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Channel: Cronaca Giudiziaria
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Scafati, la Dda chiude le indagini per gli ‘emergenti’ del clan Matrone

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La Procura Antimafia di Salerno con i pm Giancarlo Russo e Silvio Marco Guarriello ha depositato la chiusura delle indagini a carico di Peppe Buonocore, genero del boss di Scafati, Franchino Matrone ‘a belva, e altri 11 indagati. Si tratta di Francesco Berritto, Vincenzo Muollo, Pasquale Palma di Torre Annunziata, Nicola Patrone, residente a Giugliano in Campania, Elvira Improta, Vin­cenzo Nappo, detto ‘o nonno, Giovanni Barbato Crocetta, Antonio Palma di Boscoreale e Mar­cello e Pasquale Panariello, figli di Improta. Ri­schiano il processo con le accuse di estorsione aggravata dal metodo mafioso (caduta nei giorni scorsi al Rie­same). Il blitz risale allo scorso 9 maggio quando ci furono 4 ar­resti in carcere (confermati dal Riesame) e due ai domici­liari. Per l’Antimafia rispon­dono di concorso in tentata estorsione aggravata, reati in
materia di armi e stupefa­centi, danneggiamento e ricet­tazione, tutti commessi con l’aggravante di aver agito con metodo mafioso e per agevo­lare sodalizio di tipo mafioso.
L’operazione era scattata in se­guito agli attentati ad attività commerciali commessi anche mediante l’uti­lizzo di ordigni esplosivi a Scafati a partire dal giugno 2017. Appurata la responsabilità degli indagati per tre tentativi di estorsione avve­nuti tra i mesi di agosto e dicembre dello scorso anno ai danni di un imprenditore del­l’area scafatese. Avevano tentato le estorsioni facendo riferimento all’appartenenza al clan Matrone di Scafati, ostentando la disponibilità e utilizzando armi e materiale esplosivo. Nel corso delle indagini erano state sequestrate armi da sparo e ordigni esplosivi di fattura artigianale classificati come micidiali nonché un chilo di sostanze stupefacenti.Tra i vari atten­tati contestati, quello nei confronti dell’inse­gna dei Roxe Legend Bar di via Melchiade di proprietà della famiglia Buonocore. un altro davanti al centro scommesse di via Martiri d’Ungheria “Fly Play”. E ancora, colpi di pistola calibro 7,65 nei confronti del bar La Dolce Vita di Giuseppina Generali, moglie di Dario Spi­nelli (ora pentito) per finire ad agosto 2017 quando finirono nel mirino la pescheria Acqua e Sale di via Montegrappa (a commettere l’atten­tato furono per gli inquirenti i fratelli Pana­riello) il negozio di parruccheria Nico Style di Ni­cola Tamburo. L’Antimafia nella sua conclusione indagini ha anche contestato la lettera dal carcere che Panariello spedì al fratello nella quale sarebbe emersa la volontà del detenuto di far scomparire la pistola servita per l’attentato al ristorante pescheria. A di­cembre, poi, l’estorsione al ta­baccaio ad opera di Barbato Crocetta. Secondo gli inqui­renti le azioni criminose erano state ordinate da Peppe Buonocore il quale, proprio ai giudici del Riesame di Salerno, ri­badì di non essere artefice di nessun clan. E quel Tribunale confermò che nelle azioni delit­tuose non c’era agevolazione mafiosa. Ma per la Dda non è così. Tra i difensori ci sono Mas­simo Autieri e Stella Criscuolo per Peppe Buo­nocore, Gennaro De Gennaro per Barbato Crocetta, Pasquale Panariello e Antonio Palma, Stefania Pierro per Francesco Berritto e Mas­simo Torre per Vincenzo Nappo.

Cronache della Campania@2018


Undici medici indagati per la morte della ragazza operata per perdere peso

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Iscritti nel registro degli indagati dalla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore undici medici dell’ospedale Fuito di Mercato Sanseverino. La causa è la morte di Rosaria Lobascio, la ragazza di ventidue anni deceduta ve­nerdì scorso all’ospedale Fuci­to dove era arrivata per via di alcune complicazioni sopraggiunte dopo un intervento di riduzione dello stomaco risalente al 30 maggio scorso, sempre presso lo stesso ospedale.
L’ipotesi di reato è quella di omicidio colposo per nove medici del Fucito, mentre per gli altri due degli undici, in quel momento in servizio al Pronto Soccorso dell’ospedale di Polla, è stato notificato un avviso di ga­ranzia.
I familiari raccontano che alla ragazza è stata fatta un flebo e una ecografia per poi essere stata dimessa.  La mamma Rosaria non si dà pace e intanto si leggono migliaia di messaggi scritti sulla bacheca Facebook della ragazza ricordata anche per il suo impegno nella lotta per la non chiusura del Tribu­nale di Sala Consilina. Questa mattina verrà conferito l’incarico al medico legale che dovrà effettuare l’autopsia do­podiché la salma verrà restitui­ta alla famiglia.

