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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Invito a cena con delitto: condannato all’ergastolo il prof assassino

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Condanna all’ergastolo per Stefano Perale, il docente cinquantenne accusato di aver ucciso nel giugno 2’17 nel suo appartamento, a Chirignago  in provincia di Venezia, Anastasia Shakurova, 30 anni, e il fidanzato Biagio Buonomo Junior, 31enne di Sant’Arpino in provincia di Caserta. Le due vittime vennero narcotizzate dopo essere state invitate a cena, poi scatto’ il duplice delitto. Ieri il pm, Giorgio Gava, aveva replicato all’arringa dei difensori di Perale, Matteo Lazzaro e Nicoletta Bortoluzzi, che avevano chiesto l’assoluzione dell’imputato per incapacita’ di intendere e volere, seguiti poi dagli interventi dei rappresentanti delle parti civili. Il giudice ha infine accolto la tesi dell’accusa, secondo le quali Perale, reo confesso, avrebbe architettato il duplice delitto, mosso dalla gelosia nei confronti del rapporto che Anastasia Shakurova aveva instaurato con il compagno Biagio Buonomo. Il giudice ha disposto il massimo della pena, al netto dello ‘sconto’ del rito abbreviato, che in questo caso cancella l’obbligo di isolamento diurno. Stefano Perale e’ stato riconosciuto colpevole di duplice omicidio aggravato dalla premeditazione, per vilipendio di cadavere, per violenza sessuale aggravata nei confronti di Anastasia Shakurova e per procurato aborto.

Cronache della Campania@2018


Torre Annunziata, abusi al Cmo: processo per titolari e tecnici comunali

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A processo i titolari del Cmo, professionisti e dipendenti comunali con l’accusa di aver effettuato abusi edilizi per ospitare i macchinari per la Medicina Nucleare. Il giudice del Tribunale di Torre Annunziata ha accolto le richieste del pm Rosa Annunziata ed ha mandato a processo otto persone accusate a vario titolo di abuso d’ufficio, falso e abuso edilizio. In circa due anni di indagini la Procura ha ricostruito come il Centro Medico Oplonti abbia effettuato abusi edilizi nell’edificio di via Roma. “Il progetto per ottenere le autorizzazioni a costruite è diverso da quello poi realizzato” – è questa la tesi dell’accusa. “Al primo livello dovevano esserci delle vasche di accumulo delle acque ha spiegato il pubblico ministero durante la sua requisitoria invece sono stati prima portati costosi macchinari per la diagnostica e poi sono stati realizzati altri lavori progettati dall’architetto Antonio Collaro, con altezze e volumetrie cambiate”. Per il collegio difensivo, invece, è tutto a norma. “al primo livello – sostengono – sono stati solo ridistribuiti i volumi, è tutto a norma”. Il coinvolgimento degli uffici del comune di Torre Annunziata sarebbe avvenuto in fase successiva e riguarda il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio dell’attività medica e ad un “insolito rilievo metrico con errori nelle misure”. Così tra gli imputati ci sono il dirigente dell’ Ufficio Tecnico comunale, i tecnici del Cmo.

Cronache della Campania@2018

Era distratto al telefonino il pirata della strada che ha investito e ucciso il carabiniere e il vigilante sulla 7 Bis

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Stava inviando messaggi con il suo smartphone quando è piombato sulle persone frerme sulla carreggiata della Statale 7 bis uccidendo l’appuntato scelto dei carabinieri Vincenzo Ottaviano e il vigilante Benigno De Gennaro e riducendo in fin di vita il vice brigadiere Attilio Picoco. E’ quanto emerge dall’inchiesta su quel terribile incidente che vede indagato, per il momento soloper omicidio stradale Carmine Sannino, il 26enne di Sant’Antimo. Dall’inchiesta emerge anche che l’auto, come anticipato da Il Mattino, era lanciata a 150 chilometri orari su una strada a scorrimento veloce dove il limite di velocità è fissato a 80. La frenata, lunga 18 metri, è servita a ben poco: il tremendo impatto con i tre uomini, che in piedi sulla carreggiata stavano completando i rilievi di un tamponamento, è avvenuto quando il tachimetro segnava 130 chilometri, come risulta dall’esame della scatola nera installata sulla Golf. Ora alla luce di queste risultanze investigative si sta procedendo al controllo dei tabulati del traffico telefonico sulla smartphone del 26 enne di Sant’Antimo. Si vuole capire se, come pare, era distratto dalle conversazioni via chat, e quindi il suo grado di attenzione verso la strada era ridotto. Cosa che lo avrebbe portato a non rendersi conto che stava investendo delle persone ferme nonostante ci fossero le segnalazioni. L’accusa quindi nei suoi confronti potrebbe cambiare in omicidio stradale plurimo e altro. Sarà lo sviluppo dell’inchiesta a stabilire il grado di colpevolezza del giovane.

 

