carcere e due agli arresti domiciliari) ed è stato notificato un avviso di garanzia nei confronti di ulteriori cinque persone. Nei confronti degli indagati, tra i quali vi sono i vertici della Conscoop, di una municipalizzata salernitana e un funzionario del ministero dello Sviluppo economico, sono stati ipotizzati, a vario titolo, i reati di concorso in estorsione continuata e aggravata, corruzione per l’esercizio della funzione, turbata libertà degli incanti, favoreggiamento personale e false informazioni al pubblico ministero. Ulteriori informazioni verranno fornite nel corso di una conferenza stampa che si terrà domani alle ore 10.15, negli uffici del procuratore della Repubblica di Forlì, a cui parteciperà il comandante provinciale dei carabinieri di Forli’-Cesena.

Cronache della Campania@2018

Traffico di rifiuti e clan in sette comuni della Campania: indagati amministratori pubblici

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Napoli. Indagine della Dda su traffico di rifiuti e infiltrazioni dei clan nelle ditte: i carabinieri per la Tutela dell’ambiente, delegati dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Napoli, hanno eseguito perquisizioni negli uffici di sette comuni campani, di alcuni amministratori pubblici e nelle sedi di due società “in house”, rispettivamente della Regione Campania e della Città Metropolitana di Napoli. Sarebbero indagati amministratori pubblici, dirigenti, funzionari e tecnici tra Caserta, Aversa, Cardito, Casandrino, Sant’Arpino, Recale e Casalnuovo, comuni che si trovano tra il Casertano e il Napoletano, e anche nelle società Campania Ambiente e Servizi e Sapna. L’attività di indagine, costituita da più filoni poi convergenti, è nata circa un anno fa e non risulta legata ai recenti gravi roghi che hanno interessato alcuni siti di stoccaggio.
Il procuratore Giovanni Melillo attraverso una nota ha spiegato che le attività d’indagine puntano a fare luce, tra l’altro, su traffici organizzati di rifiuti frutto “di una vasta e ramificata attività di illecito condizionamento delle funzioni pubbliche”, con particolare riferimento “alla gestione degli appalti dei servizi di raccolta, trasporto e smaltimento”. Appalti che potrebbero essere stati affidati, anche a imprese in odore di camorra, attraverso un “condizionamento delle aggiudicazioni e delle scelte di pubblici amministratori e funzionari”. Perquisizioni sono state eseguite anche a casa e nello studio del sindaco di Caserta Carlo Marino, e a Palazzo Castropignano, sede del Comune, dove sono entrati in azione almeno 40 carabinieri coadiuvati da un consulente informatico. I militari hanno acquisito atti e portato via computer, hard-disk, ma, soprattutto una abbondante documentazione riguardante la gara d’appalto della raccolta dei rifiuti solidi urbani, attualmente ferma all’Asmel (Centrale Unica di Committenza, ndr), e gli atti e le delibere sul biodigestore, l’impianto per il trattamento dei rifiuti umidi che dovrebbe sorgere in località Ponteselice, a poco più di un chilometro dalla Reggia di Caserta; i militari che hanno perquisito anche gli uffici dell’ex dirigente Marcello Iovino, oggi consulente del Comune, e del dirigente del settore ambiente Giuseppe D’Auria, hanno acquisito anche la documentazione relativa all’installazione delle casette dell’acqua. La gara per l’affidamento della raccolta rifiuti è partita solo qualche mese fa, in ritardo rispetto alla scadenza del precedente appalto, a causa di intoppi e pasticci burocratici, come l’iniziale “errata” adesione del Comune proprio all’Asmel; l’adesione era infatti avvenuta con deliberazione di Giunta, e non con quella del Consiglio Comunale. Il Comune ha così concesso la proroga all’azienda che ha gestito la raccolta nel precedente quinquennio, l’Ecocar, peraltro colpita da interdettiva antimafia.

Cronache della Campania@2018

Soldi del clan riciclati in Romania, il pentito Lanzafame e le dichiarazioni di Pellegrino inchiodano Nicola Inquieto