Cronache della Campania@2018

Violentava le pazienti, preso a Milano lo psichiatra di Roccapiemonte: era latitante da 7 anni

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Roccapiemonte. Costringeva giovani pazienti a subire atti sessuali nel corso di sedute psichiatriche  e dopo una condanna a 12 anni di reclusione si diede alla latitanza, una fuga durata sette anni, fino a qualche giorno fa quando i carabinieri lo hanno rintracciato in un appartamento di Milano, nei pressi di Piazzale Loreto. Il caso del dottore Gaetano Polichetti fu eclatante e dopo un processo durato molti anni nel 2011 fu condannato in primo grado a 12 anni di reclusione dai giudici del Tribunale di Nocera Inferiore, pena poi confermata in Appello. In Cassazione poi la pena è stata ridotta a sei anni di reclusione per la prescrizione dei reati relativi ad uno degli episodi contestati. Sette anni dopo è finita la latitanza del 74enne medico psichiatrico, originario di Roccapiemonte, e condannato per violenza sessuale aggravata dall’abuso della condizione di inferiorità psichica ai danni di almeno due sue pazienti. Utilizzava, infatti, la terapia e forme di ipnosi per costringerle a subire rapporti sessuali e a sottoporsi a pratiche degradanti per “permettere la discesa dello Spirito Santo”. Gli abusi sono stati commessi nel biennio 1999-2000. Le vittime sono due trentenni che si erano rivolte al medico per cercare di venir fuori da una depressione causata da gravi lutti familiari. I rapporti venivano consumati sia nello studio medico, sia in luoghi dove Polichetti accompagnava le donne a ‘liberarsi’ dalla patologia. Il professionista era ricercato dal 2011, dopo la conferma in Cassazione della sentenza che lo condannava a sei anni di reclusione. Ai carabinieri del nucleo investigativo di Salerno è bastato pedinare alcuni familiari del ricercato i quali, da Roccapiemonte, nell’agro sarnese-nocerino, stavano raggiungendo il parente nel capoluogo lombardo. La procura di Nocera Inferiore, che dall’inizio di quest’anno ha dato una forte spinta alle ricerche dell’uomo anche all’estero, ha fatto emergere l’esistenza di una complessa rete familiare che si sarebbe mobilitata per proteggere la fuga dello psichiatra. Quest’ultimo, insieme alla moglie per sfuggire ai controlli, utilizzava un gran numero di false identità con documenti, tesserini professionali e patenti di guida contraffatte. Quando i militari dell’Arma hanno fatto irruzione nella casa nel centro di Milano, Polichetti è rimasto “sorpreso”. Lì, i coniugi sono stati ritrovati in possesso di 8 carte d’identità rilasciate dal Comune di Poggiomarino, di un passaporto cartaceo e di 7 passaporti digitali rilasciati dalla Questura di Napoli, di 4 patenti di guida, di 3 tessere sanitarie e di 4 tessere dell’Ordine dei Medici di Salerno. Lo psichiatra è ora rinchiuso nella casa circondariale di Milano San Vittore. (ro. fe.)

Cronache della Campania@2018

Estorsione per un’asta a Volla, presi padre e figlio: agnello sgozzato recapitato alle vittime

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Volla. Tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. E’ con questa ipotesi di reato che su disposizione della Dda di Napoli i carabinieri di Volla hanno sottoposto a fermo due persone, il 66enne Antonio Scala e il figlio Vincenzo, 38enne. I militari dell’Arma hanno accertato che i due avevano minacciato di morte il responsabile 42enne di una società di Volla che tramite un commercialista aveva acquistato a un’asta fallimentare al Tribunale di Avellino un terreno edificabile di 2070 mq a Liveri, nel nolano, aggiungendo che non avrebbe dovuto permettersi di partecipare alla gara a di aggiudicarsi il terreno senza andare prima a domandare a “loro” che volevano che l’asta andasse deserta per acquistare a prezzo ribassato per mancanza di offerte. Per intimidire ancora il malcapitato e costringere sia lui che il professionista che lo aveva seguito a recedere dall’acquisto, un agnello morto era stato recapitato presso l’abitazione del commercialista. I fermati sono stati associati alla casa circondariale di Poggioreale. Il Gip ha convalidato il fermo e disposto per entrambi la custodia cautelare in carcere.