Cronache della Campania@2018

Turista morì risucchiata da un’onda sul porto di Praiano: indagato il sindaco

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A Giovanni Di Martino, sindaco di Praiano, la procura contesta il reato di omicidio colposo per la morte di Marinagela Calligaro avvenuta lo scorso 2 gennaio. Gli viene contestato, in pratica, di avere omesso i controlli del caso. La turista di Belluno, aveva cinquantacinque anni ed era in vacanza in Costiera quando, durante una passeggiata sulla Praia – zona in cui mancava il cartello di divieto di passeggiare in caso di mare agitato con il marito e un’altra coppia di amici -, è morta risucchiata da un’onda.
A seguito di meticolose indagini svolte dai militari del nucleo investigativo della Capitaneria di porto di Salerno, il sostituto procuratore Roberto Penna ha individuato a carico del sindaco tutte le responsabilità della tragedia in quanto tutto ciò che attiene alla pubblica incolumità è in capo al primo cittadino del territorio.
Lanciato l’allarme, sul posto arrivarono immediatamente la guardia costiera e il 118. Mariangela Calligaro, il marito Carlo Talamini di cinquantasei anni e l’amica Nicoletta Bressa erano in mare. Nicola Zeggio, marito di Nicoletta (57 anni come la moglie), si era salvato ed era rimasto a terra. La Bressa, poi tratta in salvo, era aggrappata a una boa poco oltre la scogliera mentre la Calligaro e suo marito erano stati portati al largo dalla corrente. Talamini, successivamente ricoverato all’ospedale Costa d’Amalfi per ipotermia, si era aggrappato a una boa e con l’altro braccio teneva il corpo della moglie probabilmente già privo di sensi. A salvare la seconda donna fu il marito il quale, dopo essere stato imbracato con un salvagente legato a una corda, si tuffò nuovamente in mare per raggiungerla. E dopo averla afferrata la portò sulla spiaggia. La Calligaro era ancora viva ma le sue condizioni erano gravi tant’è che le manovre rianimative fatte a bordo dell’ambulanza non servirono a tenerla in vita.
Non è la prima volta che una tragedia simile si consuma nello stesso posto: nel 2009, Manuela Castaldo, napoletana di trentasette anni, perse la vita nel medesimo modo. Stessa sorte per una turista veneta e prima di lei ancora altre due vittime.
“Me lo aspettavo, era un atto dovuto. Non sono stato colto di sorpresa: in questi casi fa parte del ruolo istituzionale di un sindaco essere individuato come presunto responsabile” – ha dichiarato il sindaco di Praiano al quotidiano Il Mattino. “Mi si addebita la mancata presenza di non adeguata segnaletica in caso di mareggiata – spiega Di Martino – Poi sarà l’eventuale dibattimento a dimostrarlo. Per adesso non so se ci saranno altre valutazioni, confidiamo nell’attenzione dei giudici dinanzi ai quali mi difenderò. Ci presenteremo sereni e ritengo di non avere responsabilità rispetto a questo fatto gravissimo”.
“Fu una tragedia gravissima. – prosegue – Ora sarà la giustizia a dire se ci sono state imperizie o mancanze. Io mi ritengo estraneo da responsabilità, anche se non ho visto il fascicolo e le motivazioni rispetto all’attività di indagine”.

Cronache della Campania@2018

Scafati, scarcerata dopo 24 ore ‘lady cocaina’ Teresa Cannavacciuolo

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Scafati. Scarcerata lady cocaina. Quella che per le forze dell’ordine è considerata la regina della droga. All’anagrafe Teresa Cannavacciuolo. Oggi è finita la detenzione nel carcere di Fuorni di quella che viene definita la “lady cocaina” dello sballo dell’area scafatese e nocerino sarnese sebbene era stata arrestata soltanto due giorni fa, precisamente nella serata di martedì. Questa volta gli agenti le contestavano la violazione delle prescrizioni della misura cautelare, essendo stata trovata con pregiudicati nella sua abitazione. Il Gip di Nocera Inferiore tenuto conto delle segnalazioni dei carabinieri aveva disposto l’aggravamento della misura cautelare. Non più la detenzione domiciliare ma il carcere perché non si era attenuta alle prescrizioni e non aveva dimostrato autodisciplina. Nella serata di martedì i Carabinieri della locale stazione di Scafati avevano accompagnato la pluripregiudicata presso il carcere di Salerno. A distanza di poche ore il giudice che aveva emesso il provvedimento ha disposto l’immediata scarcerazione della Cannavacciuolo, accogliendo l’istanza del suo difensore ovvero l’avvocato Gennaro De Gennaro. La pregiudicata risulta essere famosa alle cronache giudiziarie non solo per lo spaccio ma anche per il violento attentato subito al suo bar, il “my love” di Scafati. La Lady crack scafatese era stata arrestata più volte, in rapida successione, per aver venduto oltre 100 grammi di cocaina sul finire dell’anno 2016. Ora la regina dello spaccio sembra aver voltato pagina e raddrizzato completamente la sua vita. Ma era caduta nuovamente in un clamoroso errore, violando le regole e nonostante tutto il giudice l’ha “graziata” per l’ennesima volta, scarcerandola dopo appena 24 ore di carcere.

Cronache della Campania@2018

Alessandra fu travolta e uccisa dall’auto del suo ex: per la Procura fu un femminicidio

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Omicidio volontario e guida in stato d’ebrezza. Per la procura di Napoli Nord, la morte di Alessandra Madonna, (la 20enne ballerina di Melito) non fu un omicidio ma un femminicidio. Questa l’accusa sostenuta nel corso dell’udienza preliminare per Giuseppe Varriale, 24enne di Mugnano che deve rispondere della morte della fidanzata, sua coetanea. Il ragazzo ha scelto di essere processato con il rito abbreviato, e’ agli arresti domiciliari e questa mattina non era presente in aula. La vittima fu investita dall’auto di Varriale lo scorso 8 settembre a Mugnano, area Nord di Napoli, dopo un violento litigio. Secondo Varriale, era stato un incidente perche’ la cinghia della borsetta della ragazza si era impigliata nella portiera e lui non se ne accorse, partendo veloce e facendo cadere e trascinando la ragazza a terra per metri. Per la Procura, il giovane, ubriaco e in stato alterato, la investi’ di proposito trascinandola al culmine di un litigio violento.