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Oggi nel processo in corso ad Aversa al Tribunale di Napoli Nord che vede come imputato Nicola Inquieto, l’imprenditore che secondo la Dda di Napoli avrebbe riciclato in Romania i soldi del boss dei Casalesi ,Michele Zagaria hanno deposto i pentiti Pellegrino e Lanzafame.
Il luogotenente del boss Attilio Pellegrino “quello che gestiva la cassa del clan che pagava gli stipendi agli associati” dichiara in video-conferenza che per volere diretto di Zagaria furono messi dei contanti in una macchina con doppio fondo e portati in Romania che però non provenivano dalla cassa da lui gestita per le “spese ordinarie” ma direttamente da Zagaria. Il trasporto fu affidato a Mario Nobis però non sa di che investimento si trattasse né precisamente in che città fossero diretti.
Sempre in video-conferenza inizia il suo racconto il pentito di mafia Lanzafame. L’imprenditore catanese ha parlato della propria attività nel settore delle scommesse on-line, della gestione delle slot-machine negli anni 2000 in gran parte la Sicilia ma per continuare la sua attività imprenditoriale ma soprattutto per rafforzarla  con nuova liquidità dovette entrare nel 2010 nel clan catanese capeggiato da Nitto Santapaola. Questo soldalizio criminale riuscì a diventare unico monopolista del settore scommesse e delle scommesse on line, ma le tasse da pagare qui erano elevate poi i ricavi andavano spartiti con il clan e decise insieme a Santapaola di insediare la sua sede legale e operativa in Romania dove i tributi da versare erano ridotti e le banche facilmente accettavano versamenti milionari di euro in contanti. Li ad un ristoratore amico italiano di nome Marcello a Pitesti in Romania chiese a chi poteva rivolgersi per acquistare una casa e gli fu presentato Nicola Inquieto costruttore da cui acquistò una casa da 250.000 euro pagata in contanti. Lanzafame che continuava a fare affari con la mafia di Catania continuando a gestire il giro di scommesse sicule aveva nel frattempo accumulato ricavi personali per 2/3 milioni di euro. Con questi soldi acquistò un casinò semi finito che il suo amico Nicola gli completò versandogli 130 mila euro, poi acquistò un night dei locali commerciali e soprattutto edificò il primo palazzo con Nicola Inquieto. Il quale però cominciò a condurre una vita un po’ sopra le riga spendendo molti soldi nel suo casinò insomma quasi a zero a zero tra quello che Nicola gli doveva poi dare e quello che avrebbe poi messo lui. Comprarono una vasta area edificabile fecero una società al 50% e costruirono sei edifici. A questo punto un giorno ricevette una telefona dal casinò che un certo Mario facendo il nome di Nicola Inquieto che voleva entrare: lui non ricorda il cognome ma gli inquirenti sospetta di Mario Rubis il porta valori di Zagaria. Inquieto e Lanzafame si confidarono: uno gli racconta di lavorare per Cosa Nostra l’altro per Zagaria. A questo punto Lanzafame sostiene di essere stato invitato a cena nell’attico Nicola e in quella cena sarebbe intervenuto il fratello di Zagaria di cui non ricorda il nome di battessimo. Inquieto e Zagaria gli prospettano di riciclare nelle loro aziende in Romania molti … molti soldi. Lui prende tempo per la risposta, ha già in ombra l’idea di dissociarsi e gli arriva un secco no da Nitto Santapaola sulla persona di Nicola Inquieto. A gennaio di quest’anno entra nel programma di protezione.

Gustavo Gentile

Cronache della Campania@2018

Scafati, operaio morto nella fabbrica del vetro: in due a processo

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Scafati. Due persone dovranno affrontare il processo con l’accusa di omicidio colposo per la morte del giovane operaio Gennaro Sorrentino avvenuta il 3 marzo del 2017 nella fabbrica “La tecnica del vetro” di via Domenico Catalano. Si tratta del responsabile per la sicurezza e il legale rappresentante dell’azienda. Secondo le accuse i due avrebbero peccato di imperizia, negligenza e imprudenza, mettendo l’operaio in una situazione di rischio, senza valutare i pericoli cui andava incontro nello svolgere la mansione. Gennaro Sorrentino morì per un grave trauma cranico da schiacciamento. Il giovane operaio aveva riportato anche gravi lesioni interne per lo schiacciamento dell’addome, ma il perito incaricato dalla procura di Nocera Inferiore ha accertato che a causare il decesso è stato il trauma cranico. Gennaro Sorrentino, addetto all’imballaggio delle lastre di vetro, avrebbe anche sbattuto la testa contro uno spigolo del piano di lavoro, dopo essere stato travolto dalla pesante lamina che gli è caduta addosso da un’altezza di un paio di metri. La lastra era stata poco prima trascinata da un apposito macchinario, tramite una pinza, sul banco lavoro quando, per una tragica fatalità, si è rovesciata, travolgendo il 32enne.

Cronache della Campania@2018

Uccise la madre dopo una lite: condannato a 10 anni

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Dovrà scontare dieci anni di reclusione il 42enne Gaetano Caraccio che lo scorso dicembre uccise la madre, la 74enne Vittoria Natella. La sentenza è arrivata alcuni giorni fa dal tribunale di Salerno al termine del rito abbreviato.
Gaetano Caraccio già nella scorsa udienza aveva chiesto perdono per il folle gesto figlio di un raptus di follia, il 42enne preso il giorno dopo il delitto confessò di aver aver agito al colmo dell’esasperazione ma non aveva intenzione di uccidere la madre. Dichiarò infatti di volerla semplicemente zittire dopo un’accesa discussione, l’ennesima. La situazione familiare nella quale è maturato il delitto era abbastanza problematica. Sia madre che figlio, con problemi psichici, si erano isolati totalmente dal mondo. Comunicavano solo tra di loro così il 22 dicembre i due erano in casa e dopo una discussione il figlio strinse le mani alla gola della donna e la uccise nella camera da letto. I militari della compagnia di Battipaglia giunsero in casa il giorno dopo a seguito di una segnalazione di un vicino. Le indagini si sono fin da subito concentrate sul figlio e, da come emerge dalle perizie, questo gesto rientra nell’ambito di una personalità turbata dell’uomo. Infatti per Caraccio è stata dichiarata la seminfermità mentale.

Cronache della Campania@2018

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