Cronache della Campania@2018

Camorra, l’ex sindaco di Casapesenna in aula: ‘Pagai le tangenti al clan e denunciai alla polizia’

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Nella scorsa udienza ammise per la prima volta di aver pagato una tangente da duemila euro alla Camorra mentre nel 2010 era sindaco di Casapesenna, comune casertano dove e’ nato e ha trascorso parte della latitanza il boss dei Casalesi Michele Zagaria. Oggi l’ex primo cittadino Fortunato Zagaria, imputato con il capoclan (sono omonimi, ndr) al tribunale di Santa Maria Capua Vetere per il reato di violenza privata con l’aggravante mafiosa commesso ai danni di un altro ex primo cittadino, Gianni Zara (parte civile nel processo), ha ammesso, esaminato dal pm della Dda di Napoli Maurizio Giordano, di aver anche denunciato quell’episodio alla Polizia di Stato, senza che pero’ vi fossero sviluppi. “Parlai della vicenda con l’allora capo della Squadra Mobile di Caserta Alessandro Tocco; quest’ultimo ascolto’ anche il mio barbiere, cui avevo dato la somma che fu poi ritirata di notte dagli estorsori del clan”. Nessuna traccia della vicenda e’ emersa in relazioni di servizio o annotazioni di polizia. “Verificheremo” ha detto il pm. Invece a saltare fuori nell’udienza di oggi e’ stato un documento riservato scovato da Giordano alla caserma dei carabinieri di Casal di Principe, in cui si da’ atto di un incontro avvenuto nell’ottobre 2004 in piazza a Casapesenna, fuori ad un bar, tra Fortunato Zagaria, allora sindaco, e Carmine Zagaria, fratello del boss dei Casalesi. Nella scorsa udienza di inizio maggio, l’ex sindaco aveva affermato di non ricordare di un incontro con il fratello del capoclan, ma neanche lo escluse. “In ogni caso – disse – con i miei legali abbiamo chiesto l’annotazione di polizia in cui si parlava dell’incontro ma non e’ mai uscita”. “Non e’ un’informativa – ha spiegato oggi il pm – ma un Op85, una sorta di atto di osservazione che resta interno alla polizia giudiziaria; sono riuscito a trovarla”. L’ex sindaco ha anche raccontato cosa avvenne il primo ottobre 2008, quando incontro’ Zara, allora sindaco, allo stadio sportivo e, secondo l’accusa, gli disse che non doveva parlare piu’ del boss Zagaria, altrimenti avrebbe fatto la fine di Antonio Cangiano, ex assessore del comune di Casapesenna gambizzato dalla camorra nel 1988 e morto nel 2009 dopo vent’anni passati sulla sedia a rotelle. Anche in questo caso, l’ex amministratore, per la prima volta e cambiando versione rispetto al passato, racconta che la “mattina del primo ottobre, mentre uscivo di casa, fui avvicinato da un uomo con impermeabile, cappuccio e occhiali da sole – in precedenza aveva parlato di due uomini – che con lo sguardo e con accento del posto, mi disse ‘cosa state facendo, perche’ vi intromettete nei nostri affari mentre noi non lo facciamo con voi’; io gli risposi ‘che non avevo fatto nulla’, e lui mi disse di ‘guardare il giornale’. “Lo lessi – prosegue l’ex sindaco – e trovai le dichiarazioni di Zara che auspicava la cattura degli allora boss latitanti Antonio Iovine e Michele Zagaria. Cosi’ chiamai Zara e ci incontrammo con il consigliere Luigi Amato (anch’egli imputato) allo stadio. Gli raccontai quanto avvenuto e Zara disse che sarebbe andato a San Cipriano a parlare con i suoi parenti. So che la sorella della mamma di Zara ha sposato un fratello di Giuseppe Caterino (esponente del clan, ndr)”. Peraltro Zara, quando avvenne l’incontro allo stadio, aveva gia’ denunciato alla Polizia le pressioni subite da Fortunato Zagaria, che era il suo vice-sindaco; qualche giorno dopo arrivarono infatti in Comune i poliziotti per ascoltarlo. “Perche’ – ha domandato il pm all’ex sindaco sotto processo – non ha mai denunciato questo episodio dell’uomo incappucciato?”. “Ero sotto pressione e non lo feci” ha risposto. Giordano ha poi depositato una serie di delibere da cui si evince come “il Comune avesse dato incarichi per lavori o forniture a persone che poi si e’ scoperto fossero vicine ad ambienti criminali”. “Era l’organo tecnico che decideva” ha tagliato corto Fortunato Zagaria. Si tornera’ in aula il prossimo 13 luglio per il controesame della difesa dell’imputato.