Cronache della Campania@2018

Castellammare, i tre baby orchi chiedono lo sconto di pena

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Castellammare di Stabia. Chiedono lo sconto di pena i tre baby orchi stabiesi legati al clan D’Alessandro protagonisti di una violenza di gruppo nei confronti di una ragazzina di 12 anni di Gragnano. Il pm Fabrizia Pavani del Tribunale per i minori ha chiesto e ottenuto per loro il rinvio a giudizio. Il giudice per le indagini preliminari  ha anche già fissato per gli inizi di novembre la data del processo che si svolgerà con rito abbreviato. I tre (due difesi dall’avvocato Gennaro Somma e uno da Antonio De Martino) proveranno ad ottenere lo sconto di pena dopo aver chiesto in fase di convalida le scuse alla ragazzina. I difensori avevano chiesto in fase di Riesame gli arresti domiciliari e la messa alla prova in una comunità di recupero per Minori. Richiesta respinta e che sarà naturalmente reiterata in fase processuale. I tre minori ( uno è un parente di un boss del clan D’Alessandro e un altro e un suo parente) accusati di aver violentato, filmato  minacciato una ragazzina di 12 anni di Gragnano.  Un video registrato dagli stessi ragazzi mostra la vittima succube del baby branco, insultata e tenuta in stato di soggezione per tutta la durata dell’incontro. “Un comportamento — aveva scritto il Giudice nel primo provvedimento — che evidenzia l’assoluta assenza di considerazione dell’altro che, nel caso di specie, è solo uno strumento per il soddisfacimento delle proprie voglie”.

Cronache della Campania@2018

L’ex lady camorra Rosa Amato al pentito Schiavone jr: “Parli dell’omicidio di mio fratello”

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L’appello lo ha lanciato dall’emittente televisiva Tv Luna, Rosa Amato, sorella di Carlo ucciso in discoteca nel 1999, durante una gesta del liceo e donna di camorra poi pentita si rivolge a Nicola Schiavone, figlio di Sandokan, per chiedere ‘verità e giustizia’ per il fratello. “Nicola Schiavone, spero tu possa pentirti sinceramente e raccontare finalmente la verità. Così anche la mia famiglia potrà tornare a vivere”. Dice la donna, oggi 40enne, con un passato tormentato da donna di camorra a pentita. Si rivolge a Nicola Schiavone, primogenito di Francesco detto “Sandokan”, boss del temibile clan dei Casalesi e che nei giorni scorsi ha comunicato la decisione di voler collaborare con i magistrati, in un’intervista all’emittente Tv Luna – che ne ha diffuso una sintesi – per chiedergli di alzare il velo sull’omicidio del fratello, Carlo, ucciso a 19 anni a coltellate il 19 marzo del 1999 in una discoteca a Santa Maria Capua Vetere dove era in corso la festa del liceo. “Il pentimento di Nicola Schiavone può rappresentare l’ultima tappa della mia vita”, ha dichiarato Rosa che insieme al padre Salvatore Amato, per dieci anni circa, ha retto le redini dell’omonimo clan attivo a Santa Maria Capua Vetere. Un clan nato “per vendetta”, per contrastare gli affari dei casalesi, colpevoli secondo gli Amato di aver contribuito a erigere il muro di omertà seguito alla morte di Carlo: “Di tutti i presenti a quella tragedia nessun testimone”, ha proseguito Rosa. Intanto sul delitto del diciannovenne pesano ancora gravi ombre: “Nicola, solo lui – ha aggiunto l’ex collaboratrice di giustizia -, è in grado di fare luce sulla uccisione di mio fratello” visto che viene dato per certo che in quella discoteca fosse presente anche il figlio di ‘Sandokan’. Alla domanda se un uomo può cambiare, Rosa Amato risponde: “Un uomo può cambiare soltanto se passa attraverso un altro dolore. Non so quale sia stato il motivo del pentimento di Nicola. Ma so che, in ogni caso, l’omicidio di mio fratello ha scosso molte coscienze. E questo malgrado l’omertà. Sono convinta – ha concluso -, che anche i Casalesi, a loro modo, rimasero toccati dalla fine di mio fratello. Ed è per questo motivo che sono convinta che sì, lui lo farà. Nicola Schiavone dirà finalmente la verità”.

Cronache della Campania@2018


Il Riesame restituisce il ‘tesoretto’ al capo piazza ‘Sasà del Bronx’ e rimette in libertà la sorella Assunta

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Il GIP del Tribunale di Napoli, Dr. Gallo, con un’ordinanza eseguita il 10 luglio scorso, applicò la custodia in carcere a Rispoli Salvatore, detenuto per altro a Poggioreale.
Alla sorella Assunta, invece, il giudice impose il divieto di dimora in Campania.
Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, riprese dal Giudice per le Indagini Preliminari, “Sasà del Bronx” avrebbe gestito una “piazza” di cocaina al I vico Marina, da luglio a dicembre 2013, avvalendosi del supporto dei coniugi Fusaro Ernesto e Ronza Anita, di Ciccone Enzo detto “Cocozzella” e del “pentito” Visone Antonio.
Le dichiarazioni di quest’ultimo, divenuto collaboratore di giustizia dopo un breve passaggio tra le fila dei Vollaro di Portici, rappresentano, insieme con le conversazioni accusatorie della coppia di pusher, il grave quadro indiziario a carico del capo del gruppo dei “due palazzi” a San Giovanni. Per Salvatore, nipote dei Formicola, il Tribunale della Libertà ha annullato il decreto di sequestro del conto corrente.
In sede di Riesame, i difensori Leopoldo Perone e Giuseppe Milazzo hanno sottolineato come le somme di danaro non fossero provento delle attività delittuose, ottenendo dal Presidente Alfonso Sabella (noto per aver iniziato la sua carriera al fianco di Giovanni Falcone, e per essere l’autore del libro “Cacciatore di mafiosi” da cui è stata tratta la fiction di Rai2 “Il cacciatore”) e dai consiglieri a latere un provvedimento favorevole al proprio assistito.Lo stesso collegio ha anche annullato la misura coercitiva a carico di Assunta  Rispoli ì, di nuovo libera, difesa dal penalista Marco Bernardo.
La sorella di “Sasà” era completamente estranea all’associazione e, benché consapevole degli intenti del fratello, all’epoca non si prodigò in alcun modo per dargli una mano. Gli indizi su “Susetta” sono troppo deboli per tenerla lontana da casa.

