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Channel: Cronaca Giudiziaria
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ANTEPRIMA. I verbali del pentito Alfonso Loreto, ecco chi pagava il pizzo al clan a Scafati e dintorni: dai Longobardi ai Chiavazzo, fino ai Principe di Pompei

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LORETO-ALFONSO

Il fiume in piena Alfonso Loreto, il pentito di camorra di Scafati  rischia di travolgere tutto e tutti nella cittadina dell’Agro con le sue dichiarazioni. Ha raccontato agli investigatori gli ultimi anni di camorra a Scafati: le estorsioni, i fatti di sangue, i traffici illeciti, i rapporti con la politica. Insomma un racconto completo parte del quale è già agli atti del processo che si celebrerà a giorni e che vece imputato lo stesso e buona parte dei suoi accoliti. Alfonsino Loreto, figlio del del pentito Pasquale, ha  spiegato agli investigatori, facendo nome e cognome, di come gli industriali di Scafati erano costretti a pagare il pizzo al suo clan. Ecco le sue dichiarazioni in esclusiva e in anteprima: “Facit faticà e paesan, siamo giovani, siamo carne che cresce” si presentavano così con nome e cognome i rampolli del clan Loreto-Ridosso agli industriali conservieri ai quali imponevano il servizio di pulizia e manutenzione nelle industrie scafatesi e non.

I conservieri costretti ad assumere “i guaglioni” del clan. Alfonso Loreto narra la nascita della sua attività, appena diciotto anni creò la prima società per imporre la pulizia e non solo ai conservieri. “La prima società fu creata da me, ero amministratore della ‘Delta Service di Loreto Alfonso’ – dice – per entrare nel settore appalti privati. Da subito prendemmo gli appalti dai Longobardi (l’industria di famiglia di Nello Longobardi, ex presidente dell’Acse, e patron dello Scafati Basket, ndr)”. Appalti in tutte e tre le sedi dell’azienda conserviera. “Due siti a Scafati e uno a Calvi, a Benevento. Poi prendemmo Teodoro Di Lallo, Bruno, con l’azienda di Scafati”. Bastava il nome. Nessuno di scompose più di tanto e fecero lavorare i giovani anche presso il Centro Plaza e in altre ditte private scafatesi. “non è stato troppo necessario un atto intimidatorio – dice Alfonso Loreto – quando ci presentavamo io e Luigi Ridosso dicevamo è meglio che ci facit faticà siamo paesani”. Minacce velate, ma neanche troppe, quelle dei rampolli della cosca egemone a Scafati per dieci anni. I verbali di Loreto sono ricchi di particolari, moltissimi dei quali coperti da ‘omissis’, molte vittime e complici nascosti ancora per non compromettere le indagini in corso. “Vir te vo parlà papà. Lo prendemmo, stava in pigiama, e lo portammo in via Fondo Monaco a Scafati”. Papà è Pasquale Loreto, pentito, che nel 2009 giunse a Scafati per regolare i suoi affari e ripristinare l’ordine della camorra imponendo a noti industriali conservieri il pagamento della tangente al clan Loreto-Ridosso. A raccontare i particolari di quegli incontri ‘forzati’ il rampollo di famiglia, Alfonso Loreto, che insieme ai suoi fidati amici e complici dell’organizzazione criminale prelevarono le persone indicate dal padre per portarle al suo cospetto. Era il 2009. Pasquale Loreto, nonostante fosse in località protetta arrivò a Scafati. “E’ sceso lui, sua figlia Claudia e sua moglie perché chell in effetti è la moglie … quale compagna … mia mamma sa spusat e c’è stata due anni tutt cos. Comunque scese Santa Formisano con Pasquale Loreto e Claudia la figlia – dice Alfonso Loreto – Santa Formisano e la figlia la appoggiammo da Teodoro Di Lallo, Bruno, dalla zia a dormire, e io a mio padre lo appoggiai presso un suo parente, Ciccillo, in via Fondo Monaco a Scafati. Venne perché doveva fare soldi ‘iss si doveva drogà’ perché penso che chill ultimamente i motivi di rottura con mio padre sono stati per la droga”.

Gli imprenditori sequestrati. Il primo ad essere prelevato e portato al cospetto del pentito fu Gaetano Novi, noto imprenditore e titolare di un grosso deposito di pomodori. “Io, Salvatore Ridosso e Luigi Ridosso (di Salvatore) andammo a prendere prima Gaetano Novi, un grosso commerciante di pomodori, erano le nove-dieci di sera. ‘Vir te vo parlà papà’ gli dissi”. L’uomo probabilmente credeva che quel parlare sarebbe stato via cavo, invece lo fecero salire in pigiama in auto e lo protarono da Pasquale Loreto. “Gli fu fatta una richiesta estorsiva di 50mila euro, ma Novi non pagò. “Sapemmo da Vincenzo Galasso, che ci stava in contatto – racconta Alfonsino – che era andato a denunciare. Io dissi ‘aspettamm nu poco’ lo dovevamo ammazzare, ma non lo trovavamo, avevo deciso di gambizzarlo”. Ma Novi non fu l’unico a essere portato alla corte di Pasqualino Loreto. “Il giorno dopo mandò a chiamare Giuseppe Chiavazzo (anch’egli un imprenditore conserviero), gli fa un’estorsione di diecimila euro e si accorda. Doveva pagare dopo 15 giorni. Se li chiudeva nello studio mentre noi eravamo fuori. Poi i soldi li avremmo divisi”. Chiavazzo alla scadenza non pagò e fu vittima di un violentissimo pestaggio da parte di Salvatore Ridosso e Alfonsino Loreto “Lo sbattemmo con la capa nel muro’ racconta al pm Giancarlo Russo. In successione la ‘convocazione’ fu fatta a Antonio De Clemente. “Lo portammo e pagò subito 5mila euro – dice Alfonso Loreto -, poi sono andato a ritirare altri diecimila”. In quella stessa mattina fu convocato anche Salvatore Ferraiuolo, il titolare del noto negozio ‘Principe’ di Pompei al quale i rampolli del clan dovevano tantissimi soldi. Un’estorsione, già contestata, al clan nell’ordinanza eseguita a settembre scorso. “Salvatore ‘Principe’ se ne ascett chiagnenn dicett non voglio sapè niente, aggia iut sott e ncopp però non voglio più niente”. Tutti i membri del clan andavano a vestirsi presso il noto negozio di griffes pompeiano. Dopo quell’incontro rinunciò a migliaia di euro. (rosaria federico)

(altri particolari sul quotidiano La Città in edicola)


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