Cronache della Campania@2018

Camorra, quasi due secoli di carcere al gruppo di ‘zia’ Rosaria Pagano

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Il gup Egle Pilla del Tribunale di Napoli ha inflitto oltre 176 anni di carcere a 18 persone ritenute affiliate a un gruppo di narcotrafficanti un tempo legato al clan napoletano degli Amato Pagano di Secondigliano, in particolare a “lady camorra” Rosaria Pagano, guidato da Mario Avolio, detto “‘o ciuraro”. Il Tribunale, in particolare, ha condannato a 20 anni di reclusione Avolio e disposto anche la confisca di alcune societa’ sequestrate dalla Polizia di Stato nel corso di un maxi blitz: il provvedimento riguarda il 50% della societa’ Ma.Ma. Service srl; l’autoscuola Manzoni 3 srl; il 90% dell’officina Professional Service srl di Casandrino; la Rev di Casoria (Napoli) e la societa’ Mondo revisioni srl di Napoli.  Il narcotrafficante Mario Avolio, dopo la rottura con Rosaria Pagano, sorella del boss scissionista Cesare, fonda un suo gruppo criminale che importa droga, in particolare di hashish e cocaina, da rivendere ai clan di camorra. Marco Avolio venne fermato dalla Ps dopo un ingente sequestro di hashish, circa 350 kg, avvenuto tra Ventimiglia e Imperia. Avolio, insieme con Ferdinando Lizza (oggi anche lui condannato a 20 anni di carcere), detto “‘o ragioniere”, un tempo uomo fidato e contabile degli Amato Pagano, in particolare del capoclan Cesare Pagano con il quale ha trascorso la latitanza in Spagna. Avolio e Lizza, dopo la rottura con “zia Rosaria Pagano”, si creano canali propri e, in Spagna, allacciano i rapporti con Giuseppe Iavarone, detto “Pepp ‘o Gitano” o “Pepp cap ‘e mort” (oggi condannato a 10 anni), per approvvigionarsi di hashish, e in Olanda per la cocaina. Iavarone venne arrestato il 17 gennaio del 2017 a Malaga, in un blitz congiunto della Squadra Mobile della Questura di Napoli e dell’Unidad de Droga y Crimen Organizado iberica, ell’ambito della piu’ vasta Operazione “Lady’s Empire”. Gli arresti di capi e gregari, una volta legati agli scissionisti, del gruppo di Mario Avolio risalgono all’inizio del 2017. Ad Avolio la Squadra Mobile della Questura di Napoli sequestro’ anche un bar di Secondigliano, riconducibile alla figlia, che in un’intervista concessa nel maggio del 2016 dopo l’incendio del suo locale, si lamento’ del fatto che Napoli fosse terra di camorra.

Cronache della Campania@2018

Torna in carcere Aliberti, l’ex sindaco di Scafati ha violato gli obblighi dei domiciliari

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Scafati. L’ex sindaco Angelo Pasqualino Aliberti torna in carcere. Oggi pomeriggio alle 16, i carabinieri della stazione di Roccaraso hanno notificato un provvedimento di aggravamento della misura cautelare agli arresti domiciliari cui era sottoposto Aliberti che è stato quindi trasferito nel carcere de L’Aquila. Il provvedimento è stato emesso oggi dal Tribunale di Nocera Inferiore ed è stato adottato per le numerose infrazioni alle prescrizioni fatte da Aliberti nel corso della detenzione domiciliare. In particolare, l’ex sindaco – nonostante il divieto ad avere contatti con persone estranee al suo nucleo familiare – continuava ad avere contatti con persone, alcune anche indagate, attraverso rapporti epistolari e telefonici. Circostanze già emerse nei mesi scorsi, quando in una relazione della Direzione investigativa antimafia sezione di Salerno, gli inquirenti avevano sottolineato le numerose violazioni alla detenzione domiciliare. Ad emettere il provvedimento di aggravamento della misura, i giudici del tribunale di Nocera Inferiore – presidente Raffaele Donnarumma – dinanzi al quale pende il processo a suo carico per scambio di voto politico mafioso.

Cronache della Campania@2018

Camorra, ‘zia’ Rosaria non si fa processare ed è pronta a tornare in libertà

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Napoli. La “zia” Rosaria Pagano ha optato per il processo con il rito ordinario che prevede tempi più lunghi rispetto al rito abbreviato al quale hanno aderito i suoi presunti complici nel traffico di droga. Ieri in 17 sono stati condannati a pene complessive per quasi due secoli di carcere. Ma lei tra gli imputati non figurava. Tra non molto uscirà dal carcere (non è neanche più al 41 bis) perché avrà finito di scontare la pena definitiva per riciclaggio. Poi (se non ci saranno novità giudiziarie) l’aspetta il lungo iter processuale con il rito ordinario dove dovrà difendersi dall’accusa di traffico di droga e associazione per delinquere. Ad aprile scorso lei e tutti gli altri 17 arrestati nel blitz del gennaio del 2017 furono ‘scarcerati’ per decorrenza dei termini della custodia cautelare. Zia Rosaria è in carcere per il reato di riciclaggio. Gli altri sono stati quasi tutti scarcerati e hanno affrontato da liberi il processo che si è concluso ieri in primo grado.