Cronache della Campania@2018

Truffa del falso crowdfunding: ci sono anche 8 avellinesi tra i 40 indagati

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Ci sono anche gli avellinesi Gerardo Vozza e Massimo Mallardo della Gm Consulting (con sede a Lefkosia, Cipro e ad Avellino) insieme ad altri 6 irpini tra le  40 persone indagate ì nell’operazione coordinata dalla Procura di Como, che ha smantellato una presunta associazione a delinquere di natura transnazionale finalizzata a commettere delitti di riciclaggio e di abusiva attività di raccolta del risparmio con il cosiddetto schema «Ponzi», il cui nome deriva da un immigrato italiano negli Stati Uniti che aveva trovato il modo di raggirare un gran numero di persone. le accuse sono di riciclaggio, associazione a delinquere, truffa e abusiva attività di raccolta fondi tramite crowdfunding.

L’attivita’, diretta dalla Procura di Como e condotta dai militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Como in diverse regioni, e’ tesa a dare esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo emesso dal dip di Como per circa 34 milioni di euro. L’operazione e’ scaturita dalle indagini sull’omicidio dell’architetto Alfio Molteni, ucciso a Carugo nel 2015 da un gruppo di sicari secondo l’accusa incaricati dalla moglie e dal suo amante. Ulteriori dettagli saranno resi noti nel corso della conferenza stampa, presieduta dal procuratore della Repubblica di Como, Nicola Piacente alle 10 e 30 nel Palazzo di Giustizia.

L’associazione a delinquere, formata da 19 persone, era operativa sin dal 2014 in vari stati tra cui Austria, Lussemburgo, Malta, Regno Unito, Confederazione Elvetica, Cipro (oltre che in numerose citta’ italiane) ed era finalizzata a commettere delitti di abusivismo finanziario e riciclaggio messi a segno in attraverso le societa’ estero vestite, con strutture anche a Lugano, W&H CONSULTINO Sa (di diritto lussemburghese), M.g.A. Consulting Gmbh (di diritto austriaco ma operativa a Modena) e LAREFER ltd (di diritto cipriota ma operativa ad Avellino). Tutte erano prive di abilitazione ad operare in Italia in quanto mai iscritte all’albo dei soggetti autorizzati dalla Consob che hanno collocato prodotti finanziari abusivi (quote di crowdfunding) sul territorio italiano Le somme di denaro raccolte con la collocazione dei prodotti finanziari non erano destinate alle attivita’ di investimento proposte, ma divise tra i componenti della associazione e in parte utilizzate per pagare gli elevati rendimenti sugli investimenti sottoscritti dai vari clienti per stimolare la raccolta di ulteriori somme di denaro. Il collocamento dei prodotti finanziari era altresi’ realizzato, utilizzando una piattaforma finanziaria chiusa denominata ASAP Vip Club che consentiva la gestione di operazioni monetarie di trasferimento anche all’Estero delle somme di denaro con gli investitori italiani in modo non tracciabile. L’indagine e’ stata condotta, anche con attivita’ di intercettazione, dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Como, e si e’ avvalsa del significativo contributo fornito dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Avellino, dalle Autorita’ di vigilanza Consob e Banca d’Italia, da Eurojust e dalle Autorita’ di Austria e Bulgaria.

Cronache della Campania@2018

La Procura vuole il processo immediato per gli stupratori della turista inglese a Meta

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La procura di Torre Annunziata è pronta a chiedere il processo immediato per gli otto presunti violentatori della turista inglese nell’hotel Alimuri di Meta (estraneo alla vicenda). In cinque sono in carcere dal mese di maggio mentre tre sono stati individuati il mese scorso e sono a piede libero. Ma la difesa degli indagati dopo che i magistrati oplontini hanno firmato la chiusura delle indagini si preparano a presentare il ricorso in Cassazione per ottenere la scarcerazione dei loro assistiti. Per loro mancherebbero infatti, i presupposti della custodia cautelare in carcere, tantomeno sussisterebbe il pericolo di fuga, visto che gli indagati non avrebbero gli appoggi né il denaro per affrontare un’ipotetica latitanza; stesso discorso per il rischio di inquinamento delle prove, visto che l’indagine è ormai conclusa; da escludere anche la reiterazione del reato, visto che gli indagati sono incensurati e non si sono macchiati di altri misfatti dal 2016 a oggi. Ma gli avvocati Alfredo e Mariorosario Romaniello legali del  bar di Vico Equense, Fabio De Virgilio si preparano a giocare una carta importante visto che hanno commissionato una perizia a un esperto di tossicologia. L’obiettivo é quello di smontare la tesi dell’accusa secondo la quale il barman, con il collega di Portici, Antonino Miniero, avrebbe drogato la turista inglese prima di abusarne sessualmente in piscina e poi lasciarla “in pasto” agli altri. La donna il mese scorso ha confermato le accuse nel corso di un drammatico incidente probatorio svoltosi davanti al gip Emma Aufieri. In aula erano presenti anche i cinque arrestati: Antonino Miniero,di Portici, Gennaro Davide Gargiulo di Massa Lubrense, Raffaele Regio e Francesco Ciro D’Antonio entrambi di Torre del Greco e Fabio De Virgilio di Vico Equense e i tre indagati a piede libero Catello Graziuso di Castellammare di Stabia, Vincenzo Di Napoli di Meta di Sorrento e Francesco Guida di Sant’Agnello.

 

 

Cronache della Campania@2018

Il pentito, cognato del boss: ‘Un carabiniere di Volla faceva le soffiate al ras Matarazzo’. LE DICHIARAZIONI DI MORINO

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“Voglio precisare che sono stato confidente dei carabinieri di Volla ai quali ho dato spesso indicazioni per recuperare droga ed armi anche arrestato delle persone. Posso anche dirvi che c’è un carabiniere della Stazione di Volla che ha un cugino che si chiama …omissis… e fa … nella zona del cimitero. In diverse circostanze …omissis… mi riferiva di fare attenzione poiché suo cugino il carabiniere lo informava di operazioni di polizia sul territorio o talvolta di servizi esterni che venivano predisposti in zona. Oltre ad informare me questo…omissis… informava principalmente il Matarazzo”.  E’ il 18 gennaio del 2018 quando Francesco Morino alias Bibì, cognato del boss di Volla,  Pasquale Matarazzo del Parco Bolivar di Volla, uomo del clan Veneruso decide di pentirsi e passare dalla parte dello stato. Le sue dichiarazioni insieme con quelle dell’altro cognato, Elio Cafiero (che è diventato collaboratore alcuni mesi prima) e di Sorrentino Giorgio fanno parte integrante delle 429 pagine dell’ordinanza cautelare firmata il mese scorso dal gip Dario gallo e che ha portato in carcere 8 persone tra cui lo stesso boss Matarazzo, la moglie e i vertici del clan. Nelle sue deposizioni il pentito Morino parla anche di ‘nzalatella (Maddaluno Raffaele) e ‘o pop del clan Rinaldi del rione Villa di san Giovanni a teduccio ovvero Raffaele Oliviero . Il primo è il cugino della sua convivente, di cui si ricorda anche che organizzò insieme col Matarazzo – esperto di assalti ai tir – una rapina al supermercato Decò di San Giovanni. ‘O pop, invece, acquistò col narcos vollese un chilogrammo di cocaina, sequestratagli dai carabinieri locali, proprio grazie ad una “soffiata” dello stesso pentito.

Cronache della Campania@2018

Stop ai funerali a Scafati: interdittiva antimafia per le imprese funebri coinvolte nello scandalo affissioni

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Scafati. Pompe funebri: interdittiva antimafia per le due imprese coinvolte nello scandalo del Comune di Scafati. Stop ai funerali per l’Eternità srl e la Servizi funebri srl. A deciderlo la Prefettura di Salerno che ha emesso un’informazione interdittiva antimafia alle due imprese di pompe funebri ritenute contigue alla criminalità organizzata. L’Eternità, gestito dalla famiglia Aquino di Boscoreale e di fatto intestata a Giuseppina Ametrano, la società – secondo gli inquirenti – è riconducibile al clan Matrone capeggiato da Franchino ‘a belva e dal figlio Michele – la Servizi Funebri srl della famiglia Cesarano, ritenuta vicina al clan D’Alessandro di Castellammare per un’indagine che ha portato al processo per favoreggiamento aggravato dal metodo mafioso nei confronti di un esponente della cosca di Scanzano, il procedimento pende in primo grado
A notificare l’informazione interdittiva emessa dalla Prefettura la Polizia municipale di Scafati, guidata da Giovanni Forgione. Il Prefetto ha agito sulla scorta della relazione della Dia sezione di Salerno nell’ambito dell’operazione ‘Sarastra’ che ha indagato dal 2014 al 2016 sulle connivenze tra politica e camorra nel comune salernitano. Alle indagini degli uomini guidati dal colonnello Giulio Pini e dal capitano Fausto Iannaccone si sono aggiunti gli approfondimenti amministrativi della Commissione di accesso che si è insediata al Comune di Scafati nel marzo del 2016. L’inchiesta ha portato poi allo scioglimento del consiglio comunale di Scafati il 27 gennaio del 2017, guidato dall’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti di Forza Italia. L’interdittiva antimafia è stata emessa a carico delle due imprese di pompe funebri che – nell’ambito delle indagini – avrebbero omesso di pagare i tributi per l’affissione dei manifesti funebri, alla Geset, la società che gestisce il servizio per conto del Comune di Scafati. Il mancato versamento dei tributi e il caos dei tabelloni pubblicitari per le imprese funebri era stato anche un capitolo della relazione della commissione di accesso, fatto proprio dalla Prefettura, e vagliato dal  Consiglio dei Ministri che aveva decretato lo scioglimento. Da questo capitolo di inchiesta è scaturito un processo a carico dell’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti, attualmente detenuto in carcere per scambio di voto politico-mafioso con esponenti del clan Ridosso-Loreto, l’ex staffista Giovanni Cozzolino, il dirigente dei servizi finanziari Giacomo Cacchione e i responsabili delle imprese, Giuseppina Ametrano per l’Eternità, Alfonso e Catello Cesarano per la Servizi funebri e l’ingegnere addetto alla manutenzione per il Comune di Scafati, Nicola Fienga, tutti accusati in concorso per abuso d’ufficio commesso con l’aggravante del metodo mafioso, finalizzato a favorire l’operatività delle due ditte di onoranze funebri, ritenute diretta espressione della locale criminalità organizzata. Entrambe le imprese funebri sono state bloccate dalla Prefettura e potranno fare ricorso amministrativo contro il provvedimento, nel frattempo i loro servizi sono sospesi. Resta da capire da chi potrà essere svolto il servizio in città, dopo il blocco dei servizi per le due imprese concorrenti.
Rosaria Federico

Cronache della Campania@2018

Scafati, va ai domiciliari fuori regione Gennaro Ridosso, figlio del boss pentito Romolo