Il gup Egle Pilla all’esito del rito abbreviato ha condannato: Mario Avolio, 20 anni di reclusione in continuazione; Vincenzo Barbella, 12 anni in continuazione; Daniele Bolognini, 6 anni e 8 mesi; Vincenzo Bolognini, 8 anni; Massimo Cesarini, 10 anni in continuazione; Patrizio Corvietto, 9 anni in continuazione; Gennaro D’Angelo, 6 anni e 8 mesi; Mario De Marinis, 4 anni; Carmela Ferro, 1 anno e 4 mesi; Giovanni Miliardi, 1 anno e 8 mesi in continuazione; Giuseppe Iavarone, 10 anni in continuazione; Giuseppe Leonardi, 14 anni in continuazione; Leonardo Leonardi, 9 anni in continuazione; Luigi Leonardi, 8 anni e 8 mesi in continuazione; Ferdinando Lizza, 20 anni in continuazione; Giovanni Onorato, 10 anni in continuazione; Salvatore Manzo, 16 anni in continuazione; Salvatore Tufo, 18 anni in continuazione.

Cronache della Campania@2018


Napoli, condannato e scarcerato il nipote del boss

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Napoli. E’ stato arrestato, condannato con rito direttissimo e subito scarcerato il nipote del boss del rione Pazzigno a San Giovanni a Teduccio. Patrizio Reale, 22enne figlio del defunto Antonio e nipote del boss detenuto Carmine ’o cinese, era stato arrestato la scorsa notte dalla polizia perché sorpreso con oltre settanta grammi di “fumo”. Processato con rito direttissimo, il giovane spacciatore è però riuscito a cavarsela con una condanna a dir poco lieve: un anno e quattro mesi con sospensione della pena, grazie al fatto che non ha ancora a carico condanne definitive. Il rampollo del rione Pazzigno è stato comunque sottoposto all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per tre volte al giorno dal lunedì al sabato. Il giovane Reale già era stato fermato a gennaio scorso perché sorpreso con sette banconote false da cento euro ciascuna. I poliziotti, sempre durante un servizio di prevenzione in via Pazzigno, lo avevano notato in sella ad uno scooter. Fu perquisito e  addosso gli furono trovate tre banconote false , poi altre quattro nascoste in un garage a lui riconducibile. In quella occasione fu solo denunciato.

Cronache della Campania@2018

Boscoreale, processo allo stalker, la donna: ‘Mi picchiava e mi minacciava’

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Boscoreale. Un mix di accuse e tentativi di scagionare il suo ex compagno a processo per stalking davanti al tribunale di Torre Annunziata. Dopo le violenza ricevute in casa la donna decise di lasciare il suo compagno e rifarsi una vita. Dalla loro relazione ne sono nati due figli, l’uomo, un 46enne, in nome dei figli ha tentato più volte di riallacciare la relazione con la 40enne diventando un vero e proprio stalker. Si è reso protagonista di pedinamenti a lei e al suo nuovo compagno, aggressioni, minacce, telefonate. Una serie di episodi che hanno trovato il loro apice la scorsa estate e che sono terminati con l’arrestato dell’uomo a febbraio. I carabinieri lo arrestano nuovamente un mese dopo. “Si appostava sotto casa e ci aspettava” – ha raccontato il nuovo compagno della donna “Una volta mi ha pedinato per tutta Boscoreale, mi ha rincorso in auto, voleva tamponarmi. Un’altra volta mi ha aggredito davanti ai suoi familiari, che per fortuna mi hanno difeso”.

Cronache della Campania@2018

Vendette il figlio appena nato ma per il Tribunale ‘Ha capacità cognitive come un bambino di 10 anni’. Niente processo

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“Aveva capacità cognitive paragonabili a quelle di un bambino di dieci anni.”, dichiara lo psichiatra del Tribunale di Torre Annunziata. Si tratta del caso di una giovane ragazza che “all’epoca dei fatti non era in grado di intendere e di volere”. Aveva appena diciannove anni ed era senza soldi né fissa dimora quando vendette suo figlio di pochi mesi a una coppia napoletana ma residente a Settimo Milanese. Per questo motivo, la ragazza madre che oggi di anni ne ha ventiquattro non può andare a processo per alterazione dello stato civile di un neonato, dunque va archiviata la sua posizione.
Era la primavera del 2014, e alla stazione ferroviaria di Napoli la giovane ragazza vendette suo figlio di meno di sei mesi ad una facoltosa coppia napoletana che non riusciva ad avere figli. La ragazza madre incassò novemila euro in contanti e salutò il piccolo, salvo poi pentirsi del gesto e denunciare la scomparsa. Le indagini dei carabinieri, coordinate dal sostituto procuratore della Procura di Torre Annunziata Mariangela Magariello, ricostruirono tutta la vicenda, fatta di degrado sociale, tossicodipendenza, prostituzione e “cattive amicizie”.
Dopo aver partorito all’ospedale di Boscotrecase nel settembre 2013, la giovane registrò il bambino con il suo cognome al Comune di Torre del Greco. Disse che era frutto di una relazione con un uomo già sposato che non poteva riconoscerlo, mentre in realtà il padre naturale era single e in carcere. In pochi mesi, tra diversi alloggi di fortuna tra Terzigno e Giugliano, incontra un mediatore e chiude l’assurda trattativa.