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Scafati. Ha ottenuto gli arresti domiciliari fuori dalla regione Campania Gennaro Ridosso, figlio collaboratore di giustizia Romolo, condannato la settimana scorsa nel processo stralcio dell’inchiesta Sarastra che ha portato in carcere l’ex sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti, alla pena di di sei anni e 4 mesi di reclusione. Il rampollo del boss è stato condannato per corruzione elettorale per le amministrative del 2013 – nel 2015 era in carcere dunque non gli è stato contestato lo scambio di voto politico mafioso per le Regionali – per le estorsioni ai conservieri Aniello e Fabio Longobardi ed infine per le minacce aggravate dal metodo mafioso nei confronti della giornalista Valeria Cozzolino. A settembre riprenderà il processo a carico del primo cittadino e di certo avranno un peso le condanne inflitte la settimana scorsa a Gennaro Ridosso, Alfonso Loreto – oggi pentito – condannato ad un anno e due mesi di reclusione in continuazione con la sentenza, passata in giudicato, per associazione per delinquere nella quale ha incassato sei anni di reclusione. Una pena complessiva di sette anni e due mesi di reclusione per essere stato uno dei promotori del clan Loreto-Ridosso. E infine a cinque anni e 8 mesi di reclusione Luigi Ridosso junior nonostante in una lettera il giovane figlio del boss Salvatore, ucciso negli anni scorsi, abbia presentato una lettera con una sorta di dissociazione e nella quale fa ricadere le colpe sul pentito Alfonso Loreto.

Cronache della Campania@2018

‘I miei fratelli hanno dato la vita per i Mazzarella, io non pago nessuno’, la trans diventata boss si ribellò al summit di camorra

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“Quando mai la camorra dei Mazzarella ha pagato i Mazzarella. I miei fratelli hanno dato la vita per Mazzarella, ora io devo pagare…”. Mamma Lisa Improta, la trans diventata boss era seduta a un summit di camorra della zona Orientale di Napoli. Alzò la voce e ottenne la protezione del boss Salvatore D’ Amico o’ pirata da sempre  alleato dei Mazzarella. Da quel momento Mamma Lisa (nata all’anagrafe come Luigi Improta) diventò la reggente del business della prostituzione.  La Improta l’altro giorno è stata arrestata dalla squadra mobile di Napoli insieme con altre otto persone tra cui Francesco Mazzarella figlio del boss Vincenzo o’ pazzo. Tutte le squillo, le trans e i gay che si prostituivano nella zona orientale di Napoli dovevano pagare il “tuppo” di dieci o trenta euro al giorno a seconda della posizione di lavoro o del guadagno. Faceva il giro per raccogliere i soldi ogni notte. Ma non lo faceva da sola. Aveva un esercito di collaboratrice , tutte trans. Quattro di quelle che aiutavano Lisa a raccogliere i soldi sono stati arrestati con l’accusa di associazione a delinquere e di estorsione. “Arianna” (Gabriele Palumbo), “Gigante” (Vincenzo Micale), “Rebecca” (Luigi Barile) cugino di secondo grado del boss, Totoriello Barile, “Agnesina”(Sergio Sapienza), Daniele Noviello, Antonio Sarnelli e infine France­sco Mazzarella. Ogni sera il giro del piz­zo preannunciando l’arrivo di “Lisa” con una telefonata, e a chi non versava la quota erano riser­vate le minacce e poi le botte. Francesco Mazzarella è stato riconosciuto in foto da una delle vittime per un apparecchio acustico ed è accusato di gravi minacce alle vittime del “pizzo” insieme con Antonio Sarnelli, esponente dei Mazzarella del rione Luzzatti, e Daniele Noviello detto “Tony”, cognato del ras detenuto e zio di Francesco. Mamma Lisa è stata incastrata da una cimice piazzata nella sua auto.

Cronache della Campania@2018


Camorra, il pentito Morino: ‘Ecco chi sono tutti gli affiliati al clan Matarazzo’