Cronache della Campania@2018

Sequestro lido a Capri: indagate 17 persone: ci sono due funzionari della Soprintendenza

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Capri. Abusi edilizi a Capri, 17 indagati dopo il sequestro del lido. Falsità ideologica, abuso d’ufficio, violazioni urbanistiche e violazioni al codice della navigazione. Sono queste le accuse contestate in una inchiesta della procura di Napoli che vede 17 persone iscritte nel registro degli indagati. E’ il prosieguo di una indagine che aveva portato la settimana scorsa al sequestro di uno stabilimento balneare dotato di piscine e ristorante ad Anacapri sulla grotta Azzurra. Sono in corso perquisizioni da parte dei militari in studi professionali e nelle abitazioni di tecnici e direttori dei lavori. In particolare, sono stati acquisiti documenti all’ufficio tecnico del Comune di Anacapri relativi alla pratica e i fascicoli dei progettisti incaricati della direzione dei lavori partiti nel 2014. Nell’inchiesta sono coinvolti anche due ex funzionari della Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici ed artistici di Napoli.

Cronache della Campania@2018

L’ imprenditore Fontana assolto dall’ accusa usura nel Casertano

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Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha assolto dall’accusa di usura l’imprenditore Giovanni Fontana, patron del Villa Literno Calcio, squadra militante nel campionato dilettantistico di Promozione. La vicenda giudiziaria risale a qualche anno fa, quando un dipendente comunale, all’epoca in servizio al comune di Villa Literno, fu accusato di appropriazione indebita in relazione a dei soldi derivanti dall’incasso di cambiali protestate. In quella occasione il dipendente riferi’ che il suo gesto era dipeso dal fatto che era oberato dei debiti ed era vittima di usura; tra gli “strozzini” che gli avrebbero prestato i soldi richiedendo poi interessi usurai, il pubblico ufficiale indico’ proprio Fontana, imprenditore del settore rifiuti e del trasporto merci molto noto a Villa Literno soprattutto per la sua avventura calcistica, tesa al rilancio della locale squadra. Fontana si e’ sempre dichiarato innocente, tanto da controdenunciare per calunnia il suo accusatore. Il Tribunale, al termine del dibattimento, ha accolto la tesi del legale dell’imputato, Enzo Guida, che ha presentato elementi che hanno scagionato l’imprenditore.

Cronache della Campania@2018

Violenze alla figlioletta della sua compagna: condannato a 12 anni di carcere

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Dodici anni di carcere in primo grado per violenza sessuale. Questa la condanna che pesa sulla testa di un ex bancario di sessantuno anni di Nocera Inferiore. Secondo le accuse il pensionato avrebbe abusato – tra toccamenti e palpeggiamenti senza atti carnali – della sua figliastra per almeno cinque anni, quando la vittima di anni ne aveva solo otto.
Il pm Gianpaolo Nuzzo, aveva chiesto per l’imputato una condanna ancora più dura: quattordici anni di reclusione, ma il giudice Anna Allegro ha emesso una condanna per dodici anni. Dopo la lettura del dispositivo, il tribunale ha disposto apposita ordinanza in carcere per l’imputato, scortato al commissariato di polizia e poi, in serata, nel carcere di Fuorni. Il motivo è il pericolo di fuga e la sottrazione alla misura cautelare. L’inchiesta era nata dopo la denuncia sporta dalla madre della piccola, ex moglie dell’attuale imputato. Una denuncia che era maturata dopo che la donna aveva notato alcuni problemi di tipo fisico nella propria figlia, che aveva pensato poi di far visitare da un medico. La piccola, stanca di nascondere quei segreti aveva accusato il nuovo compagno della madre, parlando di toccamenti e abusi nei suoi riguardi. Per più volte, negli anni. E lo aveva fatto tornando indietro negli anni, a quando quell’uomo viveva in casa con lei e la madre.

Cronache della Campania@2018

Camorra: nuova assoluzione per il boss Raffaele Amato

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Hanno ammesso in aula le loro responsabilita’ e hanno ottenuto il minimo della pena per un omicidio di camorra. E’ accaduto davanti ai giudici della seconda Corte d’Assise di Napoli che hanno giudicato i killer di Ciro Reparato, affiliato al clan Di Lauro del quartiere di Napoli di Secondigliano, assassinato il 31 gennaio del 2008. Erano imputati Oreste Sparano, Costanzo Apice, e i boss Cesare Pagano e Raffaele Amato. I primi due erano stati condannati in primo grado a 30 anni di carcere e ritenuti gli esecutori materiali dell’agguato che sanci’ la rottura totale tra gli scissionisti e il nuovo clan Di Lauro, risorto dalle ceneri della prima faida di camorra. Pagano e Amato, cognati tra loro e capi del gruppo degli ‘spagnoli’, furono entrambi assolti in primo grado. Nonostante l’assoluzione, Pagano ha deciso comunque di confessare il delitto commesso ed e’ stato condannato a 20 anni, con il riconoscimento delle attenuanti generiche. Amato, invece, assistito dall’avvocato Luigi Senese, ha ottenuto un’assoluzione bis. Questo per lui era l’ultimo carico pendente e adesso sta scontando 20 anni per associazione camorristica.

Cronache della Campania@2018


Ercolano, clamorosa assoluzione in appello del boss Ciro Montella o’ lione

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Ercolano. Uno dei boss di Ercolano, Ciro Montella detto o ‘ lione è stato assolto dai giudici della terza sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli (presidente Mastursi, a latere Melito) dall’accusa di aver ordinato l’omicidio di Gaetano Esposito il 29 marzo del 2009 a Ercolano. Due pentiti non sono stati ritenuti credibili e così è arrivato il ribaltone al processo di secondo grado. In particolare Giuseppe Capasso non ha raccontato di aver partecipato all’omicidio di Gaetano Esposito ed è stato tirato in ballo da altri pentiti. Morcavallo, invece, ha ricordato le fasi di quel delitto dopo i 180 giorni previsti dalla legge, termine ultimo nel quale un pentito deve riferire tutto ciò di cui è a conoscenza. I due erano gli accusatori numero uno di Ciro Montella. È caduta l’accusa di aver agito per vendicarsi della morte del padre e del fratello (Vincenzo e Gennaro, uccisi il 15 gennaio 2007) che la procura attribuiva ad Esposito coe esecutore materiale. Collaboratori di giustizia che in due ore di discussione, affiancata dal deposito di una corposa memoria difensiva, l’avvocato Giuseppe Ricciulli, legale di Montella, ha demolito mettendo in risalto le contraddizioni o le illogicità dei loro racconti.

Cronache della Campania@2018

Napoli, è il nipote del boss Varriale l’ultimo arrestato della baby gang del Vomero

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Napoli. Branco in azione al Vomero: il 19enne arrestato ieri è Salvatore Varriale, nipote di ‘o tedesco, il ras del quartiere. È il 19enne del Vomero e si chiama Salvatore Varriale, nipote del boss “’o tedesco”. Il giovane è accusato di tentato omicidio, già indagato nella prima fase delle indagini, nei suoi confronti vi sono le prove raccolte in questi mesi e in particolare le testimonianze dei ragazzi e le immagini della videosorveglianza. Ma le indagini dopo l’ordinanza di ieri agli arresti domiciliari non sono ancora finite, mancano le identificazioni di almeno altri quindici componenti del branco che agì il 9 dicembre scorso, in via Scarlatti. Fu preso di mira un 15enne di Scampia e a scatenare la furia della baby gang su uno ‘sguardo’ di troppo. Uno dei ragazzino fu preso a calci e pugni, poi accoltellato con un coltello ‘a farfalla’. Fu ridotto in fin di vita, ma per fortuna ora sta meglio. Le indagini degli agenti della squadra giudiziaria del commissariato del Vomero, diedero subito i primi risultati. Furono visionate le immagini del McDonald’s, poi quelle di sicurezza di molti negozi di via Scarlatti. Infine un indizio condusse alla baby gang, quasi tutti sono figli di pregiudicati del Vomero, alcuni legati al clan Cimmino. A marzo scattarono i primi cinque arresti. Uno solo era maggiorenne e altri quattro minorenni. Furono tutti portati in comunità, tranne il 18enne agli arresti domiciliari. Poi, nei mesi scorsi la nuova svolta. Il presunto capobranco è stato fermato con un provvedimento firmato ieri dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli si tratta di Salvatore Varriale, nipote di ‘o tedesco. Era lui, secondo la ricostruzione degli inquirenti, che guidava la baby gang di aspiranti assassini che agirono con inaudita ferocia e si accanirono contro un gruppo di ragazzini ed in particolare contro il 15enne.