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Il pentito di camorra Francesco Morino detto Bibì cognato del boss di Volla, Pasquale Matarazzo ha fornito agli investigatori un dettagliato elenco di persone che spacciavano la dorga nei comuni vesuviani e di altri personaggi di spicco della camorra napoletano come i Rinaldi e i suoi fedelissimi che invece fornivano la droga e avevano legami con lo stesso. Morino ha anche parlato di un sotto ufficiale dei carabinieri corrotto che faceva le soffiate al boss. E facendo il riconoscimento fotografico ha anche fornito agli inquirenti il resoconto del ruolo che svolgevano all’interno del clan. ecco cosa ha detto nel verbale del 18 gennaio scorso: “Nella foto numero 5 riconosco il marito della donna impressa nella foto numero 6 e che si chiama Anita. Entrambi i coniugi (foto 5 e 6) spacciavano droga a San Giovanni a Teduccio e la droga gliela riforniva il MATARAZZO Pasquale. Il marito spacciava anche mentre si trovava ai domiciliari. Ricordo in particolare che MATARAZZO cedeva droga a queste persone perché aveva ricevuto perdite a Volla e quindi faceva spacciare persone di fuori. Ricordo che questi coniugi spacciavano a San Giovanni a Teduccio in un basso; ora ricordo anche il cognome di Anita che è RONZA. Nella foto nr. 7 riconosco n’zalatella, di nome fa Lello, cugino della mia convivente Filomena. Trattasi di un affiliato ai RINALDI che si è reso responsabile della rapina al DECO’ di cui vi ho detto in precedenza con il MATARAZZO. Questa persona ha anche creato contatti al MATARAZZO per l’acquisto di droga a San Giovanni a Teduccio.
Nella foto nr.8 non lo riconosco, il viso mi sembra di una persona che appartiene ai RINALDI. Nella foto nr. 9 non riconosco nessuno, credo sia di San Giovanni a Teduccio.
Nella foto 10 non riconosco nessuno
Nella foto nr. 11 riconosco tale Lello o’pop di San Giovanni che è affiliato al clan RINALDI ed è molto vicino al MATARAZZO. In società con quest’ultimo acquistarono un chilo di cocaina per smerciarlo e parte di questa droga venne sequestrata a Gianni nella terra su mia indicazione dai carabinieri di Volla. Nella foto nr. 13 riconosco PASQUALE MATARAZZO di cui vi ho finora parlato; Nella foto 14 riconosco mia sorella Monica,là moglie del MAfARAZZO di cuI fa parte integralmente nell’organizzazione del marito e si adopera principalmente nel confezionamento dello stupefacente.
Nella foto nr. 15 riconosco CARBONE Elisa che, come le ho detto, si occupava di custodire la droga e la vendita dello stupefacente.
Nella foto nr. 16 riconosco Antonella MATARAZZO, sorella di Pasquale. E’ la madre di Luciano e così come il figlio custodiva lo stupefacente per conto del capo promotore;
Nella foto nr.17 riconosco Carbone Gaetano, zio di Pasquale e fratello di Elisa, il quale spacciava per conto di Pasquale MATARAZZO. Io ho preso il posto di Gaetano perché ad un certo punto questa persona venne allontanata perché si verificavano ammanchi sulle vendite e parte della droga veniva dallo stesso consumata.
Nella foto nr. 18 riconosco una ragazza chiamata Rita, nipote di Pasquale MATARAZZO, figlia di Anna, ma non so dare alcuna indicazione su attività condotte per conto di Pasquale.
Nella foto nr.19 riconosco Nunzia ORSO detta a’ brigante che vendeva droga insieme a Luciano e spacciavano droga per conto di MATARAZZO. Dopo il suo arresto MATARAZZO non la utilizzò più per spacciare ma comunque gli pagò le spese legali sostenute così come per tutti gli arrestati.
Nella foto nr. 20 riconosco Flavio, era un ragazzo che stava “in società” con MATARAZZO Pasquale nel senso che avevano creato loro la piazza a Volla. Successivamente i due ebbero dei litigi e Flavio si allontanò da Volla per andare a Ponticelli ma non prima di sparare nella gambe del MATARAZZO perchè gli aveva sottratto i clienti di Volla.
Nella foto nr. 21 riconosco DEL GIACINTO Luciano, è una persona che fa tutto per lo zio, droga, rapine e armi. Ricordo soprattutto che viene impiegato per fare rapine ai furgoni che trasportano farmaci a San Giovanni a Teduccio.
Prima che venissi arrestato, insieme spacciavamo droga per il MATARAZZO e mi ha anche sostituito come pusher.
Nella foto nr. 22 riconosco Carmine o’niron , trattasi di persona collegata al MATARAZZO soprattutto per furti ai tir sulle autostrade mediante la tecnica del taglio dei tendoni e poi per lo smercio di soldi falsi; Nella foto nr. 23 riconosco o’fus, ossia ALFUSO Salvatore che appartiene anche lui a Pasqualino ed appartiene al clan VENERSUO di Volla, non so se è libero o detenuto e non conosco la natura dei rapporti con il MATARAZZO, so però che stavano sempre insieme;
Nella foto 26 riconosco Diego o’ cacaglio di cui ho già riferito nel presente interrogatorio e provvedeva al confezionamento ed alla consegna della droga. Si occupava anche di provare la sostanza, essendo tossico, e portava anche clienti al MATARAZO; Nella foto 28 riconosco un altro pusher di Pasqualino MATARAZZO”. Ora gli otto arrestati nel blitz del mese scorso con l’ordinanza firmata dal gip Dario gallo attendono l’esito del Riesame.

Cronache della Campania@2018

Gragnano, i testimoni sono inattendibili: il Riesame scarcera Maria a’ fuoco

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Gragnano. Il Tribunale del Riesame ha rimesso in libertà Maria Carfora, detta Maria a’ fuoco, sorella del boss sorella di Nicola, ex killer del disciolto clan Imparato condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’imprenditore Michele Cavaliere. La Carfora (difesa dall’avvocato Antonio De Martino) era stata arrestata il 16 luglio scorso perché colpevole, secondo l’accusa, di aver incendiato l’auto della rivale in amore e di averla minacciata. Il Riesame però ha ritenuto inattendibili i due testimoni. Secondo le accuse la 37enne, con numerosi precedenti penali alle spalle, accecata dalla gelosia aveva iniziato a perseguitare la nuova fidanzata del suo ex, una giovane residente nel vicino comune di Pimonte. Prima le minacce, parole pesanti per intimorire la ragazza. Mesi e mesi di persecuzioni e intimidazione che hanno portato la ragazza pimontese a trasferirsi dal piccolo comune dei Lattari per andare al nord Italia in Lombardia. Le minacce, però, non avevano sortito l’effetto sperato ed allora la sorella di Nicola o fuoco aveva deciso di passare alle vie di fatto. Le indagini dei militari dell’Arma erano partite dalle fiamme appiccate ad una Lancia Y di colore grigio in una notte del novembre del 2017. La vettura era stata completamente divorata dalle fiamme, poi dai rilievi sono state rinvenute tracce di liquido combustibile ed allora gli inquirenti hanno avviato le indagini sul conto della proprietaria e della sua famiglia. La 37enne, con alle spalle precedenti per associazione mafia, armi e droga, ha poi progettato un altro raid facendosi aiutare da due pregiudicati vicini al clan D’Alessandro di Castellammare, indagati a piede libero. Nello scorso mese di marzo è partita la nuova offensiva alla ragazza pimontese: ad andare in fiamme una Fiat 500 appena acquistata e sempre nei pressi della sua abitazione. Le scene dei roghi sono state immortalate da una telecamera che ha incastrato Maria Carfora e i suoi complici.

Cronache della Campania@2018

Camorra, anche Walter Schiavone aderisce al programma di protezione dopo il pentimento del fratello Nicola

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Anche Walter Schiavone, uno dei quattro fratelli maschi di Nicola, il pentito figlio dello spietato boss dei Casalesi Francesco detto Sandokan, ha deciso di aderire al programma di protezione. Da qualche giorno a Isernia non c’è più traccia ne di lui ne della sua famiglia. Walter era agli arresti domiciliari in Molise dallo scorso anno dopo la cattura per il pizzo imposto sull’acquisto delle mozzarelle agli imprenditori casertani e calabresi con la complicità della cosca Gianpà della ‘ndrangheta. Nel febbraio scorso con lui furono arrestate altre 40 persone. Walter segue dunque la decisione della mamma Giuseppina Nappa e di una delle figlie, Angela, di mettersi sotto l’ala protettiva dello stato come conseguenza del pentimenti di Nicola il primogenito. Non ha aderito invece al programma, come riporta Il Mattino, Il marito della figlia, che resterà dove si trova insieme al fratello della moglie, Ivanohe, l’unico che risiede a Casal di Principe.  Mentre gli altri due fratelli Carmine ed Emanuele Libero, entrambi detenuti, hanno detto di non voler aderire e di non accettare la scelta collaborativa del fratello. Nicola sta continuando ad incontrare i magistrati e raccontare tutti i segreti della cosca di cui è a conoscenza. Nel giro di sei mesi la sua scelta collaborativa dovrà essere completata e i magistrati dovranno ricevere riscontri e prove rispetto alle accuse da lui formulate.

 

Cronache della Campania@2018

Camorra, anche Chiara Schiavone aderisce al programma di protezione

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Anche  Chiara Schiavone, la secondo figlia femmina del super boss Francesco “Sandokan” ha accettato il programma di protezione dopo il pentimento del fratello primogenito Nicola. Chiara dunque segue nelle decisioni della mamma Giuseppina Nappa, della sorella Angela (il cui marito però ha rinunciato ed è restato a Casal di Principe)  de l fratello Walter che la scorsa settimana con tutta la famiglia è stato portato via da Isernia dove era agli arresti domiciliari lo scorso anno. a casale resta per il momento il solo Ivanhoe protagonista lo scorso anno di una violenta lite in una discoteca di Carinaro quando rimase gravemente ferito. Sono in carcere da anni e hanno rifiutato qualsiasi protezione anche gli altri due figli maschi di Francesco Schiavone ovvero Carmine ed Emanuele Libero. Intanto Nicola Schiavone, che nei prossimi sei mesi dovrà convincere i magistrati della sua scelta collaborativa, continua con le sue deposizioni. Per il momento top secret.

Cronache della Campania@2018

Morto dopo un intervento al cuore: 27 indagati

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Salerno. Sono 27, tra camici bianchi e infermieri, le persone indagate per il decesso di Raffaele Pastore, il 71enne morto nel reparto malattie infettive dell’ospedale Ruggi lo scorso 28 luglio per una complicanza legata ad un intervento per la sostituzione di una valvola al cuore effettuato circa due mesi primi in una clinica di Mercogliano. A poco più di una settimana dal decesso arrivano gli avvisi di garanzia nell’ambito di un’indagine complessa perché vede interessato tre centri ospedalieri nei quali l’uomo ha ricevuto le cure mediche. Sul registro degli indagati ci sono 12 medici dell’ospedale Ruggi di Salerno, presidio ospedaliero dove l’uomo è morto, 10 della clinica di Mercogliano e 5 del centro riabilitativo dell’ospedale Criscuolo di Sant’Angelo dei Lombardi dove l’uomo era stato trasferito lo scorso 8 giugno prima di finire in gravi condizioni. Fondamentale per le indagini sarà l’esame autoptico sulla salma dell’uomo che è ancora sotto sequestro. I familiari dell’uomo, compreso la moglie ancora sotto choc per l’accaduto, hanno sporto denuncia ripercorrendo le ultime settimane tra una clinica e l’altra. “Dopo l’intervento eseguito nella clinica di Mercogliano e il trasferimento a Sant’Angelo dei Lombardi – dice la moglie del 71enne – mio marito presentava un sensibile aggravamento delle condizioni di salute ma i medici ci rassicuravano dicendo che era tutto normale e che l’operazione cardiaca ed il successivo decorso post-operatorio e riabilitativo si erano conclusi con successo. Tuttavia, dopo pochi giorni di permanenza a casa, il 13 luglio mio marito è stato nuovamente ricoverato d’urgenza per un principio di infarto in eliambulanza presso la Torre cardiologica del Ruggi d’Aragona. Giunti sul posto continua la moglie siamo stati informati dai cardiologi che era intervenuta una grave infezione che aveva danneggiato anche la valvola cardiaca trapiantata e che era quindi necessaria un’ulteriore operazione di trapianto poiché l’operazione cardiaca ed il decorso non si erano conclusi positivamente. Mio marito – continua la donna – era nel reparto senza monitoraggio ed in camera con altri pazienti portatori di infezioni tanto che, dopo pochi giorni, un medico ci disse che era intervenuta una nuova infezione. Costantemente chiedevano informazioni circa l’operazione di trapianto, ma l’intervento non è stato mai eseguito. Mio marito non è stato mai trasferito alla Torre cardiologica ed è morto dopo circa tre settimane di degenza al reparto infettivi del Ruggi. Ora chiediamo che venga fatta chiarezza”.

Cronache della Campania@2018

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