Cronache della Campania@2018

Pozzuoli, stangata al boss Longobardi: 13 anni e 4 mesi per il pizzo sui frutti di mare

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Pozzuoli. Pizzo sui frutti di mare: stangata per il boss Gennaro Longobardi, il 62enne boss di Pozzuoli. I giudici della quarta sezione del Tribunale di Napoli lo hanno condannato l’uomo a 13 anni e 4 mesi di reclusione. La vittima, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti che il 6 aprile dello scorso anno, eseguirono un’ordinanza di custodia cautelare a carico suo e del genero Gennaro Amirante, 39enne, avrebbe dovuto versare 1.500 euro al mese nelle casse del clan comprando a prezzi fuori mercato i frutti di mare. Giuseppe Bruno, noto ristoratore di Pozzuoli, però denunciò il tentativo di estorsione e i due finirono in manette. Amirante era stato condannato a 8 anni di reclusione, con rito abbreviato, nel quale gli era stata contestata l’aggravante di aver agito con metodo mafioso. Le indagini, condotte dai carabinieri del Nucleo investigativo di Napoli e della Compagnia di Pozzuoli, avevano portato alla luce la particolare forma di estorsione, il boss chiedeva il pizzo attraverso l’acquisto di frutti mare da parte del genero e l’imprenditore sarebbe stato costretto ad acquistarne per un valore di 1.500 euro al mese, una “spesa” giudicata eccessiva per l’imprenditore. Gennaro Longobardi era uscito dal carcere a maggio del 2017, dopo aver trascorso 13 anni in cella in regime di «41 bis». Ieri l’ennesima condanna a 13 anni e 4 mesi di reclusione.

Cronache della Campania@2018

Castellammare, sfregiò a scuola il padre di un alunno: condannato a 8 anni

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Castellammare di Stabia. Una condanna ad 8 anni di carcere per aver sfregiato un genitore all’interno della scuola. Luigi Cascone, 27enne, è stato condannato dal Tribunale di Torre Annunziata per l’episodio avvenuto lo scorso dicembre nella scuola Luigi Sturzo. Cascone colpì l’altro genitore all’interno dell’atrio della scuola durante un colloquio scuola/famiglia, gli sfregiò il viso mentre il presunto complice Gaetano Savarese tratteneva la vittima. Il 27enne ha deciso di farsi giudicare con rito abbreviato, tra le prove figura anche un video delle immagini di videosorveglianza dell’istituto scolastico. Ha strappato uno sconto di pena con l’abbreviato, 8 anni di reclusione rispetto ai possibili 12 in caso di rito ordinario. Savarese, presunto complice, sta affrontando il processo con il rito ordinario professandosi innocente.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti il gesto è da ricondurre a motivi di viabilità. Uno scambio di sguardi tra la vittima e Cascone che aveva parcheggiato la moto sul marciapiedi costringendo un’anziana donna di camminare per strada. “Cosa guardi?”, dopo qualche minuto il 27enne arrivò nella scuola e mise a segno la vendetta. “Così impari a non farti i fatti tuoi” – disse prima di scappare. La vittima ebbe oltre 40 punti di sutura al volto.

Cronache della Campania@2018

Camorra, sconti di pena in Appello al boss Ferrara e ai suoi uomini

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Villaricca. Estorsione ad un imprenditore-avvocato di Villaricca: sconti di pena e condanna bis per il boss Domenico Ferrara e i suoi uomini. I giudici della Corte di Appello di Napoli hanno emesso la sentenza bis nei confronti di Domenico Ferrara, Giuseppe Tambaro, Luigi Tambaro, Aldo Tambaro, Vittorio Amato, Rocco Ruocco e Giuseppe Ruocco. In primo grado, nel processo con rito abbreviato, il gruppo fu condannato complessivamente a 36 anni e 2 mesi di reclusione, ma in appello la pena si è ridotta a 31 anni e 2 mesi. Domenico Ferrara, che a novembre del 2016 fu condannato in primo grado a 5 anni di reclusione, ha incassato invece 4 anni in appello. Giuseppe Tambaro, 55 anni, Luigi Tambaro, 51 anni, e Aldo Tambaro, 42 anni, che furono condannati a 4 anni e 4 mesi in primo grado, si sono visti ridurre la pena a 3 anni e 8 mesi; Vittorio Amato, 51 anni, e Rocco Ruocco, 51 anni, dopo una condanna a 6 anni e 8 mesi di reclusione in primo grado, sono stati condannati a 6 anni in appello; ridotta la pena anche a Giuseppe Ruocco, da 4 anni e 4 mesi a 3 anni e 8 mesi. Tutti sono accusati di estorsione con l’aggravante del metodo mafioso ai danni di un imprenditore-avvocato di Villaricca al quale furono chiesti 220mila euro dopo l’acquisto di un immobile. Domenico Ferrara, 61 anni, alias “Mimì ’o muccuso”, ritenuto dagli investigatori il presunto reggente dell’omonimo clan egemone negli affari illeciti a Villaricca fu individuato come uno dei promotori dell’estorsione e arrestato due anni fa nella sua villa bunker nel parco Nuovo Mondo di Villaricca. Con lui finirono in manette altre 6 persone considerati appartenenti allo stesso gruppo criminale.
Domenico Ferrara è lo stesso che aveva acquistato un centinaio di telefoni cellulari che sarebbero serviti per il televoto a favore della figlia che partecipava ad uno show televisivo per giovani talenti.

Cronache della Campania@2018

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